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L'INFORMAZIONE E LA PARTECIPAZIONE AGLI ATTI DI GOVERNO DEL TERRITORIO

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

L’INFORMAZIONE E LA PARTECIPAZIONE AGLI

ATTI DI GOVERNO DEL TERRITORIO

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfredo Fioritto

Candidato:

Erika Budelli

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INDICE

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO I

GOVERNO DEL TERRITORIO E DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

1. Evoluzione storica della materia “urbanistica” 8

2. Le leggi di interesse urbanistico 9

3. La materia “urbanistica” nella Legge n. 1150/1942 11 4. L’urbanistica nel modello costituzionale 13 5. Il fondamento costituzionale del governo del territorio 14 6. L’ambito oggettivo del governo del territorio 15

6.1 Urbanistica e edilizia 17

6.2 Altri profili contenutistici del governo del territorio 18 7. La funzioni amministrative relative alla materia del governo del

territorio 19

8. L’insegnamento del diritto urbanistico 20

9. Partecipazione e democrazia partecipativa 21 10. Basi costituzionali della democrazia partecipativa 23 11. Il momento applicativo della democrazia partecipativa 24

11.1 “Chi” informare 25

11.2 “Quando” informare 26

11.3 “Come” informare 27

CAPITOLO II

LA PARTECIPAZIONE NELLA LEGISLAZIONE STATALE E PROFILI COMPARATISTICI DI ALCUNE ESPERIENZE

STRANIERE

1. Il modello della pianificazione delineato dalla legge

n. 1150/1942 28

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2

1.2 Piano di coordinamento provinciale 30 1.3 Il piano regolatore generale intercomunale 32 1.4 Il piano regolatore comunale Generale 33 2. Profili generali della pianificazione urbanistica e territoriale 35

2.1 L’iniziativa 36

2.2 L’istruttoria 37

2.3 La decisione 38

2.4 La formazione e l’approvazione del Piano Regolatore

Generale 39

3. Il principio della partecipazione nella formazione degli strumenti

urbanistici 42

3.1 Una riflessione preliminare: a “chi” si rivolgono i processi

partecipativi? 43

3.2 La legittimazione ad intervenire 44 3.3 La funzione della partecipazione 45 4. La partecipazione nel procedimento di PRG e gli orientamenti

giurisprudenziali relativi all’art. 9 46

4.1 Osservazioni e opposizioni 47

4.2 La motivazione per una o per tutte? 48

4.3 La pubblicazione 49

4.4 Omessa allegazione di elaborati 49 4.5 la ripubblicazione del piano nel caso di accoglimento delle

osservazioni e/o opposizioni 50

5. La partecipazione nelle esperienze giuridiche straniere 51

5.1 L’esperienza britannica 51

5.2 L’esperienza tedesca 54

5.3 L’esperienza francese 55

5.4 L’esperienza spagnola 57

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3

CAPITOLO III

IL GOVERNO DEL TERRITORIO E GLI ISTITUTI PARTECIPATIVI NELLA LEGISLAZIONE DELLA REGIONE

TOSCANA CON SPECIFICO RIFERIMENTO AL

REGOLAMENTO REGIONALE N. 4/R DEL 14 FEBBRAIO 2017 1. Verso il superamento del modello pianificatorio tradizionale 62

1.1 Leggi regionali di prima generazione 63 1.2 Leggi regionali di seconda generazione 65 1.3 Leggi regionali di terza generazione 67 2. Il governo del territorio nell’evoluzione legislativa della Regione

Toscana 67

2.1 La legge reg. Toscana n. 5/1995 68 2.1.1 Partecipazione e informazione nella legge reg.

Toscana n. 5/1995 70

3. La legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 del 2005 “Norme per il

governo del territorio”. 73

4. Governo del territorio e istituti partecipativi 74 4.1 La disciplina della legge reg. n.46/2013: “Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione

delle politiche regionali e locali” 77

4.2 I Soggetti della partecipazione nella

legge reg. n. 46/2013 78

4.3 Le modalità 79

5. Il contributo della giurisprudenza in tema di partecipazione 82 6. Partecipazione e il ruolo della Regione e degli enti locali nella legge

reg. n. 65/2014 83

6.1 Il Garante dell’informazione e della partecipazione

(istituzione e incompatibilità) 84

7. Il DPGR n. 4/R del 14 febbraio 2017: "Informazione e

partecipazione alla formazione degli atti di governo del territorio. Funzioni del garante dell'informazione e della partecipazione". 85

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4

7.1 La nomina del Garante 86

7.2 Funzioni del garante dell’informazione e della

partecipazione (art. 4) 87

7.3 Il rapporto tra garanti locali e garanti regionali 88 7.4 Conferenza dei Garanti e il monitoraggio delle attività

espletate (artt. 11-12) 89

7.5 Forme e modalità dell’informazione della partecipazione

(artt. 14 - 15) 90

7.6 Livelli prestazionali (art.16) 91

8. Line guida (art. 17) e il regolamento regionale n. 1112 del

16/10/2017 91

CAPITOLO IV

ATTIVITA’ INFORMATIVA E PARTECIPATIVA DA PARTE DEL GARANTE REGIONALE NEL PRIMO ANNO DI VIGENZA DEL

REGOLAMENTO REGIONALE 4/R DEL 14 FEBBRAIO 2017 1.Ambiti Operativi del Garante regionale dell’informazione e della

partecipazione 93

2. La modifica del piano rifiuti e bonifiche 94

2 .1 Il procedimento 96

2. 2 L’informazione e la partecipazione 96 3. Piano di tutela delle acque della Toscana:

fondamento normativo 98

3.1 I Distretti idrografici in Toscana 100

3.2 Il procedimento 101

3.3 La partecipazione 102

4. La pianificazione in materia di attività estrattive e il percorso verso

il nuovo piano regionale delle cave 104

Riflessioni conclusive 107

Bibliografia 110

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5

INTRODUZIONE

La tematica della partecipazione agli atti del governo del territorio travalica la complessa materia urbanistica per radicarsi nella cultura di uno Stato democratico, che pone il cittadino al centro dell’attenzione dei pubblici poteri. Conoscenza e partecipazione sono elementi indissolubili per poter parlare di uno stato davvero democratico così come disegnato dall’art. 1 della Costituzione.

Il concetto stesso di democrazia rappresentativa, inteso come sistema di governo in cui a tutti i cittadini è concesso di votare per determinare le decisioni della comunità, è però in crisi. Questa delegittimazione del potere rappresentativo non deve essere necessariamente intesa come un disvalore, in quanto ha portato all’emersione di una nuova forma di democrazia, più specificatamente denominata “democrazia partecipativa”; quest’ultima si concretizza nella necessità di sviluppare una normativa, sia a livello statale che regionale, la quale si ponga come obiettivo principale la predisposizione di strumenti partecipativi che mirino al massimo coinvolgimento delle comunità interessate. Nell’ analizzare queste tematiche cercherò di dare risposta a tre interrogativi: chi, come e quando informare; risposte necessarie per poter dare la possibilità ad una comunità di conoscere e partecipare in modo concreto alle politiche locali, al fine di ottenere delle scelte territoriali più apprezzate e condivise.

Nel capitolo I, mi è sembrato necessario individuare le materie su cui la funzione di pianificazione territoriale trova fondamento, cioè l’“urbanistica” e l’“edilizia” che, per effetto della L. Cost. n. 3 /2001, sono confluite nella più ampia materia del “governo del territorio”. Questa specificazione sarà utile per avere un quadro, non esaustivo, della complessità della disciplina in cui si deve intrecciare l’informazione e la partecipazione.

Nel secondo capitolo passerò ad analizzare la legge urbanistica fondamentale n. 1150/1942 che, attraverso il modello della

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6

pianificazione “a cascata”, la tecnica della zonizzazione e ed il sistema delle “osservazioni ed opposizioni” come metodo partecipativo, si era imposta come una legge innovativa, che però si è dimostrata nel tempo inadeguata a regolare la crescita urbana, le trasformazioni dei suoli nonché il crescente interesse delle comunità coinvolte di intervenire nella pianificazione territoriale in un momento anteriore all’adozione del piano stesso; sotto quest’ultimo aspetto ho dato uno sguardo al panorama europeo soffermandomi sull’esperienza francese, inglese, tedesca e spagnola, che hanno individuato nella partecipazione un elemento essenziale e distintivo del proprio ordinamento.

Il terzo capitolo è dedicato alla normativa della Regione Toscana. Dopo aver delineato il modello pianificatorio proposto dalla prima versione della legge regionale sul governo del territorio (n. 5/1995) e le successive versioni (n. 1/2005) con riferimento ai temi della partecipazione, ho evidenziato come nell’ultima versione della legge, la legge reg. n. 65/2014, il legislatore regionale abbia, già nel preambolo di essa, individuato la necessità di introdurre nuovi elementi per favorire la partecipazione dei cittadini alla formazione degli atti di governo del territorio secondo criteri di trasparenza e celerità di procedure anche al fine di costituire una filiera partecipativa in grado garantire un miglior grado di conoscenza generale degli atti in discussione; per perseguire queste finalità è stata instituita una figura

ad hoc, il Garante dell’informazione e della partecipazione, già

prevista dalla legge reg. n. 5/1995 che prevedeva un Garante della sola informazione ed al quale la legge reg. n. 65/2014 ha aggiunge l’appellativo “della partecipazione” arricchendo tale figura di compiti e funzioni; quest’ultime sono state recentemente regolamentate in modo dettagliato con reg. regionale n. 4 del 14 febbraio 2017. Ai sensi della normativa vigente si prevede quindi un Garante Regionale dell’informazione e della partecipazione che svolge tale funzione per la Regione, ma anche gli enti locali con popolazione superiore ai 20.000

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7

abitanti hanno l’obbligo di istituire un proprio Garante dell’informazione e della partecipazione disciplinandone le funzioni nel rispetto della legge reg. n. 65/2014. Tra il Garante Regionale e gli altri Garanti si prevede un rapporto di stretta collaborazione e consultazione al fine di favorire risultati significativi nella formazione degli strumenti di pianificazione.

Infine, nell’ultimo capitolo la mia attenzione si è concentrata sull’attività svolta dal Garante Regionale a seguito di queste novità legislative con riferimento alla modifica del piano rifiuti e bonifiche, al piano di tutela delle acque della Toscana e alla pianificazione in materia di attività estrattive. In queste tre esperienze applicative ho evidenziato come e con quali modalità ha agito il Garante Regionale per garantire adeguate forme di informazione e partecipazione.

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CAPITOLO I

GOVERNO DEL TERRITORIO E DEMOCRAZIA

PARTECIPATIVA

1. Evoluzione storica della materia “urbanistica”

Una breve ricostruzione storica è necessaria per poter comprendere a pieno l’essenza ed il contenuto della materia “urbanistica”, un concetto mutevole e dai confini incerti, il cui oggetto si è delineato nel tempo per adeguarsi alle nuove esigenze territoriali. Nel nuovo Titolo V della Costituzione la materia “urbanistica” non viene più menzionata, dovendosi ritenere che essa sia ricompresa all’interno della materia “governo del territorio”, materia che può ravvisare il suo nucleo duro nell’ “urbanistica” e nell’ “edilizia”.1

La rivoluzione industriale, iniziata a cavallo tra il ‘700 e l’800, in Inghilterra prima e successivamente anche nei paesi Europei, tra cui l’Italia, comportò una profonda ed irreversibile trasformazione del sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico e sociale. La nascita di nuove industrie comportò infatti un grande aumento della popolazione nelle città.

A seguito di questo forte inurbamento, ci fu l’esigenza di razionalizzare l’attività costruttiva degli edifici; iniziarono quindi a emerge alcuni regolamenti edilizi, incentrati sulle varie tecniche edificatorie2 ; quest’ultimi si limitavano a dettare criteri di costruzione delle singole abitazioni, erano per lo più interventi a posteriori a carattere riparatore, creati per risolvere le criticità che si presentavano

1 In tal senso è rilevante la sentenza n. 303 del 2003 dove rileva che se

estromettessimo l’urbanistica e l’edilizia dalla nozione di governo del territorio «rimarrebbe poco più che un guscio vuoto».

2 N. Pignatelli, Il governo del territorio nella giurisprudenza costituzionale: la

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9

a causa del sovraffollamento delle città, non avevano però fini pianificatori3.

Questa inarrestabile crescita delle città ha reso necessario pianificare il

loro sviluppo per garantire un uso razionale degli spazi e la convivenza delle diverse funzioni che in esse si sopraggiungono (funzioni economiche e produttive, funzioni abitative, funzioni sociali e politiche)4.

2. Le leggi di interesse urbanistico

Per tracciare una linea di evoluzione della disciplina italiana, si può ricordare una serie di leggi che hanno ad oggetto il territorio. A tal proposito si possono ricordare delle leggi ad interesse urbanistico. Queste prime normative vengono appunto definite di interesse urbanistico in quanto, l’appellativo di Legge Urbanistica Fondamentale è riservato soltanto alla legge Urbanistica del 1942.

Il primo esempio di normativa ad interesse urbanistico è costituito dagli statuti Murattiani del 1814, un insieme di norme edilizie, unite a norme di proceduta amministrativa, da applicarsi ad alcune aree edificabili in talune parti della città di Bari 5.

Da ricordare è il R.D 13 marzo 1851, n. 1150 relativo al piano di ingrandimento della città di Torino; tra il 1811 e il 1852 seguirono una serie di Decreti che avevano ad oggetto l’ampiamento e la sistemazione della città di Milano.

Successivamente a queste parziali legislazioni, una prima disciplina rilevanti ai nostri fini è rappresentata dalla legge sull’amministrazione comunale e provinciale che si rese necessaria a seguito della

3 L. Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, Bari, Laterza, 1968, p.7 P. Stella

Richter, I principi del diritto urbanistico, Milano, Giuffrè, 2006 p. 17

4 Cit. A Fioritto, Introduzione al diritto delle costruzioni, Torino, G. Giappichelli

Editore, 2013 p. 2

5 M. Petrignani, Bari, il borgo Murattiano: esproprio, forma e problema della città,

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proclamazione dell’Unità d’Italia avvenuta il 17 marzo 18616. Con questa la legge comunale e provinciale, la n. 2248 del 20 marzo 1865, si prevedeva la possibilità, da parte dei Comuni, di poter adottare regolamenti di «edilità». Quale fosse l’oggetto di questi regolamenti è stato successivamente chiarito dal R.D 8 giugno 1865, n. 2321 che all' art. 70 disponeva che i comuni avrebbero potuto adottare norme concernenti la formazione delle commissioni edilizie, dettare regole per le tinte e gli intonaci di muri e facciate, norme relative alla determinazione del perimetro dell’abitato e dettare piani regolatori per disciplinare vie, piazze o passeggiate pubbliche.

Poco dopo, con il fine di agevolare le espropriazioni per il miglioramento viario ed igienico dei maggiori centri abitati, fu emanata la legge 25 giugno 1865 n. 2359 sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità; Questa disciplina può essere considerata come una prima forma di conformazione del territorio; essa introduceva due piani edilizi, ossia, i piani regolatori edilizi ed i piani di ampliamento; i primi erano finalizzati ai risanamenti di situazioni già esistenti, i secondi invece miravano a realizzare nuovi insediamenti 7 . Questo sistema utilizzava l’espropriazione come strumento generale della pianificazione8.

6 «il problema urbanistico comincia a porsi in Italia quado comincia ad esistere

l’ordinamento giuridico italiano e cioè con l’unificazione. Non ha quindi senso studiare il problema urbanistico presso gli antichi romani» F. Spantigati, Manuale di diritto urbanistico, Milano, Giuffrè Editore, 1969, p. 13

7 P. Urbani – S. Civitarese Matteucci, Diritto urbanistico, organizzazione e rapporti,

Torino, G. Giappichelli Editore, 2013 p. 51 e ss. N. Pignatelli, Il governo del

territorio nella giurisprudenza costituzionale: la recessività della materia, Torino,

Giappichelli, 2012 p. 3

8 In tal senso G.L Conti, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio,

Milano, 2007, 24 ss. Lo stesso autore mette in evidenza che i suddetti piani potendo essere approvati solo in alcuni comuni, non dessero vita ad uno strumento

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3. La materia “Urbanistica” nella Legge n° 1150/1942

La necessità di una disciplina organica, che andasse a tutelare i vari usi del territorio, fu tale che nel 1942 venne emanata la prima legge urbanistica nazionale, la legge n° 1150/1942, tutt’ora vigente seppur con i suoi limiti, fu capace di superare l’inadeguatezza delle normative post-unitarie, dando vita ad un modello le cui finalità risultavano assolutamente autonome rispetto a quelle dell’”edilizia”. Con questa legge il legislatore delineava un rapporto di species et

genus9 tra materia “edilizia” e quella “urbanistica”10. Da questa legge emerge chiaramente che il territorio non era solo oggetto di sfruttamento edilizio da parte dei proprietari valicando la concezione

liberale dell’urbanistica e della sacralità della proprietà privata, attribuendo agli uffici pubblici il potere di disporre e di regolare la destinazione delle aree edificabili11.

Al primo comma dell’articolo 1, si può trovare l’ambito oggettivo della legge che riguarda : «L’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica». In questo primo articolo si vede ribaltata la vecchia logica del diritto urbanistico, non più mera regolazione delle modalità costruttive e delle condizioni igieniche, ma una visione di un territorio che necessita di una pianificazione con lo scopo di assicurare il rispetto dei caratteri tradizionali del territorio, come emerge dal comma 2 della stessa disposizione12.

9 N. Pignatelli, Il governo del territorio nella giurisprudenza costituzionale: la

recessività della materia, Torino, Giappichelli, 2012 p. 5

10 Questo lo si può ricavare dalla lettura dell’art. 4 della succitata legge, il quale

dispone che: <La disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori

territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti.>

11 G.L Conti, le dimensioni costituzionali del governo del territorio p. 32 ss. 12 Comma 2, art. 1 l. 1150/1942 «Il Ministero dei lavori pubblici vigila sull’attività

urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo».

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La legge è strutturata tramite un sistema così detto “a cascata”; è cioè costituita da una sequenza gradualistica di comandi, disponendo dal generale al particolare. Il primo livello è costituito dalla previsione di un Piano Territoriale di Coordinamento , un secondo livello costituito dal Piano Regolatore Generale, ed infine il Piano Particolareggiato di esecuzione.

Questo modello aveva due aspetti caratterizzanti: in primo luogo il fulcro del piano regolatore comunale, come strumento di pianificazione generale, come secondo l’istituto della zonizzazione13. La zonizzazione aveva quindi il fine ultimo di evitare l’espropriazione, andando invece a conformare il contento del diritto di proprietà ai fini stabiliti dai piani.

Questo sistema si reggeva su un asse istituzionale bicefalo14: da una

parte vi era il potere dello Stato che, tramite il Ministero dei lavori pubblici, aveva la facoltà di provvedere, a norma dell’art 5 della l. n. 1150/1942 «alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano»; dall’altra parte vi erano i Comuni che, attraverso i piani regolatori comunali, avrebbero dovuto necessariamente conformarsi ai piani territoriali di coordinamento. Proprio tramite il PTC, il legislatore avrebbe anticipato l’affermazione di un più ampio “governo del territorio” di cui il diritto urbanistico ne rappresenta solo un aspetto15. Da questa interazione tra i due diversi

13 La zonizzazione è una tecnica, nata negli Stati Uniti con il nome di “zoning” al fine

pianificare il territorio. Il territorio viene ripartito in zone, a ciascuna delle quali viene riconosciuta una particolare vocazione (residenziale, produttiva, nuovi insediamenti).

14 Cit. N. Pignatelli, Il governo del territorio nella giurisprudenza costituzionale: la

recessività della materia, Torino, Giappichelli, 2012 p. 8

15 P. Urbani rileva come « l’aspetto più rilevante della legge urbanistica sta nell’aver

anticipato la disciplina di fenomeni territoriali che solo alcuni decenni dopo si sarebbero manifestati con grande evidenza e che sinteticamente possono essere riassunti nel termine di “ pianificazione di area vasta” » P. Urbani, Urbanistica

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livelli istituzionali, si intravede una sorta di anticipazione del modello della sussidiarietà.

Questa legge, per quanto necessaria ed innovativa in passato, è nel tempo diventata inadatta alla pianificazione dei nostri territori.

4. L’Urbanistica nel modello costituzionale

In sede costituente la problematica relativa all’urbanistica fu ricondotta al tema del regionalismo, in particolare nell’individuare il riparto di competenze tra Stato e regioni. Il dibattito in tale sede è stato insoddisfacente e frettoloso16, tanto che la sottocommissione che si occupò della materia urbanistica si limitò ad evidenziare come la materia era da ricondurre alla competenza legislativa delle regioni, senza dare ulteriori specificazioni.

All’interno della Costituzione, nella sua versione originaria, troviamo l’urbanistica all’art. 117 che trattando di competenza legislativa delle Regioni specifica che «la regione emana per le seguenti norme legislative, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello delle altre regioni» scorrendo l’elenco delle materia si trova anche l’urbanistica. Già dal riparto delle materie inizia a emergere la difficoltà di tenere distinta la sola materia urbanistica dalle altre che si andavano oggettivamente a sovrapporre ad essa come ad esempio «tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale» o ancora «viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale».

Da ricordare, in ambito urbanistico è la legge n. 765 del 6/8/1967 detta anche legge-ponte. Con questo provvedimento, il legislatore ha

16 « L’urbanistica fu tra quelle materie su cui calò il silenzio dei Costituenti, per la

quale si ritenne di non fornire alcuna specificazione concettuale» cit. p.10 P. Urbani – S. Civitarese Matteucci, Diritto urbanistico, organizzazione e rapporti, Torino, G. Giappichelli Editore.

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introdotto modifiche e integrazioni alla legge urbanistica del 1942, in attesa di una riforma più organica e complessiva della legislazione urbanistica tale da superare le insufficienze della l. 1150/1942.

Ai nostri fini questa legge va ricordata in quanto estende il principio di pianificazione al di là dei soli centri abitati. In questa prospettiva tutto

il territorio comunale diventa oggetto di controllo sia urbano che edilizio17.

Negli anni 70 iniziò il percorso di istituzione delle regioni ordinarie. Con il DPR n. 616/1977 vi fu il completamento del trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni. È in questo momento che l’urbanistica ha visto definitivamente allargare i suoi confini. Si è passati dal concetto di incremento edilizio dei centri abitati a quello più ampio di “governo del territorio”, a tal proposito, l’art. 80, del DPR 616/1977, identifica l’urbanistica con la «disciplina dell’uso del

territorio compressiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente».

A seguito di un lungo iter normativo, è stata approvata la legge costituzionale n. 3/2001 che ha riformata il titolo V della costituzione modificando gli artt. 114-132. Con questa legge costituzionale venne attribuito alle Regioni un potere legislativo concorrente con lo Stato nella materia “governo del territorio”, il cui significato sarà chiarito solo successivamente con l’intervento della Corte Costituzionale.

5. Il fondamento costituzionale del governo del territorio

Originariamente il fondamento Costituzionale del “governo del territorio” veniva ancorato a due articoli della Costituzione all’art. 41, 3 comma Cost. ai sensi del quale la legge può determinare i programmi

17 Cit. N. Pignatelli, Il governo del territorio nella giurisprudenza costituzionale: la

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e i controlli opportuni affinché l’iniziativa economica sia indirizzata e coordinata a fini sociali, e nell’art 42, secondo cui la legge tutela la proprietà privata e al contempo ne assicura la funzione sociale.

In questa prospettiva l’oggetto dell’urbanistica veniva ricondotto essenzialmente al potere di apporre limiti alla proprietà privata18. Oggi tale visione riduttiva dell’urbanistica è stata superata dalla dottrina più recente, che individua l’oggetto dell’urbanistica nel territorio nel suo complesso senza limitazioni di sorta19.

Secondo questa linea di pensiero, il fondamento costituzionale dell’urbanistica, risiede negli artt. 2 e 3, comma 2 della Costituzione, in quanto tali articoli, impegnano la Repubblica a promuovere un

modello di società civile basato sui valori della solidarietà e dell’eguaglianza di opportunità, ed in tale contesto anche l’urbanistica assume ruolo traente verso tale obiettivo20.

6. L’ambito oggettivo del governo del territorio

Già prima della costituzionalizzazione del governo del territorio, la dottrina aveva evidenziato che oggetto dell’urbanistica fosse il territorio nel suo complesso. La finalità del diritto urbanistico era quindi quella di ottimizzare l’uso del territorio considerato nella sua globalità. Anche la stessa corte costituzionale è espressa in tal senso con la sentenza n. 239 del 1982, nel quale afferma che “ ogni dubbio,

se pure poteva giustificarsi in passato, non ha ormai ragion d’essere, e se si deve quindi ritenere che l’urbanistica comprende tutto ciò che concerne l’uso dell’intero territorio (e non solo degli aggregati

18 Posizione sostenuta da G. Zanobini nelle varie edizioni del “Corso di diritto

amministrativo” ove, nella parte dedicata ai limiti del diritto di proprietà. inserisce i piani regolatori edilizi e i regolamenti edilizi come limiti concernenti la proprietà.

19 P. Stella Richter, I principi del diritto urbanistico, Milano, Giuffrè, 2006 p. 17 20 P. Urbani – S. Civitarese Matteucci, Diritto urbanistico, organizzazione e rapporti,

Torino, G. Giappichelli Editore, 2013 cit. p. 40 che rinvia alle posizioni assunte in tal senso da A. Pedrini, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1963, P. Urbani, Urbanistica, ad vocem, in Enc. Dir., 1993.

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16 urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture”.

Con la riforma del titolo V del 2001, per effetto della legge Cost. n 3/2001, è stato introdotto, nell’ambito della potestà legislativa concorrente di cui all’art 117 terzo comma della Costituzione. La nuova “materia governo del territorio” in sostituzione della materia “urbanistica”. L’espressione governo del territorio, non conosce una esplicita definizione normativa statale ma è possibile richiamare una definizione dottrinale che individua l’oggetto “nel complesso degli strumenti normativi diretti alla regolamentazione, controllo e gestione dell’uso del territorio, intero come bene immobile suscettibile di proprietà pubblica o privata e, nello stesso tempo, polo di attrazione di alcuni valori costituzionali: la tutela dell’ambiente, del paesaggio e della salute, nonché uno spazio naturale di espansione dei diritti sociali”21.

C’è da dire che la nozione di governo del territorio non compare per la prima volta all’interno del testo costituzionale ma era già apparsa precedentemente nella legislazione regionale. In tal senso la pioneristica legge regionale Toscana, 16 gennaio 1995, n. 5 “Norme per il governo del territorio”, la legge regionale della Basilicata, 11 agosto 1999, n. 23 “Tutela, governo ed uso del territorio” nonché la legge regionale del Lazio, 22 dicembre 1999, n. 38. In sede di legislazione regionale, il riferimento al governo del territorio veniva utilizzato “come indicatore di un nuovo modello di pianificazione, nel quale le esperienze regionali scelgono come distribuire il potere di determinare gli usi ammissibili del suolo all’interno di una gamma di strumenti normativi che si rifanno in termini piuttosto elastici a quelli previsti in generale dalla disciplina statale, che vengono definiti

21 G. L. Conti, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio, Giuffrè

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17

nuovamente in base alle singole esperienze regionali e locali ed alla considerazione che in queste esperienze assumono i vari interessi coinvolti dall’attività di pianificazione del territorio.

6.1. Urbanistica e edilizia

Nella precedente versione dell’art 117, l’urbanistica era espressamente attribuita alla concorrenza legislativa regionale, mentre l’edilizia, si poneva come momento gestionale-operativo dell’urbanistica.

A seguito della riforma costituzionale si aprì un dibattito circa l’esatta collocazione dell’edilizia. Essa potrebbe essere infatti essere considerata come un profilo del governo del territorio e di conseguenza, di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni oppure essere considerata una materia autonoma di competenza esclusiva regionale in quanto non inclusa nei commi 2 e 3 dell’art. 117.

La tesi, secondo cui la materia edilizia non rientri nel governo del territorio, sostiene che l’edilizia si riduca ad una funzione di

mero accertamento della sussistenza del titolo legittimante l’esecuzione delle opere e, in caso negativo, delle sanzioni da applicare per la sua mancanza22. Dunque, nel momento del rilascio de titolo non si va a coinvolgere la pianificazione, che come tale deve sottostare alla disciplina statale e regionale23. A togliere ogni dubbio sul punto è infine intervenuta la Corte Costituzionale attraverso due sentenze, le quali hanno decretato che l’edilizia fa parte del governo del territorio e che estromettere tali aspetti, così rilevanti dal governo del territorio

22 G. L. Conti, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio, Giuffrè

Editore, 2007, p. 183-184

23 P. Falcone, l’edilizia, in trattato di diritto amministrativo, vol. III, a cura di S.

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ridurrebbe il significato della materia del governo del territorio «a poco più di un guscio vuoto»24. Tale impostazione è stata poi riconfermata da una, di poco, successiva sentenza della Corte Cost. n.362 del 2003 secondo cui l’ambito della materia edilizia va ricondotto al governo del territorio in quanto «la formula adottata dal legislatore della revisione costituzionale del 2001 riecheggia significativamente quelle con le quali, nella più recente evoluzione della legislazione ordinaria, l’edilizia e l’urbanistica sono state considerate unitariamente».

6.2 Altri profili contenutistici del governo del territorio

Compreso quindi, che il nucleo duro del governo del territorio è rappresentato dall’urbanistica e dall’edilizia, dobbiamo ora vedere se, all’interno di tale nozione, vi rientrano anche altre ambiti materiali. A tal proposito la Corte Costituzionale è intervenuta con una serie di sentenze finalizzate ad includere o ad escludere tali ambiti dalla nozione governo del territorio. Ad oggi risultano ricomprese nelle materia anche l’edilizia sanitaria25, la riqualificazione urbana26, l’edilizia residenziale pubblica relativamente alla programmazione degli alloggi27, il

24 A tal senso è utile riportare il ragionamento effettuato dalla Corte Costituzionale

nella sent. n. 303 del 2003: «La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del “governo del territorio”. Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto».

25 Corte Cost. nn. 105/2007, 15/2008, 99/2009 26 Corte Cost. 16/2004

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condono edilizio28, le sanzioni amministrative29, la fruizione delle risorse idriche30, la localizzazione e realizzazione degli impianti di smaltimento rifiuti31, la progettazione di opere pubbliche32, le opere di bonifica33 e i procedimenti espropriativi finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche nelle materie di competenza concorrente34.

7. La funzioni amministrative relative alla materia del governo del territorio

Nella materia del governo del territorio la conformazione dei suoli avviene attraverso la predisposizione di piani, che hanno natura di atti amministrativi, di conseguenza attuabili attraverso i poteri autoritativi35 esercitabili dalle amministrazioni.

La funzione conformativa dei suoli, si attua attraverso le previsioni contenute all’interno dei piani. Essi, anche se a contenuto generale, come il PRG, non sono mai astratti ma si riferiscono ad una realtà concreta ed attuale. I piani così intesi, possono essere adottati da enti diversi (piani territoriali regionali, piani territoriali di coordinamento provinciale, piani intercomunali ed infine i piani comunali).

Un'altra funzione amministrativa, relativa al governo del territorio è rappresentata dalla funzione di controllo, attraverso la quale, la P.A.,

28 Corte Cost. nn. 196/2004 sentenza nel quale la corte riconosce: “l’intervenuto

accrescimento dei loro poteri [delle Regioni] in conseguenza della riforma del Titolo V”. 29 Corte Cost. 246/2009 30 Corte Cost. 168/2008 31 Corte Cost 314/2009 32 Corte Cost. 401/2007 33 Corte Cost. 282/2004 34 Corte Cost. 148/2003

35 In estrema sintesi: i “poteri autoritativi” sono costituti dall’insieme di poteri

riconosciuti alla Pubblica Amministrazione, in quanto incidono unilateralmente sulla sfera giuridica dei destinatari. Si è soliti distinguere i poteri autoritativi, dal “servizio pubblico” che invece si riferisce all’attività disciplinata nelle medesime forme (e quindi tramite norme di diritto pubblico o da atti autoritativi) ma caratterizzati dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima.

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verifica la correttezza attuativa delle previsioni contenute nel piano, ci riferiamo, in particolare, al rilascio dei permessi a costruire, ottenibili se il progetto presentata è rispettoso delle previsioni contenute nel piano.

La funzione sanzionatoria, verifica invece che le attività di rilevanza urbanistica ed edilizia, non siano svolte in mancanza del permesso di costruire o della S.C.I.A36. Nel caso in cui, i vari obblighi imposti dalla

legge non siano rispettati, interviene una sanzione che impone l’ordine di demolizione o il pagamento di sanzioni pecuniarie, a cui si può accompagnare anche l’applicazione di sanzioni penali.

Infine, la funzione di gestione, è orientata a rendere operative le prescrizioni degli atti di piano. Si possono richiamare a tal proposito, le società di trasformazione urbana, disciplinate dall’art 120 del d.lgs. n. 267 del 2000, a cui sono affidati compiti di progettazione e realizzazione di interventi di trasformazione urbana37.

8. L’insegnamento del diritto urbanistico

La materia urbanistica, oggi più propriamente governo del territorio, è stata dapprima insegnata nelle facoltà scientifiche (Architettura, Ingegneria) e solo più recentemente in quelle di Giurisprudenza. Anche se insegnata in facoltà aventi obiettivi di formazione differenti, il metodo d’insegnamento del diritto urbanistico non è differenziato, infatti non si può scindere la materia isolando i profili giuridici e dei procedimenti amministrativi da quelli tecnici. La conoscenza dei

36 La S.C.I.A (acronimo di segnalazione certificata di inizio attività è uno strumento

di semplificazione e liberalizzazione delle attività d’impresa; infatti per iniziare una attività di tipo imprenditoriale è oggi sufficiente segnalarlo alla P.A competente senza attendere il via libera di quest’ultima.

37 L. Cesarini, Diritto e diritti, 2002, nell’analizzare la norma, sostiene che l’istituto

delle Stu, pensato dal legislatore come strumento ulteriore e distinto da quelli già noti per dare soluzione a problemi giuridici ed economici legati all’attuazione dei piani urbanistici, presenta, peraltro, una potenziale attitudine a divenire mezzo ordinario per il governo del territorio, favorendo una logica di collaborazione stabile tra pubblico e privato.

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profili giuridici è quindi essenziale sia per l’urbanista che per il giurista. Sotto il profilo giuridico, più specificatamente inteso, il diritto urbanistico infatti afferisce maggiormente al diritto amministrativo inteso come diritto delle amministrazioni pubbliche, di cui rappresenta

un settore particolarmente rilevante, sotto il profilo sia quantitativo sia qualitativo38.

Oltre al diritto amministrativo, il dritto urbanistico, investe i rapporti giuridici privati; incide infatti sul regime di proprietà dei beni immobili e viene studiato anche in ambito penalistico in quanto le trasformazioni dei suoli in violazione delle leggi urbanistiche sono considerate in molti casi reati. È infatti definita come una materia con natura

intersettoriale39.

9. Partecipazione e democrazia partecipativa

La partecipazione alle decisioni pubbliche è oggi un tema di grande rilevanza in tutti i campi dell’agire amministrativo, diventando un momento cruciale nelle scelte che un amministrazione compie e che vanno ad incidere, anche in modo irreversibile, su una determinata comunità e sul territorio in cui essa vive40.

Da più parti della dottrina emerge come, negli ultimi anni, ci sia stata una crisi della democrazia rappresentativa, che ha dato spazio a nuove forme democratiche41.

All’origine del principio di contraddittorio nell’azione amministrativa c’è la necessita di rafforzare la tutela del privato in tutti quei casi in cui

38 P. Urbani – S. Civitarese Matteucci, Diritto urbanistico, organizzazione e rapporti,

Torino, G. Giappichelli Editore, 2013 p. 3

39 P. Stella Richter, I principi del diritto urbanistico, Giuffrè 2002 p. 9

40 L’influenza della società su sulle decisioni amministrative saranno: «capaci non

solo di determinare il progresso economico, sociale e infrastrutturale, ma avranno la forza di influenzare lo sviluppo. La crescita e le potenzialità delle generazioni future» cit. G. Pizzanelli, La partecipazione dei privati alle scelte pubbliche, Giuffrè editore, Milano, 2010 p. 2

41 L. Bobbio, Democrazia e nuove forme di partecipazione, in M. Bovero e V. Pazè

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l’autorità pubblica poteva autonomamente limitare alcuni interessi del privato42.

La dottrina ha individuato tre diverse accezioni del principio del contraddittorio in tale ambito: il contraddittorio come istituto di garanzia; come strumento collaborativo; ed infine come modello per l’apertura alla democrazia nell’amministrazione pubblica.

Nella sua prima accezione il privato interverrebbe nel procedimento amministrativo solo per tutelare i suoi interessi individuali, con tale partecipazione realizzerebbe una tutela anticipata nel senso di evitare un successiva azione giurisdizionale43.

Secondo la concezione collaborativa, l’intervento favorirebbe l’emersione di interessi collettivi ai fini della realizzazione di una buona amministrazione44.

Sulla partecipazione collaborativa invece vengono poste le basi per l’apertura ad una concezione democratica della partecipazione che si ha nei casi in cui la legittimazione ad interloquire con l’amministrazione è aperta a tutti gli interessati45, ed è proprio su questa ultima accezione che si sono concentrati gli studi di una democrazia partecipativa.

Quando parliamo di democrazia partecipativa, possiamo fare riferiamo alla definizione data da Umberto Allegretti che la definisce un

relazionamento delle società con le istituzioni che comporta un intervento di espressioni dirette della prima nei processi di azione

42 Tali erano proprio i casi di espropriazione per pubblica utilità con la l. 25 giugno

1865, n. 2359 e la formazione dei PRG con la LU 1150/1992.

43 Si esprime in tal senso il TAR Campania, Sez. I 6910/2007 “ l’anticipazione in

sede procedimentale di una fase para contenziosa con il privato consente

all’amministrazione, prima di decidere in via definitiva, di vagliare con attenzione le ragioni adottate dall’istante”

44 In questa linea si sviluppa il pensiero del mero apporto collaborativo riservato alle

osservazioni al PRG così come delineato dal modello della LU n. 1150/1992

45 G. Pizzanelli, La partecipazione dei privati alle scelte pubbliche, Giuffrè Editore,

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23 delle seconde”46. Da queste parole emerge la finalità di questi studi che si concretizzano nella speranza che le varie tecniche di partecipazione e democrazia partecipativa siano riconosciute come un valore

fondamentale e vengano considerate con cura gelosa per introdurle concretamente nella pratica normativa e amministrativa47.

10. Basi costituzionali della democrazia partecipativa

Si possono ravvisare all’interno della Costituzione le fondamenta della democrazia partecipativa. Si può fare riferiamo, innanzi tutto, all’art. 3 comma 2 della Costituzione 48. In esso si promuove la partecipazione in campo politico, economico e sociale tale da renderla un’applicazione concreto dello sviluppo della persona umana49. Questo articolo si lega in maniera indissolubile con l’Art. 2 della Costituzione; dove si evidenzia la centralità dell’individuo nel decidere come svolgere al meglio la sua personalità, ed è proprio tramite la partecipazione nelle decisioni che coinvolgono il territorio che lo circonda, il luogo in cui un soggetto, non soltanto come singolo ma anche attraverso le formazioni sociali, riesce ad esprimersi e concretizzare i suoi interessi.

Parte della dottrina ha quindi concluso considerando che, il problema della partecipazione, nell’impianto Costituzionale, ha avuto senz’altro un impianto positivo, ma è difficile riconosce che essa sia stata del

46 U. Allegretti, Democrazia partecipativa e controllo dell’amministrazione,

«Democrazia e diritto», 2006, PP. 71-79.

47 U. Allegretti, Basi giuridiche della democrazia partecipativa in Italia alcuni

orientamenti, cit. p. 287

48 Il cui testo integrale del 2 comma recita: “E` compito della Repubblica rimuovere

gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

49 tale finalità è di importanza tale che secondo U. Allegretti, op. cit. nota 45

«identifica in questa la norma fondamentale che guida la dinamica della vita

repubblicana – e va intesa anche nel senso che la norma di scopo è, necessariamente, anche norma generale sugli strumenti e dunque sull’intera disciplina giuridica».

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tutto consapevole nell’identificare le conseguenze di siffatti principi per ogni ramo di attività e di organizzazione statale e sociale. Da questa visione emerge che, dal dettato costituzionale non emergerebbe in capo al legislatore statale un vero e proprio dovere di disciplinare gli istituti di Democrazia Partecipativa50.

Di contrario avviso è invece un’altra parte della dottrina che intravede la necessità di una disciplina positiva che sancisca regole e garanzie, per rendere effettive le varie prassi partecipative51.

11. Il momento applicativo della democrazia partecipativa

Se ancora non esiste una legge statale incentrata sulle varie tecniche di democrazia partecipativa, non si può non osservare come negli ultimi anni vi sia stato all’interno del panorama nazionale, ma anche internazionale (come ad esempio la VIA e la VAS), la nascita di numerose normative volte ad introdurre la partecipazione nei processi decisionali (soprattutto a livello regionale).

Ecco che sulla scia di queste nuove visioni democratiche, anche la disciplina urbanistica si è arricchita di procedure, di metodi e di strumenti che hanno inaugurato questa nuova forma di democrazia sempre più aperta alla partecipazione sociale.

Il rapporto tra i processi partecipativi e le discipline urbanistiche non risulta sempre definito e strutturato in maniera univoca, in quanto rappresenta il frutto di pratiche in continua evoluzione, che sono oggi

50 U. Allegretti, riconosce invece il ruolo importante che spetterà, in tale ambito, agli

atti normativi emanati degli enti territoriali. Innanzi tutto agli statuti delle Regioni, delle Province e dei Comuni, e poi in concreto alle leggi regionali e ai regolamenti locali. Anche R. Angelini, R. D. Onofrio, ritiene che la mancanza, in Italia di una copertura istituzionale della partecipazione dia vita a sperimentazioni che innova le pratiche consuete di progettazione e pianificazione. Comunicazione e partecipazione per il governo del territorio, Franco Angeli Editore, 2015 pp. 23 ss.

51 A. Valastro, La democrazia partecipativa come metodo di governo, diritti,

responsabilità, garanzie in G.Arena (a cura di) Per governare insieme: il Federalismo come metodo. Verso nuove forme di democrazia, CEDAM, 2011.

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oggetto di sperimentazione nelle esperienze dei diversi livelli territoriali.

Alcuni temi come la rigenerazione urbana, la qualità dell’ambiente, la mobilità sostenibile e l’uso di spazi pubblici urbani, ben si prestano a questa sperimentazione di pratiche metodologiche inclusive che vedono la partecipazione dei privati e dei portatori di interesse, soggetti attivi nella determinazione delle scelte52.

Prima di iniziare è necessario porre le basi del problema che nel corso del lavoro cercherò di analizzare.

11.1 “Chi” informare

L’informazione, in quanto atto recettizio, necessita di destinatari, ma individuarli non è cosa semplice in quanto, la scelta dei soggetti da coinvolgere è particolarmente delicata ed è una scelta, ben precisa, a carattere politico.

Nella legislazione Italiana si può far riferimento all’art. 9 della LU del 1944, che usava una terminologia assai vasta in quanto prevedeva che : “il progetto del piano regolatore generale del Comune deve essere depositato nella Segreteria comunale per la durata di 30 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha

facoltà di prenderne visione”.

La vocazione espansiva di questa norma è stata progressivamente erosa, come vedremo, dalla giurisprudenza costituzionale, che ne ha ridotto i confini.

Un'altra norma in stretta connessione con la pianificazione, che prevede una forma di partecipazione dei privati, è il T.U dell’ambiente (d.lgs. 152/2006). All’interno del titolo II dedicato alla procedura di VAS individua all’art. 24 i soggetti

52 Relazione al XXVI Congresso dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) a cura

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legittimati a proporre osservazioni. Esso recita : “entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione di cui all'articolo 23, chiunque abbia interesse può prendere visione del progetto e del relativo studio ambientale, presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi”; tale norma, rispetto alla legge urbanistica fondamentale, sembra restringere il novero dei soggetti passivi dell’informazione e della partecipazione sembrano, in quanto si necessita, per legittimare l’intervento, di un interesse.

Per un primo sguardo alle legislazione Toscana, si può osservare come nella legge n. 65/2014, all’art. 8 dedicato ai soggetti del governo del governo del territorio, la norma si riferisce indistintamente ai: “soggetti pubblici e privati nonché i cittadini singoli o associati partecipano alla formazione degli atti di governo del territorio secondo le disposizioni della presente legge”. Questa norma trova poi concreta applicazione nel Capo V, rubricato “Gli istituti della partecipazione”.

11.2 “Quando” informare

In passato il momento in cui i privati, con le proprie osservazioni, potevano intervenire, si poneva in un momento successivo rispetto ad un potere amministrativo che era ormai già stato esercitato. Oggi, nelle varie leggi Regionali vi è la tendenza ad attivare la partecipazione fin dai momenti iniziali: i cittadini vanno infatti coinvolti dell’informazione e della partecipazione fin dalle prime battute dei processi pianificatori.

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11.3 “Come” informare

Siamo passati da una impostazione rigida dei modelli informativi e partecipativi della l. 1150/1942, che instauravano un principio di tipicità, che esauriva, nel modello delle osservazioni, il momento partecipativo principale. Da questo principio di tipicità, nel corso degli anni, si è passati ad un criterio di funzionalità che ha portato all’atipicità degli strumenti utilizzati, tanto che, la legge regionale Toscana n.65/2014, ha largamente innovato la precedente normativa, stabilendo agli artt.36 e ss., specifici obblighi per le amministrazioni in termini di informazione e partecipazione dei cittadini nelle formazione degli atti di governo del territorio e dei piani attuativi.

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CAPITOLO II

LA PARTECIPAZIONE NELLA LEGISLAZIONE

STATALE E PROFILI COMPARATISTICI DI

ALCUNE ESPERIENZE STRANIERE

1. Il modello della pianificazione delineato dalla legge n. 1150/1942

Come abbiamo già avuto modo di notare al par. 5 del Cap. 1, spetta al legislatore statale fissare i principi generali in materia di governo del territorio53 in base all’art 117, comma 3 Costituzione, mentre spetta alle regioni la disciplina di dettaglio.

Il modello statale rimane improntato su un sistema tendenzialmente di tipo gerarchico che si articola su tre distinti livelli. La pianificazione di coordinamento, che ha un efficacia nel tempo indeterminata contente ampie direttive sull’utilizzo del territorio, la pianificazione generale, di livello comunale, attuata tramite la predisposizione del PRG ed infine la pianificazione attuativa che tende a specificare e rendere operative le prescrizioni contenute nei piani generali; ad oggi la legge che fissa i principi genali della pianificazione urbanistica rimane la legge n. 1150/1942. Svariati sono stati nel tempo i tentativi di creare una legge che fissasse nuovi principi più in linea con le nuove esigenze della disciplina. L’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) si è fatto più volte portavoce di questa esigenza, tale da elaborare una bozza di legge che andasse appunto a creare dei principi generali in materia urbanistica54.

54 Riportando uno stralcio della relazione elaborata da tale istituto emerge che:

“L’INU ritiene indispensabile e urgente l’approvazione da parte del Parlamento

della legge sui Principi fondamentali del governo del territorio, una legge

obbligatoria per il dettato costituzionale dato che lo stesso governo del territorio è materia di “legislazione concorrente”. A questo obiettivo l’Istituto ha dedicato buona parte della propria attività durante le due ultime legislature, prestando collaborazione a livello istituzionale, organizzando numerosi seminari e convegni di confronto, non facendo mancare il proprio contributo anche in termini di proposte.”

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Con riguardo ai temi della partecipazione, l’INU, a dicembre 2014 ha promosso la sottoscrizione della Carta della Partecipazione.

Si è trattato dell’inizio di un percorso che punta al progressivo coinvolgimento di enti pubblici e strutture associative per creare una rete e, attraverso l’applicazione della Carta, diffondere la cultura di una partecipazione effettiva e “di qualità” dei cittadini alle decisioni. Infatti quando oggi parliamo genericamente di “partecipazione”.

Non esistendo in Italia una vera e propria disciplina, né strumenti di certificazione delle competenze, la materia è oggetto di interpretazioni diverse, a volte approssimative o contrastanti. In una materia così delicata, che ha a che fare con il rapporto di fiducia tra le istituzioni e i cittadini, la Carta della Partecipazione cerca di portare competenza e rigore metodologico, definendo delle regole minime che aiutino a progettare o a valutare la qualità di un processo partecipativo.

Nata dall’esperienza “sul campo” di un centinaio di esperti di diverse regioni, e approfondita grazie al contributo di importanti associazioni nazionali che operano a stretto contatto con i cittadini, la Carta è un documento breve e scorrevole composto da 10 semplici principi, comprensibili a tutti, che indicano come dare qualità al processo partecipativo, con riguardo all’utilizzazione della Carta l’INU ne consiglia l’utilizzo in fase di progettazione di un percorso di

coinvolgimento dei cittadini, oppure come griglia da usare in fase valutativa per determinare la qualità di un processo partecipativo proposto o realizzato.

Procediamo ora ad analizzare sommariamente le caratteristiche principali dei singoli livelli di pianificazione.

Testo integrale reperibile su sito web: www.inu.it

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1.1 La pianificazione di coordinamento

Un importante precisazione va fatta con riferimento al piano territoriale di coordinamento (P.T.C) e alla crescente importanza che esso ha assunto nel tempo. Esso, infatti, era già previsto dall’art 5 della legge n. 1150/1942; lo scopo di tale piano era quello di «orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinati parti del territorio nazionale. Era compito del Ministero dei lavori pubblici di provvedere alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il perimetro di ogni singolo piano».

Da questa logica centralista, che affidava questo importante compito al Ministero dei lavori pubblici, si è passati ad una logica regionalistica, infatti, spetta oggi alla regione l’elaborazione e l’approvazione del piano 55 . Ad oggi i piani territoriali di coordinamento sono previsti dalle vari leggi regionali, ma c’è da sottolineare le differenze che nel tempo si sono delineate rispetto ai piani di coordinamento così come previsti dalla legge n. 1150/1942. Si nota innanzi tutto che essi non sono più facoltativi, come in passato, bensì obbligatori. Con riguardo al contenuto essi contengono prevalentemente indirizzi, criteri e standards collegati alla programmazione economica regionali56.

1.2 Piano di coordinamento provinciale

Passando ora al grado sottostante il P.T.C troviamo il P.T.C. Provinciale, altro strumento pianificatorio di natura sovracomunale

55 Questo passaggio di competenza alle regioni è avvenuto attraverso il d.P.R 15

gennaio 1972 n. 8, attraverso il quale si è operato il "trasferimento alle Regioni a

statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale e dei relativi personali ed uffici".

56 Per approfondimento si veda A. Fioritto, Introduzione al diritto delle costruzioni,

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previsto dalla legge 8 giugno 1990 n.142 che all’ art. 15 stabilisce che “La provincia, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, determina indirizzi generali di assetto dei territorio e, in particolare, indica:

a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;

c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulicoforestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.”

È evidente come i P.T.C.P hanno assunto un ruolo intermedio57 rispetto alle competenze demandate alle Regioni e quelle dei comuni.

Un aspetto importante di tali piani riguarda la formazione, essi dovranno infatti assicurare il concorso dei comuni alla formazione del piano medesimo e prevedere la trasmissione dello stesso alla regione, al fine di accertarne la conformità agli indirizzi regionali.

57 M. Morelli, La pianificazione urbanistica. Dal piano regolatore generale ai piani

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1.3 Il piano regolatore generale intercomunale

Esso è un altro strumento di livello sovracomunale previsto dall’art. 12 Legge n. 1150/1942. C’è subito da dire che tale mezzo non ha avuto grande applicazione nel tempo. Due sono i motivi riconducibili a tale scarsa applicabilità. In primo luogo ha giocato a sfavore l’assenza di una più precisa regolamentazione oltre alla scarna disciplina contenuta nella legge n. 1150/1942. In secondo luogo, la discussione circa la natura giuridica di tale strumento, ne ha reso incerti i confini, tale da creare incertezza nel momento applicativo. Dottrina e giurisprudenza erano appunto in contrasto. Una parte della dottrina ravvisava nel piano regolatore intercomunale uno strumento che, come gli altri strumenti di natura sovracomunale, dovesse contenere soltanto direttive di massima58. Di diverso avviso era invece un'altra parte della dottrina che vedeva i piani regolatori intercomunali come strumenti con identico contenuto del P.R.G. e quindi le disposizioni in esso contenute erano prescrittive e immediatamente vincolanti per le amministrazioni. Questa seconda impostazione è stata avallata anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato59 intervenuta anche più recentemente su questo punto (Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2074) e chiarendo che la procedura di approvazione di tale piano “costituisce un atto complesso inscindibile, formato dalle determinazioni di tutti i comuni interessati, a ciascuno dei quali deve essere riconosciuta la qualità di autorità emanante”.

58 M. Morelli, La pianificazione urbanistica. Dal piano regolatore generale ai piani

attuativi, Halley Editrice, 2007, pp. 22 ss.

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1.4 Il piano regolatore comunale Generale

Il Piano Regolatore esplica la sua importanza attraverso la fissazione delle direttive generali per l’organizzazione dell’intero territorio comunale. Attraverso le sue disposizioni, il Piano regolatore impone limiti e condizioni d’uso alla proprietà privata dei suoli, garantendone la sua funzione sociale60.

Il contenuto essenziale del piano regolatore è disciplinato all’art. 7 della legge n. 1150/194261 come modificato dalla legge 1187 del 1968. Il suo contenuto essenziale si sostanzia nelle previsioni di “localizzazione” e di “zonizzazione”.

Le prime norme devono essere finalizzate a localizzare delle reti di comunicazione (stradali, ferroviarie e navigabili), individuare le aree destinate a formare spazi di pubblico uso, le aree destinate ad

60 Secondo l'ordinamento giuridico italiano il diritto di proprietà, oltre ad assicurare

vantaggi per il suo titolare, deve procurare benefici anche all'intera collettività. In altri termini il legislatore italiano attribuisce alla proprietà una “funzione sociale” (cfr. art. 42 Cost.1), allo scopo di contemperare gli interessi dell’individuo con quelli della collettività. Tale funzione sociale non rimane un’affermazione teorica di principio, ma si concretizza attraverso l'imposizione di limiti nell' interesse pubblico attraverso l’espropriazione. Parte della dottrina sostiene che “la funzione sociale della proprietà In sostanza, la “funzione sociale” ha costituito la valvola di sfogo per l’ingresso nell’ordinamento giuridico italiano di pressanti istanze di carattere sociale, economico e finanziario che ben poco hanno a che vedere con lo schematismo, talvolta arido, del diritto. Come tutte le valvole di sfogo, quindi, la “funzione sociale” ex art. 42 c. 2 Cost., con corollario del c. 3, è stata caratterizzata da una fortissima elasticità, che ha consentito di piegarla alle contingenti esigenze del momento.” Cit. V. Montaruli, La funzione sociale della proprietà nella Costituzione italiana e nella

Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo, articolo in rivista

web www.diritto.it

61 Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.

Esso deve indicare essenzialmente:

1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;

2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;

3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù; 4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;

5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico; 6) le norme per l'attuazione del piano.

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edifici pubblici o di uso pubblico (quali ospedali, scuole, impianti sportivi).

Attraverso il piano poi, il territorio comunale viene diviso in zone62 così come indicate dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942; di ogni zona sono poi precisati i vincoli e i caratteri da osservare in ciascuna di esse.

Infine, ex art. 27, legge n. 457 del 1978, il piano deve contenere l’indicazione dei vincoli da osservare nelle zone di prestigio storico, ambientale e paesaggistico, la ricognizione del patrimonio edilizio-urbanistico da recuperare, con l’indicazione delle zone degradate in cui si rendono opportuni interventi di conservazione, risanamento e ricostruzione63 e la definizione delle norme tecniche per l’attuazione del piano medesimo.

Possiamo sostenere che, per molto tempo, il PRCG ha rappresentato l’unico strumento veramente capace di regolare gli usi del territorio, a causa della difficoltà di applicare puntualmente il modello a cascata. A distanza di alcuni anni, il modello della legge 1150/1942 ha iniziato a far sentire i suoi limiti, risultando troppo rigido; così per ovviare a questo problema il legislatore nazionale è intervenuto soprattutto a sostegno della pianificazione attuativa, introducendo nuove figure di piano, che rendessero più efficienti le scelte territoriali. Si tratta a questo proposito dei piani per l’edilizia residenziale pubblica64, dei piani di recupero del

62 Centro storico (zona A), zone di completamento (zona B), zone di espansione

(zona C), edilizia residenziale (D), zone agricole (zona E), zone destinate a servizi di pubblico interesse e delle opere pubbliche (zona F).

63 Prescrizioni che si renderanno poi operative attraverso opportuni piani di recupero. 64 A tal proposito fu profondamente innovativa la l. 865 del 22 ottobre 1971, la quale

mutò radicalmente la politica pubblica in materia abitativa. Con questa legge si passò da un concetto di edilizia economia popolare ad un concetto molto più ampio di edilizia residenziale pubblica, agevolando l’acquisizione al patrimonio pubblico le aree da destinare agli interventi residenziali, affidando al CIPE (Comitato

interministeriale programmazione economica) e al CER ( Comitato Edilizia Residenziale) la programmazione nazionale e al controllo dei fondi destinati a tale

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