• Non ci sono risultati.

I tumori del pancreas resecabili rappresentano il 20% dei casi totali e la loro prognosi è comunque negativa, con un’aspettativa di vita post chirurgia radicale di 12-15 mesi in media ed un tasso di sopravvivenza a 5 anni dell’8-12%.

Per i tumori del pancreas resecabili, la resezione chirurgica rappresenta la prima opzione terapeutica, a scopo curativo (138). Tuttavia la maggioranza di questi pazienti

sottoposti a pancreasectomia sviluppa una recidiva e va incontro a decesso entro pochi anni dall’intervento, per la presenza di metastasi occulte, non visibili con le comuni metodiche di imaging.

A tale scopo è importante l’associazione multidisciplinare fra chirurgia e chemioterapia sistemica post-operatoria, adiuvante, per ridurre il rischio di recidiva.

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1.14.1) Trattamento chirurgico

L’asportazione chirurgica del carcinoma pancreatico, seguito da chemioterapia adiuvante, è l’unico trattamento potenzialmente curativo: la presenza di un margine di resezione (R0) libero da malattia, è un importante fattore determinante la prognosi in termini di sopravvivenza globale (162).

Esistono due tipi di interventi diversi, in relazione alla localizzazione della neoplasia pancreatica:

- la duodenocefalopancreasectomia (DCP): effettuata in caso di carcinoma del

pancreatico localizzato a livello della testa del pancreas, per cui adottata nella maggior parte dei casi.

- la spleno pancreasectomia distale: specifico per i tumori del corpo e della coda pancreatica; tale intervento in centri ad alto volume è stato associato ad una mortalità minore rispetto alla DCP.

La chirurgia pancreatica è gravata da alti tassi di complicanze potenzialmente mortali e dovrebbe essere realizzata da centri ad alto volume dove sono immediatamente disponibili servizi di endoscopia, radiologia interventistica e terapia intensiva. Una recente “position paper” della Società Italiana di Chirurgia ha stabilito che da 50 a 100 DCP/anno sono il cut-off minimo per poter parlare rispettivamente di centri ad alto volume/ ad altissimo volume, nei quali la mortalità per DCP è mantenuta entro limiti accettabili (< 5%). (163)

• La duodeno-cefalopancreasectomia (DCP)

Si distinguono due varianti della stessa procedura: la DCP secondo Kausch-Whipple e la

DCP secondo Traverso-Longmire

La DCP sec. Kaush-Whipple consiste nella rimozione della testa pancreatica, duodeno, colecisti, della porzione medio-terminale del dotto biliare principale, del piloro, di parte dello stomaco e del piccolo intestino.

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La DCP sec. Traverso-Longmire o anche detta “pylorus preserving” differisce dalla precedente in quanto vengono preservati il piloro e un paio di centimetri del bulbo duodenale. Attualmente si utilizza nel 90% dei casi, in quanto consente di ridurre i problemi della gastro-enterostomia e permette un recupero post-operatorio migliore. Tra le due tecniche non esistono differenze in termini di mortalità e sopravvivenza, sebbene la “pylorus preserving” si associ a una minor durata dell’intervento, a un minor rischio di perdite ematiche importanti e di trasfusioni. (164)

La scelta fra le due tecniche dipende dalla sede della neoplasia, dalla sua conformazione e dalle condizioni anatomiche del paziente; generalmente la variante di Whipple è utilizzata per tumori di grosse dimensioni con una crescita infiltrativa rispetto alla porzione superiore di duodeno e piloro.

La fase ricostruttiva della DCP consiste nel ripristino della continuità della via intestinale e della via biliare per mezzo della creazione di un’anastomosi pancreatico-intestinale. Quest’ultima è l’elemento critico di qualsiasi DCP perché può esitare in una serie di sequele di gravità variabile: dal solo incremento della durata di degenza post-operatoria fino all’exitus del paziente.

Tale anastomosi può esser fatta collegando il moncone pancreatico o al digiuno o allo stomaco. Un recente “position paper” spiega come non ci sia una tecnica in grado di eliminare completamente il rischio di fistola pancreatica ma la standardizzazione della tecnica e l’adozione di accorgimenti basati su variabili pre ed intra-operatorie (consistenza del pancreas, diametro del dotto di Wirsung, perdite ematiche) sono fondamentali per ridurre il rischio di comparsa delle fistole pancreatiche più pericolose: il rischio si riduce grazie alla meticolosa esecuzione della stessa e della ripetizione della tecnica più familiare al chirurgo. (165)

Una delle tecniche maggiormente impiegate in generale e nella maggior parte della nostra esperienza è l’anastomosi pancreodigiunale. Infatti, il CP è in grado di indurre una pancreatite cronica ostruttiva a monte che, aumentando la consistenza del pancreas e condizionando una dilatazione del dotto di Wirsung a monte, consente di realizzare

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un’anastomosi pancreodigiunale tecnicamente meno complessa e più rapida da eseguire rispetto ad un’anastomosi pancreogastrica.

• Splenopancreasectomia distale (SPD)

I tumori del corpo-coda del pancreas, per via della loro posizione anatomica, tendono a dare sintomi solo nelle fasi più avanzate, per cui il 75% dei casi sono considerati non resecabili (166) (167).

Il trattamento di scelta per i CP del corpo-coda della ghiandola è la SPD che consiste nell’asportazione del corpo, coda della ghiandola e della milza. La transezione del pancreas viene effettuata a livello dell’istmo del pancreas o alla sinistra del tronco mesenterico-portale con diverse tecniche, quali ultrasuoni, suturatrici meccaniche, suture dirette invaginanti e non, uso di sostanze collanti/sigillanti, patch biologici o protesici.

Una volta effettuata la transezione del pancreas si procede con la liberazione della ghiandola in senso medio-laterale, lasciando per ultima la liberazione della milza dai suoi legamenti sospensori.

Una meta-analisi recente ha dimostrato che, a prescindere dalle tecniche di transezione e trattamento del moncone pancreatico, i predittori clinici di fistola pancreatica sono assimilabili a quelli identificati per la DCP: consistenza del pancreas, BMI del paziente, perdite ematiche e trasfusioni intra-operatorie, durata dell’intervento.

• Linfoadenectomia

Nell’adenocarcinoma pancreatico l’infiltrazione linfonodale si verifica precocemente ed è un importante predittore di prognosi. I dati pubblicati da una meta-analisi di trial randomizzati controllati hanno dimostrato che la linfoadenectomia standard si associa a tassi di morbilità inferiori rispetto alla linfoadenectomia estesa, a parità di risultati oncologici. (168) L’ISGPS nel 2016 ha stabilito che per garantire un’appropriata stadiazione

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accettabile solo se il paziente è stato trattato pre-operatoriamente con terapia neo- adiuvante. (169)

• Resezione Vascolare

La presenza di un’infiltrazione vascolare degli assi peripancreatici ha sempre rappresentato un ostacolo al trattamento chirurgico, come indice di stadio avanzato della neoplasia.

La presenza dell’infiltrazione venosa dell’asse porto spleno mesenterico non è un criterio di non resecabilità e non esistono precise indicazioni sul trattamento di queste forme. Una recente meta-analisi ha dimostrato che le resezioni vascolari venose si associano ad un maggior tasso di interventi non radicali (R1-R2) ed a maggiore morbilità e mortalità post-operatoria rispetto alla chirurgia standard. (144)

Le resezioni vascolari arteriose, invece, sono poco utili e si associano ad elevati tassi di morbilità e mortalità in assenza di significativi vantaggi in termini oncologici, come dimostrato da una recente meta-analisi, condotta nel 2011. (145)

1.14.2) Chemioterapia adiuvante

Diversi studi randomizzati hanno dimostrato che l’aggiunta di un trattamento chemioterapico adiuvante dopo un intervento chirurgico radicale (R0 o R1) è in grado di aumentare la sopravvivenza a 5 anni di circa l’11%, mentre l’aggiunta della radioterapia alla chemioterapia (RTCT) ha un ruolo controverso in quanto ha dato risultati contrastanti.

Quindi oggi lo standard terapeutico di pazienti radicalmente operati consiste nella chemioterapia adiuvante, con un ruolo della RTCT da riservare a casi selezionati.

Regimi di chemioterapia adiuvante: monochemioterapia

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Il primo studio randomizzato di CT adiuvante fu condotto nei primi anni 90’ in 61 pazienti affetti da carcinoma del pancreas o tumori periampollari, randomizzati a ricevere FAM (5FU, doxorubicina e mitomicina C) verso sola osservazione dopo chirurgia radicale: venne dimostrato un aumento in OS nel braccio CT di 12 mesi ( 23 vs 11 mesi, p=0,02), con aumento della sopravvivenza a 2 anni dal 32 al 43%. La sopravvivenza a lungo termine è risultata sovrapponibile con una tossicità globalmente elevata (1 morte tossica, cardiotossicità, nefrotossicità). I grandi limiti di questo trial sono stati il piccolo numero di pazienti ed il reclutamento di pazienti affetti da neoplasia periampollare (con prognosi e biologia totalmente diversa dall’adenocarcinoma pancreatico) (170).

Lo studio randomizzato a disegno fattoriale ESPAC-1 pubblicato nel 2001 da Neopteolemos e colleghi si basò su un confronto tra CT (5FU bolo 425mg/m2 per 5 giorni consecutivi ogni 28 giorni per 6 cicli in associazione ad acido folinico) versus non CT, e per RTCT versus non RTCT. Lo studio ha arruolato 289 pazienti ed ha dimostrato un aumento in OS per la CT verso non CT (OS mediana 20,1 vs 15,5 mesi, p=0,009) con un beneficio assoluto a 2 e 5 anni in sopravvivenza rispettivamente del 10 e del 13%. L’utilizzo della RT risultava invece detrimentale (mOS 15,9 mesi per RTCT vs 17,9 mesi per non RT, p=0,05) (171) (141).

La gemcitabina venne valutata per la prima volta come monochemioterapia per il trattamento adiuvante del tumore del pancreas nello studio randomizzato CONKO-001, condotto tra il 1998 ed il 2004, che comparò in 368 pazienti gemcitabina settimanale (1000mg/m2 nei giorni 1,8,15 ogni 28 giorni per 6 cicli totali) versus nessun ulteriore trattamento. Il risultato dello studio fu positivo, dimostrando un aumento statisticamente significativo di sopravvivenza libera da malattia per la CT di 13,4 mesi versus 6,7 mesi nel braccio di sola osservazione (p<0,001) con incremento della OS (22,8 mesi versus 20,2 mesi, p=0,01) e della sopravvivenza a 5 anni (del 10%) (172) (173).

Uno studio asiatico più recente del 2009 ha randomizzato 119 pazienti a ricevere il trattamento adiuvante per 3 mesi verso sola osservazione dopo chirurgia radicale, ha dimostrato un aumento significativo in termini di DFS (HR=0,60; CI=95% 0,45-0,89; p=0,01) con riserva sulle conclusioni in relazione al basso numero di pazienti inclusi (174).

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• 5-Fluorouracile vs Gemcitabina

Negli anni 2000 a seguito della disponibilità di 5FU e gemcitabina, entrambi attivi nel setting adiuvante e metastatico, alcuni trial hanno cercato di dimostrare la superiorità o meno di uno dei due trattamenti rispetto all’altro in ambito adiuvante.

Lo studio ESPAC 3 ha comparato la gemcitabina al 5FU per 6 mesi in 1088 pazienti radicalmente resecati: il trial ha dimostrato assenza di differenze in termini di qualità di vita e simili endpoint di efficacia tra i due bracci, con una sopravvivenza mediana di 23 mesi. In ambito di tossicità, il 14% dei pazienti trattati con 5FU+leucovorin ha sviluppato tossicità di grado > 3, mentre solo il 7,5% dei pazienti trattati con gemcitabina ha avuto eventi avversi seri (p< 0,001). In particolare, si evidenzia una maggiore tossicità ematologica di gemcitabina, mentre il 5 FU ha provocato un aumento del numero di eventi avversi gastrointestinali.

Un’analisi successiva ha inoltre dimostrato che il completamento di tutti i 6 mesi di trattamento previsti e l’inizio della terapia entro le 12 settimane dalla chirurgia sono fattori fondamentali per ottenere il beneficio atteso.

Nel trial RTOG97-04 gemcitabina e 5FU sono stati comparati dopo RTCT: non sono state evidenziate sostanziali differenze in termini di mOS tra i due trattamenti, con un trend a favore di gemcitabina nei pazienti con tumori localizzati alla testa. Le tossicità di grado 3-4 sono state maggiori nel braccio gemcitabina. (175)

Nell’analisi aggregata degli studi ESPAC-1 e ESPAC-3, la OS mediana osservata con 5FU (23,2 mesi) è risultata simile a quella ottenuta con la gemcitabina nello studio CONKO- 001 (22,8 mesi) (176).

Una meta-analisi pubblicata nel 2015 ha analizzato i dati di 2017 pazienti da quattro studi di adiuvante, due dei quali avevano comparato gemcitabina versus 5FU/acido folinico e gli altri due gemcitabina vs osservazione. L’analisi ha mostrato vantaggio per la gemcitabina vs la biomodulazione 5FU/acido folinico in termini di OS con una riduzione del rischio di morte del 12% (HR=0,88, p=0,014). (177)

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Sulla base di queste evidenze, le linee guida internazionali occidentali, fino al 2015, raccomandavano l’utilizzo di una monochemioterapia adiuvante con gemcitabina o 5FU per 6 mesi dopo chirurgia radicale.

• Gemcitabina vs S-1

S-1 è una fluoropirimidina orale approvata per il trattamento di altre neoplasie del tratto gastroenterico in popolazioni asiatiche, che recentemente è stata considerata come possibile monochemioterapia adiuvante per il tumore pancreatico, a confronto con gemcitabina in due recenti studi.

Il primo trial pubblicato nel 2015 non aveva dimostrato sostanziali differenze tra i due trattamenti. (178)

Lo studio JASPAC-01 ha invece evidenziato la non inferiorità di S-1 rispetto a gemcitabina, ma anzi un trend in aumento di OS per S-1 rispetto a gemcitabina, ottenendo una sopravvivenza a 5 anni più elevata (44,1%vs 24,4%), su 385 pazienti. Tali risultati non sono applicabili alla popolazione occidentale, per differenze di farmacocinetica e farmacodinamica di S-1 rispetto ai pazienti asiatici, riconducibili a importanti differenze nel corredo enzimatico, con conseguente aumento delle tossicità (soprattutto gastroenteriche) con ridotta efficacia.

• Polichemioterapia

Data l’aggressività biologica della neoplasia pancreatica, considerata sistemica fin dall’esordio, negli ultimi anni numerosi studi sono stati condotti per valutare l’utilizzo di polichemioterapie che avevano dimostrato efficacia nel setting avanzato o metastatico. In uno studio in Giappone condotto tra il 2002 e il 2005 Yoshitomi e colleghi hanno valutato l’associazione uracil/tegafur (UFT) e gemcitabina versus gemcitabina da sola: sono stati randomizzati 100 pazienti e l’obiettivo primario era la DFS. I risultati evidenziano DFS a 1 e 3 anni di 50% e 17,7% nel braccio di associazione versus 49% e 21,6% per la mono-CT, rispettivamente. La mOS è risultata più bassa nel braccio

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sperimentale (21,2 mesi vs 29,8 mesi), quindi lo studio ha fallito il suo obiettivo primario.

(179)

L’associazione di chemio ed immunoterapia è stata investigata in uno studio randomizzato condotto tra il 2004 ed il 2007 su 132 pazienti resecati, randomizzati a ricevere 5FU, cisplatino e interferon alfa-2b (IFNalfa-2b) più radioterapia seguita da due cicli di 5FU verso solo 6 cicli di 5FU. La mOS è risultata 26,5 mesi (95% CI 21,6-39,5 mesi) nel braccio di combinazione vs 28,5 mesi (95% CI 20,4-38,6 mesi) nel braccio di controllo. Il trattamento combinato era inoltre gravato da tossicità elevate e impatto detrimentale sulla QoL. (180)

Lo studio italiano di fase II randomizzato PACT-7 ha arruolato 102 pazienti in stadio IB- III a ricevere l’associazione PEFG (cisplatino, epirubicina, gemcitabina, 5FU) o gemcitabina da sola prima di un trattamento RTCT: i risultati in termini di DFS sono stati interessanti, ma non statisticamente significativi, per la combinazione (15,2 mesi vs 11,2 mesi), anche se con maggiore tossicità ematologica. (181)

Un recente studio randomizzato di fase III condotto da Neoptolemos e colleghi ha valutato la terapia di combinazione gemcitabina (1000mg/m2, giorni 1,8,15) e capecitabina (830mg/m2 due volte al giorno nei giorni 1-21 ogni 28 giorni) verso gemcitabina da sola. Il trial ha arruolato, tra il 2008 ed il 2014, in Europa 732 pazienti con carcinoma pancreatico o periampollare radicalmente operati, con l’obiettivo primario dell’OS. Dopo un follow up mediano di 43,2 mesi (95% CI 39,7-45,5) è stata dimostrata una superiorità statisticamente significativa per il regime di combinazione in termini di OS ( 28 vs 25,5 mesi; HR 0,82;95% CI 0,68-0,98; p=0,032). Le OS stimate a 1 e 2 anni sono rispettivamente dell’ 80,5% (95% CI 76,0-84,3) e 52,1% (46,7-57,2) nel braccio monochemioterapia, e dell’ 84,1% (79,9-87,5) e 53,8% (48,4-58,8) nel braccio di combinazione.

Il dato dell’OS a 2 anni non è tuttora disponibile ed il follow up immaturo non consente di considerare i risultati sufficientemente stabili e affidabili. Lo studio è stato inoltre criticato per l’ampia quota (60%) di pazienti sottoposti a chirurgia non radicale microscopicamente (R1) o N+ (80%) e per non aver considerato un restaging post-

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operatorio né un limite massimo di CA19.9 all’arruolamento, con possibilità di reclutamento di una quota di pazienti già metastatici.

Tuttavia è stato il primo studio ad ottenere una OS superiore ai 2 anni nel setting adiuvante e la combinazione gemcitabina + capecitabina è stata inserita nelle recenti linee guida nazionali come opzione di trattamento con raccomandazione positiva debole. (182) (183).

• Nuove prospettive terapeutiche

Per il carcinoma pancreatico sono stati identificati vari pathway molecolari potenzialmente “druggable”: KRAS, hedgehog, integrine, TGF, Wnt/Notch, EGFR, il sistema di adesione, il sistema di riparazione del DNA e l’apoptosi. La terapia target è stata valutata sia in pazienti metastatici che in setting adiuvante, ma purtroppo vi sono stati degli insuccessi.

KRAS

KRAS è tra i driver oncogenici più comuni nei tumori umani, rendendolo la scelta più ovvia per le terapie mirate.

Le mutazioni puntiformi di KRAS inibiscono efficacemente questa interazione di RAS con proteine che attivano la GTPasi, con conseguente incapacità di idrolizzare il GTP al GDP, generando una proteina costituzionalmente attiva. Sfortunatamente, RAS ha ricevuto notorietà come bersaglio "undruggable" grazie alla sua elevata affinità con il GTP e alla superficie liscia della proteina, che impedisce il legame delle molecole terapeutiche. Gli sforzi per bloccare KRAS hanno coinvolto l'inibizione diretta degli effettori a valle e le strategie di letalità sintetica.

Bersagliare la via intracellulare di KRAS è stata un'alternativa concettualmente interessante. Alcuni dei primi studi si erano concentrati sul blocco della sua capacità di attaccarsi alla membrana plasmatica per la trasduzione del segnale utilizzando gli

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inibitori della farnesiltransferasi, ma questi trial sono falliti negli studi clinici di fase II e III.

Un'altra strategia consiste nello sfruttamento della dipendenza da oncogene, in quanto le cellule tumorali dipendono da KRAS per la sopravvivenza e la propagazione. Ciò viene effettuato attraverso un approccio noto come letalità sintetica in cui i difetti in due geni portano alla morte cellulare, mentre un difetto in un solo gene consente alla cellula di rimanere vitale. Prendendo di mira i geni attivati da KRAS per la sopravvivenza e sviluppo del tumore, sono state identificate diverse possibili interazioni letali sintetiche.

Corcoran e colleghi hanno identificato i geni che collaborano con l'inibizione di MEK portando all'identificazione di BCL ‐ XL, un gene antiapoptotico. Quando sono stati combinati l'inibitore di MEK, selumetinib, e l'inibitore della famiglia BCL, navitoclax, i ricercatori hanno visto un'induzione dell'apoptosi nelle cellule mutanti di KRAS. Questa terapia di associazione è attualmente sperimentata in studi clinici per tumori KRAS mutati (NCT02079740).

Sebbene rimanga da scoprire un farmaco chiaro efficace per KRAS, le nuove strategie descritte da questi studi per identificare nuovi candidati alla terapia a target molecolare vanno avanti.

Mentre le mutazioni di KRAS sono quasi onnipresenti in PDAC, è importante notare la natura oncogenica di wild ‐ type KRAS PDAC. Studi recenti hanno dimostrato che questi tumori presentano ancora aberrazioni nella via intracellulare di KRAS, comprese le mutazioni in BRAF e PIK3CA. In particolare, è stato dimostrato come le mutazioni di BRAF e KRAS siano mutuamente esclusive, quindi i tumori BRAF mutati potrebbero essere sensibili all'inibitore BRAF approvato dalla FDA, vemurafenib. Questo piccolo sottoinsieme di casi presenta quindi un'opportunità per terapie mirate che utilizzano inibitori BRAF e PI3K.

90 MEK/ERK INIBITORI

Una potenziale strategia per bloccare la via di KRAS è quella di agire sui suoi effettori a valle, che includono le vie RAF/MEK/ERK e PIK3/AKT. Gli inibitori di MEK e PI3K, nonché l'inibizione combinata dei pathway MEK e AKT hanno mostrato un'efficacia promettente nell'impostazione preclinica. Uno studio clinico di fase 1 sulla sicurezza e l'efficacia della strategia di duplice targeting dei pathway PI3K/AKT e RAF/MEK/ERK ha mostrato un potenziale di efficacia favorevole, ma con associato aumento della tossicità. Negli studi clinici di fase II, l'inibizione di MEK in associazione con gemcitabina non ha dimostrato un miglioramento del tasso di risposta o della sopravvivenza complessiva rispetto alla sola gemcitabina . Tuttavia, un'intuizione degna di nota che proveniva da questo studio era la prospettiva di una maggiore efficacia, anche se non statisticamente significativa, in quei pazienti con tumori KRAS wild type.

EGFR INIBITORI

Il signaling recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) con successiva attivazione delle vie effettrici a valle (RAS/RAF/MEK, PIK3/AKT, e JAK /STAT) è coinvolto nella sopravvivenza, proliferazione cellulare ed è un altro potenziale bersaglio terapeutico nel PDAC. I modelli preclinici hanno dimostrato la necessità del signaling di EGFR nell'iniziazione e nella progressione del carcinoma pancreatico KRAS mutato. Sebbene gli studi clinici iniziali di fase III abbiano dimostrato solo un modesto miglioramento della sopravvivenza complessiva per un sottogruppo di pazienti (< 10%) utilizzando l'inibitore della tirosina chinasi (TKI) erlotinib, altri studi di sperimentazione di anticorpi monoclonali anti ‐ EGFR aggiuntivi e di strategie di targeting EGFR/HER2 sono in corso.

(184)

IMMUNOTERAPIA

Il carcinoma pancreatico è considerato normalmente un tumore poco immunogeno a causa del microambiente tumorale, costituito da stroma desmoplastico in cui sono dispersi fibroblasti e cellule stellate che contribuiscono alla fibrosi ed alla conseguente evasione immunitaria.

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Ciò comporta un difficile approccio immunoterapico a questa neoplasia e sono disponibili solo dati preliminari a supporto di tale ipotesi: dati precoci riguardanti agenti biomolecolari in grado di aumentare la risposta immunitaria contro il tumore (GI-4000) e vaccini (GVAX, algenpantucel-L, OCV-C01) sono in corso di valutazione in associazione a CT nel setting adiuvante. Tali trattamenti che si presentano come promettenti dovranno poi essere validati da dati solidi di tipo prospettico. (185)

I vaccini polivalenti derivano da cellule intere o lisati cellulari e hanno la capacità di consentire il targeting di più antigeni.

Il vaccino del tumore pancreatico allogenico a cellule intere GVAX sviluppato da Jaffee e colleghi deriva da due linee cellulari di tumore pancreatico umano stabilmente transfettato per produrre la citochina umana GM‐CSF. GM‐CSF ha la capacità di superare