I media conglomerate hanno fornito ai fratelli Wachowski la possibilità di
condurre un nuovo esperimento estetico in cui, al netto delle forme tradizionali di diffusione e strutturazione del testo filmico, si potesse ampliare il discorso; questo attraverso il lavoro con persone di fiducia. Assistiamo ad una forma di co-
creazione che assume le forme del media mix propria della cultura nipponica, attività che porta il racconto a disperdersi su tecnologie differenti.
In Japanese culture and entertainment, media mix (wasei-eigo: メディアミックス, mediamikkusu) is a strategy to disperse content across multiple representation: different broadcast media, gaming technologies, cell phones, toys, amusement parks, etc.[1] The term gained its circulation in late 1980s, however the origins of the strategy can be traced back to 1960s with the proliferation of anime with its interconnection of media and commodity goods. 111
Basti pensare, nel nostro caso, al rapporto dei fratelli Wachowski con animatori giapponesi ed asiatici per la creazione di Animarix. E’ attraverso tali modalità di collaborazione che Matrix afferma la propria identità multiculturale, oltre che sottolineare ad ogni passaggio l’importanza capitale di ciascun contributo.
110 Federico Zecca, Il Cinema della Convergenza, cit. 2012, p. 23 111 http://en.wikipedia.org/wiki/Media_mix
Il mondo creato per Matrix rappresenta il luogo ideale in cui lasciar proliferare non soltanto la sperimentazione degli artisti, ma anche l’esplorazione dei fan. The
Matrix è stato dunque immaginato come un mondo unico e coerente, all’ interno
del quale ogni opera costituisse una parte riconoscibile dell’universo narrativo e che fosse, al contempo, così flessibile da costituire una parte riconoscibile del tutto narrativo.
In termini di pubblico, quello che abbiamo davanti è una audience sempre più attiva e “desiderosa di attestare la propria autonomia di consumo”, pronta a dare il proprio contributo dentro ed attorno al franchise anche attraverso forme non autorizzate. Le fan fiction rappresentano un esempio centrale in quel processo di riempimento personalizzato del contenuto mediale, da cui l’industria
cinematografica, intercettando le necessità e la richiesta partecipativa del pubblico, ha cercato e continua a cercare di inserirlo in una rete (inter)testuale ampia e coesa.
La struttura multi-livellare su cui è costruito il prodotto filmico porta ad una sorta di impossibilità del controllo totale, da parte dei creatori, di ciò che viene appreso attraverso le storie transmediali. Questo non impedisce loro di provare ad
indirizzare, comunque, le nostre interpretazioni. Neil Young parla in questo caso di “comprensione additiva”, citando a riguardo il frammento del director’s cut di
Blade Runner, dove l’aggiunta di un breve segmento in cui Deckard trova un
unicorno origami ci porta a chiederci se sia o meno un replicante. Piccoli frammenti possono cambiare la nostra visione generale del film.
troviamo delle cut scenes che ci svelano indizi sul triangolo amoroso tra Niobe, Morpheus e Locke, allargando le nostre informazioni riguardo ai rapporti che si creano tra i personaggi: comprendiamo l’ostilità di Locke nei confronti di
Morpheus. Un personaggio come Ghost, che nel film resta comunque secondario, assume il ruolo di premio per quanti si sono impegnati nella scoperta del gioco. Uno degli esempi più eclatanti di “comprensione additiva”, per quel che riguarda
Matrix, è rappresentato secondo Jenkins da un avvenimento postumo. Con la
trilogia già conclusa, Morpheus, il mentore di Neo rimane ucciso in The Matri
Online, mentre cerca di recuperare il corpo del proprio protetto. La notizia della
morte avviene attraverso un passaparola in rete o attraverso altre fonti secondarie. Ci troviamo di fronte ad una continua richiesta di attenzione, chiediamo allo spettatore di investire sempre più il proprio tempo e attenzione. Stiamo guidando lo spettatore attraverso vari media, e in alcuni casi potremmo doverlo fare
guidandolo passo per passo, attraverso una costruzione progressiva della relazione con il mondo finzionale.
In un panorama di questo tipo, è naturale che si arrivi ad un assemblaggio di informazioni tale da stimolare l’intelligenza collettiva della fan base nel tentativo di comprendere e leggere tutti i passaggi di cui si compone il testo.
La comunità dei fan diviene una vera e propria comunità del sapere che si affida ad altri per saperne sempre di più. L’utente è divenuto cacciatore e profondo conoscitore della materia filmica in ogni suo aspetto, portandolo alla ricerca continua in un viaggio investigativo che si muove su differenti media.
Far muovere lo spettatore su diverse forme mediali porta ad una performance economicamente proficua per il conglomerate, sviluppando una serie di
interrogativi su quali saranno le azioni dei fan, provando ad anticiparle ed
indirizzarle attivamente. L’investimento partecipativo dei fan è, in qualche modo, pre- costituito, indirizzato e deciso dalla struttura del transmedia storytelling sviluppato per il prodotto mediale in questione. Il racconto transmediale propone agli utenti dei percorsi preferenziali di fruizione in cui orientarsi, indicando una strada possibile e semplice da fruire all’interno di un sistema ultra complesso come il media contemporaneo, impedendo la dispersione e la frammentazione del consumo. Il transmedia storytelling è visto come una strumento di gestione della odierna complessità mediale, rispondendo all’attivismo frenetico del pubblico. Come afferma Ruggero Eugeni, la narrazione transmediale tende, inoltre, a ri- individualizzare forme e tipologie dei media, contrapponendosi (parzialmente secondo quanto sostiene Zecca) all’ indistinzione delle esperienze mediali contemporanee che caratterizzano l’odierna episteme digitale. 112
Assistiamo al coniugarsi di due tensioni differenti: una sorta di omogeneizzazione delle differenti esperienze mediali all’interno di un’esperienza che si fa unitaria, contrapposta alla differenziazione delle piattaforme su cui tale esperienza di dipana. Attraverso l’aggregazione di mezzi di comunicazione differenti all’interno del medesimo complesso (meta) discorsivo, viene indirizzato il consumo dello stesso franchise da un determinato medium all’altro. Il transmedia storytelling tende, quindi, a (ri) affermare le specificità dei media che lo compongono
valorizzandone le diversità sia sul piano industriale che su quello sociale. Creando differenti punti d’ingresso che diventano caratteristica precipua di questa
convergenza di linguaggi, pubblici, piattaforme multiformi, il transmedia
storytelling trova la propria caratteristica principale e la ragione d’essere
produttiva, oltre che la sua odierna fisionomia culturale. 113
Lo spettatore ha davanti a sé una infinità di porte attraverso cui accedere al discorso filmico sviluppato dal racconto transmediale. I franchise provano in qualche modo a indicare delle strade possibili di accesso e fruizione, tentando di semplificare il viaggio dello spettatore e, al tempo stesso, indirizzarlo verso il percorso che maggiormente crea un ritorno in termini vari per il franchise stesso. Tali percorsi non vengono seguiti in maniera forzata dallo spettatore, quest’ ultimo evolutosi in cacciatore di contenuti, può decidere di accogliere i consigli strategici e di percorso offerti dei differenti conglomerate, ma si muove sempre più con una propria indipendenza, andando a cercare in maniera autonoma i segmenti di narrazione che possano aiutarlo a costruire la propria conoscenza rispetto all’ opera.