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all’Istituzione guidata da don Bosco (1841-1888)

2.3. Ultime decisioni del Fondatore

Gli artigiani che imparavano un mestiere era spesso reduci da esperienze pro- blematiche e spesso alcuni erano portati all’Oratorio dalla autorità di pubblica sicu-

65MO p. 38. 66MO p. 40. 67MO p. 41. 68MO, p. 30.

rezza. Detto questo si capisce la colorita espressione di don Bosco nel 1871 fatta di fronte ai responsabili della Congregazione: “Sono anche contento del gran miglio- ramento introdottosi negli artigiani, che gli altri anni erano un vero flagello per la

casa. Non è che tutti siano ora farina da far ostie, ma un miglioramento c’è”70. Il

contesto di sviluppo commerciale e industriale non passò senza effetti pratici ben notati dai salesiani, che parlano di un continuo aumento dei ragazzi che arrivano a Valdocco per imparare un lavoro, tanto che nel 1880 gli artigiani sono quasi in nu- mero pari agli studenti.

Il tema delle scuole per i giovani apprendisti nelle case salesiane non fu og- getto di studio e di discussione approfondita nel Secondo Capitolo Generale del 1880. Ma parlando, ad esempio, dello scopo della Società di educatori fondata da don Bosco, si nominano in primo luogo i collegi od ospizi di artigianelli e poi gli Oratori e le scuole… “pel popolo e per poveri giovani abbandonati”. Le richieste vertirono su locali e maestri per le scuole di francese, disegno e sull’aumento delle ore di lezione teorica. Nel frattempo la formazione professionale era regolata dalla legge del 30 maggio 1878, affidata al Ministero dell’agricoltura, industria e com- mercio e avviata dalle circolari ministeriali di Cairoli per l’istituzione di scuole se-

rali e domenicali d’arti e mestieri71.

Le “sezioni artigiani” di Valdocco e delle altre case salesiane non dovevano ormai più dipendere, come fino a quel momento, dal Consigliere scolastico gene- rale. A livello di Consiglio Generale, la carica di “consigliere professionale” fu stabilita nel 1883: la sua funzione veniva sintetizzata nella cura di quanto spettava “all’insegnamento delle arti e mestieri”. Nella riunione, tenuta il 4 settembre del 1884, don Rua propose di nominare don Giuseppe Lazzero.

70Conferenze generali (30.04.1871) in PRELLEZOJ.M., Scuole Professionali Salesiane …, p. 15. 71PRELLEZOJ.M., Scuole Professionali Salesiane …, pp. 18-19.

Fonte: J.M. PRELLEZO, Scuole Professionali Salesiane…

Si dava così un nuovo passo significativo verso una loro organizzazione di

maggior autonomia, che rispondesse meglio alle esigenze specifiche del settore in

un nuovo contesto culturale.

Alle critiche su situazioni inadeguate da superare si aggiungono, d’altro canto, con non minor forza, le proposte d’avanzamento e di sviluppo. Dopo aver denun- ciato qualche episodio di trascuratezza o di poca attenzione educativa nei confronti dei giovani lavoratori, si ribadisce senza esitazione che, a questo proposito, “non dovrebbe esistere alcuna differenza fra artigiani e studenti”.

L’attenzione alla “parte operaia” è manifestata esplicitamente nella redazione definitiva del documento capitolare del 1886, il cui titolo – Indirizzo da darsi alla

parte operaia delle case salesiane e mezzi da svilupparne le vocazioni – coincide

letteralmente con quello del tema V, proposto come argomento di studio nel Se-

condo e Terzo Capitolo Generale72.

Non vi si parla semplicemente dei “laboratori”; ma neppure si accenna ancora alle “scuole professionali”. Gli estensori del documento capitolare continuano a tener presente il modello della casa annessa all’Oratorio di San Francesco de Sales di Valdocco: un’istituzione complessa, in cui, oltre agli oratoriani dei giorni festivi, convivono durate la settimana circa di 400 ragazzi che frequentano gli studi classici e circa 400 giovani che imparano un mestiere.

Si potrebbe, tuttavia, affermare che il discorso culturale ed educativo comincia a collocarsi sempre più nella prospettiva ideale delle case di artigiani o scuole di ar- ti e mestieri (o istituti di arti e mestieri). Norme e orientamenti riguardanti la “parte operaia”, di fatto, si aprono con una dichiarazione impegnativa sullo scopo che si propone la Società Salesiana nell’accogliere ed educare questi giovanetti: quello “d’allevarli in modo che, uscendo dalle nostre case compiuto il loro tirocinio, abbia- no un mestiere onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita, siano bene istruiti nella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato”.

Da tale premessa deriva una prima conclusione: “triplice deve essere l’indi- rizzo da darsi alla loro educazione: religioso-morale, intellettuale e professionale”.

2.4. Conclusioni

Il secondo capitolo ci ha permesso di raccogliere alcuni tratti che don Bosco fortemente e intenzionalmente ha impresso nella costituzione della Società sale- siana, in particolare relativamente alla missione nei confronti dei giovani e del mondo del lavoro attraverso la Formazione Professionale.

Don Bosco e la sua opera non cessano di stupire. A cento anni dalla morte del Santo educatore restiamo meravigliati non solo per la vastità delle realizzazioni avviate per la diffusione che esse hanno avuta in tutti i continenti, ma anche e soprattutto per

l’originalità delle intuizioni, che troviamo ancora attuali e feconde. Una di queste intui-

zioni è certamente la figura del salesiano laico, da lui chiamato «salesiano coadiutore», e del suo ruolo all’interno della missione educativa, particolarmente nel settore della formazione professionale, che Don Bosco promosse con una visione acuta delle neces- sità della gioventù dei tempi nuovi. Oggi, nella luce del Concilio Vaticano II […], avver- tiamo l’urgenza di una presenza più viva nel mondo del lavoro, specialmente per un in- serimento adeguato delle giovani generazioni. Il salesiano coadiutore ha una parola da dire ed una testimonianza da dare in questi campi d’azione73.

La capacità di essere presente sul campo personalmente con relazioni signifi- cative nei confronti dei ragazzi, ma al tempo stesso di aver uno sguardo oltre, ca- pace di percorrere le vie giuridiche in modo deciso come le società di mutuo soc- corso e l’apprendistato. La scelta dei collegi ha accelerato il processo di istituziona- lizzazione il cui successo è amplificato dalle imprese editoriali e dalla scelta vin- cente di un modello gestionale capace di radunare persone fortemente vicine alla sua scelta di vita e al suo metodo. L’atteggiamento è sempre quello di un prete e al tempo stesso comprendeva e superava quello di un imprenditore come dimostra la partecipazione alla Esposizione di Torino. Tale capacità di convocarle ha usato la capacità e le tecniche di comunicazione attraverso le Memorie dell’Oratorio e altri scritti. La personalizzazione (orientamento e cura vocazionale) superavano i con- fini delle relazioni dirette, ma si estendevano con gli scritti e con i direttori che “fa- cevano don Bosco” nelle realtà ove erano inviati. Sul piano dell’azione di governo della Formazione Professionale, le ultime decisione hanno in germe la coscienza di mutate condizioni e iniziano a cogliere i segni dei tempi di piena industrializza- zione e verso vere e proprie scuole professionali con personale specificatamente dedicato e con una animazione (a livello di Consiglio Generale) specifica e distinta dalle scuole di tipo liceale.

Nel prossimo capitolo seguiremo la storia della formazione professionale sale- siana specialmente attraverso la storia dei suoi consiglieri generali e delle decisioni dei Capitoli della Congregazione. In filigrana terremo d’occhio l’effettiva fedeltà dinamica al carisma in particolare alle scelte vincenti che mantengono vivo l’ef- fetto di amplificatore dell’opera educativo-formativa.