Forma, linguaggio, figura
3. D ARE FORMA ALL ’ ESISTENZA
3.3 Uso formale della vita
Frutto di un attento lavoro di fusione di diversi articoli pubblicati tra il 1964 e il 1965,
Mandato degli scrittori e fine dell’antifascismo rappresenta – insieme ad Astuti come colombe
– il centro di massa attorno al quale gravitano gli scritti più o meno organici di Verifica dei
44 H. Marcuse, Eros e civiltà, cit., p. 30.
45 Sulla stessa critica della riduzione della poesia a tema, si veda la risposta di Fortini all’inchiesta su
«letteratura e industria» promossa dal «Menabò», dove l’autore poteva dichiarare che «l’industria non è un tema, è la manifestazione del tema che si chiama capitalismo», cfr. Astuti come colombe, VP, p. 53 (c. vo dell’autore).
46 H. Marcuse, Eros e civiltà, cit., p. 138; si ricordi, come osservato sopra, che Fortini aveva letto il libro in
versione inglese, acquistato nel 1955 a Londra.
poteri,48 volti ad affermare, cadute le concrete istanze “rivoluzionarie” e rifiutati con
fermezza i dogmi della nuova società, non altro che la difesa ultima della poesia.49
Malgrado la costante diffidenza di Fortini nei confronti di un’espressione poetica svincolata dalla coscienza di un’azione pratica sul mondo, la scrittura in versi non viene mai del tutto rimossa dal suo universo simbolico, mai definitivamente esclusa dalla dimensione pratica dell’esistere; essa viene al contrario assunta al fine di mantenere aperta una dialettica che esibisce costantemente la sua contraddizione («La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi» sono i versi conclusivi del suo componimento più celebre).50 Un breve accenno alla genesi della terza parte del saggio intitolata Al di là del mandato sociale potrebbe risultare utile per comprendere il mutamento che si concretizza
nel corso della stesura dello scritto più denso di Verifica dei poteri e che si esprime soprattutto nella variazione del titolo dello stesso intervento presentato in due riviste. Dopo aver pubblicato una parte del saggio nel ’64 sui «Quaderni Piacentini» – Mandato
degli scrittori e limiti dell’antifascismo. III La fine del mandato sociale – accompagnata da una
breve premessa che svolge la funzione di raccordo delle argomentazioni precedenti, Fortini rielabora l’intervento nell’anno successivo e lo presenta, con una serie di varianti, su «Rinascita» con il titolo che sarà poi quello definitivo, ovvero Al di là del mandato sociale. Il superamento dell’atmosfera luttuosa, direi quasi escatologica del primo titolo – si percepisce, in definitiva, l’aria della fine di un mondo, quello delle lettere –, dovrà quantomeno essere rilevato, se non interamente problematizzato, alla luce della forma
mentis di Fortini, la cui scrittura rimane aperta in un movimento verso una meta,
caratterizzato da un attento lavoro di pianificazione e di indagine degli strumenti a disposizione dell’intellettuale nel presente, soprattutto tra i meno immediati o nascosti o screditati dall’opinione comune. A differenza dei precedenti scritti di Verifica dei poteri – in particolare, rispetto alle prime due parti di Mandato degli scrittori o ad Astuti come
48 VP, p. 130; cfr. nota in SE p. 1763: c) Al di là del mandato sociale: risulta dalla fusione, con varianti, di due
articoli, Mandato degli scrittori e limiti dell’antifascismo. III La fine del mandato sociale, «Quaderni Piacentini» III, 17-18, luglio-settembre 1964, pp. 5-10, e Al di là del mandato sociale, «Rinascita», XXII, 11, 13 marzo 1965.
49 A. Asor Rosa, L’uomo e il poeta, cit., p. 127: «A leggerla tra le righe, l’intera argomentazione di Verifica dei poteri cerca soltanto questo»; nell’articolo di Asor Rosa del ’65, tale difesa assume tuttavia i connotati di «risorsa da disperati, cui importa assai più la sopravvivenza del proprio credo che l’adesione ad un movimento reale di lotta».
colombe –, al moto critico/distruttivo si sostituisce adesso un carattere «paradossalmente
propositivo».51
Sul finire degli anni Cinquanta, e dunque in seguito all’esperienza dei Dieci inverni, l’impegno più esplicitamente militante di Fortini risulta in un certo senso ridotto, mentre si intensifica – come vedremo – la produzione a carattere letterario. Durante questi anni di “crisi” operativa, la dimensione estetica si presenta per Fortini come uno spazio ultimo di contestazione e di paziente addestramento, a partire dal quale riflettere – lungi dalle illusioni avanguardistiche – sulla direzione politica dell’uomo nella società. In una lettera a Noventa dell’11 marzo 1958 riportata da Lenzini nella cronologia del “Meridiano”, Fortini poteva scrivere:
Io ho tagliato accuratamente tutti i miei “legami”; o altri li ha tagliati per me. Lasciato il PSI, lasciati gli amici di “Ragionamenti”, sono, come forse sono sempre stato o avrei dovuto essere, persona privata; ch’è forse uno dei modi più persuasivi di esser persona pubblica.52
L’opposizione tra pubblico e privato – e dunque tra biografia e destini generali, tra anima e storia – rappresenta un punto delicato sul quale bisognerà tornare a riflettere; oggetto, come vedremo fra poco, delle più decise obiezioni rivolte al poeta in seguito alla pubblicazione di Verifica dei poteri e, in particolare, del saggio più corposo di cui intendo occuparmi in queste pagine. Accogliendo la lezione fortiniana sulla critica letteraria, integrata con la strategia del «buon uso della distanza» sopra descritta, si tratterà di verificare la possibilità dell’opera di poesia di indicare, col suo processo di formalizzazione, un’azione politica rivoluzionaria intesa come continua proposta di mutamento delle condizioni reali.
Bisognerà in primo luogo storicizzare il saggio di Verifica dei poteri, al fine di evitare di fornire, in questa prima parte del lavoro, una semplice galleria di motivi teorici separati dall’evoluzione delle forme nella storia. In una delle sue ultime interviste del 1993, Fortini ricordava di aver «abbastanza presto avvertito che l’aspetto storico-sociale della poesia non coincideva con quella che allora fu considerata la poesia engagée»:
51 D. Balicco, Non parlo a tutti. Franco Fortini intellettuale politico, cit., p. 181. 52 SE, p. CVIII.
La scelta di Éluard e Aragon fu proprio questa. C’era una poesia éluardiana engagée, ma non aveva niente a che fare col tipo di engagement di altro genere. Da allora, inoltre, ho sempre pensato, con Adorno, che la poesia contenga un elemento eversivo non nei suoi contenuti, ma nella sua forma. Il cantore un tempo, dopo aver allietato il signore con i suoi versi, passava la notte in una squallida osteria come il resto della servitù, perché questa era la sua posizione sociale.53
Tramontata la possibilità di una reale incidenza dello scrittore sulla realtà e insieme conclusosi in Italia il processo di trasformazione della letteratura a prodotto per élites consumatrici sia in campo editoriale sia, con una parziale inversione di rotta, nella critica letteraria,54 diventava necessario per l’intellettuale interrogarsi su un’alternativa reale da
opporre all’ormai inattuale ritorno al mandato sociale e «allo stato che il movimento operaio volle conferire allo scrittore». Il paesaggio culturale italiano si presentava, agli occhi del poeta, attraversato da una serie di tensioni: la ormai perfetta coincidenza tra industria e società, il cui progetto era stato intrapreso quasi due secoli prima; la scomparsa, al limite dell’invisibilità, di una via – «che era parsa difficile ma chiara» – a una gestione socialista della vita comune; il restringimento dello spazio tra «parere ed essere» che imponeva quasi il dovere di «consumare quanto rimane di vita nella recognizione d’una superficie apparentemente compatta e senza appigli, dove si può soltanto vivere ma che toglie ogni significato a ogni specie di morte».55
La stessa operazione del linguaggio sulla realtà suggerita dai più intelligenti formalismi, seppur capace di contestare con la sua nuda presenza la realtà, risultava per Fortini «mai responsiva ma solo interrogativa», e quindi inadatta a restituire allo scrittore la visibilità di una funzione sociale, di intessere cioè un rapporto serio con il movimento operaio, le associazioni e, più genericamente, con la dimensione collettiva di una società che doveva adesso farsi carico di condurre un’azione dal basso per contrastare il nuovo potere egemonico. In altre parole, era diventato quasi impossibile intravedere quell’orizzonte futuro caratteristico della profezia.56
Di fronte alla completa svalutazione delle lettere, unita all’apparente impossibilità dell’azione politica – apparente poiché la crisi delle ideologie non è altro che un «cedimento catastrofico, a partire dagli intellettuali, di fronte ad una pressione ben
53 UDI, p. 736.
54 Cfr. Istituzioni letterarie e progresso del regime, in VP pp. 69-76. 55 VP, p. 169.
orchestrata dai detentori del potere, nazionali ed internazionali»57 – le conclusioni più
immediate volgevano tutte alla dichiarazione frettolosa di una morte dell’arte (non nel senso hegeliano del termine, di «momento dello Spirito»); o, tutt’al più, verso una sua “morte-e-trasfigurazione”, cioè il recupero delle forme di comunicazione di massa, non dimenticando ma sottovalutando che il vero moltiplicatore delle comunicazioni di massa restava nella formazione perpetua di prodotti per élites, anzi di élites consumatrici.58
All’interno di questa prospettiva, appariva pressoché inutile distinguere tra letteratura di denuncia, sperimentazione e appello alla novità. Si trattava piuttosto di scansare il facile fraintendimento di una perfetta coincidenza tra linguaggio e realtà – prospettiva abbracciata dalle avanguardie ma osteggiata da Fortini, dal momento che la parola non è la cosa, la letteratura non è la vita –, per utilizzare viceversa l’opera letteraria nella sua possibilità di «strutturare un organismo comunicativo complesso a partire da più intenti, vari quanto a grado di chiarezza cosciente, rivolti sia all’interno che all’esterno della comunicazione che li unifica».59
Se l’illusione delle avanguardie era stata quella di aver creduto possibile la salvaguardia del rapporto tra progresso politico-sociale e progresso delle forme espressive, Fortini ha ben chiaro che una perfetta coincidenza tra linguaggio e realtà provoca il più grande equivoco dell’arte, giacché «il mondo non è solo un testo».60 Ciò non toglie, tuttavia, che
l’innovazione stilistica poteva essere posta – almeno per il Fortini degli anni Cinquanta e Sessanta – in relazione alle trasformazioni sociali; tutt’al più bisognava precisare che il loro rapporto si costituiva nei “tempi lunghi” (vedremo più avanti di esaminare questa riflessione sullo sfondo delle ipotesi di una metrica accentuale). Insomma, secondo Fortini:
a qualunque livello si sechi l’oggetto poetico, minimo è diventato il grado di traducibilità dell’opera dall’ordine suo proprio a quello di conoscenza per-la-prassi. È diventato, vale a dire non sempre è stato così; perché sempre più larga è diventata la zona di attiva mistificazione sociale e sempre più difficile un uso tendenzialmente universale della verità poetica.61
57 UGA, p. 341.
58 VP, p. 170.
59 VP, p. 385; cfr. anche Opus servile, SE, p. 1641. 60 UDI, p. 630 e ss. (cfr. infra, 10.3).
La nuova società capitalistica inglobava – in termini socioeconomici e simbolici – l’universalità di valore della poesia, eliminando il valore negativo incarnato nella forma, ora assorbito all’interno del suo stesso meccanismo produttivo, in grado cioè di garantirle un’egemonia nutrita dalla stessa contestazione.62 Di fronte a questo panorama “a una
dimensione” la possibilità di fare poesia o rientrava per intero nella sfera privata o portava a compimento appena qualche onorevole servizio ideologico. Nel migliore dei casi – com’è possibile secondo Fortini osservare nell’ultima produzione brechtiana – la poesia mischia le due cose, «tanto più anzi, quanto più si veste di allusione alla storia»: un invito a considerare l’elemento biografico all’interno del movimento storico, a dispetto delle critiche che Asor Rosa rivolgerà allo scritto e che a breve verranno presentate in queste pagine.63
Il processo dell’industria culturale avrebbe trasformato anche la poesia in un prodotto linguistico atto alla sola comunicabilità, al consumo. Denunciando una separazione fra letteratura-fatto e poesia-valore – risolta nell’equazione “poesia uguale letteratura uguale linguaggio” – veniva eliminato, secondo Fortini, il momento negativo necessario a preparare una liberazione del “soggetto con gli altri” dal potere egemonico. La forza rivoluzionaria della poesia doveva allora tradursi in un atto di negazione dello stesso grado di poeticità, dal momento che non si orienta un ethos tramite la sola attività poetica, ma si dà forma all’esistenza effettuando scelte connesse a strutture e a organizzazioni; scelte etiche e politiche che, come vedremo, l’autore aveva già posto in relazione, qualche anno prima, alle «varianti» e alle soluzioni adottabili tra infinite possibilità di scrittura, in riferimento a un passato già formato e a un futuro da formare.
Un approccio analogo era stato adottato da Fortini per la forma-saggio, come dimostrano gli articoli raccolti nel suo primo volume di interventi, Dieci inverni (1957). Tuttavia, a differenza della saggistica, la poesia non sembra in apparenza possedere i caratteri di un discorso interlocutorio. Mentre «la prosa saggistica o critica crede di fatto o finge di credere ad una società presente e futura di destinatari; la poesia, buona o cattiva […], non crede o appena finge»,64 pur sempre rimanendo all’interno di un orizzonte attivo
62 «La vecchia affermazione, sulla quale era parso facile sorridere, essere il capitalismo necessario nemico
dell’arte, va così interpretata: la poesia appartiene necessariamente ad un ordine di valori analogo a quello cui l’ordinamento capitalistico fa sistematico, organizzato e inevitabile impedimento», VP, p. 172 (c. vo dell’autore). 63 A. Asor Rosa, L’uomo, il poeta, cit., pp. 121-122.
di storicità. Il «muori e diventa» del Selige Sehnsucht di Goethe avrebbe potuto spiegare allora secondo Fortini il significato più autentico della poesia, che deve negare se stessa e la sua forma per porsi come strumento rivoluzionario all’interno di una storicità non progressiva. In un’intervista pubblicata sull’«Avanti!» nel 1966 Fortini poteva su questa linea dichiarare:
Se qualcosa abbiamo imparato negli ultimi vent’anni è, credo, proprio il rigore del rapporto fra poesia e ideologia o, diciamo, tra poesia e «visione del mondo»; le sue contraddizioni necessarie, la sua utilità. Tuttavia – per quanto è delle opinioni o tendenze o mode – è accaduto, negli ultimi dieci anni, un curioso rovesciamento di posizioni. Mi spiego. Tutta la polemica condotta – da me e da non troppi altri – dall’immediato anteguerra fin verso il 1955 contro l’idea di poesia (pseudo- aristocratica, castello interiore, esercizio ascetico, illusione di canto, eccetera) del quindicennio precedente; tutta la polemica contro lo spiritualismo lirico che gabellava per antifascismo la propria ripugnanza della storia, tendeva a mettere in chiaro che la poesia è anche cultura, che anche la poesia è cultura, ossia conoscenza, pensiero, scelta, storicità.65
Ridurre la poesia e la letteratura a fatto testuale – a semplice «informazione come un’altra»,66 come voleva una certa epistemologia di ordine empirista – significava
appiattire di conseguenza la loro dimensione storica, assecondando i dogmi libertari di una nuova società tecnocratica che incentivava l’annullamento del rapporto tra l’espressione e l’ipotetico – e, perché no, utopico – avvenire rivoluzionario, trasformando in ultima istanza l’estetico in prodotto-merce. Compiuto questo percorso di specializzazione dell’espressione a fatto linguistico, al poeta che non intendeva abbandonare il nesso tra poesia e valore non restava che osservare a viso scoperto i modi culturali esistenti, e ad essi opporre un’alternativa scaturita dalla messa in luce del processo di degradazione della vita offesa. Sul versante epistemologico, tale burocratizzazione del sapere ridotto a testualità viene “inconsciamente” associata da Fortini alle tendenze dello strutturalismo:
Ma quelle che gli psicanalisti chiamano ‘resistenze’ erano in me così forti (e ancora lo sono), che ero (e sono) certo che lo strutturalismo, nel suo complesso, come metodo di interpretazione delle opere letterarie, sia stato anche uno strumento
65 La crisi dell’ideologia? Un’invenzione di chi rinuncia, UDI, p. 87; la stessa intervista è presente in UGA,
pp. 339-341.
ideologico di quello che i francofortesi hanno chiamato “l’universo amministrato” e del tecnoscientismo.67
Formalismo prima e strutturalismo dopo avevano elaborato epistemologie antistoricistiche – o al massimo, secondo Fortini, storicistiche senza finalismo –, negando il movimento reale del linguaggio nella storia, che rimaneva al contrario isolato da ogni contaminazione, ridotto a specialismo. L’espressione poetica finiva allora per essere esclusa dall’intervento diretto nella trasformazione del reale, relegata a circoli, convegni o tempo libero «nella restaurata fiducia, bancaria, che piacere, lettura, sapere e saggezza fossero pur sempre là, accanto alle sigarette e allo scaffale, attingibili».68 In questo nuovo
orizzonte culturale, l’uso letterario della lingua finiva per essere appiattito alla semplice comunicazione, lasciando fuori quella formalizzazione che poteva disporsi come metafora di un modo di essere degli uomini:
Se poesia e arte diventano, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo, “forma” e “struttura”, ciò è proprio in quanto appaiono come “seconda natura” cioè come l’unico agire che la sclerosi della reificazione non abbia apparentemente invaso; conferma della spettrale legittimità delle teorie formaliste. Ma la tradizione umanista, che Lukács esemplificherebbe nei nomi di Goethe e di Hegel, introduce nella prospettiva marxista, come fine del comunismo, la fine (o per meglio dire la conservazione-superamento) della alienazione, la restituzione dell’uomo a se stesso, insomma la capacità, individuale e collettiva, di fare sempre più se stessi, di autodeterminarsi, di formare passato, presente e avvenire.69
Come già abbiamo potuto osservare dalle lettere a Spitzer e dalla lettura dell’Über allen
Gipfeln di Goethe,70 l’opera d’arte come valore possiede per Fortini il merito di agire come
facoltà formatrice sulla vita: essa permette cioè di organizzare l’esistenza a partire dalla
67 LS, p. 64.
68 MB, p. 42. È possibile ipotizzare nel testo un riferimento all’incipit di Se una notte d’inverno un viaggiatore
di Calvino, pubblicato l’anno precedente alla conferenza di Fortini discussa a Ginevra: «Regola la luce in modo che non ti stanchi la vista. Fallo adesso, perché appena sarai sprofondato nella lettura non ci sarà più verso di smuoverti. Fa’ in modo che la pagina non resti in ombra, un addensarsi di lettere nere su sfondo grigio, uniformi come un branco di topi; ma sta’ attento che non le batta addosso una luce troppo forte e non si rifletta sul bianco crudele della carta rosicchiando le ombre dei caratteri come in un mezzogiorno del Sud. Cerca di prevedere ora tutto ciò che può evitarti d’interrompere la lettura. Le sigarette a portata di mano, se fumi, il portacenere», Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino 1979 ora in Id., Romanzi e racconti, t.2 a cura di Mario Barenghi, Bruno Falcetto, Mondadori, Milano 1992, p. 614.
69 VP, p. 176-177. 70 cfr. supra, 2.3.
meta, guardando a un orizzonte che si scopre con la poesia, che non si arresti alla sua contemplazione estetica e faccia anzi della vita il vero centro di contestazione. La formalizzazione della vita tramite la poesia come profezia metaforica o metafora profetica non deve d’altra parte essere intesa come una proposta reazionaria o conservatrice, ovvero nei termini di un formalismo borghese che relega la funzione poetica in un universo dove persistono solo forme e strutture immutabili. A tal proposito, è bene chiarire l’effettiva distinzione tra un significato della forma in quanto tale e il significato della forma in quanto forma di un dato contenuto:
(La dialettica di forma ed esistenza – o contenuto – ci rammenta che ogni forma è forma di qualcosa, che a sua volta ha una sua forma). Quando si dice che «la classe rivoluzionaria, in quanto matrice della società avvenire, porta la verità poetica» e che «quel suo moto ha una sua legge interna, organizza il proprio [rischio] secondo una metrica» si vuole dire che anzitutto l’arte e la poesia […] in quanto organizzazioni specifiche della forma sono propriamente privilegiate, o meglio che l’uso della forma artistica è inseparabile dalla disponibilità di un uso formale della vita.71
Cosa significa nello specifico che l’opera di poesia è metafora profetica della
formalizzazione della vita? Secondo Fortini, gli elementi che compongono l’opera artistica
stanno fra loro in rapporti definiti e stabiliscono nell’insieme un sistema di tensioni dalle più semplici alle più complesse. Nel breve testo dell’Ospite ingrato citato a conclusione del primo capitolo – Di tutti a tutti – l’autore dichiarava l’impossibilità di separare l’espressione artistica dai cambiamenti socioeconomici di un tempo dato nella storia degli uomini. Più avanti, sulla stessa direzione, dirà che:
è impossibile e suicida separare le condizioni della scrittura e della lettura dalla riproduzione materiale della esistenza biologica, dunque dal principio di realtà o, per essere meno chiari ma più allusivi, dai modi e dai rapporti di produzione. Ho sempre