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1329 uccidono più di 400 poveri terrazzani di Camaiore, colpevoli solo di aver opposto qualche

Nel documento Cronaca 1326-1340 (pagine 195-197)

resistenza ai soprusi.83

Intanto, il 10 aprile, la duchessa Pina Streghi, vedova di Castruccio, ha conferma dal Bavaro delle entrate che le ha lasciato il marito; le dà inoltre «podestà e dominio sopra il castello di Monteggiori e suo distretto, come patrimonio, con tutte le ville del contado, e terre sopra Pietrasanta; assegnando 4.000 fiorini d’oro l’anno sopra essa vicarìa, a lei e a’ figliuoli e loro discendenti».84Pina si ritira a vivere a Pisa e qui chiuderà la sua vita mortale e sarà sepolta in S. Francesco.85

§ 33. Pistoia

Pistoia è afflitta dalle continue incursioni dei Fiorentini, che, padroni del castello di Carmignano, imperversano nel contado, impediscono di lavorare i campi, opprimono la città impedendone l'approvvigionamento. Il popolo, desideroso di quiete, propende per la pace con Firenze.

Le due famiglie principali di Pistoia, i Panciatichi e i Vergiolesi, hanno intendimenti politici differenti. I Panciatichi propendono per il popolo, la pace e la riammissione dei fuorusciti guelfi. I Vergiolesi, di sentimenti ghibellini, padroni di tutti i castelli del contado, non accettano di accordarsi con Firenze. Ma i Vergiolesi non sono in grado di opporsi con le loro forze al popolo, decidono allora di chiamare in loro soccorso i ghibellini di Pisa e Lucca, i quali volentieri, inviano il signore d'Altopascio, Serzati (o Lorenzo o Segieri) Sagina, con molti armati e col vituperato Filippo Tedici. Ad aprile, i ghibellini arrivano, e corrono la città di Pistoia senza contrasto alcuno, né da parte dei Panciatichi e del popolo, né da parte del vicario imperiale, Andrea di Chiaravilla. Corrono gridando: «Viva i duchini», riferendosi ai figlioli di Castruccio, nel nome dei quali si intende governare la città.

Serzati Sagina, installatosi a palazzo, convoca il capo dei Panciatichi, Rodolfo. Lo trattiene insieme ai suoi e impone loro un enorme riscatto che i Panciatichi dichiarano superiore alle loro possibilità Segieri, allora, ordina che non vengano nutriti nè dissetati finché non acconsentano a pagare. Segieri, non ancora padrone incontrastato, desidera impadronirsi della fortezza del campanile della chiesa maggiore. Ora il vicario reagisce, certo che ulteriori esitazioni porterebbero alla sua cacciata da Pistoia. Arma il popolo, i sostenitori dei Panciatichi e, messosi a capo dei suoi, corre la città, va a palazzo mentre Segieri si dà alla fuga, libera Rodolfo Panciatichi. Segieri Sagina, e molti dei suoi, vengono feriti e cacciati dalla città. Andrea di Chiaravilla e la sua prudenza hanno trionfato.

Ma i Vergiolesi hanno ancora 400 soldati tedeschi, inviati da Pisa e Lucca, a sostenerli. I Tedeschi corrono la città per impedire che il popolo si raduni e possa cacciarli. Il giorno seguente, però, la popolazione eleva barricate in molti punti di Pistoia. Tutta la città è fortificata e alla difesa; per i Tedeschi e i Vergiolesi tiene solo Porta Sant'Andrea. Qui si ritirano e radunano tutti i Tedeschi. Dalla porta, i Tedeschi tentano la fuga verso Lucca, ma vengono affrontati e massacrati dai Pistoiesi. Alcuni riescono a fuggire, gli altri si arrendono.

La completa sconfitta dei Vergiolesi permette di portare a termine il trattato di pace con Firenze che, con varie vicissitudini, viene concluso il 24 maggio. Ai Fiorentini vanno i castelli di Carmignano, Artimino, Vittorino, Baccareto e Montemurlo. I Pistoiesi riammettono tutti i fuorusciti guelfi, meno Filippo Tedici e 60 dei suoi.86

83Cronache senesi, p. 489; VILLANIGIOVANNI, Cronica², Lib. XI, cap. 128; DAVIDSOHN, Firenze, vol. III, p.

1197-1198; STEFANI, Cronache, rubrica 454.

84MANUCCI, Le azioni di Castruccio Castracani, p. 149. 85MANUCCI, Le azioni di Castruccio Castracani, p. 151-152.

86Cronache senesi, p. 488; VILLANIGIOVANNI, Cronica², Lib. XI, cap. 124 e 129; DAVIDSOHN, Firenze, vol. III,

p. 1195-1196. Rerum Bononiensis, Cronaca B, p. 414; appena un cenno in GAZATA, Regiense, col. 41;

STEFANI, Cronache, rubrica 455. Il 31 maggio Volterra invia Giovanni di Inghiramo Inghirami a ratificare

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Firenze ha diritto di guardia su Pistoia e di nominare un cittadino popolare per capitano. Il prescelto è Jacopo Strozzi, «cavaliere molto stimato». Questi, quando arriva in città, nomina 4 cavalieri: due Panciatichi, uno dei Muli e l’altro dei Gualfreducci e dona loro 2.000 fiorini a nome della repubblica di Firenze. Grati, i Pistoiesi abbattono da ogni edificio pubblico le insegne di Castruccio e del Bavaro.87

La pace viene festeggiata sontuosamente sia a Pistoia che a Firenze. In questa città «il dì dell’Ascensione apresso si feciono ne la piazza di Santa Croce ricche e belle giostre, tenendosi tavola ferma per 3 dì per 6 cavalieri, dando giostra a ogni maniera di gente a cavallo, perdere e guadagnare, ov’ebbe di molto belli colpi e d’abattere di cavalieri, e al continuo v’era pieno di belle donne a’ balconi, e di molta buona gente».88

Firenze ha firmato la pace senza neanche sentire il parere di re Roberto.89 § 34. Monza caccia gli imperiali e si consegna ai Visconti

Il Bavaro invia come suo vicario a Monza Ludovico di Teck, con l'incarico di apprestare quanto necessario per il suo arrivo. Bonincontro Morigia, che è uno dei Dodici del consiglio segreto del comune di Monza, ci narra l’incontro dei Dodici con il vicario, definendolo al termine del colloquio uomo non malvagio.90 Ludovico di Teck o Tech, dopo aver fatto giurare ai consiglieri fedeltà al Bavaro, esorta i Monzesi a dichiarare onestamente se vogliano accogliere l’imperatore e, qualora ciò non sia, lo dicano pure e l’imperatore troverà un altro luogo dove andare, perché a Monza non si vuole avvicinare senza espressa volontà del consiglio. Purtroppo gli interlocutori tutto sono meno che leali: Paolo Liprando o Aliprandi, uno dei Dodici, «eloquente e prudente», si spertica in assicurazioni di amore e riconoscenza per l’Impero, arrivando a commemorare anche la beata Teodolinda, longobardorum regina. Che l’Imperatore venga che sarà bene accolto senza dubbio alcuno!

Ma Azzo, che è stufo delle continue richieste di denaro dell'imperatore e che ne teme l'ingombrante vicinanza, decide di rendergli la vita difficile. Invia allora in Monza Martino Aliprandi, esponente di una famiglia originaria di Monza, ma trasferitasi a Milano, del quale Paolo Aliprandi, uno dei Dodici, è il fratello. L’obiettivo della missione è strappare la città agli uomini del Bavaro.

Il 18 aprile arriva segretamente in città Martino Aliprandi, che riunisce i suoi fratelli ed amici e architetta un piano per strappare la città all’imperatore. Il nuovo podestà, uno stipendiario, uomo debole, tali honore indigno, Franzio da Lugano, invia un suo littore a serrare la Porta Gradi; gli uomini di Martino lo intercettano, gli spaccano la testa e gli strappano la chiave; Porta Gradi rimane quindi aperta e di qui entrano 500 armigeri al comando di Pinalla Aliprandi. I soldati milanesi cavalcano verso il castello al grido di «Viva Azzo!». I soldati tedeschi, che ai primi strepiti sono usciti armati dalla fortezza, non ricevendo alcun aiuto dalla popolazione, rientrano precipitosamente nel castello e presidiano la strada che, fuori del castello, porta a Milano. Qui catturano quattro Monzesi che trascinano nel castello e che faranno riscattare con 1.000 fiorini. Pinalla inizia l’assedio al castello.

Azzo Visconti, il 26 di aprile, invia Boschino Mantegazza e Pagano Mondello a parlamentare con il comune di Monza, chiedendone l’alleanza, o meglio, la sottomissione. Gli ambasciatori dicono che il Bavaro si sta avvicinando con 4.000 cavalieri, la metà dei quali Tedeschi poveri in canna, che si vogliono arricchire a spese di Monza e Milano. Boschino e Pagano esortano Monza ad essere unita a Milano, così da liberare la patria comune ab iniquitate

extranoreorum, con la protezione di San Giovanni Battista. Prende la parola il «prudente» Paolo

VII, anno 1329, vol. 1°, p. 177-178 egli ci informa che la pace è stata trattata da Francesco di Pazzino de’ Pazzi, cavaliere.

87AMMIRATO, Storie fiorentine, lib. VII, anno 1329, vol. 1°, p. 178-179. 88VILLANIGIOVANNI, Cronica², cap. 129.

89CAGGESE, Roberto d’Angiò, II, p. 142.

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