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L'uso politico del mito garibaldino: "Garibaldi scelse la monarchia" (1958)

3. Ester Lombardo nella vita politica: dalla caduta del fascismo all'Italia repubblicana

3.4 L'uso politico del mito garibaldino: "Garibaldi scelse la monarchia" (1958)

«Configurandosi come uno snodo cruciale nella vita pubblica italiana per almeno un secolo, il dibattito sul Risorgimento – scrive Massimo Baioni – ha avuto implicazioni che hanno investito il campo dell'identità storiografica, politica e culturale del paese. Il Risorgimento non è stato soltanto il naturale serbatoio delle variegate politiche di pedagogia nazionale avviate all'indomani dell'Unità.

Nei momenti di passaggio più laceranti della storia postunitaria la tendenza a volgere lo sguardo all'indietro, interrogandosi sull'atto fondativo dello Stato nazionale, è scattata come un'esigenza impellente. E nessuno si è sottratto»709. Il mito di Garibaldi, frutto di un'operazione culturale durata diversi decenni, venne usato così da forze politiche opposte, da appena dopo la morte, fino alle prime legislature dell'Italia repubblicana. Molti partiti e movimenti politici si appropriarono nel tempo dell'immagine e delle parole del Generale. Ester Lombardo, dunque, scrivendo Garibaldi scelse la monarchia710 – saggio politico, testo di un intervento che ella tenne nel 1957 ad una conferenza organizzata dal Fronte Giovanile dell'Unione Monarchica Italiana – si inseriva in una tradizione ben consolidata. La giornalista, di fede monarchica, voleva dimostrare che l'eroe dei due mondi711 aveva voluto la monarchia per l'Italia e l'avrebbe scelta per sempre. Quando Ester Lombardo, invitata a parlare di Garibaldi ai giovani monarchici, ne diede questa interpretazione, Garibaldi – che "scelse", a seconda dei momenti e delle parti politiche, il nazionalismo, l'interventismo, l'antifascismo e il fascismo, di essere partigiano comunista e di schierarsi con il Fronte democratico popolare – era divenuto da generazioni patrimonio della collettività712.

709 M. Baioni, Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell'Italia fascista, Carocci, Torino, 2006, p. 5.

Dello stesso si faccia anche riferimento a Risorgimento conteso. Memorie e usi pubblici nell'Italia contemporanea, Diabasis, Reggio Emilia, 2009. Per un quadro esaustivo sulla storiografia riguardante il Risorgimento si faccia riferimento a M.L. Betri (a cura di), Rileggere l'Ottocento. Risorgimento e nazione, Carocci, torino, 2010; E. Capuzzo (a cura di), Cento anni di storiografia sul Risorgimento, Atti del LX Congresso di storia del Risorgimento italiano, Rieti 18-21 ottobre 2000, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma, 2002.

710 E. Lombardo, Garibaldi scelse la monarchia, Edizioni F.M.G., Roma, 1958.

711 La bibliografia su Giuseppe Garibaldi è molto vasta, per un quadro biografico cito tra gli altri: F. Della Peruta, Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento, Franco Angeli, Milano, 1989, pp. 285-307; P. Del Negro, Giuseppe Garibaldi fra guerra e pace, Unicopli, Milano, 2009; M. Degl'Innocenti, Garibaldi e l'Ottocento: nazione, popolo, volontariato, associazione, Piero Lacaita Editore, Manduria, 2008; M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito: storia e mito di un rivoluzionario disciplinato, Donzelli, Roma, 2007; S. La Salvia, Garibaldi, Giunti & Lisciano Editori, Firenze, 1995; M. Milani, Giuseppe Garibaldi. Biografia critica, Mursia, Milano, 1982; F. Pappalardo, Il mito di Garibaldi. Vita, morte e miracoli dell'uomo che conquistò l'Italia, Piemme, Alessandria, 2002; L. Riall, Garibaldi:

l'invenzione di un eroe, Laterza, Roma, 2007; A. Scirocco, Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Laterza, Roma-Bari, 2001; A. Tola, Giuseppe Garibaldi, Burgo, Bergamo, 2000. Sul rapporto tra monarchia e Risorgimento si veda F. Mazzonis, La Monarchia e il Risorgimento, Il Mulino, Bologna, 2003, tuttavia nel saggio viene messa in evidenza più l'azione politica di Vittorio Emanuele II e Umberto I che il rapporto tra i sovrani e i protagonisti del Risorgimento.

712 Sul mito di Giuseppe Garibaldi tra la Prima guerra mondiale e le elezioni politiche del 18 aprile 1948 si vedano R.

Certini, Il mito di Garibaldi. La formazione dell'immaginario popolare nell'Italia unita, Unicopli, Milano, 2000, pp.

158-164; M. Isnenghi, Usi politici di Garibaldi dall'interventismo al fascismo, in F. Mazzonis (a cura di), Garibaldi condottiero. Storia, teoria e prassi, Atti del convegno (Chiavari 13-15 settembre 1982), Franco Angeli, Milano, 1984, pp. 533-544; M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito. Il mito, le favole, Donzelli, Roma, 2010; P. Laurano, Consenso e politica di massa. L'uso del mito garibaldino nella costruzione della nazione, Bonanno editore, Acireale-Roma, 2009; P.

Garibaldi era morto nel 1882, la leggenda era viva, il mito conosceva nuovi sviluppi. Il corpo garibaldino continuava ad operare nel solco di una tradizione che lo voleva presente ovunque ci fosse bisogno di sostenere movimenti di liberazione popolare. Alcuni garibaldini parteciparono alla liberazione di Creta dal dominio turco, altri presero parte alle guerre balcaniche, altri in seguito, volontari, si misero a servizio della Francia, nella regione delle Argonne, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Gradualmente, al carattere democratico e universale che caratterizzava le prime esperienze garibaldine si andavano sostituendo tratti violenti e dimostrazioni di forza. Garibaldi diventava un simbolo. Gli interventisti lo presero come icona nella guerra contro l'Austria-Ungheria per liberare Trento e Trieste713. Più tardi il fascismo considerò Garibaldi uno dei padri fondatori della Patria, sfruttando così il fascino che l'eroe di Nizza esercitava sulle masse: «Il ricorso a Garibaldi per stabilire nuovamente una connessione fra il militarismo e l'unità nazionale portò, a sua volta,– scrive Lucy Riall – all'appropriazione della sua figura da parte dei fascisti di Mussolini, nel contesto del loro tentativo di cooptare il Risorgimento e di riscriverlo in un'ottica che lo trasformava in una propria storia di fondazione. Fu così realizzato un tentativo di «fascistizzare» Garibaldi, mettendo in evidenza la continuità fra le sue azioni e quelle di Mussolini.»714. Benito Mussolini, che fin dalla marcia su Roma aveva visto nella sua avanzata la ripresa della marcia delle Camicie rosse, anni dopo sottolineava ancora la continuità tra queste e le camicie nere: «Mi piace sperare che Garibaldi riconoscerebbe la discendenza delle sue camicie rosse nei soldati di Vittorio Veneto e nelle camicie nere che da un decennio continuano sotto forma ancora più popolare e più feconda il suo volontarismo»715. Intanto al di là delle Alpi, a Parigi, le Avanguardie Garibaldine, fondate già nel 1923 per mano di Ricciotti, nipote dell'Eroe, stavano assumendo un più netto carattere antifascista, progettando, tra le altre cose, una spedizione armata di volontari in Italia per suscitare un moto di rivolta in grado di abbattere il regime fascista, mai realizzata716. Il Condottiero da questa parte veniva descritto come colui che aveva lottato per la libertà dei popoli e che si era sacrificato per il bene della patria. In Francia si trovavano la maggior parte degli esponenti antifascisti che nel 1927 si riunirono nella Concentrazione antifascista, organizzazione che raccoglieva principalmente esponenti del Partito socialista italiano, del Partito socialista dei lavoratori e del Partito repubblicano. A Parigi, per un breve periodo, fu anche Piero Gobetti che sviluppava la sua critica al

Laurano, Garibaldi fu sfruttato. Uso e abuso di un'icona nazionalpopolare, Effequ, Orbetello, 2010; L. Riall, Garibaldi: l'invenzione di un eroe, cit., pp. 472-479.

713 Sulle prime esperienze dei garibaldini si veda P. Laurano, Consenso e politica di massa, cit., in particolare pp. 41-51.

714 L. Riall, Garibaldi, cit., p. XVII.

715 B. Mussolini, Scritti e discorsi, VIII, Hoepli, Milano, 1934, p. 63, citato in C. Pavone, Le idee della Resistenza.

Antifascisti e fascisti di fronte alla tradizione del Risorgimento, in Id., Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, pp. 3-69, la citazione è a p. 7. Per uno studio specifico sul legame tra Risorgimento e fascismo si veda M. Baioni, Risorgimento in camicia nera, cit.

716 Sulle Avanguardie Garibaldine si veda S. Fedele, Tradizione garibaldina e antifascismo italiano, in G. Cingari (a cura di), Garibaldi e il socialismo, Laterza, Roma-Bari, 1984, pp. 249-257.

Risorgimento individuando proprio nella classe dirigente risorgimentale la causa del fascismo in Italia: le classi popolari non avevano partecipato alla rivoluzione risorgimentale e così la mancanza della lotta politica era diventata la causa principale dei mali italiani717: «Nel Risorgimento – spiega Claudio Pavone – Gobetti distingueva una parte da rilanciare e una da espungere. [...] Giungeva a stabilire quasi una filiazione del fascismo dal garibaldinismo, tramite il partito repubblicano»718. Su posizioni simili nasceva sempre a Parigi il movimento antifascista di Giustizia e Libertà719 che, fondato nel 1929 da Emilio Lussu e Carlo Rosselli, punto di incontro tra socialisti e liberali, fu il primo ad usare l'espressione «secondo Risorgimento», infatti – scrive ancora Claudio Pavone –

«Risultava comunque evidente che l'antifascismo non poteva non fare i conti con il Risorgimento»720. L'espressione, in verità molto dibattuta, allora ed in seguito, sottolineò in primo luogo un distacco – se il primo Risorgimento era stato ufficiale e moderato, il secondo, impegnandosi nella lotta al fascismo, doveva avere carattere popolare, doveva essere un'azione di popolo721 – poi, quando si indicherà con «secondo Risorgimento» il biennio 1943-45, si metterà in evidenza il legame tra Risorgimento e Resistenza «entrambe insurrezioni patriottiche di ribellione allo straniero ed espressione della volontà di una propria libera organizzazione politica, nate spontanee e poi organizzate politicamente e militarmente»722. Il Risorgimento però continuava ad essere conteso, centro di critiche o rivisitazioni: nel 1932 il duce sfruttava efficacemente le celebrazioni per il cinquantenario della morte di Garibaldi descrivendolo come un uomo nobile d'animo, ma sopratutto come un infaticabile agricoltore e allevatore; nel 1935 trasformava in Istituto la Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano, fondata nel 1907, e la affidava alla presidenza di Cesare Maria De Vecchi, quadrumviro della marcia su Roma. Scrive Massimo Baioni: «Il tributo alla memoria garibaldina non poteva essere eluso da un regime che si proclamava sensibile alle tradizioni patriottiche e vantava a suo titolo di merito l'inserimento delle masse popolari nella vita dello Stato nazionale. Mussolini, oltretutto, doveva scorgere in Garibaldi l'unico altro personaggio della storia italiana nella cui immagine si rifletteva quella reversibilità – insieme ambigua e fascinosa – di ordine e ribellismo, autorità ed eversione: reversibilità di cui si alimentava

717 Si veda P. Gobetti, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero piemontese nel Risorgimento, Edizioni del Baretti, Torino, 1926.

718 C. Pavone, Le idee della Resistenza, cit., p. 23.

719 Sull'azione dei gruppi liberalsocialisti e sui protagonisti politici di Giustizia e Libertà e si vedano almeno P. Bagnoli, Piero Gobetti : cultura e politica in un liberale del Novecento, Passigli, Firenze, 1984; Id., Carlo Rosselli tra pensiero politico e azione, Passigli, Firenze 1985; Id., Carlo Rosselli: il socialismo delle libertà, Polistampa, Firenze, 2002; G.

De Luna, Storia del Partito d'Azione: 1942-1947, Milano, Feltrinelli, 1982.

720 C. Pavone, Le idee della Resistenza, cit., p. 29.

721 Si veda C. Rosselli, Socialismo liberale, edizioni di GL, Milano, 1944-45.

722 P. Laurano, Consenso e politica di massa, cit., p. 131. Per un quadro esaustivo sul dibattito riguardo l'espressione

"Secondo Risorgimento" si veda C. Pavone, Le idee della Resistenza, cit.

lo stesso mito mussoliniano»723. Lo stesso anno, il 1935, segnò un cambiamento di rotta all'interno del Partito comunista: il VII congresso dell'Internazionale comunista, svoltosi nel luglio del 1935, ritenendo opportuno promuovere un'alleanza con i vertici dei partiti e dei movimenti non comunisti, chiamava a privilegiare la tattica dei "fronti unici", l'unità del proletariato a tutte le forze antifasciste. Se in un primo momento Togliatti aveva giudicato il Risorgimento «un movimento stentato, limitato, rachitico», a cui non parteciparono le masse popolari e guidato da «uomini politici di provincia, intriganti di corte, intellettuali in ritardo sui loro tempi, uomini d'arme da oleografia»724 e valutava l'ideologia del nuovo Risorgimento strumentale rispetto all'ambizione politica di Giustizia e libertà, dopo il '35 anche il Pci dovette recuperare il mito di Garibaldi. Lo considerò un emblema utile per ridare fiducia al popolo e spingerlo all'azione: «Tutto ciò che vi fu di progressivo, di rivoluzionario nelle lotte del secolo scorso e di questo secolo – si leggeva su «Lo Stato Operaio» – appartiene al proletariato, è nostro! Noi continuiamo le lotte dei nostri nonni, proseguite dai nostri padri, contro gli oppressori d'Italia, per le libertà popolari»725. Il mito risorgimentale verrà così purificato dai significati che il regime gli aveva addossato per essere nuovamente usato durante la Resistenza. Nel novembre 1943 nascevano, su proposta di Luigi Longo, le Brigate Garibaldi che nel nome rievocavano l'epopea garibaldina, richiamavano alla continuità con la lotta che gli antifascisti avevano condotto nella guerra civile spagnola nelle fila della Brigata Garibaldi e, infine, ribadivano la volontà di non costituire «unità di partito – dichiarava lo stesso Luigi Longo – ma formazioni aperte a tutti i patrioti, qualunque fosse la loro fede politica o religiosa»726. I partigiani comunisti, che vedevano in Garibaldi, il primo partigiano italiano, tentavano attraverso la sua figura di far apparire la guerra come patriottica, ancor prima che rivoluzionaria, e di suscitare nella popolazioni uno spirito unitario contro il nemico nazi-fascista727. Il distintivo delle Brigate Garibaldi era una stella rossa a cinque punte con al centro l'immagine del Generale. Un simbolo simile sarà usato dal Fronte democratico popolare nelle elezioni del 18 aprile 1948: «Socialisti e comunisti – scrive Mario Isnenghi –, uniti in Fronte Popolare, partecipano alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 scegliendo ancora l'immagine di Garibaldi come insegna delle sinistre. È uno sviluppo in continuità con le scelte maturate durante l'antifascismo e la Resistenza, e

723 M. Baioni, Risorgimento in camicia nera, cit., p. 97. Dello stesso si veda anche Patriottismi in conflitto. Guerre di memorie e rifondazione dell'italianità (1914-1945), in S. Neri Serneri (a cura di), 1914-1945. L'Italia nella guerra europea dei trent'anni, Viella, Roma, 2016, pp. 209-222.

724 Ercoli [P. Togliatti], Fine della questione romana, in «Lo Stato Operaio», III, 1929, p. 128, citato in C. Pavone, Le idee della Resistenza, cit., p. 35.

725 Comitato centrale del Pci contro la guerra di Etiopia, Salviamo il nostro paese dalla catastrofe!, in «Lo Stato Operaio», IX, 1935, pp.241, citato in C. Pavone, Le idee della Resistenza, cit., p. 41.

726 L. Longo, Un popolo alla macchia, Mondadori, Milano, 1947, p. 120.

727 Per un approfondimento sulle Brigate Garibaldi si veda F. Omodeo Zorini, La formazione del partigiano. Politica, cultura, educazione nelle brigate Garibaldi, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, Borgosesia, 1990.

una dichiarazione di volontà politica, quella di porsi nel solco di un'interpretazione evolutiva delle dinamiche risorgimentali»728. La Dc però non cedeva al Fronte l'esclusiva dell'immagine, ormai universale, di Garibaldi: si ripeteva ancora una volta la disputa su un simbolo ormai carico di diversi significati. In un manifesto la Dc disegnava Garibaldi e il suo esercito nell'atto di cacciare e costringere alla fuga il nemico comunista, lo "straniero" Togliatti, al grido di «va fuori d'Italia, va fuori o stranier!»; in un altro ritraeva la faccia di Garibaldi che, rovesciata, si trasformava nel volto di Stalin e la domanda: «Viva il fronte democratico?»729. Anche il Partito repubblicano italiano appoggiato tra gli altri da Clelia, figlia di Garibaldi e Francesca Armosino, non esitava a proclamare la sua verità su Garibaldi. Fu la stessa Clelia a parlare ad un comizio a piazza Esedra: «La dolcissima vecchia – riporta «La Stampa» – si riposa tra una sillaba e l'altra quando il suo tema non è altro che un cortese saluto ai cittadini di Roma. Ma quando viene al centro del suo assunto, quando inveisce contro i comunisti che hanno assunto a simbolo l'effigie stessa di suo padre, allora grida veemente con terribile passione, allora l'energia la trasfigura: "Mio padre mai avrebbe consentito al comunismo! Mio padre no. Mio padre, cittadini di Roma, mio padre!". [...] Si sporgeva dalla balaustra tricolore dicendo ancora di suo padre: "Cari, cari, mio padre adesso vi benedice tutti perché il vostro, e solo il vostro, è il suo partito"»730.

Dopo il 1948 Garibaldi sembrava uscire dalla scena politica. Fuori dalla storia attuale iniziò ed essere considerato una figura da ristudiare storicamente, senza alterare o modificare il suo vissuto in base a convinzioni politiche o ideologiche: «Il Garibaldi reale fu però – scrive Umberto Levra – meno importante del personaggio leggendario, sempre più indefinito e aleggiante nei cieli della retorica, perché era il secondo, ben più del primo, utile ai fini della costruzione di un culto della patria, oltre – beninteso – all'uso contingente a cui si poteva prestare secondo le esigenze politiche del momento»731. Permanevano tuttavia nelle prime legislature alcune scie della sua ininterrotta appropriazione politica, in particolare all'interno dell'Unione monarchica italiana (Umi) che pubblicava il saggio del giornalista Ciro Manganaro, Garibaldi e casa Savoia732, e, qualche anno dopo, quello di Ester Lombardo, Garibaldi scelse la monarchia. «Fu soltanto nel 1961 – sostiene

728 M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito: storia e mito, cit., p. 201.

729 Sull'uso dell'immagine di Giuseppe Garibaldi da parte della Democrazia cristiana e sopratutto del Fronte democratico popolare durante la campagna elettorale per le elezioni del 18 aprile 1948 si vedano L. Cheles, Prestiti e adeguamenti cromatici: la propaganda politica del secondo dopoguerra, in S. Pivato, M. Ridolfi, I colori della politica.

Passioni, emozioni e rappresentazioni nell'età contemporanea, Centro Sammarinese di Studi Storici, Università degli studi della Repubblica di San Marino, Repubblica di San Marino, 2008, pp.183-206; E. Gelsomini, Le campagne elettorali della prima Repubblica, cit., pp. 65-66; M. Isnenghi, Garibaldi fu ferito: storia e mito, cit., pp. 200-201; E.

Novelli, Le elezioni del quarantotto, cit., pp. 38-39 e tavole corr.; M. Ridolfi, Storia dei partiti politici, cit., p. 133; M.

Ridolfi, Italia a colori, cit., pp. 60-64; A. Ventrone, Il nemico interno, cit., pp. 37-42 e 178-181.

730 v.g., É sceso sull'Urbe il silenzio dopo l'ultima giornata di passione, in «La Stampa», 17 aprile 1948, p. 1.

731 U. Levra, Fare gli italiani. Memoria e celebrazione del Risorgimento, Comitato di Torino dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Torino, 1992, p. 358.

732 C. Manganaro, Garibaldi e casa Savoia, Unione Monarchica Italiana, Udine, 1950.

Massimo Baioni – che il Risorgimento cominciò a dare segnali concreti di sbiadimento come icona dell'immaginario e fulcro dell'identità nazionale. Il centenario dell'Unità, peraltro sottotono rispetto al giubileo del 1911, segnò paradossalmente l'ultimo vero sussulto celebrativo. [...] Il turbolento e rapidissimo cambiamento della società italiana negli anni del miracolo economico proiettò i suoi effetti anche sul sistema identitario del paese»733.

Il percorso dei due giornalisti, volto, secondo lo spirito politico dell'Umi, a spronare gli italiani ad un ritorno dell'istituto monarchico, fu molto simile, a tratti sovrapponibile. Entrambi considerarono necessario, per ristabilire – secondo il loro punto di vista – un clima di obiettività rispetto all'eroe e alle sue gesta, spogliare il Condottiero delle vesti fattegli indossare dai repubblicani, dai socialisti e dai comunisti, rivendicandone invece l'anima monarchica: «Di fronte alle memorie sacre incitatrici di sempre più nobili ideali tramandateci da Giuseppe Garibaldi – scrive Ciro Manganaro – reca mestizia e tristezza considerare che i repubblicani storici, i socialisti e i comunisti si contendono la memoria dell'Eroe per bassa speculazione di parte. Fu però lo stesso eroe a smentire le affermazioni di parte che anche allora si levavano, per riaffermare, cavaliere del più puro e nobile ideale di patria, che solo la Monarchia dei Savoia può dare bene e salute alla Patria»734. Dal racconto delle imprese americane all'armistizio di Villafranca, dal convegno di Plombieres alla spedizione dei Mille, dalla promulgazione dello Statuto Albertino alla battaglia dell'Aspromonte, tutto è teso a dimostrare il forte legame tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Afferma ancora Ciro Manganaro: «Questi fu il cittadino esemplare, il Soldato valoroso, l'Uomo. Il suo nome è scritto nella storia della Patria accanto a quello di Vittorio Emanuele II e deve ravvivare di nuova fiamma il patriottismo. [...] Soltanto così potranno esser ricomposti i dissidi, potranno essere tutelati i diritti nazionali del Paese che un'eclisse di patriottismo e di italianità portò sull'orlo del baratro e qui ci fa restare da quel nefasto 2 giugno 1946, sessantaquattro anni dalla morte dell'assertore e del forgiatore dell'Unità, che privò l'Italia della gloriosa Casa Savoia»735. Dunque, quando Ester Lombardo fu chiamata a parlare di Garibaldi al centocinquantesimo anniversario dalla nascita, l'obiettività nei riguardi del Generale conteso e delle sue gesta si era persa da tempo: «Parlare di Garibaldi mi pare cosa non scevra di difficoltà» – affermava la stessa giornalista aggiungendo però – «Dirne male non si può. [...] Dirne bene è facilissimo»736. Ester Lombardo iniziò l'intervento narrando tutte le imprese americane di Garibaldi, fino ad arrivare al suo ritorno in Italia. Diretto a Palermo, dove era scoppiata la rivoluzione del 1848, sbarcò prima a Nizza e qui fece, sempre secondo la ricostruzione di Ester Lombardo, la sua

733 M. Baioni, Risorgimento in camicia nera, cit., p. 9.

734 C. Manganaro, Garibaldi e casa Savoia, cit., p. 20.

735 C. Manganaro, Garibaldi e casa Savoia, cit., p. 24.

736 E. Lombardo, Garibaldi scelse la monarchia, cit., p. 5.

prima dichiarazione monarchica: «Appena sbarcato sbalordì i mazziniani dicendo che non era repubblicano, ma italiano, pronto a versare ogni goccia di sangue per la causa italiana ed anche per il Re se il Re di Sardegna si faceva promotore del Risorgimento italiano»737. A questa ne seguì

prima dichiarazione monarchica: «Appena sbarcato sbalordì i mazziniani dicendo che non era repubblicano, ma italiano, pronto a versare ogni goccia di sangue per la causa italiana ed anche per il Re se il Re di Sardegna si faceva promotore del Risorgimento italiano»737. A questa ne seguì