La maggioranza dei pazienti al momento della diagnosi (50% dei casi totali) presenta una malattia non operabile, in quanto diffusa a livello sistemico. In tale setting il piano terapeutico si compone solo di chemioterapia e cure palliative.
1.16.1) Chemioterapia di prima linea
La scelta dello schema terapeutico da utilizzare deve tener conto di diversi fattori come: l’età, il performance status, le comorbilità, preferenze del paziente, aspetti logistici, tossicità attese, nuovi studi prospettici disponibili e autorizzazioni amministrative per i farmaci.
La gemcitabina è diventata lo standard terapeutico dal 1997, con un beneficio clinico del 24% ed una mediana di sopravvivenza ad 1 anno del 18%. Studi successivi hanno cercato di comprendere se l’aggiunta a questo farmaco di altri chemioterapici o di farmaci biomolecolari potesse migliorare i risultati ottenibili con la sola gemcitabina, tuttavia l’aggiunta di derivati del platino, fluoropirimidine, così come di agenti anti-angiogenetici o inibitori del recettore del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) si è rivelata fallimentare nel tentativo di incrementare la sopravvivenza globale, rispetto alla gemcitabina come agente singolo.
In particolare, due studi hanno confrontato la combinazione di gemcitabina + cisplatino e gemcitabina + oxaliplatino rispetto alla gemcitabina come agente singolo.
Varie meta-analisi hanno suggerito che le combinazioni a base di gemcitabina e derivati del platino o fluoropirimidine potessero determinare un vantaggio di sopravvivenza statisticamente significativo rispetto alla gemcitabina da sola, tuttavia la riduzione del rischio di morte del 15% (Hazard Ratio HR- 0,85) non rende tale beneficio clinicamente rilevante. (224) (225) (226) (227) Recentemente risultati interessanti sono stati ottenuti da
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per i pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato, associandosi ad un miglioramento significativo della sopravvivenza e delle risposte obiettive. (228)
In Italia è stato condotto uno studio di fase III randomizzato, di valutazione dell’efficacia dello schema chemioterapico con 4 farmaci PEFG (cisplatino, epirubicina, 5FU, gemcitabina) rispetto alla sola gemcitabina. Lo schema PEFG è il primo regime poli- chemioterapico ad aver dato risultati migliori rispetto alla sola gemcitabina in termini di percentuale di pazienti liberi da progressione a 4 mesi, PFS mediana ed OS a 12 mesi. Tuttavia, la ristrettezza del campione (99 pazienti) non ha mai consentito che questo trattamento diventasse lo standard di cura per il carcinoma pancreatico metastatico.
(229) Inoltre, l’aggiunta di agenti target quali cetuximab (inibitore di EGFR) e bevacizumab
(inibitore del fattore di crescita endoteliale vascolare VEGF) alla gemcitabina da sola o a schemi contenenti gemcitabina non si è rilevata efficace nell’incrementare la sopravvivenza.
Lo studio PA.3 ha valutato erlotinib, un inibitore della tirosina chinasi orale che si lega ad EGFR, in combinazione con la gemcitabina, verso quest’ultima: è stato l’unico studio formalmente positivo in termini di incremento della OS, ma, nonostante l’approvazione da parte della FDA (Food and Drug Administration) nel 2005, è stato poco utilizzato perché basato su un vantaggio di OS abbastanza modesto quando aggiunto alla gemcitabina (HR= 0,81) (230).
Nei primi anni 2000 i dati positivi di due studi di fase III hanno definito 2 nuovi standard terapeutici per il trattamento di prima linea del cancro del pancreas metastatico: FOLFIRINOX e nab-paclitaxel + gemcitabina
• Il FOLFIRINOX (5-FU, leucovorin, irinotecan e oxaliplatino) è entrato nella pratica clinica nel trattamento del carcinoma pancreatico metastatico nel 2011 a seguito di uno studio di fase II e III condotto in Francia che ha arruolato 342 pazienti, confrontando tale combinazione terapeutica con la sola gemcitabina. Si è osservata una superiorità del regime di combinazione in termini di OS mediana (11,1 mesi vs 6,8; HR= 0,57; p<0,001), di sopravvivenza libera da progressione (PFS 6,4 mesi vs 3,3 mesi; HR= 0,47; P<0,001) e
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di risposte obiettive (ORR 31,6% vs 9,4%; p<0,001). Tuttavia, i pazienti randomizzati nel braccio di trattamento con FOLFIRINOX hanno avuto una maggiore incidenza di neutropenia di grado 3 o 4 (45,7% vs 21%; p<0,001), neutropenia febbrile (5,4% vs 1,2%; p<0,03), piastrinopenia (p<0,04), diarrea (p<0,001), neuropatia sensitiva (p<0,001). Al contrario fra i pazienti inclusi nel braccio di trattamento con la gemcitabina si è avuta una maggiore incidenza di ipertransinasemia di grado 3 o 4 (p<0,001) (203). Nonostante
le tossicità i pazienti trattati con FOLFIRINOX hanno avuto una migliore qualità della vita rispetto a quello trattati con sola gemcitabina (231). Tuttavia, proprio per via delle
maggiori tossicità, il regime FOLFIRINOX è diventato il trattamento di scelta in pazienti ben selezionati: con PS 0-1, giovani, senza nessuna comorbilità, con valori di bilirubina nella norma e senza stent biliare. Infatti, nello studio, in considerazione dell’attesa tossicità correlata al trattamento, sono stati esclusi i pazienti di età superiore ai 75 anni con ECOG PS2, con storia di cardiopatia ischemica e valori elevati di bilirubina (>1,5 volte il limite superiore della norma).
• Gemcitabina più nabpaclitaxel: il nab-paclitaxel è una molecola dalla tecnologia innovativa che coniuga il paclitaxel con nano particelle di albumina; in base all’analisi del profilo molecolare di campioni provenienti da carcinoma del pancreas, in cui era stata osservata un’elevata espressione della proteina SPARC (acido proteico secreto e ricco di cisteina), in grado di legare l’albumina, il nab-paclitaxel è stato studiato anche in questa neoplasia, oltre che per il cancro della mammella in fase avanzata. (232) Lo studio
internazionale multicentrico randomizzato di fase III MPACT condotto su 861 pazienti affetti da tumore pancreatico metastatico, ha dimostrato la superiorità della combinazione nab-paclitaxel + gemcitabina rispetto alla sola gemcitabina. Nello studio era prevista una randomizzazione 1:1 ed una stratificazione pre-pianificata in base al PS (90-100 vs 70-80), alla presenza/assenza di metastasi epatiche e all’area geografica. L’obiettivo primario dello studio era la OS che è risultata superiore nei pazienti del braccio di combinazione rispetto a quelli del braccio con sola gemcitabina. La combinazione nab-paclitaxel e gemcitabina si è mostrata superiore rispetto alla sola gemcitabina (8,5 mesi vs 6,7 mesi, rispettivamente; p = 0,0015). Nella popolazione di pazienti arruolati per tale studio, l’età mediana era di 62 anni, ed erano inclusi pazienti
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con età superiore ai 75 anni (10%), nonché pazienti con ECOG PS 2 (8%) e tale beneficio si conferma in tutti i sottogruppi analizzati, oltre che nei pazienti con PS più basso (70- 80), in presenza di valori elevati di CA19.9 e di metastasi epatiche (>3). Tuttavia, nel braccio di combinazione si è registrato un incremento significativo dell’astenia di grado 3 o 4 (17% vs 7%) e della neuropatia periferica di grado 3 o 4 (17% vs 1%) rispetto alla sola gemcitabina.
Un’analisi successiva condotta 8 mesi dopo ( il 90% dei pazienti erano morti) ha mostrato un consolidamento di questo vantaggio (8,7 mesi vs 6,6 mesi) e inoltre ha mostrato nel braccio di combinazione la presenza di un gruppo di “ lungo sopravviventi”, con una sopravvivenza del 10% a 24 mesi e 6% a 36 mesi (233).
Un’ulteriore analisi successiva ha mostrato come il gruppo di pazienti, che avevano sviluppato una neuropatia periferica di grado 3-4 in corso di trattamento, erano quelli ad aver avuto un beneficio maggiore in termini di OS, PDS e ORR. Inoltre, nel 45% di questi pazienti la neuropatia era reversibile a grado 1 o minore dopo 14-28 giorni (234).
Altro aspetto interessante è che il PS non è vincolante nell’utilizzo della combinazione nab-paclitaxel e gemcitabina, in quanto non è emersa una differenza di tossicità (ematologica e non) in base al PS 70-80 e 90-100 (235).
Un’analisi post-hoc ha studiato l’effetto delle riduzioni di dose e dei ritardi di somministrazione sull’outcome dei pazienti: la combinazione nab-paclitaxel e gemcitabina dà benefici di sopravvivenza anche se vengono effettuati modifiche nei dosaggi o ritardi di somministrazione rispetto a chi non fa la terapia; ciò sottolinea l’importanza di un trattamento continuo e di un’esposizione costante alla combinazione di farmaci. Analogamente i pazienti che hanno i maggiori benefici in termini di sopravvivenza sono quelli che riescono ad avere un trattamento continuo a dosaggio standard di nab-paclitaxel + gemcitabina fino alla progressione, rispetto a quelli che hanno interrotto il trattamento per qualsiasi motivo diverso dalla progressione tumorale. (236) Al momento non ci sono marcatori in grado di guidare la scelta terapeutica
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di proteina SPARC trovati su campioni di tessuto e nel plasma di pazienti arruolati nello studio MPACT non si è dimostrata attendibile come valore prognostico o predittivo dell’outcome del paziente. (237) L’unico parametro utile per il monitoraggio della risposta
terapeutica, oltre quello radiologico, è la riduzione del CA19.9, che nello studio MPACT ha mostrato una correlazione con la PFS e la OS (238).
1.16.2) Chemioterapia di seconda linea
Meno della metà dei pazienti con carcinoma pancreatico metastatico riesce a ricevere una terapia di seconda linea dopo il fallimento di quella di prima: nello studio MPACT, per esempio, solo il 40% dei pazienti ha ricevuto il trattamento di seconda linea (5FU e capecitabina), mentre nello studio francese sul FOLFIRINOX solo il 48% ha ricevuto una terapia di seconda linea, prevalentemente con schemi a base di gemcitabina. La presenza di due terapie standard di prima linea (FOLFIRINOX e gemcitabina + nab- paclitaxel) può consentire l’impiego di diverse linee di terapia, anche se mancano studi randomizzati che possano confermare la validità di un approccio sequenziale FOLFOXIRI seguito da nab-paclitaxel con gemcitabina o viceversa. Ad oggi, infatti, abbiamo solo piccole esperienze retrospettive che suggeriscono una modica efficacia di ognuno di questi trattamenti nella seconda linea (239) (240). Nell’’analisi post-hoc dello studio MPACT,
sono stati valutati i risultati di trattamenti di seconda linea dopo progressione della terapia di prima linea con nab-paclitaxel + gemcitabina rispetto alla gemcitabina in monoterapia: i risultati hanno evidenziato che il trattamento di seconda linea migliora la OS che è stata di 12,8 mesi per nab-paclitaxel + gemcitabina versus 9,9 mesi della gemcitabina. (241) Quindi la terapia di prima linea condiziona l’intera strategia
terapeutica: il miglior risultato si ha nel gruppo che ha presentato una PFS più lunga in prima linea, un miglior PS alla fine della prima linea ed in coloro che hanno conservato un rapporto neutrofili/linfociti più basso. Inoltre uno studio recente italiano ha analizzato la prognosi di 220 pazienti, trattati in prima linea con gemcitabina e nab- paclitaxel, che al momento della progressione, hanno ricevuto un trattamento di
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seconda linea con quelli che invece hanno fatto solo terapia di supporto: il risultato è stato che il 55% dei pazienti trattati con una seconda linea chemioterapica ha riportato una migliore OS con una mediana di 13,5 mesi rispetto ai 6,5 mesi di pazienti che hanno ricevuto solo terapia di supporto, indipendentemente dal tipo di trattamento effettuato in seconda linea. (242) Una revisione sistematica pubblicata nel 2013 ha valutato 34 studi
clinici con diversi regimi di seconda linea dopo terapia a base di gemcitabina ed ha concluso che proseguire la chemioterapia dopo la progressione alla prima linea conferiva un vantaggio di OS rispetto alla terapia di supporto. Tuttavia, questa meta- analisi ha numerose limitazioni rappresentate dall’inserimento di studi con dimensioni del campione ridotto, studi non randomizzati che rendono difficile la giusta interpretazione dei risultati. (243)
Lo standard terapeutico nei pazienti con tumore pancreatico resistente alla gemcitabina è stato per molti anni la combinazione tra un analogo del platino con una fluoropirimidina. Tale approccio è stato analizzato dallo studio tedesco CONKO-003 che ha dimostrato un vantaggio di OS nell’associazione OFF (oxaliplatino, acido folinico e 5- FU) rispetto al solo 5-FU con acido folinico (244). Al contrario, uno studio canadese
(PANCREOX) di confronto fra FOLFOX (leucovorin, 5-FU e oxaliplatino) e FF (acido folinico - 5-FU), non ha mostrato la superiorità del trattamento con FOLFOX (245).
Più recentemente lo studio registrativo di fase III NAPOLI-1, ha confrontato l’associazione nal-IRI (irinotecan nanoliposomiale approvato nel 2015 dalla FDA) + 5-FU + leucovorin, rispetto al 5-FU + Leucovorin e al solo nal-IRI su 417 pazienti trattati precedentemente con gemcitabina, mostrando una superiorità in termini di ORR, PFS e OS della nuova combinazione rispetto agli altri bracci dello studio. L’aggiunta di nal-IRI alla doppietta FF si è tradotta in un aumento dell’OS mediana a 6,2 mesi contro i 4,2 di pazienti trattati solo con FF e ai 4,9 mesi in quelli trattati con solo nal-IRI. Gli eventi avversi più comuni dei pazienti trattati con nal-IRI sono stati neutropenia, diarrea, vomito e affaticamento. (246) L’aggiornamento dello studio ha inoltre confermato il
beneficio in termini di sopravvivenza, con un 26% di questi pazienti sopravvissuti a 12 mesi ed un miglioramento della qualità di vita. (247)
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Oggi abbiamo a disposizione un numero crescente di opzioni terapeutiche per i pazienti con tumore pancreatico metastatico, l’efficacia dei trattamenti di prima linea, insieme alla disponibilità di terapie di seconda linea attive, consente di prolungare la sopravvivenza di questi pazienti, ma resta ancora da individuare la migliore strategia terapeutica, personalizzata da caso a caso.