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EVA=NOPAT −Capitale Investito∗WACC

2.7. Le determinanti di una migliore performance.

2.7.3. Il valore del controllo.

Altre considerazioni si possono fare su come gli assetti proprietari impattino sul fenomeno M&A. Un recente lavoro di Caprio et al (2011, op. cit.) investiga su come gli assetti proprietari, ed in particolare il controllo familiare, influenzino la decisione di intraprendere un operazione di M&A sul mercato europeo continentale, sia dal lato dell'impresa acquirente che dal lato dell'impresa acquisita. Le considerazioni preliminari che gli autori forniscono sulle peculiarità di un'impresa a controllo familiare sono agganciate non solo agli studi connessi al fenomeno in esame (come Bauguess e Stegemoller, (2008) e Basu et al, (2009), op. cit.), ma anche alla previgente letteratura esistente sul controllo familiare in senso lato.

Un'impresa familiare è quindi descritta come dotata di un maggior grado di avversione al rischio rispetto alle altre e di un maggior grado di conservatorismo nelle decisioni manageriali, risultando in un intuibile riluttanza nel prendere parte ad operazioni di M&A. Queste considerazioni sono quindi agganciate ad un'intuizione che, nonostante le premesse siano avverse, porta gli autori a concretizzare lo studio in esame: se le imprese controllate da un unico grande soggetto azionista, come è il caso delle

familiari, risultano più riluttanti nel prendere parte ad operazioni di fusione

ed acquisizione rispetto alle altre, allora probabilmente una decisione di intraprendere un operazione di M&A di questo tipo di imprese risulterà in una performance media superiore. Il postulato che gli autori forniscono sulla riluttanza delle imprese di questo tipo nell'intrapresa di operazioni di acquisizione è giustificato da una loro preliminare analisi del campione a disposizione: gli autori infatti individuano come il grado di concentrazione dell'azionariato di tali imprese sia negativamente correlato alla probabilità

di lanciare un'acquisizione, probabilità che diminuisce se si considerano le imprese propriamente dette familiare. Di converso gli autori rilevano come sia meno probabile che un'impresa familiare sia oggetto di un operazione di acquisizione, mentre rilevano come la probabilità che gli azionisti di maggioranza accettino di essere l'impresa target di un'operazione di acquisizione segua una relazione di tipo non lineare con l'ammontare dei voti che essi detengono (cfr. Caprio et al, 2011) . Gli studi intrapresi sul mercato statunitense, come Bauguess-Stegemoller (2008), trovano evidenza che le imprese familiari, coinvolte in acquisizioni, mediamente distruggano valore, soprattutto (cfr. Basu et al, 2009) nel caso in cui si parli di imprese il cui grado di controllo familiare non è così forte, portando dunque alla decisione di adottare un metodo di pagamento per via cash, decisione non necessariamente ottimale e obbligata, se connessa alla volontà degli azionisti di maggioranza, ossia la famiglia controllante, di mantenere invariato il controllo sulla società a tutti i costi. Nonostante i risultati oltreoceano, Caprio et al risultano motivati a compiere lo studio data la maggior presenza di imprese di tipo familiare nel mercato europeo continentale dove, sottolineano, vi sono più modalità di crescita che permettano il mantenimento della quota azionaria di controllo. La tecnica di misurazione delle performance che adottano, così come risulta nelle citate analisi sul mercato statunitense, è quella della misurazione dei rendimenti anormali cumulati, determinati con la costruzione del modello di mercato quale benchmark secondo cui calcolarli e seguendo due diverse finestre temporali, una ravvicinata alla data dell'annuncio dell'operazione e l'altra, di più ampio respiro, impostata da un mese prima a un mese dopo l'annuncio. La rilevazione sui CAR, per l'intero campione indistinto, sul minor intervallo temporale risulta agli autori perfettamente in linea con quanto rilevato in un lavoro di Martynova e Renneboog35 (2006) e quantificabile in

35 - Martynova M., Renneboog L., (2006), ''Mergers and acquisitions in Europe'', in Advances in

Corporate Finance and Asset Pricing. Elsevier, Amsterdam, Ch.2, 15-76., lavoro impostato

sull'analisi dei CAR e dunque differente dal più volte citato Martynova M. (2006), che si propone piuttosto l'analisi delle performance operative.

un +0,8%, rendimento che praticamente si azzera una volta adottata la seconda e più ampia finestra temporale. Spostando invece l'analisi sul versante delle strutture proprietarie, l'intuizione sulla diversa composizione del mercato europeo rispetto a quello statunitense sembra corroborare la valenza del loro studio, dato che tramite l'analisi dei CAR, lungo le event

window precedentemente descritte, non si trova evidenza sul fatto che le

imprese familiari europee distruggano valore, se coinvolte in un operazione di M&A. Al contrario, gli autori rilevano una relazione positiva tra i diritti di voto ed i rendimenti azionari, osservandosi in particolare rendimenti mediamente due volte più grandi, nel caso in cui la quota di maggioranza detenuta da un singolo soggetto superi il 50%. Comparando le imprese familiari con quelle non familiari, infine, gli autori rilevano come esista una differenza, a favore delle imprese familiari, tra i rendimenti dei due gruppi così composti; tale differenza risulta quantificata in un +1,55% a favore delle imprese di tipo familiare, statisticamente significativo secondo la finestra temporale più ampia, mentre un piccolo +0,29%, non statisticamente significativo, seguendo la finestra temporale meno ampia. Dunque l'ipotesi di partenza, sul fatto che nel mercato europeo continentale le imprese di tipo familiare siano un soggetto insider ben consolidato, trova giustificazione nei risultati dell'analisi di Caprio et al, i quali negano che le imprese di tipo familiare coinvolte in operazioni di M&A distruggano valore, differentemente da quanto rilevato dai lavori basati sul mercato statunitense, diversamente composto rispetto al mercato europeo.