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Tipi di mediazione culturale

LE DONNE IMMIGRATE: I LAVORI, LA CASA, LA FAMIGLIA

3. Tipi di mediazione culturale

Tornando dalla parte della mediazione culturale possiamo delinearne le differenti funzioni, i differenti tipi, in relazione a due variabili: apertura/chiusura dell’organizzazione, assimilazione/diversità. Teniamo comunque presente che l’asimmetria di potere costituisce la cornice entro cui si articolano i molteplici tipi di mediazione possibile. Notiamo anche che la scelta di assegnare il ruolo di mediatore/mediatrice a un membro della popolazione immigrata se da un lato esprime la volontà di riconoscere la condizione di partenza asimmetrica e di compensarla, dall’altro può portare a una “deriva etnocentrica”.

«Il risultato di questa scelta è però una deriva etnocentrica della transculturalità (interculturalità), poiché proviene dal gruppo minoritario (o discriminato), si presuppone che il mediatore e il suo gruppo facciano uno sforzo unilaterale di “apprendimento da”. La mediazione segnala implicitamente che il gruppo minoritario deve sforzarsi di comprendere e accettare la cultura maggioritaria, accentandone le forme fondamentali di comunicazione. Mentre il gruppo minoritario è chiamato a fare questo sforzo e il mediatore diventa un esempio di adattamento culturale e di avvedutezza comunicativa per tutti i suoi membri, il gruppo maggioritario non produce in realtà lo sforzo di mettersi “nel mezzo”: attende semplicemente i risultati della mediazione»164.

Il rischio dunque, è che la mediazione culturale esoneri il gruppo maggioritario da ogni sforzo interculturale, da ogni apertura al pluralismo culturale, da ogni dialogo tra popoli e culture. Ma il fallimento di una “vera” mediazione inter-culturale, capace di rispondere ai nuovi bisogni, lascia irrisolti i problemi e i conflitti per cui la mediazione si era resa necessaria. La mediazione svolge la funzione di un anello che si aggiunge alla catena in cui è diviso il lavoro dell’organizzazione, dovrebbe svolgere quella complessa funzione che la scienza dell’organizzazione chiama “adattiva” (del sistema al suo ambiente), viene invece ridotta ad essere “schermo”, ad avere una funzione solo “difensiva”.

Al riproporsi dell’etnocentrismo assimilazionista corrisponde il persistere del cattivo funzionamento dell’istituzione che si manifesta ad esempio, nel caso delle scuole, nell’abbandono scolastico o nel forte disagio che spesso colpisce gli alunni figli di famiglie immigrate; nel caso degli ospedali, nell’inefficacia delle cure mediche o nel cronicizzarsi di malattie. Si ripropone così la necessità della mediazione, si rinnovano le strategie di mediazione. Si

ricomincia dall’inizio: è la costruzione sociale dell’idea di “mediazione” come panacea (finta).

Quando, al contrario, si creano le condizioni per il cambiamento e procedure, regolamenti, ruoli organizzativi si dispongono verso un’apertura sociale e culturale, allora la mediazione diventa una risorsa per potere lavorare con efficacia. Ad esempio, ci sono situazioni in cui insegnanti, medici, infermieri, non ostacolano e non attendono semplicemente i risultati della mediazione assimiliazionista, ma al contrario si mettono in gioco, si rendono disponibili a un cambiamento nel modo di insegnare e nel modo di curare.

In questa nuova situazione nasce la possibilità di un confronto tra popoli e culture di provenienza diversa e si possono creare condizioni di dialogo e d’autentica socialità. Autentica socialità nel senso di nuove situazioni e relazioni, dove le ragioni e le forme della vita associata sono rinegoziate e dove in particolare sono riconosciute quelle ragioni e quelle forme di comunicazione attraverso cui si manifestano i segni del cambiamento.

«Culture in gioco significa anzitutto un bilico, a rischio. Le differenze (le diversità) interrogano e sfidano l’eredità del passato, costringono a ridefinirsi, a esporsi alla possibilità della contaminazione che gli altri sempre rappresentano per noi. Mettere in gioco significa rischiare, accettare di conservare e di perdere, aprirsi alla sorpresa, dell’inatteso e dell’imprevedibile.

Ma per accettare la sfida, le culture devono entrare in gioco, devono cioè riconoscere di essere parte e di avere parte. La tentazione della separatezza ricorre nella storia dei gruppi umani e ha sempre prodotto violenza e sopraffazione»165.

Proviamo a sintetizzare in un unico quadro i principali tipi di mediazione in due diversi contesti organizzativi e sociali, aperti o chiusi nei confronti della mediazione culturale. Il quadro rappresenta tipi di comunicazione e di relazione sociale riferiti ad una condizione di partenza asimmetrica tra gruppi maggioritari e gruppi minoritari (cfr. schema 1).

È un quadro che incasella possibili alternative, che visualizza l’operare di una mediazione in contesti distinti da un’apertura interculturale o etnocentrica. Oppure contesti dove il rifiuto di una mediazione da parte del gruppo maggioritario si scontra con la resistenza o con la rinuncia del gruppo minoritario alla propria specificità culturale e all’affermazione dei propri bisogni di emancipazione.

165 Cfr. Melucci A., Culture in gioco. Differenze per convivere, Il Saggiatore, Milano, 2000, p. 14.

I tipi di relazione rappresentati possono significare ed essere letti sia nel senso del dominio dell’uno sugli altri sia in senso dinamico. È possibile, infatti, che una posizione di chiusura possa essere superata e trasformata in una posizione di apertura e viceversa. È possibile che nel gruppo minoritario prevalga la rinuncia, individuale o collettiva, alla propria identità e domanda di emancipazione e che poi si affermi un’azione di resistenza.

Infine c’è una terza lettura, sempre dinamica. Nel farsi della mediazione, all’interno di ogni singola situazione, può essere messa in atto una strategia che a momenti è adattiva, a momenti conflittuale, a momenti sottoposta allo scacco dovuto all’asimmetria della relazione. L’esito è dunque incerto e può sfociare nel fallimento della mediazione o nel suo opposto, la realizzazione di un dialogo e di un primo contatto interculturale.

La sfida per la mediatrice è di rendere possibile l’impossibile: consentire all’immigrato di entrare effettivamente nel gioco della mediazione e non semplicemente di assistervi.