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I VEICOLI DI PRIVATE EQUITY COME SPONSORS “ COMPLESSI ”; MOLTEPLICITÀ

Nel documento LUISS Guido Carli (pagine 55-62)

2. IL PROJECT FINANCING NEI PROGETTI INFRASTRUTTURALI

2.5. I VEICOLI DI PRIVATE EQUITY COME SPONSORS “ COMPLESSI ”; MOLTEPLICITÀ

I principali investitori dei fondi attivi (e variamente specializzati) nelle operazioni di project financing e, in particolare, nel settore delle infrastrutture sono quelli “istituzionali” che trovano, come detto, nell’asset infrastrutturale caratteristiche per loro essenziali quali la stabilità dei flussi di cassa, la bassa volatilità ed i buoni rendimenti correlati all’inflazione. Molti fra questi soggetti preferiscono investire in un fondo di private equity specializzato, piuttosto che operare direttamente su un mercato non proprio, per una serie di ragioni piuttosto evidenti, tra cui:

83 Ovviamente, taluni dei soggetti indicati, in concreto, potrebbero rientrare anche nella categoria degli sponsors “industriali”, perché interessati, ad esempio, alle possibilità di co-investimento, al ruolo di advisors, a quello di finanziatore, etc. In tali ipotesi, tipicamente, i due

driver di partecipazione all’operazione di project financing possono concorrere, interessando momenti diversi dell’operatività di tali soggetti. Così, al fine di ottenere vantaggi competitivi sul fronte “industriale”, il chip equity che viene richiesto per prendere parte all’operazione di investimento viene ad essere valutato da parte del potenziale investitore apprezzata sotto il profilo della convenienza economico-finanziaria.

84 Uno spaccato globale di tali investitori nell’ambito delle energie rinnovabili, delle rispettive caratteristiche, delle performances e delle potenzialità che offrono i fondi di investimento in questione è stato recentemente tracciato da O. Bodini, La corsa all’oro verde, nel mensile Patrimoni, 2008, n. 107 del luglio 2008, Milano finanza, p. 23.

(i) la mancanza di esperienza specifica;

(ii) la mancata conoscenza delle dinamiche locali per vincere eventuali gare pubbliche;

(iii) la mancanza di un network di relazioni settoriali tale da originare e creare nuove opportunità di investimento; e

(iv) la necessità di intrattenere rapporti continui con i rappresentati, locali e nazionali, delle forze politiche e sociali.

In definitiva, la complessità dell’ambiente economico, sociale e politico che gravita attorno ad una società attiva nel settore delle infrastrutture (o ad una infrastruttura), non lascia altra scelta se non quella di rivolgersi ad un intermediario specializzato85. Il costo di origination e scouting, per gli investitori istituzionali, risulterebbe assolutamente sproporzionato, perché – operando senza “intermediari” – avrebbero un mercato di riferimento per la segnalazione e l’esame delle opportunità di investimento decisamente troppo esteso e, comunque, di difficile penetrabilità. Inoltre, per ciascuno di tali mercati (settoriale o geografico) vi sarebbero regole e normative diverse, sensibilità sociali e politiche, vincoli amministrativi peculiari.

Sotto altro profilo, investendo in fondi di tipo infrastrutturale, piuttosto che in singoli titoli infrastrutturali, gli investitori oltre ad accedere alle capacità manageriale del gestore nella selezione e gestione delle operazioni, possono anche partecipare ad investimenti che richiedono volumi di accesso più elevati rispetto alle possibilità dei singoli investitori, isolatamente considerati (fosse anche solo per consentire a questi una sufficiente diversificazione dei rispettivi portafogli di investimento)86.

Anche gli investitori “pubblici” e quelli “industriali” sono interessati ai fondi infrastrutturali, i primi perché possono tentare così di avere influenza su grossi

85 Ad esempio, risulta difficile ipotizzare che un fondo pensione statunitense possa direttamente investire in un interporto del Sud Italia.

86 Già nel 1987, M. Vitale definiva questa attività come quella di “imprenditori del rischio che mettono

insieme spirito imprenditoriale, competenze di scienziati, tecnici, capacità manageriali, finanziarie e organizzative, contatti nazionali e internazionali, e capitale di rischio proprio e di altri per promuovere nuove imprese, per rivitalizzare e lanciare in un nuovo ciclo di sviluppo vecchie imprese, per stimolare imprese minori a raggiungere più adeguate dimensioni e per sviluppare e diffondere, in forma di impresa, nuove tecnologie” (L’intervento è riportato in AIFI, Venture Capital, Capitale di Rischio per lo sviluppo, Milano, 1990).

quantitativi di investimento e, i secondi, per la possibilità di co-investire con il fondo o di avere nuove possibilità di business.

Le ingenti risorse finanziarie in questo modo movimentabili, la credibilità derivante dalla presenza di gestori professionali e grossi investitori istituzionali (che consente un più facile accesso ai finanziamenti), nonché la professionalità dei team di gestione (che svolgono un ruolo attivo sia nella governance della SPV che nel controllo dell’operato del management di questa)87, consentono di affermare che i fondi infrastrutturali possono (e potranno ancor più in futuro) ricoprire un ruolo fondamentale nello sviluppo di nuove infrastrutture o nell’adeguamento di quelle esistenti, con potenziali benefici anche per le collettività interessate. Le esigenze di investimento e diversificazione del portafoglio dei grossi investitori istituzionali e professionali si fondono, quindi, con le istanze sociali ed economiche di lungo periodo. I fondi infrastrutturali sono, in questo senso, veicoli finanziari che lavorano, tendenzialmente, con una logica di private equity, ma che assumono anche una connotazione di investimento ibrido, in quanto operano in un settore a forte valenza sociale.

Sotto un diverso profilo, però, l’investimento in fondi infrastrutturali presenta per gli investitori (privati o istituzionali) rischi legati sia alla loro natura di veicoli gestiti da un soggetto terzo, sia alle peculiarità degli asset in cui investono.

L’utilizzo dello strumento del fondo (o meglio del veicolo, sia esso un fondo comune di investimento italiano, una limited partnership o una altra forma tecnica di patrimonio di pertinenza di più soggetti gestito da un operatore professionale) presenta le normali criticità connesse all’“adverse selection” ed al “moral hazard” – che

87 Su questo punto, in particolare, una copiosa letteratura ha evidenziato, nell’ambito del private

equity, l’importanza dell’active ownership dei fondi ai fini della realizzazione di valore. Se, in generale, è ormai unanimemente riconosciuta l’importanza fondamentale delle risorse umane per il buon funzionamento di un’organizzazione; nel private equity, in particolare, esse rappresentano uno dei fattori critici di successo dell’iniziativa (cfr. McKinsey, Why some private equity firms do it

better than others?, in McKinsey Quarterly, n. 1, 2005. L’indagine è stata condotta su un campione di 60 operazioni, 20 realizzate negli Stati Uniti e 40 in Europa). L’apporto di un operatore professionale può riguardare principalmente: (i) competenze strategiche, (ii) competenze industriali, (iii) competenze finanziarie, (iv) sistema di controllo, (v) risorse manageriali, (vi)

tipicamente sussistono nel caso di scissione fra investitore ed oggetto di investimento – cui si aggiungono quelle del mercato sottostante.

L’adverse selection riguarda la asimmetria informativa detenuta dall’investitore nel momento in cui sceglie dove investire. Il moral hazard riguarda, invece, la possibilità che il management dell’azienda in cui si investe possa successivamente operare per i propri fini e non per la crescita di valore nell’interesse degli investitori.

Ancora, come può accadere in qualsiasi fondo di private equity, sussiste il rischio che un management team non adeguatamente esperto e professionale possa compiere errori nella selezione e valutazione delle occasioni di investimento, non essere in grado di interloquire con le forze politiche e sociali del territorio, non riuscire ad interpretare correttamente la domanda di servizi infrastrutturali e ad interagire con le autorità che regolano i meccanismi tariffari delle infrastrutture. Questo rischio è, ovviamente, maggiore in assenza di specializzazione settoriale o geografica del management.

Quanto sopra si traduce nella necessità di definire equilibri negli assetti di governo e di gestione del fondo, in modo da evitare che le asimmetrie informative esistenti, piuttosto che il peso specifico degli investitori che hanno promosso l’iniziativa, o ancora le vicende interne al management del fondo, possano portare a perseguire l’interesse primario di taluni soggetti a scapito di quello comune di tutti gli investitori o, fermo questo, a comprimere a tal punto l’interesse pubblico all’opera da generare una reazione di “rigetto” sociale o politico dell’iniziativa.

La natura di investitori sostanzialmente “passivi” che caratterizza, in principio, i partecipanti ad un fondo comune di investimento consente, in termini generali, di identificare l’interesse comune degli stessi (salva, ovviamente, l’ipotesi in cui uno specifico interesse o obiettivo non sia specificamente espresso in fase di raccolta delle quote: si pensi ai c.d. fondi etici o a quelli in cui si accetta un rendimento meno competitivo sul piano di mercato per realizzare l’obiettivo di promuovere lo sviluppo di una data area geografica) nella massimizzazione del ritorno dell’investimento effettuato.

Su tale interesse “collettivo” dei partecipanti ad un fondo, vengono, però, ad innestarsi quelli particolari dei singoli investitori e dello stesso gestore: la natura

captive ovvero indipendente di questo, la presenza fra gli investitori dei soci del gestore, di entità facenti parte del medesimo gruppo cui appartiene il gestore, o di soggetti “industriali”, di advisors o banche finanziatrici può generare possibili conflitti di interessi idonei ad incidere sulla capacità del fondo di raggiungere il predetto obiettivo comune88.

La presenza di questo possibile effetto distorsivo, unito all’asimmetria informativa che normalmente caratterizza le gestioni collettive, potrebbe avere l’effetto di generare nei potenziali investitori, seppur interessati all’iniziativa, la tendenza a ritrarsi dall’investimento.

La composizione dei diversi interessi coinvolti richiede il raggiungimento di un complesso mix di governance, informativa, procedure organizzative e di controllo, nonché di regole chiare in materia di gestione dei conflitti di interessi e remunerazione del management e del gestore. La definizione di regole e principi di governance sia a livello del gestore che del veicolo, nonché l’introduzione di una differenziazione fra le classi degli investitori e di un potere di controllo - in capo a quegli investitori posti in situazione di terzietà - sull’operato del gestore e sulle principali operazioni di gestione, costituiscono istanze ormai pacificamente accettate fra gli operatori internazionali e nazionali.

Nei fondi o veicoli in esame, le decisioni di investimento spettano all’intermediario professionale che si occupa della gestione. In questo senso, l’affiancamento di advisors esterni nella fase di identificazione degli investimenti, così come la definizione di una politica di remunerazione del gestore legata direttamente ai risultati del servizio prestato (attraverso commissioni di performance variamente configurate, ma comunque tendenti a riconoscere la partecipazione di questo e del suo management alla parte di rendimento che eccede quello fissato come obiettivo di gestione), consentono di realizzare un sostanziale allineamento degli interessi di tale gestore con quello del gruppo degli investitori.

La commercializzazione a livello internazionale (il c.d. fund raising) e, ormai anche domestico, di un fondo che non rispondesse efficacemente a queste esigenze degli

investitori, pur offrendo alti rendimenti obiettivo (non garantiti, ovviamente) resterebbe, con estrema probabilità, nulla più che un tentativo destinato a potenziale fallimento. Per il successo del processo di raccolta di capitali è fondamentale che lo sponsor dell’iniziativa abbia una forte credibilità sui mercati finanziari e si faccia attenzione, in fase di progettazione del fondo, a rendere evidente la convergenza tra gli interessi del gestore e quelli degli investitori. Al di là della qualità del materiale commerciale e del network di contatti che è possibile attivare in sede di commercializzazione, le scelte adottate, con riferimento alla struttura dell’operazione, ai rapporti fra il gestore e gli investitori e fra le diverse categorie di investitori, costituiscono il momento fondamentale per il possibile successo di una nuova iniziativa89.

Infatti, i sottoscrittori delle quote di un fondo sono investitori che conferiscono capitale in virtù del rapporto di conoscenza e/o di fiducia maturato nei confronti dei gestori, nonché tenendo in considerazione le istanze di controllo dell’investimento che l’assetto di governance dell’iniziativa consente di mantenere ed esercitare.

La possibilità, in concreto, di esercitare tali prerogative e di avere visibilità dell’andamento dell’investimento effettuato (tanto più importante quanto più alta è la significatività dell’investimento effettuato rispetto alle disponibilità del soggetto e quanto maggiore è il profilo di rischio dell’operazione) è anche funzione, durante la vita del fondo, della qualità delle informazioni che il gestore mette a disposizione degli investitori gestiti. L’informazione periodica agli investitori sulle attività del fondo rappresenta un elemento utile a consolidare nel tempo il rapporto di fiducia tra le parti, in quanto permette agli stessi di essere al corrente sull’andamento delle partecipazioni in portafoglio e, quindi, di poter, se del caso, esercitare i diritti e le prerogative riconosciuti dal regolamento del fondo.

A determinare il successo di un’iniziativa del tipo di quella sinteticamente delineata nel presente paragrafo, pertanto, concorrerà (oltre all’esistenza di un mercato delle infrastrutture da realizzare tale da suscitare l’interesse degli operatori) anche la

89 Un ulteriore fattore, che incide sul superamento del moral hazard e dell’adverse selection, risiede nella possibilità, per il gestore, di evidenziare un track record positivo.

circostanza che la struttura ipotizzata per raccogliere i capitali destinati alla realizzazione dei diversi investimenti risulti in grado di equilibrare le istanze delle diverse tipologie di investitori – e, quindi, di potenziali promotori, “industriali”, “pubblici” o “investitori” – oggetto di coinvolgimento.

In questo senso, si può ben affermare che la crescita del private equity è un classico esempio di come la innovazione organizzativa, anche nel contesto di cambiamenti di carattere regolamentare e di regime fiscale, può aumentare gli investimenti in un particolare settore. Nel settore in esame, in particolare, l’innovazione organizzativa fondamentale è stata indubbiamente rappresentata dall’adozione, nei paesi anglosassoni, della cosiddetta limited partnership quale mezzo (veicolo) per organizzare gli investimenti in private equity. Tale forma organizzativa trova impiego, ad oggi, anche nelle iniziative specializzate nel settore infrastrutturale.

Ai principi ed alle regole di questa forma organizzativa, inoltre, tende sempre più nettamente il mercato nazionale dei fondi comuni, anche infrastrutturali.

Nel documento LUISS Guido Carli (pagine 55-62)