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SCENA III Sala per regie nozze.

II.3 VE03 – II.1 W25 Sapesti lusinghiero

schernire un fido amor; ma braccio feritor ti punirà.

Vibrar l’acciar guerriero non è tradir l’onor di semplice beltà.

Si tratta di un caso isolato nel totale delle arie del Venceslao, cui va aggiunto soltanto il pezzo di Ernando «Sarà gloria a la costanza» (IV.2), sopra esaminato.

2. Le arie senza da capo effettivo o apparente

55 Ho inserito in questa categoria l’aria di Erenice Può languir l’ira nel petto (V.7), considerando la versione di VE03; nel rifacimento viennese, pur rimanendo all’interno della sotto-sezione delle arie anisonumeriche, poiché viene modificata la seconda strofa, l’aria scivola nel gruppo che presenta la formula 2 + 4.

In questa macro-area ho inserito le arie che non prevedono un intercalare (due) e quelle che, pur presentando una forma molto simile a quella standard dell’aria col da capo, non recano nessun segnale di ripresa (tre).

Del primo gruppo fanno parte:

a. il duetto mediano di Lucinda e Casimiro pronti a sfidarsi a singolar tenzone:

III.4 LUC.

Cara parte di quest’alma, torna, torna ad abbracciarmi. Sposo amato...

CAS.

S poso amato... A l’armi, a l’armi... LUC.

Traditore, più che amore,

brami piaghe e vuoi svenarmi? CAS.

A l’armi, a l’armi.

Dal punto di vista della posizione, il duetto, collocato nel mezzo della scena, ovvero là dove i teorici sostengono che si ascolti più volentieri perché dà un’«azione reciproca a più di un attore»,56 crea una sorta di sospensione prima

dell’«abbattimento» in cui Lucinda, ancora in disguise, viene vinta da Casimiro e subito dopo svela la sua identità finora tenuta nascosta. Dal punto di vista del metro, il pezzo si configura come un’aria anisometrica, mescolando versi parisillabi e imparisillabi, e anisonumerica apparente: a8 b8 b8 | c4 c4 b8 b5. I due quaternari della

seconda strofa, fratti per via della rimalmezzo, qualora fossero ricostruiti, andrebbero a formare un ottonario regolare, conferendo all’aria la struttura strofica simmetrica del tristico;

b. l’arietta monostrofica, mediana, anisometrica, in saltellanti quinari associati a un endecasillabo, «Dure ritorte» (IV.3 in VE03 e IV.1 in W25), intonata, dopo quattro angosciosi versi di recitativo, da Casimiro incatenato nella scena di prigione in preda a uno sconvolgente dibattito interiore:

IV.3 VE03 – IV.1 W25 [recitativo leggermente var.]

Ove siete? Che fate, spirti di Casimiro? Io di più regni erede,

io tra marmi ristretto? Io ceppi al piede?

Dure ritorte, con braccio forte vi scoterò, vi spezzerò...

Vuole il padre ch’io mora: ahi che farò?

Occorre precisare che l’endecasillabo finale nel libretto a stampa appare separato dai quinari precedenti ma sulla base del testo poetico questo verso, in rima con l’ultimo quinario, appartiene alla stessa struttura logico-sintattica e retorica e ha valore di formula conclusiva. Caldara dedicherà a questo verso, apparentemente assorbito nel recitativo seguente, un trattamento melodico singolare.

Nel secondo insieme ho inserito tre arie, tutte e tre intonate solo in laguna, che, vuoi per la loro forma vuoi per le diverse indicazioni riportate in altri testimoni emerse dalla collazione, danno motivo di sospettare che la loro collocazione corretta sia all’interno della grande galassia dell’aria col da capo:

1. aria di sortita di Lucinda «Torna al lido la navicella» (I.5); 2. aria di entrata di Casimiro «Vo gustando più veri piaceri» (II.5); 3. aria mediana di Ernando «Lo sdegno e ’l brando» (IV.2).

L’arietta di paragone di esordio della regina en travesti, cantata a Venezia ma omessa a Vienna, è un’aria bistrofica, anisometrica e anisonumerica, a9 x10 a9 x10 | b10

b6 x6: VE03 I.5

Torna al lido la navicella, né più teme quel mar che sfuggì. Vola al nido la rondinella e si scorda que’ lacci onde uscì. Sol quest’alma vicina al suo bene più sente le pene

che amando soffrì.

È il terzo caso del Venceslao in cui compare il verso novenario; alla regolare alternanza di novenario piano e decasillabo tronco è assegnata la prima strofa tetrastica con il paragone marittimo-ornitologico, mentre nella seconda, di tre versi in cui la regina canta la sua amara disillusione, a un decasillabo sono congiunti due senari.

A giudicare dalla forma, l’aria sembra concepita da Zeno come una normale aria col da capo, ma nel libretto a stampa della première non compare nessun segno di ripresa; il testo procede subito con i sette versi virgolati di recitativo di Lucinda e poi regolarmente con le confidenze, cantate «in disparte», di Casimiro e Gismondo che riconoscono la regina benché in abito d’uomo. L’assenza della partitura non consente di smentire o di confermare la presenza di una qualsiasi forma di intercalare.57

Omessa o sostituita in diverse riprese dell’opera, quest’aria compare nella rappresentazione fiorentina del 1704 e in quella veronese del 1708, sempre con la musica del Pollarolo e infine in quella di Praga del 1725 con la musica di Giuseppe Boniventi e Giovanni Antonio Guerra. Sebbene non sia una prova inconfutabile, occorre segnalare che nel libretto fiorentino alla fine dell’aria compare la consueta indicazione abbreviata del da capo:

FI04, I.5

Sol quest’alma vicina al suo bene più sente le pene

che amando soffrì. Torna, ecc.58

A confermare l’impossibilità di dimostrare l‘ipotesi che si tratti veramente di un’aria col da capo bella e buona, è necessario precisare che nei libretti di VR08 e CZ- Pr25, come nella princeps, non compare nessuna indicazione di ripresa.

Anche l’aria bistrofica, isometrica, isonumerica «Vo gustando più veri piaceri», cantata in una scena a solo da Casimiro, dopo essere stato rimproverato dal padre, merita qualche osservazione.

VE03 II.5

Vo gustando più veri piaceri, quella amando ed or quella beltà. Così l’ape i suoi favi soavi da più fiori succhiando sen va.

Oltre alla forma, è doveroso sottolineare anche la posizione di questo pezzo. L’aria di Casimiro chiude la prima parte del second’atto. Dopo l’esibizione solistica infatti ha luogo una mutazione scenica. Si tratta di una posizione parzialmente conclusiva nella quale non si può escludere la presenza di un generoso gorgheggiamanto.

Spesso omessa o sostituita, come la precedente, compare solo nel rifacimento fiorentino del 1704 e in quello veronese del 1708. In entrambi i libretti a stampa al termine dell’aria non compare, come in VE03, alcuna spia che induca a sospettare una ripetizione. Nel rifacimento fiorentino però, a causa della riduzione dell’opera da cinque atti a tre, la scena di Casimiro, solo a cantare i suoi amori incostanti, risulta l’ultima del prim’atto (I.17). Appare quindi abbastanza improbabile che l’atto si chiuda senza un’esibizione appropriata che «troppo solletica quel sentire la scena terminata con spirito e con vivezza».59 Non è poi forse di secondaria importanza

osservare anche la composizione tipografica del libretto. Il testo poetico contenuto nella pagina finale dell’atto primo dell’edizione fiorentina occupa tutto lo specchio a disposizione così che la didascalia «Fine dell’atto primo» e il richiamo di parola per la pagina seguente sono stampati senza un’adeguata interlinea e di conseguenza non c’è spazio per aggiungere altre indicazioni. Nel libretto veronese, come in VE03, non compare alcuna indicazione di ripresa.

58 FI04, p. 12.

Anche per l’aria mediana di Ernando, bistrofica, isometrica e anisonumerica, all’apparenza simile a un’aria col da capo ma senza indizi di una ripetizione, torna utile il confronto con altri testimoni.

IV.2