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Turismo naturalistico e turismo rurale

3.2 Tipi di aziende e/o turismi

3.2.4 Turismo naturalistico e turismo rurale

L’Organizzazione Mondiale per il Turismo81, con il termine “turismo

naturalistico” indica le varie tipologie di turismo basate sulla «valorizzazione

della natura e l’osservazione della vita nativa». Si tratta di una definizione

generale e onnicomprensiva dalla quale si evince che la motivazione di base del viaggio è l’osservazione e l’apprezzamento della natura e delle culture tradizionali

82.

Al contrario di altre moderne tipologie, il turismo naturalistico è una pratica fortemente legata al territorio di cui ne promuove le emergenze naturali reali ed oggettive per attirare i turisti che si muovono alla ricerca di aspetti paesaggistici e servizi tipici di una regione.

Il concetto “naturalistico” richiama l’aspetto di ricerca di una natura selvaggia, integra, non “inquinata” dalla presenza dell’uomo, condizione illusoria e, peraltro, fortemente condizionata dalla capillarità con cui si è diffuso proprio il fenomeno turistico (Bagnoli, 2006).

La motivazione naturalistica non esaurisce le ragioni della vacanza, pertanto la presenza “di altri motivi di vacanza” e l’aspettativa di svolgere determinate attività, consentono di individuare all’interno del turismo naturalistico almeno quattro tipologie di turismo:

1. Turismo ricreativo: la motivazione di vacanza si basa essenzialmente sul riposo e il relax, brevi escursioni e visite a siti naturali e culturali.

80 Piano Regionale di Sviluppo Turistico Sostenibile (PRSTS), Regione Autonoma della Sardegna,

Cagliari, Delibera G.R. n. 39/15 del 5 agosto 2005, allegato n. 4.

81 World Tourism Organization (WTO), «A kind of tourism focused mainly on nature appreciation

and wildlife watching», www.unwto.org.

2. Turismo attivo: la vacanza prevede la pratica, anche occasionale, di attività sportive, la partecipazione a manifestazioni sportive e la visita a percorsi culturali e storici, ambientali e naturali servendosi di itinerari ciclistici, trekking o ippoturismo.

3. Turismo educativo: tra le attività di vacanza sono comprese sia l’osservazione che l’apprendimento. Le attività tipiche prevedono la partecipazione a corsi sul campo riguardo a: conservazione, riabilitazione e identificazione di specie, cucina locale, realizzazione di prodotti artigianali, restauro, musica, pittura, lingue e fotografia, apprendimento nozionistico su storia, arte e patrimonio locale.

4. Turismo rurale: comprende «le attività turistiche che si svolgono in un ambiente rurale, orientato verso l'utilizzo di risorse turistiche locali»83.

Si parla di turismo rurale quando la ricerca della “cultura rurale” è una componente importante della struttura motivazionale della vacanza. Questa ricerca può manifestarsi in vari modi: soggiorno in agriturismo, in piccoli borghi rurali o in esercizi rurali in genere, partecipazione ad attività rurali, visita ad itinerari enogastronomici, fattorie didattiche.

L’evasione dalla calda e caotica estate delle città non è una pratica recente; divenne necessaria a seguito del processo di industrializzazione che prese avvio in Europa nel XVII secolo e che causò un ingente trasferimento di contadini verso le aree urbane. Negli ultimi decenni, tuttavia, assistiamo ad una riscoperta della villeggiatura in campagna, forse perché tale pratica risponde bene ad un atteggiamento «turistofobico» (Dell’Agnese, 2003) da parte di viaggiatori alla ricerca di un turismo autentico. Il numero sempre crescente di coloro che scelgono la campagna come località per trascorrere le proprie vacanze ha portato a definire il turismo rurale come «alternativo di massa», soddisfacendo quella categoria di persone che rifugge le mete turistofile (Bagnoli, 2006).

Un altro motivo di successo può essere individuato nell’accresciuto bisogno da parte del residente urbano di recuperare la dimensione locale del territorio agreste “a misura d’uomo”, che ne valorizza il rapporto con l’ambiente (Sala, Grandi, Dallari, 2008). La crisi economico-finanziaria sperimentata in questi ultimi anni potrebbe portare ad un rafforzamento di questo interesse verso il contesto rurale, dove si può trovare un’occasione alternativa di lavoro, condizione che potrebbe invertire ancora una volta il processo di travaso della popolazione tra habitat metropolitano e habitat rurale.

In Sardegna viene varato, nel 1991, il programma “Leader” (Laison entre

actions de dèveloppement de l'economie rurale) ovvero un intervento dell'Unione

Europea a sostegno di piccole porzioni di territorio che fungono da veri e propri “laboratori” in cui si sperimentano azioni innovative e integrate di sviluppo. Il programma, finanziato da Fondi strutturali, si pone l’obiettivo di aiutare gli operatori del mondo rurale a prendere in considerazione il potenziale di sviluppo a lungo termine della loro regione.

Le finalità della metodologia Leader sono sommariamente mirate a sostenere dei progetti di sviluppo rurale creati sia a livello locale che in parternariato transnazionale, attentamente coordinati e individuati dai vari GAL (Gruppi di Azione Locale), per rivitalizzare un territorio, creare occupazione e migliorare la qualità di vita delle popolazioni rurali. Leader è una metodologia Comunitaria che offre la possibilità ad un territorio di beneficiare di ingenti risorse economiche in grado di sollecitare investimenti privati capaci di rivitalizzare il tessuto socio-economico attraverso azioni innovative.

Nell’isola, il Programma Leader II considera le zone montane e svantaggiate (Direttiva 75/268/Cee), prediligendo le aree coincidenti con i parchi regionali e nazionali, per promuovere il processo di crescita economica sociale della comunità locale, in cui l’economia e gli stili di vita conservano le connotazioni della civiltà contadina e agropastorale.

Particolarmente interessante la parte di intervento Leader in Sardegna diretta a:

14. migliorare l’offerta turistica delle zone rurali, anche attraverso l’integrazione tra potenzialità ricettiva e prodotti locali;

15. promuovere reti di scambi commerciali tra impresa agricola e impresa turistica;

16. recuperare gli edifici rurali;

17. migliorare l’integrazione tra turismo interno e costiero;

18. diversificare l’offerta turistica con diluizione dei flussi nel tempo e nello spazio (Masu, 2002).

Nel 1998 il legislatore sardo interviene definendo il “turismo rurale”84

«quel complesso di attività, gestite in forma imprenditoriale, di ricezione,

ristorazione, organizzazione del tempo libero e prestazione di ogni altro servizio finalizzato alla fruizione turistica dei beni naturalistici, ambientali e culturali del territorio rurale extraurbano». Perché si possa parlare di turismo rurale, secondo

la normativa regionale, è necessario che l’attività ricettiva sia svolta nel rispetto di alcune specifiche condizioni: l’offerta di ricezione e ristorazione deve essere esercitata in fabbricati rurali già esistenti ovvero in punti di ristoro nelle zone agricole, da realizzarsi, secondo le tipologie edificatorie rurali locali, nelle aree extra urbane agricole, in armonia con il contesto paesistico-territoriale; la ristorazione deve basarsi sulla gastronomia regionale e l'impiego prevalente di materie prime di produzione locale; gli ambienti devono essere arredati secondo la cultura rurale della zona.