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Tra Convergenza, Nuovi Media e Cultura Partecipativa: Il transmedia storytelling come nuova forma di narrazione

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea in Storia e Forme delle Arti Visive

dello Spettacolo e dei Nuovi Media

TESI DI LAUREA

Tra Convergenza, Nuovi Media e Cultura Partecipativa:

appunti per una nuova idea di cinema

RELATORE

Prof. Maurizio Ambrosini

Candidato

Oscar Cini

(2)
(3)

A Giulia, per l’amore infinito e la dedizione assoluta. Alla mia famiglia, per esserci stata sempre e comunque. Agli amici, che sono gli stessi di sempre e spero non cambino mai.

(4)

INDICE

Capitolo 1:

- Cosa vuol dire Convergenza? Pag.7

- Crossmedialità, Intermedialità e Rimediazione Pag. 19

Tra Convergenza e Crossmedialità

Pag. 19

Intermedialità

Pag. 23

Rimediazione

Pag. 31

Cinema e Rimediazione

Pag. 34

- User generated content e nuovi esercizi spettatoriali:

le pratiche fandom e l'attività del prosumer

Pag. 38

Capitolo 2:

- Life in a Day e Italy in a Day: due casi studio

Pag. 53

Il caso

Life in a Day

Pag. 53

Serializzazione del prodotto filmico:

Life in a Day e One Day on Earth

Pag. 61

- Italy in a Day: progetto innovativo o prodotto derivativo? Pag. 64

Conclusioni parziali

Pag. 67

(5)

Capitolo 3:

- Matrix: un esempio di racconto transmediale

Pag. 73

- L’importanza del paratesto e la relazione

tra corporate e grassroots

convergence

Pag. 84

- Tra scrittura collaborativa e fan fiction

Pag. 86

Capitolo 4:

- Il videofonino come mezzo convergente:

Jan Simons, YouTube e iPhone

Pag. 92

- Una cinematografia “videofoninica”:

il frutto dell’ibridazione

Pag. 97

Conclusioni

(6)
(7)

Capitolo 1

- Cosa vuol dire Convergenza?

Cos’è la Convergenza? Di cosa parliamo quando usiamo tale termine?

Non possiamo analizzare le varie implicazioni dovute allo sviluppo di una cultura di tipo convergente, senza prima aver provato a dare una serie di soluzioni alla domanda iniziale.

Una serie di definizioni trovate sul web danno del termine 'convergenza' delle letture differenti.

Secondo Moreorless - dizionario tecnico informatico - il termine 'convergenza' indicherebbe: « l'unione di tecnologie, industrie o attività prima separate. L’uso più comune si riferisce alla convergenza di tecnologie di calcolo, comunicazione e radiotrasmissione»1.

Ben tre diverse accezioni della parola 'convergence' sono rintracciabili su Webopedia, enciclopedia delle tecnologie informatiche. La prima riguarda la congiunzione di due o più funzioni tecnologiche in un unico strumento tecnico (ad esempio, il fax); la seconda si concentra sulla convergenza grafica, sulla capacità, quindi, di allineamento dei tre segnali rosso, verde e blu che concorrono a definire la qualità dell'immagine visibile nel monitor. Un'ultima occorrenza descrive il tempo impiegato dal router per aggiornare i proprio indici.2

Ma la vera e propria rivoluzione riguardante il concetto di convergenza arriva attraverso queste parole:

1 http://www.moreorless.net/diz/MoL_C.html

(8)

« termine che descrive il cambiamento sociale, culturale, industriale e tecnologico inerente alle modalità di circolazione della nostra cultura. Tramite questa formula vengono generalmente indicati: il flusso di contenuti attraverso più piattaforme mediatiche, la cooperazione di imprese diverse, la ricerca di nuove forme di finanziamento tra vecchi e nuovi media e il comportamento nomade dei pubblici che sono alla ricerca di nuove esperienze di intrattenimento gratificanti. Probabilmente, più in generale, la convergenza mediatica si riferisce ad una situazione di coesistenza tra sistemi mediatici multipli, nella quale il flusso dei contenuti è fluido ».3

Questa è la definizione che dà di Convergence (Convergenza) Henry Jenkins nel suo saggio.

Nell’opera dal titolo Convergence Culture, Jenkins ci introduce nell’era della cultura convergente. Un’ era in cui si sviluppano continuamente nuovi paradigmi in ambito mediatico, un’evoluzione senza sosta. L’originalità del testo jenkinsiano sta nell’idea, assolutamente innovativa, che questi dà del termine convergenza: un termine che esprime ed aiuta a comprendere a pieno il cambiamento socio-culturale, tecnologico ed industriale-economico in atto nel mercato mediale contemporaneo.

Un modello culturale in cui i vecchi e i nuovi media collidono, i media popolari e quelli delle corporation si incrociano e il potere dei produttori e quello dei consumatori interagiscono in forme imprevedibili.4

3 H. Jenkins, Cultura Convergente, Milano, Apogeo, 2007, p. 345

4

(9)

Federico Zecca, nel suo testo Il cinema della Convergenza cita a riguardo le parole di Francesco Casetti il quale sottolinea come: « old apparatus […] is disintegreted in favour of a rich array of multiplatform and crossover products ».5 Jenkins mette in risalto come il flusso di contenuti attraverso più piattaforme mediatiche, la cooperazione di imprese diverse, la ricerca di nuove forme di finanziamento tra vecchi e nuovi media e il comportamento nomade dei pubblici, abbiano dato vita a nuove forme di intrattenimento in cui la figura dello spettatore ha preso ad avere un ruolo sempre più centrale e meno periferico.

La convergenza mediatica si riferisce dunque ad una situazione di coesistenza tra sistemi mediatici multipli, in cui i contenuti vengono costantemente masticati e ri-elaborati.

« No single medium is going to win the battle for our ears and eyeballs. And when will we get all of our media funnelled to us through one box? Never.

Media convergence is an ongoing process, occurring at various intersections of media technologies, industries, content and audiences; it’s not an end state. There will never be one black box controlling all media. Rather, thanks to the proliferation of channels and the increasingly ubiquitous nature of computing and communications, we are entering an era where media will be everywhere, and we will use all kinds of media in relation to one another ».6

Nel saggio Convergence? I Diverge, Jenkins sottolinea come la convergenza dei media sia sul punto di rivoluzionare la nostra cultura tanto profondamente quanto il Rinascimento ha fatto secoli fa.

5 Federico Zecca, Il Cinema della Convergenza, Milano, Mimesis, 2012, p. 10

(10)

Nel testo in questione si analizza la portata dell’evento, prendendolo come un processo in divenire, che si realizza a vari livelli e in maniera continua.

Il discorso jenkinsiano enfatizza il ruolo di una cultura convergente piuttosto che concentrarsi sull’aspetto tecnologico, comunque non secondario. L’aspetto principale viene affidato alle modalità di condivisione, ai canali attraverso cui si dipana il discorso, che sono in continua proliferazione e ci costringono ad essere continuamente preparati ad interagire con la loro ubiquità.

Nel testo Cinema e Intermedialità, Federico Zecca sostiene che la convergenza corporativa e quella tecnologica stabiliscono un rapporto “dinamico e a doppio senso” - concetto questo elaborato a partire dalle idee di David Holmes. Come Holmes giustamente osserva, infatti, la convergenza tecnologica è resa possibile solo da quella corporativa, poiché è quest’ultima a “dare origine a nuove combinazioni tra l’innovazione tecnologica e la distribuzione dei contenuti”.7 Utilizzando ancora le parole di Jenkins possiamo aggiungere che:

« We will develop new skills for managing information, new structures for transmitting information across channels, and new creative genres that exploit the potentials of those emerging information structures ».8

Per esplorare l’argomento in maniera precisa vanno analizzati brevemente alcuni aspetti della convergenza, che come detto si realizza a vari livelli, che tra loro hanno caratteristiche differenti. La cultura convergente è solo una parte del discorso globale sulla convergenza nell’era digitale.

7 F. Zecca, Cinema e Intermedialità, Modelli di Traduzione, Udine, Forum Editrice, 2013,

p.58

(11)

Questa si dipana secondo Jenkins in almeno cinque processi: la convergenza

tecnologica, che Nicholas Negroponte classifica come la trasformazione degli

“atomi in bits”, la digitalizzazione di tutti i contenuti mediali. Quando parole, immagini e suoni vengono trasformati in informazioni digitali, noi espandiamo le relazioni potenziali tra loro permettendogli di fluire attraverso le diverse piattaforme.

Il secondo punto riguarda la convergenza economica: con elevata importanza dell’integrazione orizzontale dell’industria dell’intrattenimento. Compagnie come AOL Time Warner hanno esteso i propri interessi non solo nei film ma anche nella televisione, nei libri, nei videogiochi, nel Web, nella musica, e in una serie di altri settori. La convergenza sociale o organica strettamente legata alle capacità multitasking del consumer nel navigare l’ information environment.9 La convergenza globale è definibile invece come l’“ibridità culturale” - che non vuole certo dire omologazione (anche se Wu Ming nella prefazione al testo

Cultura Convergente segnala tale rischio nell’ Italia dell’ interazione globale 10 ) – risultante dalla circolazione internazionale dei contenuti mediali. Dalla

world-music alla circolazione globale del cinema popolare Asiatico che ha

profondamente segnato l’intrattenimento hollywoodiano, queste nuove forme riflettono l’esperienza dell’essere cittadini del “villaggio globale” teorizzato da McLuhan.

La cultura convergente è definibile, integrando quanto detto precedentemente, come:

9 The aggregate of individuals, organizations, or systems that collect, process, or

disseminate information; also included is the information itself. See also information system. http://www.thefreedictionary.com/information+environment

(12)

« the explosion of new forms of creativity at the intersections of various media technologies, industries and consumers. Media convergence fosters a new participatory folk culture by giving average people the tools to archive, annotate, appropriate and recirculate content. Shrewd companies tap this culture to foster consumer loyalty and generate low-cost content. Media convergence also encourages transmedia storytelling, the development of content across multiple channels. As producers more fully exploit organic convergence, storytellers will use each channel to communicate different kinds and levels of narrative information, using each medium to do what it does best ».11

Allo stesso modo in cui il Rinascimento è emerso in Europa a seguito dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, queste nuove e multiple forme di convergenza mediale ci stanno guidando verso un rinascimento digitale – un periodo di transizione e trasformazione che interessa numerosi aspetti della nostra vita.

Stiamo vivendo un periodo di dispute sociali, politiche, economiche e legali dovute ai conflitti generati dai differenti obiettivi di consumatori, producer e gatekeepers.

Jenkins conclude il saggio Convergence? I Diverge sostenendo:

« these contradictory forces are pushing both toward cultural diversity and toward homogenization, toward commercialization and toward grassroots cultural production. The digital renaissance will be the best of times and the worst of times, but a new cultural order will emerge from it. Stay tuned ».12

11 Id., Convergence? I Diverge, cit. , p. 93 12 Ivi

(13)

Ci troviamo, dunque, di fronte ad un processo fluido, in continuo divenire e pertanto difficile da definire in maniera dogmatica, certa ed univoca.

Le idee di Jenkins, inoltre, non possono essere slegate da un concetto importante come quello della condivisione della conoscenza. Non siamo più in grado di gestire ogni aspetto del sapere. Veniamo quotidianamente sommersi da miliardi di informazioni che non riusciamo più ad elaborare e fare nostre in maniera totale e completa.

Jenkins cita a riguardo Pierre Lévy, il quale sostiene, a ragione, che i singoli incanalano le proprie competenze individuali verso fini ed obiettivi condivisi. Dal momento che nessuno può sapere tutto ma ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità.13

Innovativo, convergente, quotidiano, interattivo, partecipativo, globale, generazionale e ineguale: sono queste le otto caratteristiche che secondo Jenkins contraddistinguono il panorama mediatico contemporaneo.

La rapidità con cui le nuove tecnologie nascono, mutano e si mescolano tra loro, è sotto gli occhi di tutti. Creando si occasioni infinite di arricchimento, ma privandoci, in molti casi, della possibilità di assimilare in pieno i contenuti fruiti. Stimolo della creatività; device che accorpano molteplici funzioni (pc, cellulari, tv) mostrando come la collisione fra vecchi e nuovi media sia, innanzitutto, una necessità di tipo culturale prima che tecnologica. I contenuti delle nostre comunicazioni sono declinati in infinite modalità:

(14)

«La stessa canzone trasmessa in radio diventa jingle pubblicitario in televisione, file da condividere sul computer, colonna sonora al cinema, videoclip su YouTube, suoneria del cellulare, slogan su una maglietta ».14

Viviamo in un continuo scambio di informazioni dovuto alla comunità degli interessi, spesso condivisi, profondamente mutati e praticati in decine di forme

differenti. Alle volte anche “illegalmente”.

L’aspetto partecipativo è quello che assume in questo discorso un ruolo di centralità assoluta. Se fino a qualche decina di anni fa il ruolo del pubblico era semplicemente di audience, passivamente asservita ad un tipo di comunicazione unidirezionale, con possibilità di scelta binaria (ascolto / non ascolto, consumo / non consumo), oggi ci troviamo di fronte ad una platea che ha a disposizione una quantità di canali variegata e differenziata. Tale eterogeneità porta con sé la possibilità di mostrare e condividere le proprie idee e innovazioni rispetto a quanto fruito, ascoltato, visto e vissuto in una qualsiasi esperienza di vita. Possiamo, soprattutto, arrivare ad una platea ampissima grazie all’entità delle nostre conoscenze e competenze. Un’interazione globale, che ci permette di arrivare in qualsiasi luogo del pianeta, discutere con persone e in situazione assolutamente diversificate.

Oggi possiamo, grazie ai nuovi media, interagire al massimo grado di profondità con suoni, immagini e informazioni: determiniamo noi le modalità di fruizione/consumo di un prodotto, la somministrazione dello stesso scegliendo cosa e quando vedere o ascoltare, possiamo fare nostri i contenuti, archiviandoli

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per poi utilizzarli in contesti nuovi. Modificandone, se vogliamo, l’essenza del significato inziale.

Jenkins affida la speranza per una formazione culturale sempre più completa proprio alla partecipazione totale degli utenti nei processi di creazione del contenuto mediale. La maggior parte dei giovani che utilizza internet oggi, al netto delle differenze generazionali che portano a dividere gli utenti tra “nativi” e “immigrati” digitali, partecipa oramai quotidianamente e in maniera attiva all’esperienza partecipativa di cui la cultura odierna è testimone. Dalla scrittura alla condivisione, passando per l’elaborazione ex novo o ri-mediata di contenuti (fan video, remake, fan fiction), il nuovo “utente digitale” prende parte a community online e social network, e lavora in gruppo per produrre nuova conoscenza.

Questi aspetti si inseriscono nel discorso jenkinsiano della grassroots

convergence, sostenendo e mostrando come “la convergenza […] è sia un

processo discendente dall’alto verso il basso, guidato dalle corporazioni, sia una dinamica ascendente, dal basso verso l’alto, guidata dai consumatori”. 15

Secondo Jenkins la convergenza corporativa e la grassroots convergence stabiliscono tra di loro una sorta di scambio dialettico in cui: la prima trasporta il consumatore in una complessa rete di consumi, articolata, chiusa e che porti ad una proficuo ritorno economico (va citato in merito il concetto di transmedia

storytelling16); la seconda tende ad appropriarsi dei contenuti dei franchise17

15F. Zecca, Cinema e Intermedialità, cit., p. 65

16 Ovvero il processo in cui elementi di una narrazione vengono dispersi sistematicamente

attraverso molteplici canali con lo scopo di creare un’esperienza di intrattenimento coordinata e unificata. Come un unico racconto o universo narrativo coerentemente articolato in diversi media. Ivi, p.65 – 66

(16)

mediali per reimpiegarli fuori dal controllo industriale (a riguardo è emblematico il femomeno della fan fiction18).

Nell’ultimo quindicennio, dunque, i cambiamenti tecnologici, economici e sociologici seguiti a quella che Federico Zecca definisce come “svolta digitale”19, parafrasando e citando lo stesso Jenkins, hanno dato vita a tre processi diversi ma connessi: il flusso di contenuti su piattaforme differenti, la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e il continuo migrare di un pubblico che ricerca continuamente nuove forme ed esperienze di intrattenimento.20

Se dell’integrazione tecnologica abbiamo parlato prima, per quanto riguarda il piano economico, la convergenza ha determinato una integrazione orizzontale21

( termine con cui indichiamo una struttura economica nella quale delle imprese hanno interessi incrociati in settori diversi ma correlati ) dei diversi settori dell’industria dei media dando origine a grandi media conglomerates22 globali. La

convergenza economica ha portato settori diversi dell’industria dei media a

17 Franchising: Lo sforzo coordinato di branding e commercializzazione dei contenuti di fiction nell’ambito della conglomerazione dei media. H. Jenkins, Cultura Convergente,

cit., p.348

18 Con tale termine si indicano le opere realizzate dai fan di un certo franchise per fa

vivere nuove avventure ai propri personaggi preferiti. Ivi

19

Id., Il Cinema della Convergenza, cit., p.9

20

H. Jenkins, Cultura Convergente, cit., p.XXV

21 Federico Zecca, Il Cinema della Convergenza, cit., p.10

22 A media conglomerate, media group or media institution is a company that owns large

numbers of companies in various mass media such as television, radio, publishing, movies, and the Internet.

"Media conglomerates strive for policies that facilitate their control of the markets around the world." is a modern generalized description.[1]

Media conglomerates exist in Europe and Asia, as well as Latin America. As a legal construct a media conglomerate has become a standard feature of the global economic system since 1950. http://en.wikipedia.org/wiki/Media_conglomerate

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instaurare un rapporto di attiva interrelazione all’interno del medesimo “ombrello corporativo”23 che ha portato alla valorizzazione di (trans)media franchise. Infine, a livello sociale, la convergenza ha determinato l’emergere dei “pubblici connessi”, dando vita a una cultura partecipativa in cui il consumatore si trasforma sempre più velocemente in un potenziale prosumer, come ha definito tale fenomeno Alvin Toffler, saggista americano autore di The Third Wave.24 Del concetto di prosumerismo parleremo più approfonditamente a breve.

Quello che possiamo notare al termine di questa breve introduzione al concetto di

Cultura Convergente è rappresentato dal tramonto dell’idea, ripresa

successivamente da Nicholas Negroponte, secondo cui si sarebbe arrivati al superamento del concetto di rivoluzione digitale. I nuovi media non hanno cancellato i vecchi, ma proprio grazie alla Convergenza Mediale, vecchi e nuovi apparati hanno cominciato a lavorare in sincronia, provocando una moltiplicazione dei vecchi media, aumentandone la potenzialità e i canali di diffusione del messaggio.

Pensiamo alle potenzialità odierne che ci offre il telefonino: un solo mezzo fisico deputato all’effettuare telefonate è divenuto il canale attraverso cui trasmettere messaggi precedentemente forniti attraverso mezzi separati. Nello stesso discorso rientra il concetto per cui, oggi, sia possibile fruire dello stesso contenuto attraverso devices differenti, come visto nella prefazione di Wu Ming al testo italiano di Jenkins citato precedentemente.

23 Federico Zecca, Il Cinema della Convergenza, cit., p.11 24 Ivi

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Tali mutazioni ci fanno entrare a contatto con il concetto di rimediation, introdotto Jay David Bolter e Richard Grusin e definibile come processo in cui:

« […] in nuovi media digitali prendono in prestito, rendono omaggio o entrano in concorrenza con i loro predecessori».25

Potremmo idealmente chiudere, almeno per il momento, la riflessione sul significato di convergenza con le parole del sociologo Ithiel de Sola Pool, riprese da Jenkins:

« Un processo chiamato la “convergenza dei processi” sta confondendo i confini tra media, anche tra quelli delle comunicazioni punto a punto, come telefono e telegrafo , e le comunicazioni di massa, come stampa, radio e televisione. Un singolo strumento fisico può offrire servizi che in passato erano resi da mezzi separati. Al contrario un servizio che era dato da un unico mezzo oggi può provenire da mezzi diversi. In questo modo si sta erodendo il rapporto uno a uno che esisteva tra uno strumento ed il suo uso ». 26

25 M.Ambrosini, G.Maina, E.Marcheschi, I film in tasca. Videofonino, cinema e televisione, Ghezzano (Pi), Felici Editore, 2009, p.30

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- Crossmedialità, Intermedialità e Rimediazione.

Tra Convergenza e Crossmedialità

Se ci prefiggiamo l’obiettivo di analizzare lo sviluppo dei nuovi media, andremo inevitabilmente incontro ad una serie di difficoltà nel momento in cui cercheremo di tracciare i confini di una serie di processi che sono, come visto, sempre più fluidi, liquidi e in costante divenire.

Vanno pertanto analizzati e ben definiti alcuni concetti di fondo, sui quali potrebbe generarsi confusione. Prima di tutto va definito il concetto di “media”, impresa ardua che proveremo a distinguere in maniera precisa. Nel distinguere tra media intesi come tecnologie e media intesi come forme di comunicazione, questi ultimi potrebbero essere definiti: « come insiemi di regole, convenzioni e forme organizzative – culturalmente, socialmente e storicamente determinate – che le persone seguono quando comunicano usando le tecnologie».27

Secondo Jenkins non è solo questione di definizioni ma di ordini di complessità e di limpidità di analisi.28

Per evitare il senso di dispersione che, inevitabilmente, si avverte nel momento in cui si analizzano le dinamiche che costantemente stravolgono e mutano il

panorama mediale contemporaneo, bisognerà portare avanti un approccio “anglosassone” come il collettivo Wu Ming definisce, per l’appunto, la metodologia di lavoro che Jenkins applica alla materia trattata.

27 G. Cosenza, Semiotica dei nuovi media, Bari, Editori Laterza, 2008, p.10 28 H. Jenkins, Cultura Convergente, cit., p.XXXIII

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Lo stesso tipo di urgenza e rigore analitico è propria del lavoro di Max Giovagnoli quando si trova a dover definire gli ambiti applicativi occupati dalla convergenza e dalla crossmedialità.

Secondo Giovagnoli un racconto è convergente quando vengono distribuiti gli stessi contenuti all’interno di piattaforme editoriali diverse, per quanto perfettamente integrate tra loro.

Mentre un racconto è crossmediale, invece, quando uno stesso progetto viene: declinato su più media conferendo a ciascun contenuto un'identità originale, unica, complementare all'insieme e, talvolta, concorrente rispetto a quest'ultimo. 29 I due modi di raccontare e diffondere un contenuto editoriale risultano differenti l’uno dall’altro per quanto riguarda il punto di vista di tutti gli attori della catena di produzione: editori, autori, lettori. Sono questi ultimi, forse, che mutano maggiormente ruolo nel passaggio da un sistema “convergente” ad un sistema espressamente cross-mediale. In entrambi i casi il livello di partecipazione e coinvolgimento del lettore-fruitore del messaggio mediale è altamente influente sul risultato finale.

Sarà egli stesso, infatti, a decidere come fruire dei messaggi nello spazio-tempo a sua disposizione. Molto dipenderà dalle sue abitudini e anche dalle device (e quindi dalla tecnologia) che questi possiede o ha a disposizione.

Se lo scopo della convergenza è quella di allargare le porte della produzione alla creatività dal basso, sviluppando forme di consumo consapevole e partecipazione ai processi autoriali da parte del consumatore, l'obiettivo principale che si prefigge

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il modello cross-mediale è lo sviluppo di una creatività collettiva al servizio di nuovi progetti e narrazioni su scala globale.

Ennesima ragione di divergenza tra le narrazioni convergenziali e le produzioni cross-mediali consiste nella tipologia di patto narrativo tra fruitore e autore: libero e talvolta anarchico nelle prime, programmato e definito nelle seconde.

Giovagnoli sostiene che parte dei possibili equivoci e difficoltà rispetto all’utilizzo di una corretta terminologia, sia dovuto anche all’utilizzo da parte di alcuni studiosi di vocaboli alternativi a quelli usati di consueto; detto questo, la sua idea è che, ad esempio, quando Jenkins parla di “narrazione trans-mediale”, riferendosi al progetto comunicativo ideato dai fratelli Wachowski per The Matrix, non intenda altro che indicare il gioco cross-mediale che gli autori hanno costruito intorno alla propria storia.

« The Matrix è intrattenimento per l'era della convergenza mediatica. In esso molteplici testi sono integrati in una trama narrativa così complessa da non potersi dipanare attraverso un singolo medium. I fratelli Wachovski hanno condotto magistralmente il gioco transmediale, prima facendo uscire il film […], poi lanciando l'anteprima animata della seconda puntata e contemporaneamente il gioco per computer [...] ».30

Le narrazioni convergenti e cross-mediali si differenziano ulteriormente per il diverso modo di agire di produttori e consumatori; se la convergenza ha tra i propri fini ultimi quello di permettere lo sviluppo di produzioni bottom-up -una creatività dal basso che aiuti a sviluppare forme di consumo consapevole e

30 H. Jenkins, Cultura Convergente, cit., p.83

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partecipazione alla realizzazione autoriale da parte di un consumatore sempre più integrato nel processo di costruzione dei contenuti - l'obiettivo principale proposto dal modello cross-mediale è, invece, rappresentato dallo sviluppo di una creatività collettiva che sia utile nello sviluppo di nuovi progetti e narrazioni globali.

Secondo Giovagnoli, in molti dei progetti cross-mediali la convergenza non è altro che una semplice condizione tecnologica al servizio di una soluzione comunicativa “orizzontale, che prevede l'incrocio e la continua integrazione delle storie narrate. 31

Potremmo sostenere che, se nell'ambito della convergenza l'intervento dell'audience nella fase di elaborazione di un prodotto non è richiesto né, talvolta, benvenuto –-, nella sfera cross-mediale l'utente è direttamente attirato nel processo comunicativo e chiamato a interagire con il narratore.

31 M. Giovagnoli, cit., p.63

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- INTERMEDIALITA’

« L’Intermedialità [è] la forma di relazione tra i linguaggi dell’arte che più

probabilmente segnerà il secolo appena inauguratosi: più ancora della convergenza delle immagini e dei mezzi di comunicazione sul digitale, più della strutturazione numerica dell’immagine e del suono, più del computer inteso come macchina universale».32

Tanto il termine intermediale come quello di intermedialità rappresentano termini entrati nel lessico di riferimento già da diverso tempo e, altrettanto rapidamente diffusisi per via del loro intrinseco fascino linguistico improntato alla modernità.33 Idea comune a diversi studi è quella dell’ intermedialità sia un concetto ancora difficile da restituire appieno, di cui è complicato stabilire il campo di applicazione e che porta sovente ad un utilizzo sbagliato dello stesso in una imprecisa sinonimia con termini quali “intertestuale” e “interdiscorsivo”. In particolare con il termine “intertestualità” il nostro intermedialità presenta dei legami forti. Federico Zecca suggerisce come negli ultimi anni tale termine sia stato usato come upgrade version, in epoca digitale, del concetto stesso di intertestualità spostando il campo d’interesse dall’ambito letterario a quello cinematografico. Impiegato soprattutto nel definire rapporti endolinguistici

appartenenti allo stesso medium.

L’Intermedialità rappresenta l’ampliamento del campo di esplorazione dell’intertestualità e nello stesso tempo il suo presupposto in quanto interessato ai

32 L. De Giusti(a cura di), Immagini migranti, Venezia, Marsilio, 2008, p. 55 33 Ivi

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rapporti che si instaurano fra diversi media in quanto dispositivi. Per cui ogni discorso sull’intermedialità non può che implicare un discorso sulla medialità, in quanto mezzo tecnologico e forma socio-linguistica di comunicazione. Così come per Zecca anche per Silvestra Mariniello il concetto di intermedialità ingloba in sé quelli di intertestualità e interdiscorsività. Sempre secondo la Mariniello l’intermedialità si occupa di analizzare aspetti fondamentali come la pluralità dei

media, la loro coesistenza e i loro intrecci.

L’intermedialità si interessa di un tale spettro di temi da rendere impossibile l’analisi univoca entro un unico approccio metodologico. Viene richiesto, per analizzare al meglio un aspetto così fluido, un alto tasso di interdisciplinarità, un

catalizzatore interdisciplinare 34, come lo definisce Zecca, in cui confluiscono una serie di riflessioni eterogenee e variegate. Ben radicate in contesti teorici differenti.

Nella nozione di intermedialità confluiscono discorsi provenienti dai più differenti ambiti disciplinari: dalla semiotica testuale alla teoria letteraria, passando per la teoria dell’arte e la sociologica della comunicazione, dai cultural e visual studies, per arrivare alla storia e alla teoria cinematografica.

Se la base è da ricercare nella sua componente letteraria ed è antico come la rappresentazione35, è con lo sviluppo della tecnologia digitale ed elettronica che il termine intermedialità si è espanso in maniera centrale nel discorso sui media contemporanei. Per riuscire a riconoscere a pieno la complessità, il comportamento e l’impatto dei nuovi media generatisi dall’inarrestabile sviluppo tecnologico, è parso necessario analizzare sia le relazioni che li legano, i processi

34 Ivi., p. 39 35 Ivi, p.22

(25)

di fusione e contaminazione che sono propri del discorso e, dall’altro lato, concentrarsi sulla materialità dei media e sugli eventi di mediazione. Siamo oggi di fronte a una nuova realtà complessa in cui: i media, sempre plurali, sempre in relazione gli uni con gli altri, producono comunità di utenti che a loro volta li ri-producono e li trasformano continuamente.

Intermedialità rimanda ancora al termine intermedium e a intermedia, termine che viene utilizzato nella sua accezione moderna, per la prima volta, da Dick Higgins, uno dei fondatori di Fluxus. Higgins riprende il termine da un saggio di Samuel Taylor Coleridge, che già nel 1812 lo utilizzava per descrivere un agente che permette la fusione di due oggetti differenti.

L’ accezione moderna in cui lo usa Higgins serve ad indicare la mescolanza di mezzi espressivi diversi e il confluire, così tipico dei nostri giorni, di diversi linguaggi artistici entro un medium nuovo.

La nostra epoca ci presenta una società moderna della comunicazione in cui il linguaggio si estende al di là delle specificità mediali. Un concetto che ritroviamo anche in Expanded Cinema di Gene Youngblood, opera in cui lo studioso statunitense indaga sui legami tra linguaggio cinematografico, sperimentazione artistica e innovazione tecnologica. Con l’avvento di quello che Youngblood definisce come network intermediale ci troviamo a confronto di un panorama che, non solo abbatte le distinzioni e le specificità che caratterizzano i singoli media, ma necessita dello sviluppo dei linguaggi che lo studioso definisce come

sinergici: tali da permettere all’uomo di dominare il nuovo ambiente mediale.

Attraverso la fusione intermediale si produce una dematerializzazione del linguaggio cinematografico che ne permette l’espansione su piattaforme mediali

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differenti. Il cinema dovrà quindi essere distinto dal suo medium, definendo precisamente i tre media attraverso cui “fare cinema”: il film, il video, il computer. Secondo Youngblood: «ognuno di questi strumenti ha proprietà distinte e contribuisce in maniera differente alla storia e alle teorie del cinema, ampliando la nostra comprensione di ciò che il cinema dovrebbe essere».36

Il computer non porta alla morte dei media ma si pone anzi come medium che ha nel digitale un potentissimo mezzo di espansione e allargamento intermediale. Riuscire a definire in maniera univoca il termine intermendiale è, come detto, assolutamente complesso e di difficile riuscita.

A proposito dell’ambito di utilizzo del termine intermedialità, Alain Badiou sostiene che riguardo tale fenomeno “si possono comunque solamente avanzare delle ipotesi”.

La questione si fa più complessa dal momento che «la nostra cultura concepisce ogni medium o costellazione mediale come qualcosa che risponde a, ridispone, compete e riforma altri media ».37

Viviamo in un epoca in cui tutto si fonde e compenetra, dove l’autore si fa dinamico e in cui diviene sempre più complessa e ostica l’analisi dei processi di produzione di senso, questo perché nel dato momento storico sembra che nessun medium possa, al momento, funzionare indipendentemente o senza contaminazioni di altri.

Con l’avvento del digitale, il passaggio costante, veloce e sempre più rapido dei contenuti fra media differenti e la rimediazione38 spinta sempre più all’estremo,

36 Ivi, p. 39

(27)

hanno fatto si che i vari testi si siano avvicinati in maniera crescente e i loro confini hanno preso a farsi meno definiti. E’ per questo secondo Zecca che il concetto di intermedialità assume un’importanza così elevata, utile strumento interpretativo figlio della contemporaneità, che considera tale complessità mediatica come un tutto inscindibile, oltre che un tratto saliente del funzionamento dei media attuali.

Diamo una definizione di intermedialità usando le parole di André Gaudreault in

Postfazione:

« l’intermedialità è, in un’accezione minimalista, quel concetto che permette di disegnare

il processo di trasferimento e di migrazione, tra i media, di forme e di contenuti, un processo che è all’opera in modo surrettizio già da qualche tempo, ma che, in seguito alla proliferazione relativamente recente dei media, è oggi divenuto una regola, alla quale ogni proposizione mediatizzata è suscettibile di dovere una parte della propria configurazione ».39

Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui “una serie di media fin qui operanti in modo isolato possono connettersi tra loro in modo sistematico e intensivo, visto che condividono lo stesso segnale”.40

Come sottolinea ancora De Sola Pool il processo in atto determina un’erosione della tradizionale corrispondenza biunivoca fra il medium e il suo uso. Ad oggi un singolo strumento fisico può, ad oggi farsi, vettore di servizi che precedentemente 38 r. indica, appunto, l’operazione ininterrotta di commento, di riproduzione e di

sostituzione reciproca tra un medium e l’altro, attraverso cui il nuovo ingloba e trasforma il precedente.

http://www.treccani.it/enciclopedia/rimediazione_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/

39 L. De Giusti(a cura di), Immagini migranti, Venezia, Marsilio, 2008, p.60 40 F. Zecca, Cinema e Intermedialità, cit., p.57

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spettavano a più medium differenti. Basti pensare alle attività che possiamo svolgere attraverso il nostro smartphone; portatore di nuove funzioni e sempre più ibrido fra un cellulare e un computer palmare. Strumento che, ad oggi, potremmo definire un vero e proprio “ufficio mobile”.41

Allo stesso modo, un servizio che in passato era fornito da un singolo mezzo può essere somministrato attraverso modalità e canali differenti. Viviamo, dunque, un epoca in cui i prodotti e i contenuti editoriali possono circolare “liberamente su diverse piattaforme, emancipandosi per così dire dai loro canali e supporti tradizionali”.42

Zecca individua, infine, sei caratteristiche fondamentali dell’approccio

intermediale:

La concezione sistemica, secondo cui i media costituiscono un sistema, un

insieme che si costruisce non solo dalla somma delle singole parti ma come addizione delle relazioni reciproche tra gli stessi. L’approccio intermediale si interessa principalmente di come queste relazioni si declinino e quali forme assumano.

L’inter-relazionalità. I media non possono funzionare o esistere in maniera

indipendente ma sono costantemente soggetti alla contaminazione di altri media. Considereremo tali interscambi tra medium non come semplici influenze, rapporti unidirezionali, ma piuttosto come circolazione più che influenze. Evidenzieremo, quindi, la reticolarità e la bidirezionalità di tali scambi, non un processo lineare o unidirezionale.

41 M.Ambrosini, G.Maina, E.Marcheschi, I film in tasca, cit. p.31 42 F. Zecca, Cinema e Intermedialità, cit., p.57

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La complessità mediale. Il concetto di intermedialità concepisce il medium come

un dispositivo culturale complesso , che si basa sulla correlazione di elementi di varia natura ( tecnologica, socio-economica e linguistica). L’approccio intermediale si concentra, quindi, tanto su aspetti materiali quanto su pratiche sociali che sottendono i rapporti tra i media, senza dimenticare i fattori linguistici e le pratiche semiotiche che sono intrinseche in questo tipo di rapporti. L’approccio intermediale si pone come obiettivo quello di studiare le relazioni stabilite tra questi diversi fattori, analizzandone le forme e i modi in cui si influenzano a vicenda.

La dialettica tra ripetizione e trasformazione. L’approccio intermediale analizza

in maniera preponderante alcuni aspetti come la ripetizione del vecchio (trasporto, all’interno di un medium di elementi di un altro medium) e trasformazione nel nuovo (rielaborazione di quanto ripreso da parte del medium di arrivo). Tale dialettica è analizzata sia da un punto di vista linguistico che in termini industriali.

Specificità intramediale ed estraneità intermediale. La base fondante del concetto

di intermedialità è rappresentata dallo spostamento e dal migrare, all’interno di un medium, di elementi che nascono in un medium differente. La relazione intermediale, dunque, si basa sulla ripresa, da parte di un medium di arrivo, di alcune configurazioni intramediali che vengono attualizzate da un medium di partenza.

La dialettica fra immediatezza e ipermediazione. A seconda delle relazioni

impiegate dal medium di arrivo, le relazioni tra i vari medium possono apparire più o meno esplicite. Diversi saranno i gradi di sapere “sapere intermediale”. Questa intermedialità potrà essere “im-mediata”, quando il medium smussa o

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elimina le tracce della proprio presenza; con contenuti narrativi trasposti già presenti e attualizzati da altri media. Oppure, potrà essere “iper-mediata” così definita quando l’intermedialità esplicita e rende manifesta la propria presenza, fondata in particolar modo dalla ripresa da parte di un medium di unità espressive che fanno riferimento ad altri media.

Concluderei con le parole di Irina O. Rajewsky che sottolinea l’assoluta ampiezza del discorso intermediale:

« finally, the concept of intermediality is more widely applicable than previously used concepts, opening up possibilities for relating the most varied of disciplines and for developing general, transmedially relevant theories of intermediality. Certainly what is at issue here is not one unifying theory of intermediality or one intermedial perspective as such. From its beginnings, “intermediality” has served as an umbrella-term. A variety of critical approaches make use of the concept, the specific object of these approaches is each time defined differently, and each time intermediality is associated with different attributes and delimitations. The specific objectives pursued by different disciplines (e.g. media studies,

literary studies, sociology, fi lm studies, art history) in conducting intermedial research vary considerably» .43

43 I.O. Rajewsky, Intermédialités : histoire et théorie des arts, des lettres et des

techniques / Intermediality: History and Theory of the Arts, Literature and Technologies, n° 6, 2005, p. 44

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- RIMEDIAZIONE

Jay David Bolter e Richard Grusin, esperti di new media studies, hanno teorizzato che qualunque nuovo medium, per l’appunto perché nuovo, deve rivolgersi forzatamente alle regole e alle applicazioni dei “vecchi media” per essere compreso e usato nel pieno delle potenzialità intrinseche. Questo processo che potremmo definire di “ricombinazione mediale” viene definito ri-mediazione. Un processo in cui ogni vecchio media ri-media i nuovi, modificandone le caratteristiche precipue. Un’ idea di ri-mediazione ispirata dalle intuizioni di McLuhan, secondo cui: «il contenuto di un medium è sempre un altro medium». La ri-mediazione appare, dunque, come un processo continuo. L’idea stessa di remediation si basa sulla consapevolezza che ogni strumento della comunicazione non può funzionare senza entrare in contatto con altri media, di cui usa i linguaggi e le tecniche.

Bolter e Grusin alimentano l'idea di un “network of remediation”44, quello che potremmo definire un continuo scambio dialettico tra “vecchi” e “nuovi” media, che mostra il loro modellarsi e rimodellarsi reciprocamente. La ri-mediazione consiste dello sfruttamento di due logiche di rappresentazione opposte ed ugualmente importanti: l'immediacy (trasparenza) e l'hypermediacy (opacità). La trasparenza cerca di mantenere in contatto il medium con ciò che rappresenta; rappresentazioni che, per l’appunto, puntano all'immediatezza.

44 J.D. Bolter, R. Grusin, Remediation, Competizione e integrazione fra media vecchi e nuovi, Milano, Edizioni Angelo Guerini e Assoiaciati SpA, 2002, p.16

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Ad esempio, le dirette televisive si propongono di riportare fedelmente ciò che sta accadendo e procedono, al tempo stesso, all'espansione esperienziale dell'utente attraverso le tecnologie digitali.

Al contempo, le tecnologie digitali, e i personal computer in particolar modo, hanno introdotto modalità di iper-mediazione attraverso la creazione di collegamenti ipertestuali basati sull'attraversamento di uno spazio eterogeneo e multimediale da una parte, immediato e trasparente, dall'altra. Pertanto, uno dei caratteri innovativi dei media digitali è quello di ampliare, estendere e modificare i segni della mediazione e, al contempo, renderli visibili. Esplicitandoli.

Internet, per la propria natura al tempo stesso ipermediata e immediata, si presenta come punto fondante della logica della ri-mediazione dovuta al suo essere intreccio costante di collegamenti ipertestuali e, al tempo stesso, veicolo di contatto diretto tra utenti.

I media trasparenti, così come gli iper-media, hanno come scopo l’ oltrepassare la rappresentazione per giungere alla realtà. Una realtà che si costruisce a partite dall'esperienza dello spettatore; le applicazioni digitali che Bolter e Grusin definiscono come “trasparenti” (partendo dalla realtà virtuale utopistica di Strange Days, passando per le teorie di Bazin e Cavell sulla fotografia) cercano di raggiungerla negando l'esistenza della mediazione, rimuovendo “l’artista come agente frapposto tra lo spettatore e la realtà dell’immagine”.45

Gli ambienti ipermediali, invece, moltiplicano le mediazioni in maniera esponenziale, si mostrano costantemente cercando di provocare nel pubblico un senso di completo avvolgimento. Quello iper-mediato è un panorama in cui le

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finestre si moltiplicano sullo schermo, si sovrappongono nel tentativo di catturare l’attenzione dell’utente.

Laddove l’immediatezza suggerisce uno spazio visuale unificato, l’iper-mediazione ne offre uno eterogeneo all’interno del quale la rappresentazione è mostrata non come una finestra sul mondo, ma come un’entità costituita da

finestre: che sia aprono su altre rappresentazioni o su altri media.

Nel panorama mediale attuale, internet, con le sue finestre, le icone, le barre degli strumenti, si mostra come uno spazio che continuamente aggiunge nuovi livelli di significato, sia di tipo verbale che visuale.

In Remediation viene sostenuta l’idea secondo cui tutte le forme di mediazione siano in realtà rimediazione. Il riutilizzo di aspetti di un prodotto di un media all’interno di un altro comporta sempre un riposizionamento, una ridefinizione, una serie di prestiti che avviene secondo Bolter e Grusin attraverso una interazione inconsapevole tra i diversi media. E’ soltanto lo spettatore o il lettore che, essendo a conoscenza di entrambe le versioni, può e riesce a individuarle. Il tutto non può essere scisso dalla peculiarità del periodo storico in cui ci troviamo, un periodo in cui la rimediazione non segue un percorso lineare, spingendo i media digitali a rimodellare i loro predecessori. Ci troviamo, infatti, difronte a una “genealogia di affiliazioni”, nella quale i media “vecchi” possono anche rimediare i “nuovi”.

Un periodo definito da Alberto Marinelli come un MediaEvo in cui, il problema dell’interpretazione di un “nuovo” medium al momento della sua comparsa (problema esistito da sempre) si è aggravato a causa della velocità delle trasformazioni del secolo Novecento. Tale MediaEvo rischia di assumere

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dimensioni difficili da controllare sul piano teorico in una fase in cui i processi di convergenza sembrano rendere sempre più complessa l’individuazione delle singole componenti e specificità dei diversi media. Difficoltà dovute alle continue trasformazioni che ci troviamo ad affrontare mentre analizziamo tali processi.

- CINEMA E RIMEDIAZIONE

I film studies hanno solitamente individuato nel passaggio dall’imitazione all’istituzionalizzazione - fase che può essere fatta coincidere con il cosiddetto “cinema delle origini” – il momento di più marcata estroversione intermediale nella storia del mezzo filmico.46

A riguardo, André Gaudreault sostiene che il cinema, nei primi anni della sua esistenza, è così confuso in un «reticolo intermediale» da vedere ottusa la sua «identità mediatica»: « il cinema, all’inizio, è talmente intermediale da non essere

neppure cinema, da non essere ancora cinema». 47 Prima della nascita di una vera e propria istituzione cinematografica, infatti, il cinema lavorava all’interno di altre istituzioni, come quella della fotografia per i Lumière o degli spettacoli di scena nel caso di Méliès. Il tutto cambia quando il cinema comincia a importare e ad intrecciare al suo interno le serie culturali entro cui prima si collocava. Attraverso l’importazione di queste serie il cinema trova una propria specificità.

46 L. De Giusti(a cura di), Immagini migranti, cit., p. 53 47 Ivi

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Oggi ci troviamo ad affrontare un panorama mediale che Marcello Monaldi definisce come una nuova koinè, in cui i media si fanno portatori di caratteri

sociali e di genere.48

Abbiamo difronte a noi un panorama in cui il termine rimediazione fa da termine ombrello che contiene in sé significati diversificati: trasferimento, prestito, riciclo, citazione deferente, assimilazione, inglobamento. In questo quadro si prospetta una ibridazione a più livelli, in cui i vecchi media sono costretti a ringiovanirsi e i nuovi a diventare più consapevoli dei vincoli che li legano ai predecessori, in una relazione sempre più stretta.

Il panorama attuale dei new media ci presenta un’ infinita gamma di possibilità dovuta alle possibilità tecniche derivate dalla computazione elettronica. Ogni messaggio, ogni linguaggio, che sia immagine pittorica o fotografia, video o cinema, tutto viene uniformato nel mosaico di pixel elettronici gestiti da un software.

Come detto la reciprocità del processo di rimediazione non impedisce ai vecchi media analogici di rimediare i nuovi. In primo luogo è lo stesso atto della rimediazione da parte del nuovo ad assicurare che il vecchio medium non scompaia mai del tutto; il nuovo medium rimane dipendente dal vecchio sia consapevolmente che inconsapevolmente.49

In questo panorama il cinema entra in contatto con ambiti vari, lasciandosi rimediare e rimediando i linguaggi con cui si confronta.

48 Ivi, p. 71

49 J.D. Bolter, R. Grusin, cit., p.75

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- USER GENERETED CONTENT e NUOVI ESERCIZI

SPETTATORIALI: le pratiche fandom e l'attività del prosumer

Il nuovo scenario mediale e lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione hanno generato e stimolato la nascita e la crescita di un nuovo sistema sociale costantemente interconnesso. Nell’ultimo decennio, tanto l’interazione elettronica che l’integrazione continua dei media hanno portato all‘ estensione del raggio d’azione personale e dalle potenzialità interattive in una sfera globale.

L'energia ibrida che alimenta molti dei fenomeni culturali contemporanei costituisce una differente logica di lavoro determinata dal desiderio di costruire messaggi al contempo vecchi e nuovi, attraverso l'impiego di varie combinazioni. Siamo difronte ad un’estetica dell’ibrido che Lev Manovich descrive come una investigazione sistematica di questa particolare porzione della cultura contemporanea, guidata dall’estetica dell’ibrido. Una porzione culturale in cui le logiche dei digital network si intersecano con le numerose logiche già stabilite dalle varie forme culturali.

Nell’odierno panorama culturale prende sempre più spazio l’idea di remix, in quanto risultato di una fusione tra le forme culturali consolidate nella conoscenza comune (tv, radio, libro, telefono, ecc.) e le nuove tecniche software.

Assistiamo oggi, con la crescita esponenziale dei vari mobile tools (telefonino, iPod, smartphone e, un tempo, il walkman) alla messa in crisi del concetto

di audience come normalmente inteso dalla sociologia dei mass media, poiché scompare l'idea di un luogo di produzione fisso e di un luogo di consumo altrettanto fisso ed emerge una realtà costituita da una molteplicità di contesti e

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modalità di fruizione culturale. Una nuova fruizione partecipativa in cui l’utente

accede, avendo la possibilità di dare propri input ai media con la probabilità di

intervenire direttamente nel processo di produzione. Grazie alle modalità 2.0, l’utente, può creare e trasmettere prodotti mediali attraverso l'utilizzo di piattaforme convergenti e crossmediali.

Ne sfrutta le capacità di interazione, stabilendo una relazione bidirezionale tra produttore e consumatore, relazione in cui il coinvolgimento del secondo è tale da creare in esso una (illusione) sensazione di controllo dell’atto creativo.

Il concetto di partecipazione è, come visto precedentemente, lungamente trattato, nonché uno dei tratti distintivi dell’opera di Jenkins “Convergence Culture”. Partecipazione, convergenza mediatica e intelligenza collettiva, sono i tre concetti le cui relazioni Jenkins analizza profondamente all’interno del fondamentale testo del 2006. La partecipazione può avvenire a diversi livelli e può riguardare le grandi aziende (con grande potere decisionale) e gli individui singoli (con minor capacità decisionale).

L’azione combinata delle nuove riforme culturali quali la convergenza mediatica, la cultura partecipativa e l'intelligenza collettiva genera ciò che Jenkins definisce “costruzione collettiva del significato” grazie alla strutturazione di nuovi percorsi di senso su scala globale. 50

Il cambiamento culturale nato con lo sviluppo del Web 2.0 offre una grande varietà di siti e applicazioni che permettono all'utente di avere una nuova e più ricca esperienza del Web stesso. Tra contenuti aperti (Open Content), riuniti in due macro-categorie: i contenuti generati dai creative amateur (blog) e i contenuti

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generati dagli utenti (User Generated Content o UGC). Questi ultimi possono essere delimitati entro una serie di definizioni dalle sfumature differenti:

« short for user-generated content, UGC is the term used to describe any form of content such as video, blogs, discussion form posts, digital images, audio files, and other forms of media that was created by consumers or end-users of an online system or service and is publically available to others consumers and end-users. User-generated content is also called consumer generated media (CGM) ». 51

O ancora come:

« any form of content such as blogs, wikis, discussion forums, posts, chats, tweets, podcasting, pins, digital images, video, audio files, and other forms of media that was created by users of an online system or service, often made available via social media websites ».52

Per conclude la parte dedicata alle definizioni useremo quella di Luca Grivet Foiaia, il quale definisce gli UCG come:

« creazione online di database di contenuti aperti da parte degli utenti in modalità condivisa/pubblica basati su un'architettura di partecipazione ».53

51 http://www.webopedia.com/TERM/U/UGC.html 52 http://en.wikipedia.org/wiki/User-generated_content 53 http://www.slideshare.net/giuliodestri/guida-alweb2

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Le piattaforme basate sulla produzione di contenuti da parte del pubblico puntano sul valore aggiunto della creatività e della creazione dal basso (user add value), sfruttano lo spirito partecipativo e collaborativo degli utenti, offrendo, in cambio, spazio sul Web, accesso a dati preziosi, funzionalità utili e la possibilità di mostrarsi. La partecipazione bottom-up (dal basso verso l'alto), la mentalità collaborativa, la peer production (la produzione a opera di un gruppo di pari) e la condivisione delle conoscenze hanno partorito nuovi modelli di business e un nuovo modo di concepire l'economia detta wikinomics.

Procediamo ora verso la comprensione e l’analisi di alcuni degli aspetti principali di questa cultura del consumo e della produzione “dal basso”.

Per quel che riguarda le pratiche fandom, Massimo Scaglioni nel saggio Consumo

di Cinema e Pratiche Fandom, analizza tale concetto a partire dal termine “culto”.

Termine, quest’ultimo, oggetto di numerose ricerche accademiche e divenuto termine “etichetta” utilizzato nei contesti e per le finalità più diverse. Dovremmo porci la domanda su cosa sia un culto? Parola che convoglia nella stessa classe prodotti differenti come Matrix (blockbuster hollywoodiano di ampia circolazione), un anime qualsiasi o un J- Horror, tra loro così diversi e con canali di diffusione/distribuzione diametralmente opposti. Un concetto che attraversa tanto le sponde del mainstream, quanto quelle della nicchia, con l’aspetto sottoculturale a separarne in alcuni casi la natura.

Ciò che è certo è che la parola “culto” viene utilizzata in maniera trasversale, un meta-genere che attraversa testualità mediali differenti (film, serie tv, divi, oggetti, libri, ecc.) e che si muove entro strategie discorsive variegare e alle volte poco

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conciliabili (“film d’arte” o “d’autore” vs cinema di explonation o b-movies e pellicole di successo commerciale).54

Il tutto viene accomunato dalla dimensione relazionale, sociale e culturale che possono generare, portando alla creazione di legami e consonanze identitarie che uniscano i membri in un lifestyle comune.

Un approccio costruttivista come quello di Le Guern – utilizzato da Scaglioni per avvalorare le proprie tesi – non può essere scisso dal concetto di fandom e dalle relazioni che questo termine instaura con prodotti mediali e cinematografici. Vengono fissati da Scaglioni alcuni “tratti idealtipici” del culto mediale, che possono essere sintetizzati come segue:

« a) esprime l’attribuzione di un particolare valore; b) funziona come elemento unificante in grado di generare gruppi o comunità di spettatori; c) definisce insiemi di natura sottoculturale, sebbene essi possano estendersi fino a comprendere un’intera generazione; d) crea un apporto di affetto ed entusiasmo fra culture fandom e testi di culto; e) genera particolari pratiche rituali come concreta manifestazione di questa relazione di culto ».55

Tale relazione culto/fandom manifesta alcuni tratti essenziali dell’economia culturale contemporanea, portando sul piano estetico e del gusto all’esaltazione, in alcuni casi, del brutto, dell’eccessivo e del camp56 come origine stessa del cult; sul

piano sociale genera culture fandom che ruotano attorno alla costruzione di

54 Federico Zecca, Il Cinema della Convergenza, cit., p. 244 55 Ivi., p. 245

56 Il termine camp si riferisce all'uso deliberato, consapevole e sofisticato del kitsch

nell'arte, nell'abbigliamento, negli atteggiamenti. Il fenomeno deve molto alla

rivalutazione delle culture popolari avvenuta negli anni sessanta, e negli anni ottanta alla diffusione del concetto di postmoderno applicato all'arte e alla cultura.

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identità specifiche, all’espressione della soggettività e a comunità e forme di affiliazione, “in un contesto generale in cui modalità tradizionali […] sembrano progressivamente liquefarsi”.57

Gusto, soggettività e comunità si configurano come i concetti centrali che hanno guidato l’analisi dei culti mediali e cinematografici degli ultimi anni.

C’è bisogno, però, di analizzare le pratiche di fandom cinematografico contemporaneo mettendole in relazione alle trasformazioni in atto nel sistema dei media. Non basta più la lettura biunivoca dei processi in corso tra istanze

top-down d’incorporazione e bottom-up di resistenza (tra cui fandom e cultismo).

Scaglioni suggerisce di partire da una lettura differente e più articolata, organica, delle interrelazioni fra le diverse componenti del sistema dei media. In quest’ultimo caso dovremo analizzare i processi di consumo entro cui tali pratiche si sviluppano: scelte di marketing, conformazione del mercato e, al tempo stesso, le caratteristiche tecnologiche che consentono o inibiscono forme inedite di distribuzione e fruizione, oltre che i linguaggi e generi entro cui si sviluppano determinate pratiche di valorizzazione e di fandom.58

Tali pratiche di culto vengono analizzate da Scaglioni partendo da tre concetti chiave che, secondo quest’ultimo, contribuirebbero a “chiarirne le caratteristiche e la specificità nell’età della convergenza: estensione, accesso e brand”.59 L’accesso moltiplicato al processo cinematografico e la crescita esponenziale di pratiche fandom – o di culto- , producono una serie di effetti di cui, ad esempio, la ri-vitalizzazione della sala è uno degli aspetti principali. Senza contare la

57 F. Zecca, Il Cinema della Convergenza, cit., p. 245

58 Ivi, p.247 59 Ivi, p.252

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circolazione dei prodotti su piattaforme diversificate, legali e non. Definiamo il prodotto mediale contemporaneo come un racconto esteso, in cui, al centro, non compare più un singolo testo ma una “galassia” di testi che si sviluppano su diverse estensioni.60

Possiamo sostenere che il fandom contemporaneo trovi in rete la sua massima espressione. Negli ultimi anni sono esplose le frammentazioni di testi cinematografici, con le scene principali caricate su YouTube, la condivisione degli archivi personali attraverso siti di peer-to-peer, costruzione di websites dedicati a film e personaggi finzionali, pagine facebook a cui accordare un like, montaggi che creano miscellanee di pellicole differenti, finti trailer, parodie e raccolta di informazioni e condivisione su forum appositi. Abbiamo elencato una serie di pratiche grassroots – che potremmo tradurre in maniera generale con il termine attivismo – utili a strutturare quel più ampio, complesso e ricco panorama che risponde al nome di fandom; processo e termine che indica:

« the community that surrounds a tv show/movie/book etc. Fanfiction writers, artists, poets, and cosplayers are all members of that fandom. Fandoms often consist of message boards, livejournal communities, and people.

The Harry Potter fandom has some of the most diverse fans, from eight year olds to thirty somethings ».61

60 Scaglioni sottolinea come tale aspetto non sia una novità propria del digitale, ma che

affonda le proprie radici in episodi precedenti all’avvento digitale. Basti pensare a uno dei modelli di culto più famosi di sempre: Star Wars. Ivi, p.253

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Un fenomeno che si mostra come trasversale e diffuso, in cui possono essere evidenziate tre esigenze di fondo: espressione di identità, condivisione di gusti e interessi, costruzione di una comunità.

Proprio per quanto riguarda quest’ultimo punto prendiamo come esempio lo studio di Ruggero Eugeni sulle relazioni con i soggetti del mondo diretto. Nell’analizzare l’esperienza mediale nelle sue varie sfaccettature, Eugeni esamina la costruzione di relazioni tra il soggetto dell’esperienza mediale e altri soggetti facenti parte del suo mondo di vita.

L’analisi parte dalla clip finale di Grave Danger, episodio tarantiniano della serie CSI. La clip in questione è quella relativa al salvataggio di Nick dopo che questi è stato rapito e sepolto vivo.

Troviamo Nick appena ripresosi da una sorta di allucinazione dovuta alla mancanza di ossigeno e ai morsi delle zanzare che lo stanno tormentando. La squadra sta lavorando per liberarlo, scava disperatamente mentre l’ossigeno nella bara diminuisce ogni minuto. Eugeni pone il caso che un black-out faccia spegnere il suo televisore e lo porti a dover ricercare la clip finale su YouTube: il più grande connettore e archivio di filmati disponibile oggi. Delle 140 clip presenti che riguardano l’episodio in questione, molte sono costruite secondo un mélange che sintetizza il doppio episodio condensandolo in pochi minuti, aggiungendo a questo una nuova colonna sonora originale e manipolazioni grafiche di vario tipo.62

62 Un esempio del lavoro fatto su alcune clip di Grave Danger, miscelate con altri episodi

in cui è presente Nick. Oltre al montaggio di parti provenienti da vari episodi è stato aggiunto un sonoro ex novo: https://www.youtube.com/watch?v=KT9cUnr1sPc

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Trovata la clip che abbraccia i 4 minuti decisivi, postata dall’utente MissyWatson, in due clip separate, racconta gli attimi che portano al salvataggio di Nick grazie al piano di Grissom. I primi commenti al video 63 raccolgono racconti dell’esperienza mediale dei singoli. Descrivono apertamente la propria esperienza di visione dell’intera clip o di singole parti. Creano dibattito rispetto alla richiesta e fornitura di alcune informazioni, aiutano a creare comprensione dell’episodio, di alcuni passaggi, migliorando in generale la nuova esperienza di visione. Nella sua ricerca, Eugeni, si imbatte in comunità di fan e blog in cui si discute dell’episodio in questione. Si discute in alcuni casi delle scelte stilistiche di Tarantino, con una netta divisione tra la comunità di fan del regista, che ne apprezza le novità introdotte, e una comunità di spettatori che, invece, si delineano come non particolarmente amanti delle scelte di quest’ultimo. Da questo viaggio tra siti Internet, blog e piattaforme video, Eugeni estrapola alcuni interessanti spunti. Ci troviamo di fronte ad un formato che ha perso la propria linearità, che si mostra ora come reticolare e aperta. Non più un’esperienza di flusso ma ambientale. La produzione discorsiva e l’intreccio sono affidate a “un coro” di voci che intrecciano il discorso in forma cooperativa: a questo coro possiamo aggiungere la nostra voce, trasformando la relazione del discorso con il mondo diretto e portando la nostra esperienza verso una dimensione partecipativa. 64

L’analisi dei siti che parlano di Grave Danger, ci dà la possibilità di notare ed esaminare le relazioni che si costituiscono tra i soggetti dell’esperienza mediale

63 https://www.youtube.com/watch?v=1v8QZox6LfE

64 R. Eugeni, Semiotica dei Media, Roma, Carocci Editore, 2010, p.193

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