2.1.1. Il contesto internazionale.
La scena internazionale è caratterizzata dal rallentamento del tasso di crescita del Pil mondiale. Nel World Economic Outlook di ottobre il Fmi ha prospettato per il 2013 un aumento reale del 2,9 per cento, in frenata rispetto alla crescita del 3,2 per cento prevista per il 2012, che a sua volta scontava un ampio rallentamento rispetto all’incremento, prossimo al 4 per cento, dell’anno precedente. La previsione di ottobre ha corretto al ribasso di 0,3 punti percentuali quella formulata tre mesi prima, sottintendendo un peggioramento della congiuntura internazionale. Questa situazione dipende da svariati fattori.
Nell’Europa monetaria il Pil è tornato a crescere nel secondo e terzo trimestre di quest’anno, dopo sei cali consecutivi, ma la ripresa appare debole con segnali tutto sommato incerti, mentre permangono tensioni legate alla situazione fortemente debitoria di alcuni paesi, quali Grecia e Italia in primis. A questa situazione si aggiunge il rallentamento di alcune economie emergenti, quali, ad esempio, Russia, Messico, Sud Africa e i paesi dell’Asean1. Le attese riguardo una politica monetaria degli Stati Uniti meno espansiva contribuiscono a mantenere alta la tensione nei mercati internazionali dei capitali, con riflessi negativi soprattutto sul ciclo di ripresa dei paesi emergenti, esponendoli a pericolose fiammate inflazionistiche. Oltre a ciò si stanno diffondendo timori sulle prospettive del credito in Cina. Il colosso asiatico rischia di alimentare bolle sui prezzi degli asset interni, scontando politiche orientate a favorire i consumi piuttosto che gli investimenti.
Prometeia nella nota di aggiornamento di dicembre ha prospettato un incremento del Pil mondiale del 2,8 per cento, leggermente inferiore alla stima del Fmi, oltre che in rallentamento rispetto all’aumento del 3,1 per cento stimato per il 2012.
La crescita mondiale è come sempre frutto di situazioni piuttosto diversificate da area ad area, sintesi di un mondo a due velocità. Secondo il Fmi, alla nuova recessione che si profila per i paesi dell’euro (-0,4 per cento), si contrappongono i più elevati tassi di crescita delle economie emergenti e in via di sviluppo (+4,5 per cento), tuttavia in rallentamento rispetto all’evoluzione del 2012 (+4,9 per cento). Per la Cina il Fmi prospetta un aumento del Pil pari al 7,6 per cento, contro il +7,7 per cento del 2012. Rispetto alla stima di luglio c’è stata una limatura di 0,2 punti percentuali. Stessa sorte per l’India, il cui tasso di crescita del 2013 è previsto al 3,8 per cento, con una correzione al ribasso di 1,8 punti percentuali. Le economie avanzate dovrebbero rallentare (+1,2 per cento) rispetto al contenuto ritmo di crescita del 2012 (+1,5 per cento). A raffreddare la crescita, a fronte, come accennato, della debolezza dell’Unione monetaria, trascinata in basso dagli andamenti recessivi, fra gli altri, di Spagna e Italia, dovrebbe contribuire il rallentamento previsto per gli Stati Uniti (+1,6 per cento), rispetto all’aumento del 2,8 per cento del 2012.
Secondo l’outlook del Fmi dello scorso ottobre, il commercio internazionale di merci e servizi dovrebbe aumentare del 2,9 per cento, in leggera accelerazione rispetto a quanto registrato nel 2012 (+2,7 per cento). Occorre sottolineare che anche in questo caso il Fmi ha ridotto di 0,2 punti percentuali la stima di luglio. Il rallentamento della crescita mondiale, unito alla moderata accelerazione degli scambi internazionali, ha avuto effetti calmieranti sull’inflazione. Nell’outlook di ottobre il Fmi ha previsto per i prezzi al consumo un aumento nelle economie avanzate pari all’1,4 per cento, più contenuto rispetto all’incremento del 2012 (+2,0 per cento). Nei paesi emergenti e in via di sviluppo la crescita sarà decisamente più elevata (+6,2 per cento), mantenendo nella sostanza l’evoluzione del 2012 (+6,1 per cento). Al rallentamento del’inflazione ha dato un contributo il rientro dei corsi delle materie prime, sia petrolio (-0,5 per cento) che non energetiche (-1,5 per cento). Secondo l’indice Confindustria espresso in dollari, nello scorso ottobre l’indice generale dei prezzi internazionali delle materie prime ha registrato un calo tendenziale dell’1,7 per cento, che per il greggio sale al 2,0 per cento. Per Prometeia il 2013 si chiuderà per il petrolio Brent con una quotazione media di 109,0 $ al barile contro i 112,1 del 2012. I
1 Indonesia, Malaysia, Filippine, Thailandia e Vietnam.
prodotti alimentari hanno accusato una flessione del 14,1 per cento, riflettendo in particolare il sensibile riflusso dei cereali.
Resta vivo il problema della disoccupazione, soprattutto nell’area dell’Europa monetaria. Le stime più recenti prevedono per il 2013 un tasso di disoccupazione superiore al 12 per cento, contro l’11,4 per cento del 2012. Nello scorso ottobre il tasso di disoccupazione destagionalizzato dei paesi dell’euro si è attestato al 12,1 per cento rispetto all’11,7 per cento di un anno prima. In termini assoluti le persone in cerca di lavoro nell’Europa monetaria sono ammontate a 19 milioni e 298 mila, contro i 18 milioni e 683 mila di un anno prima.
Nella Ue a 28 paesi il tasso di disoccupazione destagionalizzato è arrivato al 10,9 per cento. A settembre 2012 era del 10,7 per cento. Le persone in cerca di lavoro sono risultate 26 milioni e 654 mila rispetto ai 26 milioni e 142 mila di un anno prima.
In rialzo appaiono anche i tassi di disoccupazione dei giovani sotto i 25 anni. Nell’Europa monetaria ottobre 2013 è coinciso con un tasso destagionalizzato del 24,4 per cento, a fronte del 23,7 per cento di un anno prima. Nella Ue a 28 paesi, nell’arco di un anno si è passati dal 23,3 al 23,7 per cento2.
Secondo il Fmi, nel 2014 la crescita mondiale riprenderà ad accelerare (+3,6 per cento), tuttavia con una riduzione della stima di 0,2 punti percentuali rispetto allo scenario descritto in luglio. Per l’Europa monetaria si avrà una crescita decisamente più contenuta (+1,0 per cento), leggermente migliore (+0,1 punti percentuali) rispetto alla previsione contenuta nell’outlook di luglio. Nell’area dell’euro ci sarà nella sostanza una ripresa che sarà comunque di spessore ancora debole, a dimostrazione di come la recessione che ha investito il biennio 2012-2013, dopo quella del 2009, abbia inciso profondamente sul tessuto economico europeo.
2.1.2. Il contesto nazionale.
L’economia italiana chiuderà il 2013 nuovamente in recessione, anche se in termini meno accesi rispetto alla diminuzione del 2,4 per cento registrata nel 2012.
Nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2013 del 20 settembre, il Governo ha rivisto al ribasso la previsione di calo del Pil dell’1,3 per cento contenuta nel Documento di Economia e Finanza deliberato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 10 aprile, prevedendo una diminuzione dell’1,7 per cento.
Fig. 2.1.1 Produzione industriale nazionale (escluso le costruzioni). Dati corretti per gli effetti di calendario. Variazioni percentuali sullo stesso mese dell’anno precedente. Periodo gennaio 2000 – settembre 2013.
Fonte: elaborazione Centro studi e monitoraggio dell’economia e statistica Unioncamere Emilia-Romagna su dati Istat.
2 Il tasso di disoccupazione giovanile più elevato ha riguardato la Spagna (57,4 per cento).
-30,0 -25,0 -20,0 -15,0 -10,0 -5,0 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0
gen.00 nov set lug mag mar gen.05 nov set lug mag mar gen.10 nov set lug mag
Le previsioni dei vari centri di previsione sono apparse leggermente più negative. Nel World economic outlook dello scorso ottobre il Fmi ha previsto una riduzione dell’1,8 per cento. Sulle stesso piano si sono collocate Ocse (stima di inizio ottobre), Commissione europea (stima di inizio novembre) e Istat nelle
“Prospettive per l’economia italiana” presentate il 4 novembre. Anche Prometeia nella nota di aggiornamento di dicembre ha stimato una riduzione dell’1,8 per cento, che ha corretto al ribasso di 0,2 punti percentuali quella contenuta nella nota di aggiornamento di inizio settembre. Per Confindustria il calo, stimato a ottobre, dovrebbe attestarsi anch’esso all’1,8 per cento e anche in questo caso c’è stato un ridimensionamento di 0,2 punti percentuali rispetto alla stima proposta nemmeno un mese prima.
Il ribasso della stima effettuato dal Governo non ha fatto che recepire la tendenza emersa nei primi nove mesi del 2013.
Nel terzo trimestre il Pil corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al trimestre precedente (-0,03 per cento), dopo otto trimestri consecutivi caratterizzati da cali. Dal confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente è tuttavia emersa una diminuzione dell’1,8 per cento, con una variazione acquisita per il 2013 pari a -1,9 per cento, superiore di 0,2 punti percentuali alla stima governativa. Nell’ambito dell’Unione europea solo Cipro, Grecia e Slovenia sono destinate a chiudere l’anno con un calo del Pil più elevato.
Le prospettive appaiono tuttavia improntate a un cauto ottimismo. Secondo Prometeia, la recessione dovrebbe terminare nel quarto trimestre, facendo da preludio a una ripresa che sarà comunque debole, visto che si prevede per il 2014 un aumento del Pil di appena lo 0,7 per cento.
Sulla debolezza della ripresa si sono trovati concordi Istat (+0,7 per cento), Fmi (+0,7 per cento), Ocse (+0,6 per cento), Commissione europea (+0,7 per cento) e Confindustria (+0,7 per cento), meno il Governo che nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza ha previsto una crescita del Pil un po’ più elevata pari all’1,0 per cento.
E’ da notare che Prometeia ha “spostato” la ripresa al quarto trimestre, rettificando la previsione precedente che la collocava invece al terzo. Questa modifica non ha fatto che prendere atto di una situazione congiunturale priva di spunti significativi. La produzione industriale, corretta per gli effetti di calendario, nei primi dieci mesi si è mantenuta costantemente su livelli inferiori a quelli del 2012, registrando un calo medio del 23,3 per cento nei confronti della media dei primi dieci del 2007, prima della crisi nata dai mutui statunitensi ad alto rischio. Qualche segnale di ripresa, tra agosto e settembre, è venuto dal fatturato e dagli ordinativi industriali (escluso l’edilizia) grazie soprattutto alla domanda estera. Le vendite al dettaglio hanno vissuto una fase di basso profilo, chiudendo i primi nove mesi del 2013 con una flessione, in termini grezzi, del 2,3 per cento, che sale al 4,5 per cento rispetto al 2007.
Fig. 2.1.2 Debito lordo della Pubblica amministrazione. Valori in milioni di euro. Situazione a fine periodo.
Fonte: elaborazione Centro studi e monitoraggio dell’economia e statistica Unioncamere Emilia-Romagna.
0,0 500.000,0 1.000.000,0 1.500.000,0 2.000.000,0 2.500.000,0
dic.96 dic. 97 dic. 98 dic. 99 dic. 00 dic. 01 dic. 02 dic. 03 dic. 04 dic. 05 dic. 06 dic. 07 dic. 08 dic. 09 dic. 10 dic. 11 dic. 12set. 13
Sul fronte dei tassi di interesse del debito pubblico nei primi dieci mesi del 2013 sono state registrate condizioni meno onerose rispetto all’analogo periodo del 2012. Il rendimento medio lordo dei btp quotati alla Borsa italiana (Mot), tra i titoli più esposti alle turbolenze politiche e finanziarie, è risultato mediamente inferiore al 4 per cento, a fronte del 5,27 per cento di un anno prima. Ancora più ampia è apparsa la riduzione dei tassi dei Cct a tasso variabile che hanno chiuso i primi dieci mesi del 2013 con un rendimento mediamente pari al 2,27 per cento, contro il 4,83 per cento dello stesso periodo del 2012.
Altri miglioramenti hanno riguardato Ctz e Bot. Questi ultimi sono rimasti costantemente sotto la soglia dell’1 per cento. L’alleggerimento dei tassi di interesse ha consentito di ridurre il servizio del debito dagli 86 miliardi e 717 milioni di euro del 2012 agli 83 miliardi e 949 milioni di euro del 2013, ma le previsioni, se non s’inverte la rotta, sono orientate a ulteriori e progressivi aumenti per il quadriennio 2014-2017 .
Al di là del ridimensionamento della spesa per interessi, sulla finanza pubblica continua a pesare l’abnorme consistenza del debito pubblico, che in settembre è ammontato a circa 2.068 miliardi e mezzo di euro, vale a dire il 3,6 per cento in più rispetto all’analogo periodo del 2012. Nella media dei primi nove mesi l’aumento è stato del 4,1 per cento. Nei confronti del Pil la Nota di aggiornamento al Def prevede un rapporto del 133,0 per cento, rispetto al 127,0 per cento del 2012. In quell’anno in ambito Ue solo la Grecia aveva evidenziato un rapporto debito/pil più elevato, pari al 156,9 per cento. Oltre la soglia del 100 per cento si trovavano inoltre Portogallo (124,1 per cento) ed Eire (117,4 per cento).
Dal lato del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, secondo i dati della Banca d’Italia i primi nove mesi del 2013 si sono chiusi negativamente, con un deficit che è ammontato a 75 miliardi e 313 milioni di euro, in aumento rispetto ai 74 miliardi e 326 milioni dell’analogo periodo del 2012. Secondo quanto contenuto nella Nota di aggiornamento al Def, l’indebitamento netto della Pubblica amministrazione, a legislazione vigente, era destinato a incidere per il 3,1 per cento del Pil, oltre il limite del 3 per cento previsto dal trattato di Maastricht. Le misure varate dal Governo in termini di risparmio sulle spese ministeriali e trasferimenti agli enti locali, oltre alle dismissioni immobiliari, dovrebbero tuttavia riportare il deficit nei parametri previsti dal trattato di Maastricht e su questo obiettivo Prometeia si è trovata concorde.
Si è acuita la pressione fiscale, nonostante la sospensione della tassazione sulla prima casa. Secondo la Nota di aggiornamento al Def è destinata a incidere nel 2013 sul 44,3 per cento del Pil, in aumento rispetto al 44,0 per cento del 20123.
La spesa pubblica appare inarrestabile, al pari del debito pubblico. Nel 2013 è stata stimata in 807 miliardi e 618 milioni di euro, contro gli oltre 801 miliardi di un anno prima. L’incidenza sul Pil è del 51,9 per cento rispetto al 51,2 per cento del 2012.
2.1.3. Il quadro economico regionale.
Il prodotto interno lordo e la domanda interna
In un contesto nazionale in recessione per il secondo anno consecutivo, le stime redatte nello scorso novembre da Unioncamere regionale e Prometeia hanno previsto nel 2013 per l’Emilia-Romagna una diminuzione reale del Pil pari all’1,4 per cento rispetto all’anno precedente (-1,8 per cento in Italia), tuttavia più contenuta rispetto al calo del 2,5 per cento rilevato nel 2012. Soltanto due mesi prima era stato prospettato un decremento più elevato pari all’1,6 per cento. Il quadro congiunturale è apparso pertanto relativamente più disteso, riflettendo indicatori che, pur mantenendosi negativi, lo sono stati in misura via via più attenuata, soprattutto per quanto concerne le attività dell’industria in senso stretto, che nel 2013 hanno rappresentato circa un quarto del valore aggiunto dell’Emilia-Romagna.
Alla diminuzione reale del Pil, stimata, come descritto precedentemente, all’1,4 per cento, si dovrebbe associare un andamento più negativo per la domanda interna, che è prevista in calo del 2,4 per cento, in termini tuttavia più contenuti rispetto a quanto avvenuto nel 2012 (-4,4 per cento).
E’ da sottolineare che il livello reale del Pil atteso per il 2013 è apparso inferiore dell’8,0 per cento rispetto a quello del 2007, quando la crisi derivata dai mutui statunitensi ad alto rischio era ancora in divenire. Nemmeno nel 2015 si riuscirà a uguagliare, quanto meno, il livello del 2007 (-5,5 per cento), a
3 Nel 2011 secondo dati Eurostat, nell’ambito dell’Unione europea l’Italia si trovava al settimo posto, con una percentuale del 42,8 per cento, superata da Finlandia (43,8 per cento), Austria (43,9 per cento), Svezia (45,0 per cento), Francia (45,7 per cento), Belgio (46,7 per cento) e Danimarca (48,6 per cento). Ultime Bulgaria (27,3 per cento), Lituania (27,7 per cento) e Lettonia (27,7 per cento). La media dell’Europa monetaria era attestata al 40,8 per cento.
dimostrazione di come la crisi più grave del dopoguerra abbia inciso pesantemente sugli output della regione, creando una profonda, e non ancora cicatrizzata, ferita nel tessuto economico della regione.
La formazione del reddito
Per quanto concerne la formazione del reddito, nel 2013 il valore aggiunto ai prezzi di base è stato stimato in calo, in termini reali, dell’1,1 per cento rispetto all’anno precedente, dimezzando la flessione del 2,2 per cento riscontrata nel 2012. La nuova diminuzione, dopo quella pesante del 2009 (-6,9 per cento) ha allontanato il riallineamento con la situazione ante crisi. Rispetto al 2007, il 2013 registra un deficit del 7,6 per cento e nemmeno nel 2015 si riuscirà a eguagliare, quanto meno, la situazione ante-crisi (-4,9 per cento), riecheggiando quanto precedentemente descritto in merito al Pil.
Tra i vari settori di attività che concorrono alla formazione del valore aggiunto, la situazione di maggiore difficoltà ha riguardato l’industria delle costruzioni per la quale è prevista una flessione in termini reali del 5,4 per cento, in peggioramento rispetto al calo del 5,1 per cento registrato nel 2012. E’
dal 2008 che ha avuto inizio la recessione. Tra quell’anno e il 2013 c’è stata una variazione media negativa del valore aggiunto pari al 6,8 per cento, largamente superiore al calo dell’1,3 per cento registrato nel totale delle attività economiche. La nuova riduzione reale del valore aggiunto edile è maturata in un contesto segnato dai ripetuti cali del volume d’affari (-5,7 per cento tra gennaio e settembre) e dal nuovo riflusso del mercato immobiliare, con conseguenze negative sulla compagine imprenditoriale attiva apparsa a fine novembre in diminuzione del 2,8 per cento rispetto a un anno prima e del 5,5 per cento nei confronti di novembre 2009.
Per restare in ambito industriale, quella in senso stretto, che comprende i comparti estrattivo, manifatturiero ed energetico, ha fatto registrare una diminuzione reale del valore aggiunto pari al 2,2 per cento, ma contrariamente a quanto osservato per l’industria delle costruzioni, c’è stato un andamento meno negativo rispetto a quanto emerso nel 2012 (-3,0 per cento). E’ da notare che nella stima di settembre era stato previsto un decremento del 2,3 per cento. C’è stata pertanto una “limatura” che ha recepito la progressiva attenuazione dei cali di produzione, fatturato e ordini rilevata dalle indagini congiunturali del sistema camerale e la concomitante accelerazione delle vendite all’estero.
Anche i servizi hanno evidenziato una diminuzione reale del valore aggiunto, ma in termini assai più sfumati (-0,5 per cento) rispetto a quanto prospettato per le attività industriali, oltre che in rallentamento rispetto all’andamento del 2012 (-1,5 per cento). E’ da sottolineare che, contrariamente a quanto osservato per l’industria, nel 2015 ci sarà un superamento, seppure lieve, del livello del 2007 (+0,5 per
Fig. 2.1.3 Prodotto interno lordo dell’Emilia-Romagna. Variazioni percentuali in termini reali sull’anno precedente. Periodo 1996 – 2015.
Fonte: elaborazione Centro studi e monitoraggio dell’economia e statistica Unioncamere Emilia-Romagna su dati Istat e Scenario economico previsionale Unioncamere Emilia-Romagna-Prometeia di novembre 2013.
-8,0 -6,0 -4,0 -2,0 0,0 2,0 4,0 6,0 8,0
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013* 2014* 2015*
'* previsioni 2013-2015
cento). I settori del terziario hanno insomma meglio resistito alla bufera del 2009 e alla nuova fase recessiva che ha afflitto il biennio 2012-2013. Tra i vari comparti del terziario, la riduzione reale più vistosa del valore aggiunto ha riguardato i servizi del commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni (-2,5 per cento), in misura tuttavia meno pronunciata rispetto al 2012 (-3,8 per cento). Il nuovo calo di questo eterogeneo gruppo si spiega, in parte, con l’andamento spiccatamente negativo delle vendite al dettaglio (-6,2 per cento nei primi nove mesi), dalla riduzione delle presenze turistiche e dal calo del fatturato delle piccole imprese di autotrasporto merci su strada (-3.2 per cento nei primi sei mesi). Altri vuoti sono inoltre emersi nella movimentazione passeggeri aeroportuale, penalizzata da aprile dalla chiusura dello scalo forlivese. Una maggiore tenuta è stata evidenziata dal comparto dell'intermediazione monetaria e finanziaria, attività immobiliari e imprenditoriali, il cui valore aggiunto è diminuito di appena lo 0,3 per cento, in frenata rispetto al calo dell’1,1 per cento del 2012. Segno positivo, l’unico tra i rami di attività che hanno concorso alla formazione del valore aggiunto, per le altre attività di servizi (+1,3 per cento). Questo comparto è stato il solo che non ha risentito della “frattura” imposta dalla crisi dei mutui subprime, registrando nel 2013 un livello reale superiore del 5,8 per cento a quello del 2007.
L’impiego del reddito. Consumi e investimenti.
La pronunciata diminuzione della domanda interna ha riflesso gli andamenti dello stesso tenore di consumi e investimenti. Nel 2013 la spesa delle famiglie ha risentito della riduzione della capacità di spesa, evidenziando una flessione del 2,1 per cento rispetto all’anno precedente, la più elevata degli ultimi vent’anni dopo quella, prossima al 4 per cento, registrata nel 2012.
La crescita dei senza lavoro e degli ammortizzatori sociali, con conseguente decurtazione degli emolumenti, ha generato un clima di profonda incertezza poco favorevole alle spese, replicando di fatto la situazione del 2012.
Anche i consumi delle Amministrazioni pubbliche e Istituzioni sociali private hanno contribuito a deprimere la domanda interna (-0,4 per cento), consolidando la tendenza negativa in atto dal 2010.
Dati ancora più negativi per gli investimenti fissi lordi, che sono apparsi in calo per il terzo anno consecutivo (-5,3 per cento). Se si estende il confronto alla situazione del 2007, prima che la crisi derivata dai mutui subprime cominciasse a manifestarsi, si ha un “crollo” del 25,1 per cento.
L’acquisizione di capitale fisso è rimasta pertanto su livelli assai contenuti, dovuti alla profonda incertezza legata ai tempi della ripresa, ai margini di capacità produttiva inutilizzata, che la forte diminuzione dell’output generata dalla crisi del 2009 ha provveduto ad ampliare, e alle obiettive difficoltà di accesso al credito, con banche sempre più caute nel concedere finanziamenti, causa il perdurare della recessione.
Secondo una indagine della Banca d’Italia, effettuata tra settembre e ottobre, oltre la metà delle imprese industriali dell’Emilia-Romagna ha confermato per il 2013 una spesa in linea con quella programmata alla fine del 2012, che già implicava un calo dell’accumulazione, mentre un terzo ha segnalato una revisione
Secondo una indagine della Banca d’Italia, effettuata tra settembre e ottobre, oltre la metà delle imprese industriali dell’Emilia-Romagna ha confermato per il 2013 una spesa in linea con quella programmata alla fine del 2012, che già implicava un calo dell’accumulazione, mentre un terzo ha segnalato una revisione