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Tipologie Saldo Tot. Saldo Nat. Saldo

Migr. Immigrazione straniera Saldo migratorio interno Invecchiamento pregresso (*) Fabbisogno di manodopera (*) Prezzo case (*) Comuni di cintura urbana ++ + ++ + ++ B M M Zona pedemontana ++ -- +++ +++ + A A B Trentino e piccoli

comuni alta pianura ++ + ++ ++ ++ M A M-B

Alto Adige orientale + ++ - -- - B B B

Alto Adige

occidentale - ++ -- -- -- B B B

Montagna bellunese e friulana, zone bassa pianura

-- -- - -- - A B B

Molti comuni bassa

pianura - - + + - A M M-B

Maggiori città del

Nord Est -- -- + ++ -- A A A

(*) B: basso; M: medio; A: alto

Nota: I segni + e – indicano il segno assunto dal saldo: un numero via via più elevato di segni + (o ) sta a segnalare un saldo positivo (o negativo) di

Il Rapporto perviene quindi a una serie di conclusioni sulle relazioni fra dinamica e sviluppo socioeconomico del Nord Est.

In primo luogo Castiglioni e Dalla Zuanna fanno notare che il movimento demografico naturale risulta essere pesantemente negativo in quelle aree del Nord Est in cui lo sviluppo economico è meno dinamico o stagnante: la fuga dei giovani e la bassa fecondità delle poche famiglie che restano portano quindi a situazioni di “malessere demografico”, il cui effetto negativo più pesante è il rapido invecchiamento delle popolazioni comunali.

Al contrario, nelle zone dove si è assistito ad uno sviluppo economico e a un conseguente forte afflusso di giovani stranieri, i bilanci demografici negativi sono stati rovesciati e il processo di invecchiamento della popolazione si è fortemente rallentato.

Infine, per quanto riguarda le città, la richiesta di manodopera nei servizi ha spinto molti stranieri a trasferirsi nei grandi centri urbani, attenuando anche in questo caso il processo di invecchiamento e bilanciando la continua fuoriuscita di coppie da poco sposate per via degli alti prezzi delle case; di conseguenza anche nelle città la relativa vivacità demografica dei prossimi anni dovrebbe essere in parte garantita dagli stranieri, in grado quindi di salvaguardare, almeno in parte, l’esistenza di centinaia di piccoli paesi. Tuttavia le condizioni di vita degli stranieri nelle città sono probabilmente più difficili che nei comuni più piccoli, in quanto gli alti prezzi delle abitazioni spingono gli immigrati con cittadinanza straniera ad accettare situazioni abitative precarie, favorendo così la naturale e spiacevole formazione dei ghetti (a meno di interventi regolatori da parte dello Stato).

3.2. Il “malessere” del Veneto

L’analisi condotta sui comuni italiani dagli autori già citati Golini, Mussino e Savioli (2000) si basa sull’utilizzo di un numero molto ampio di indicatori, perché sulle dinamiche studiate agiscono, come essi stessi sostengono, non solo fattori endogeni strutturali di tipo demografico (fecondità e invecchiamento), ma anche

demografici esogeni (migrazioni), culturali e socioeconomici, nonché la loro evoluzione temporale.

L’approccio da loro utilizzato per lo studio del malessere demografico è prevalentemente esplorativo e ricorre all’”analisi in componenti principali” e alla conseguente “classificazione in gruppi omogenei dei comuni” tramite le loro coordinate sulle componenti principali del malessere demografico: le componenti prescelte per determinare il malessere demografico di un comune sono state la struttura per età della popolazione, il comportamento riproduttivo e la tipologia dell’occupazione per settore di attività economica.

Nel complesso il Veneto si presenta con una struttura per età non ancora compromessa, ma con una tendenza della fecondità a un rapido declino. Oltre ad aree demograficamente in crisi costituite da comuni montani di piccole dimensioni, esistono anche aree meno compromesse composte da comuni prevalentemente dell’entroterra, economicamente vitali e limitrofi ai capoluoghi e agli altri poli di attrazione dell’industria e del terziario.

Le classi che vengono così individuate per il Veneto sono 6:

- classe a: comuni prevalentemente industrializzati che occupano tutta la zona centrale della regione, con fecondità alta in relazione agli altri comuni veneti, con la più alta quota di giovani in età 0-14 anni e un invecchiamento contenuto: vitalità demografica moderata;

- classe b: comuni dell’entroterra dove prevalgono gli attivi in condizione professionale nell’industria e nel terziario, economicamente vitali e con i più alti tassi di occupazione, dall’invecchiamento ancora contenuto e dalla fecondità piuttosto bassa, disposti ad anello intorno ai capoluoghi e agli altri centri di attrazione economica: vitalità demografica moderata;

- classe c: comuni con una quota elevata di attivi in condizione professionale nell’industria, con una percentuale di ultrasessantenni modesta e un livello di fecondità piuttosto basso: crescita zero;

- classe d: capoluoghi e comuni terziarizzati e a prevalente vocazione turistica con la percentuale di diplomati e laureati più alta: malessere moderato;

- classe e: comuni meridionali rurali con forte presenza di attivi in condizione professionale nell’agricoltura e con le più basse quote di diplomati e laureati: malessere moderato;

- classe f: comuni settentrionali montani prevalentemente industrializzati e terziarizzati con i più bassi tassi di occupazione, composti da una popolazione anziana, con il più alto indice di dipendenza e la più alta quota di famiglie con un solo componente: malessere intenso (è questa quindi la classe più compromessa).

La Cartografia 3.1 individua i comuni a seconda della propria classe di appartenenza: le classi da a ad f sono ordinate rispetto al tasso di incremento naturale medio annuo da positivo a negativo e quindi rispetto al malessere demografico più o meno intenso.

Padova risulta rientrare nella classe d (moderato malessere demografico), mentre i comuni della prima cintura si posizionano nella classe b (relativo benessere demografico): queste conclusioni vedremo poi essere in linea con i risultati da noi ottenuti.

Più in generale, in un periodo contiguo al Censimento del 1991, nella provincia di Padova il livello di invecchiamento, dagli autori calcolato come percentuale di persone con 60 anni e più sul totale della popolazione, è pari a circa il 20% e il numero di morti per ogni 1000 abitanti si mantiene intorno a 9 (questi stessi valori sono validi sostanzialmente ancora oggi); in tali condizioni la pur bassissima fecondità del momento combinata con la relativamente elevata dimensione media della generazione femminile in età feconda, dà luogo ad un numero di nascite sufficiente a controbilanciare nel singolo anno considerato il numero di morti. Questo sta a significare che la struttura per età non è ancora compromessa, cosicché nel breve-medio periodo potrebbe risultare sostenibile anche una fecondità molto bassa; ma ovviamente, nel momento in cui questa permanesse, nel medio-lungo periodo la percentuale di ultrasessantenni salirebbe rapidamente.