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Verso il superamento del modello pianificatorio tradizionale

REGOLAMENTO REGIONALE N 4/R DEL 14 FEBBRAIO

1. Verso il superamento del modello pianificatorio tradizionale

La dottrina è unanime nel ritenere che il piano regolatore generale è in crisi122; esso non è più in grado di regolare né la crescita urbana né la trasformazione dei suoli.

L’aspetto che probabilmente, più di altri, ha influito su tale crisi è la

rigidità della normativa nazionale123, non più in grado di offrire soluzioni ai problemi complessi124 che il territorio pone125.

122 C’è chi sostiene che in realtà il PRG è entrato in crisi fin dal momento in cui ha

iniziato a funzionare F. Fregolent, Città e politiche in tempo di crisi, Franco Angeli

edizioni, 2014, p. 370.

123 Oltre alla proposta precedentemente analizzata dell’INU (Istituto Nazionale di

Urbanistica) c’è stata la recente proposta, del luglio 2014, risultato del lavoro coordinato dalla Segreteria tecnica del Ministro Lupi e svolto da un gruppo di esperti esterni, nominati dal Ministro, di diritto, urbanistica, politiche territoriali e fiscalità immobiliare. Obiettivo del provvedimento è quello di predisporre un quadro normativo unitario in grado di rinnovare le norme urbanistiche di valenza nazionale. La bozza di ddl si compone di 20 articoli, non ha carattere meramente procedurale, ma intende integrare procedure e politiche pubbliche territoriali. Inoltre, una seconda finalità è quella di fornire una strumentazione aggiornata per il coordinamento delle politiche settoriali che incidono sugli usi e le trasformazioni del territorio. Partendo dalle nuove finalità di un'urbanistica del rinnovo e non più dell'espansione della città, il disegno di legge ha lo scopo di fornire alla ricchissima esperienza legislativa regionale.

124 Cit. A Fioritto, Introduzione al diritto delle costruzioni, Torino, G. Giappichelli

Editore, 2013 p. 44

125 P. Urbani sintetizza in un suo scritto i limiti del PRG definendolo uno strumento

“costretto a prevedere il futuro, anche lontano pur non avendo tali capacità divinatorie; è obbligato a considerare l’intero territorio comunale stabilendo una

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C’è però da rilevare un dato; anche dopo il passaggio delle competenze legislative in materia di urbanistica in capo alle Regioni, il modello di piano prefigurato dalla legge urbanistica del 1942 ha fortemente condizionato l’evoluzione normativa Regionale.

Andando ad analizzare la storia della pianificazione urbanistica contemporanea, con riferimento alla normativa regionale, sono state individuate tre generazioni126.

1.1 Leggi regionali di prima generazione

Le leggi regionali di “prima generazione” riproponevano il vecchio schema della legge urbanistica del 1942.

Esempio paradigmatico di tale modello può essere ravvisato nelle legge lombarda del 1975127 e piemontese del 1977128. Dal punto di vista contenutistico, i piani prefigurati in tali leggi seguivano una rigida zonizzazione e prevedevano l’applicazione di parametri molto rigidi, volti a predeterminare i rapporti tra spazi privati e dotazioni pubbliche.

Questo modello aveva trovato la propria ispirazione guardando il precedente D.M.. 2 aprile 1968 n. 1444129; quest’ultimo volto ad identificare i limiti da rispettare nei piani comunali con

volta per tutte che ogni sua parte sia oggetto di prescrizioni urbanistiche

determinandone di conseguenza le destinazioni di uso; inganna i suoi cittadini poiché vincola specifiche aree, per realizzare servizi, per la cui acquisizione non dispone però delle risorse finanziarie, o intere zone promettendo che li sorgeranno, ma solo quando i relativi piani di dettaglio saranno vigenti, industrie, case popolari, quartieri residenziali; crea così, nei proprietari aspettative e speranze di cambiamento che si trasformano ben presto in delusioni”. P. Urbani, Urbanistica Solidale, Torino, 2011, p. 42.

126 G. Campos Venuti e F. Oliva (a cura di), 1993, cinquant’anni di urbanistica in

Italia, Bari, Laterza, 1993.

127 Legge regionale n. 52 del 1975. 128 Legge regionale n. 56 del 1977.

129 La ratio del DM è quella di dettare regole volte ad assicurare, da un lato i limiti

minimi inderogabili da osservare nella realizzazione delle strutture edilizie abitative e non, dall’altro il fabbisogno minimo di servizi e infrastrutture di carattere collettivo da individuare, in ciascuna zona, in base al carico urbanistico apportato da una determinata categoria insediativa.

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riferimento alle diverse zone omogenee, nelle quali si ripartiva il territorio comunale.

Le leggi regionali, sopra citate, riproposero lo schema del D.M. n. 1444/1968, talvolta prevedendo anche l’incremento degli standard ivi contenuti130.

A seguito di queste due esperienze, nel giro di un decennio, quasi tutte le Regioni si dotarono di un impianto normativo aggiornato.

Le Regioni prefigurarono un sistema pianificatorio ordinato in più livelli, con direttive e comandi che dal piano di scala regionale andavano sempre più a specificarsi, sino ad assumere una definizione puntuale nel piano comunale131.

Neanche le prime legislazioni regionali sono però riuscite a dare attuazione ad un modello “a cascata” o “a cannocchiale”; il motivo per il quale tale modello, nei fatti, non si è mai concretizzato neanche nella legislazione regionale, è da rintracciare nel fatto di non essere riusciti a dare vita a piani di natura sovracomunale132.

130 Nella legge lombarda, ad esempio, il rapporto riservato agli spazi riservati alla

formazione di infrastrutture collettive passava da 18mq/abitante previsto dal d.m. 144/1968, ai 26,5 mq/abitante.

132 Pochissime sono le eccezioni, possiamo però ricordare il piano territoriale

regionale umbro Il Piano Urbanistico Territoriale del 1983 nacque dalla volontà di definire uno scenario programmatico e pianificatorio per guidare l'insieme delle scelte regionali e rappresentò l'ideale compimento degli atti di riferimento ed indirizzo regionale quali il Piano di Sviluppo Economico-Territoriale del 1961 e il Piano di Sviluppo Socio-Economico del 1967. Il PUT 1983 si fondava su alcune strategie complessive riguardanti: ipotesi di "sviluppo", uso integrato del territorio ed un riequilibrio territoriale. Il concetto di città-regione, alla base della visione

strategica del Piano, ha positivamente influenzato la dimensione infrastrutturale e dei trasporti dell'Umbria, ma non ha di fatto contribuito a quel riequilibrio territoriale, inteso come distribuzione della popolazione e democraticità del sistema relazionale, che pure era tra gli obiettivi fissati. Per vedere il progetto completo consultare la pagina web: www.umbriageo.regione.umbria.it

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Il piano regolatore comunale è finito per diventare l’unico strumento di regolamentazione delle attività sul territorio comunale; quest’ultimo era configurato come un atto complesso, esito della co-decisione Comune-Regione133, questo modello decisionale, non era ritagliato sulla dimensione degli

interessi dei rispettivi bacini di emersione, bensì su una concezione gerarchica dei rapporti tra livelli istituzionali, che derivava da una incompleta ricezione del principio autonomistico dettato dall’art. 5 Cost.134.

1.2 Leggi regionali di seconda generazione

Questa seconda stagione la possiamo collocare nel periodo che va dagli inizi degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta.

In questi anni, la nuova produzione legislativa riflette il dibattito che si era venuto a creare intorno alla crisi del piano regolatore; quest’ultimo, infatti, con la sua atemporalità non riusciva a creare soluzioni innovative da focalizzare su specifiche tematiche e specifici luoghi.

Questa stagione legislativa regionale è anche da ricordare per le molteplici varianti semplificate.

Con l’introduzione di questa modalità di procedere, le regioni, hanno cercato di superare la rigidità del piano generale favorendo l’approvazione di alcune varianti “minori” direttamente da parte del Comune, con la finalità di riequilibrare il rapporto tra l’ente locale e la Regione.

133 La Regione aveva un’ampia prevalenza sul comune che si risolveva

nell’approvazioni con stralci e modifiche d’ufficio.

134 Cit. M.A. Cabiddu, Diritto del governo del territorio, G. Giappichelli Editore,

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Si abbandona, inoltre, la visione del piano regolatore come unico contenitore generale delle scelte da effettuarsi sul territorio, favorendo l’emersione di enti, diversi dal Comune, introducendo nuove forme di intervento dei privati attraverso quella particolare tecnica che viene comunemente definita “urbanistica contrattata” (o consensuale135); inquadrata, a livello legislativo, come una generale tendenza dell’ordinamento verso forme di ricerca del consenso136, in cui l’esercizio della funzione amministrativa non viene più intesa come mera attuazione di un potere di supremazia, in nome della cura di un generico interesse pubblico, ma come necessario confronto tra l’Amministrazione ed i soggetti portatori di interessi 137.

135 N. Assini e P. Mantini, Problemi e tendenze del diritto urbanistico, in manuale di

diritto urbanistico, Milano, 1991, p. 59, rileva il carattere polisenso ed impreciso dal punto di vista giuridico dell’espressione urbanistica contrattata.

136 Per quanto riguarda il tema della partecipazione alle scelte urbanistiche nelle varie

leggi regionali è stato osservato che per quanto riguarda “le relazioni pubblico-

privato, non può non darsi conto del progressivo e generalizzato riconoscimento da parte di diverse Regioni, anche al di là delle forme proprie dell’urbanistica per progetti, del ruolo dei soggetti privati quali attori rilevanti delle trasformazioni territoriali. In proposito, però, è bene distinguere due ipotesi. Da una parte, infatti, vi sono ordinamenti regionali nei quali l’intervento dei soggetti privati è valorizzato al punto da assumere quasi i contorni di una «naturale» e «consapevole» necessità; è, ancora una volta, soprattutto il caso della Regione Lombardia laddove, tra i principi fondamentali della legge regionale di «seconda generazione», si afferma esplicitamente che «il governo del territorio si caratterizza» anche per «la possibile integrazione dei contenuti della pianificazione da parte dei privati»178. Dall’altra parte, si collocano quelle Regioni nell’ambito delle quali la rappresentazione normativa della dimensione soggettiva «privata» del governo del territorio rimane ben ancorata ai canoni «classici»; per quanto potenziati ed affinati rispetto alla corrispondente disciplina di fonte statale, infatti, nella maggioranza degli ordinamenti regionali i riferimenti ai soggetti privati sono generalmente «circoscritti» alla già ricordata implementazione delle guarentigie partecipative nonché alla definizione di meccanismi perequativi ovvero di fattispecie improntate al canone della consensualità.” T. Bonetti, A. Sau, Regioni e politiche di governo del territorio, in "Le Regioni, Bimestrale di analisi giuridica e istituzionale" 4/2014, pp.

595-660.

137 In P. Urbani – S. Civitarese Matteucci, Diritto urbanistico, organizzazione e

rapporti, Torino, G. Giappichelli Editore, 2013 p. 223 ss. viene dedicata un’apposita

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1.3 Leggi regionali di terza generazione

Questa stagione, che va dalla metà degli anni Novanta fino ad oggi, è un percorso ricco di innovazione che ha portato ad una radicale revisione del paradigma che informa le leggi regionali urbanistiche.

L’idea che domina, e che continua a dominare, è quella di

dover restituire unitarietà alla normativa urbanistica fondamentale nazionale.

I vari tentativi, di portare ad una legislazione uniforma sono nel tempo andati falliti; così, ancora una volta, le leggi regionali hanno subito ulteriori diversificazioni di cui la legge

urbanistica del 1942 costituisce solo un riferimento alquanto sfuocato138.

Le leggi regionali che più si sono diversificate e che sono state, al tempo stesso, le più innovative sono sicuramente la legge reg. n.5 del 1995 della regione Toscana, la legge regionale dell’Umbria n.31 del 1997, della Liguria con legge reg. n. 38 del 1999 e quella dell’Emilia Romagna n.20 del 2000.

Ai fini di questo lavoro, non sarà possibile esaminarle tutte ma l’analisi sarà limitata all’evoluzione della sola legge Toscana sul governo del territorio.

2. Il governo del territorio nell’evoluzione legislativa della Regione