Se è vero che le considerazioni orora effettuate hanno chiarito il rapporto tra il reato di tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione di cui alla Convenzione del 1949 ed i crimini internazionali di schiavitù sessuale e prostituzione forzata contemplati dallo Statuto della ICC, è altrettanto vero che tali conclusioni non possono essere estese automaticamente al rapporto tra tratta di esseri umani e schiavitù (intesa nel senso ampio del termine e non come schiavitù sessuale).
Si è infatti dimostrato come la schiavitù sessuale, species del genus schiavitù, non sia connotata da un dolo specifico di guadagno (economico e non). Tale implicito elemento del fatto tipico di reato funge da separatore tra la schiavitù sessuale e la
(97) K. KITTICHAISAREE, International Criminal Law, OUP, 2001, p. 114 richiamato in G.
70 prostituzione forzata. Infine, si è dimostrato che, attraverso la medesima azione, è possibile l’integrazione concorrente del crimine di prostituzione forzata e delle
figurae criminis delineate dalla Convenzione del 1949.
Per comprendere se sia possibile estendere tale ragionamento al reato di schiavitù “non sessuale”, sarà previamente necessario analizzare il rapporto tra la schiavitù e la schiavitù sessuale.
Si è sottolineato come la seconda sia species del più ampio genus schiavitù. Icasticamente ragionando, si potrebbe raffigurare il rapporto tra i due reati ricorrendo a due insiemi, l’uno incluso nell’altro. L’insieme più grande rappresenta il reato di schiavitù, mentre l’insieme più piccolo, quello incluso, raffigura il reato di schiavitù sessuale. La schiavitù sessuale avrà quindi tutti gli elementi del fatto tipico di schiavitù, più un quid pluris, elemento connotante la specialità rispetto al genus.
Nello specifico, gli elementi di specialità sono due: il fatto che “[t]he perpetrator caused […] person or persons to engage in one or more acts of a sexual nature” (98) e l’assenza di dolo specifico di guadagno economico e non (elemento, quest’ultimo, implicitamente dedotto dal confronto con il reato di prostituzione forzata).
Proprio perché non vi è una corrispondenza biunivoca tra gli elementi del sottoinsieme (schiavitù sessuale) e gli elementi dell’insieme principale (schiavitù), è evidente che gli elementi caratterizzanti il reato di schiavitù sessuale non saranno propri anche del reato di schiavitù.
Per definizione, infatti, non si può instaurare una corrispondenza biunivoca tra gli elementi di un insieme e quelli di un suo sottoinsieme proprio. Tale fatto si verifica solamente nel caso di insiemi infiniti, secondo la definizione matematica di Cantor-Dedekind che statuisce che “un insieme si dice infinito se è equipotente a qualche sua parte propria” (99). Tale definizione, tuttavia, non può essere applicata
(98) Art. 7 (1) (g)-2 Crime against humanity of sexual slavery, Elements of Crimes e art. 8 (2) (e) (vi)-2 War crime of sexual slavery, Elements of Crimes.
(99) Sul punto v. G.LOLLI, Guida alla teoria degli insiemi, Springer-Science & Business Media, 2008, p.38.
71 al caso in esame, ossia al rapporto tra schiavitù (insieme contenente) e schiavitù sessuale (insieme contenuto). Nello specifico, infatti, l’insieme è rappresentato dal reato, mentre gli elementi contenuti nell’insieme sono gli elementi del fatto tipico di reato, il cui numero è, appunto, finito.
Al riguardo, tuttavia, è necessario fare una precisazione.
Trattando dei due reati in esame, possiamo distinguere tra un elemento discriminante “forte” e un elemento discriminante “debole”.
Il primo elemento orora enunciato, ossia il coinvolgimento della vittima in uno o più atti sessuali coatti, può essere considerato come l’unica vera caratteristica di
discrimen tra la schiavitù sessuale e la schiavitù.
Si potrebbe, in altri termini, definire un elemento discriminante “forte”. Discorso diverso vale per il dolo specifico di guadagno.
Tale finalità, infatti, è stata dedotta dottrinalmente per distinguere la schiavitù sessuale dalla prostituzione forzata e non dalla schiavitù (ampiamente intesa). Ne consegue che il fine di guadagno sarà elemento di discrimine “forte” in relazione al rapporto tra schiavitù sessuale e prostituzione forzata, ed elemento di discrimine “debole” in merito al rapporto tra schiavitù e schiavitù sessuale: la schiavitù sessuale non sarà mai connotata dal fine di guadagno, mentre la schiavitù ampiamente intesa potrebbe essere colorata da tale dolo specifico come no. L’operatore del diritto che si trovi a dover distinguere tra slavery e sexual slavery potrà ricorrere al criterio dell’assenza di guadagno a fini orientativi, fermo restando che l’elemento discriminante decisivo resterà l’induzione alla prestazione sessuale coatta, non per niente l’unico espressamente enunciato dagli Elements of
Crimes della ICC.
Tenendo a mente tali considerazioni, si può ora analizzare il rapporto intercorrente tra i reati delineati dalla Convenzione del 1949 e la schiavitù.
In primo luogo, è possibile che un soggetto procuri, adeschi o rapisca, al fine di avviare alla prostituzione, un’altra persona e che, nel corso della condotta tipica,
72 la vittima venga ridotta in schiavitù. Nulla impedisce, infatti, che vengano a crearsi le condizioni per l’esercizio di “any or all of the powers attaching to the right of ownership over one or more persons” (100) in corso di tratta.
Successivamente, è possibile che il dolo specifico di avviamento alla prostituzione si concretizzi, o meno.
Nel primo caso, oltre al crimine di schiavitù, il soggetto agente consumerà anche il crimine di prostituzione forzata, fermo restando che, qualora la condizione schiavile permanga anche durante lo sfruttamento sessuale della vittima, il fine di guadagno intrinsecamente caratterizzante la violazione della Convenzione del 1949 impedirà che, per principio di specialità, la schiavitù “si trasformi” in schiavitù sessuale nell’ambito della medesima azione.
Nel secondo caso, ossia in caso di mancata concretizzazione del dolo specifico di reato, si perfezionerà il solo crimine di schiavitù.
Il tutto, si noti, in concorso con la violazione della Convenzione del 1949.
In secondo luogo, è possibile che durante la tratta la vittima non venga ridotta in stato schiavile. A seconda, quindi, dell’integrazione o meno dell’oggetto del dolo specifico (avviamento alla prostituzione), si assisterà all’integrazione del crimine internazionale di prostituzione forzata in concorso con la violazione della Convenzione del 1949, ovvero alla mera violazione della Convenzione in esame, senza il perfezionamento di alcun crimine internazionale.
In quest’ultimo caso, chiaramente, si allude all’ipotesi di adescamento della vittima (non ridotta in stato schiavile) al fine di avviamento alla prostituzione, fine poi non raggiunto dall’autore del reato.
Terza ipotesi: la semplice condotta di sfruttamento della prostituzione altrui, sanzionata dalla Convenzione del 1949, potrà integrare il solo reato di prostituzione forzata, ovvero anche il crimine di schiavitù, qualora ne ricorrano gli estremi. Ancora una volta, il fine di guadagno animante l’autore della condotta impedirà l’integrazione del reato di schiavitù sessuale, nell’ambito della medesima
73 azione, impedendo contestualmente la prevalenza di quest’ultima figura sulla schiavitù latu sensu in virtù del principio di specialità.
Quarta ed ultima ipotesi riguarda la condotta di colui che mantenga, diriga, amministri o contribuisca a finanziare una casa chiusa, conceda o prenda in affitto, in tutto o in parte, un immobile o un altro luogo ai fini della prostituzione altrui. In questo caso, la condotta (diretta violazione della Convenzione del 1949) comporterà una violazione diretta del divieto di prostituzione forzata, ovvero un possibile concorso nell’integrazione del reato medesimo.
Discorso analogo vale nel caso in cui, all’interno della casa chiusa, si verifichino situazioni di schiavitù.
11. Ipotesi di concorso tra reati: le soluzioni date dalla giurisprudenza