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Il leverage ratio in Basilea III: focus sulle SIFIs

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Academic year: 2021

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Sommario

Introduzione ... 3

Capitolo 1: Una risposta alla crisi: il leverage ratio di Basilea III ... 7

1.1 La sua ragion d’essere ... 7

1.2 La crisi, Basilea III e l’introduzione del leverage ratio ... 10

1.3 Le sfide della complessità e della comparabilità ... 28

1.4 Idee da percorrere per garantire una maggiore semplicità e comparabilità ... 32

Capitolo 2: Il leverage, le SIFI e il rischio sistemico ... 37

2.1 Il rischio sistemico e la crisi ... 37

2.2 Fattori che contribuiscono a determinare una crisi sistemica ... 39

2.3 Disposizioni riguardanti l’intensità ed efficacia della vigilanza sulle SIFIs ... 41

2.3.1 I passi dell’UE per contenere il rischio sistemico ... 51

2.3.2 L’approccio al rischio sistemico negli Stati Uniti: la legge Dodd-Frank ... 53

2.5 L’obiettivo comune e il futuro prossimo del rischio sistemico ... 55

2.5.1 Il ruolo del leverage ratio per affrontare il rischio sistemico ... 60

Capitolo 3: Il leverage ratio: impatti e conseguenze sulle istituzioni finanziarie 64

3.1 Criticità del leverage ratio ... 64

3.1.1 Impatti su raccolta, gestione del capitale, volumi di intermediazione ... 69

3.1.2 Relazioni fra livello e qualità dell’indebitamento ... 72

3.2 Impatti e conseguenze nella zona euro e sulle istituzioni finanziarie europee .. 74

3.3 Il supplementary leverage ratio e le SIFI ... 76

3.4 Cosa rappresenta il supplementary leverage ratio per banche e clienti ... 78

3.4.1 Effetti sulle banche ... 81

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3.5 Analisi empirica di un campione di SIFIs ... 90

Conclusioni ... 94

Bibliografia ... 97

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Introduzione

La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 ha messo in evidenza i punti deboli del sistema di regolamentazione del settore bancario, noto come Basilea II. A fronte di questo, si è resa necessaria una sua modifica, il nuovo pacchetto regolamentare proposto dal Comitato di Basilea nel dicembre 2010, che rappresenta l’architettura del sistema regolamentare, denominato Basilea III. L'obiettivo di questo successivo intervento rientra nel quadro generale delle politiche di stabilizzazione del sistema bancario, accrescendo la capacità di assorbire altri shock e riducendo il rischio di contagio tra il sistema finanziario e l'economia reale.

L’interesse sul cosiddetto “rischio sistemico”, è tornata a crescere, scatenata dallo scoppio della bolla speculativa sui mutui subprime americani, e poi diffusasi in tutto il sistema finanziario mondiale.

In passato il concetto di rischio sistemico era direttamente, e quasi obbligatoriamente, associato a quello del “bank runs”, cioè al fenomeno che avviene quando un elevato numero di clienti prelevano contemporaneamente i loro depositi per paura che la banca diventi insolvente. Questo tuttavia porta al fallimento della banca stessa, che non ha abbastanza risorse liquide per far fronte a tutte le richieste e diventa quindi insolvente. Il fallimento delle banche era diffusamente percepito come la causa che ha i più importanti effetti avversi sull’economia, effetti considerati molto più importanti rispetto al fallimento di altri tipi di istituzioni. Questo perché molti credevano che il fallimento di un istituto bancario fosse la miccia che più di tutte poteva innescare un processo domino che avrebbe portato via via al fallimento delle altre banche e, in seguito, alla diffusione del rischio sistemico e di fallimenti generalizzati alle altre istituzioni finanziarie.

Gli avvenimenti recenti hanno dimostrato come tutte le istituzioni che operano nel mercato finanziario globale siano connesse fra loro in qualche modo e, proprio attraverso questi legami, gli shock originatisi nel mercato dei mutui subprime americani sono stati in grado di propagarsi alle economie del resto del mondo. Risulta necessario, quindi, indagare sulla natura di queste connessioni, sulla loro direzione e anche sulla loro intensità, al fine di individuare i canali attraverso cui l’instabilità rischia di propagarsi all’intero sistema finanziario.

La finalità specifica del nuovo framework regolamentare di Basilea III è quella di rafforzare la regolamentazione del capitale e della liquidità delle banche aumentando, la qualità e la quantità del patrimonio. L’ampio programma di iniziative avviato dal Comitato nel 2010 riflette l’esperienza maturata nel corso della crisi finanziaria. Un sistema bancario solido e stabile è fondamentale per assicurare una crescita economica sostenibile, poiché le banche sono al centro del processo di intermediazione creditizia tra risparmiatori e investitori. Gli istituti bancari forniscono inoltre servizi essenziali per i consumatori, le piccole e medie imprese, le grandi società e le

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amministrazioni pubbliche, che si avvalgono di tali servizi per la conduzione della loro attività quotidiana, a livello sia nazionale che internazionale. Uno dei principali fattori che ha reso così grave la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007 è stato che i sistemi bancari di numerosi Paesi presentavano un’eccessiva leva finanziaria in bilancio e fuori bilancio che si era accumulata nel corso degli anni precedenti. Ciò si era accompagnato a una graduale erosione del livello e della qualità della base patrimoniale. Inoltre, numerose banche detenevano riserve di liquidità insufficienti. Il sistema bancario non era quindi in grado di assorbire le conseguenti perdite sistemiche sull’attività di negoziazione e su crediti, né di far fronte alla reintermediazione di ampie esposizioni fuori bilancio accumulatesi nel cosiddetto “sistema bancario ombra”.

La crisi è stata ulteriormente accentuata dal processo prociclico di riduzione dell’indebitamento e dalle interconnessioni tra istituzioni sistemiche tramite una molteplicità di complesse operazioni finanziarie. Durante la fase più acuta della crisi, il mercato ha perso fiducia nella solvibilità e nella liquidità di molti istituti bancari. Le debolezze del settore si sono rapidamente trasmesse al resto del sistema finanziario e all’economia reale, dando luogo a una massiccia contrazione della liquidità e della disponibilità di credito. Il settore pubblico è dovuto intervenire in ultima istanza con iniezioni di liquidità, ricapitalizzazioni e garanzie senza precedenti, esponendo i contribuenti a ingenti perdite. Alla luce dell’entità e della rapidità con cui la crisi più recente si è trasmessa a livello internazionale, nonché dell’imprevedibilità delle crisi future, è stato essenziale che tutti i Paesi rafforzassero la tenuta dei rispettivi sistemi bancari di fronte agli shock interni ed esterni.

Per ovviare alle carenze messe in luce dalla crisi, il Comitato di Basilea introduce una serie di riforme sostanziali dell’assetto regolamentare internazionale. Esse potenziano la regolamentazione microprudenziale, ossia a livello di singole banche, e contribuiscono in tal modo ad aumentare la solidità dei singoli istituti bancari in periodi di stress. Le nuove regole hanno anche una dimensione macroprudenziale, in quanto affrontano i rischi sistemici che possono accumularsi nel settore bancario, così come l’amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo. Entrambi gli approcci di vigilanza, micro e macroprudenziale, sono chiaramente interconnessi, poiché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock di portata sistemica.

Come affermato, una tra le tante cause della crisi finanziaria globale è stato l’accumulo di un grado eccessivo di leverage, in bilancio e fuori bilancio, nel sistema bancario. Per questo, il Comitato di Basilea tra le varie misure previste dalla nuova regolamentazione di Basilea III, introduce per la prima volta un indice di leva finanziaria (leverage ratio) semplice, trasparente e non basato sul rischio, volto a costituire una misura supplementare rispetto ai requisiti patrimoniali basati sul rischio. Tale indice si pone diversi obiettivi, quali contenere l’accumulo di leva finanziaria, rafforzare i requisiti patrimoniali. Inoltre, il Comitato è convinto che un indice semplice di leva

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finanziaria sia di fondamentale importanza per integrare il framework regolamentare basato sul rischio, e nello stesso tempo di assicurare un’adeguata copertura delle fonti di leva finanziaria sia in bilancio, sia fuori bilancio.

In particolare nel primo capitolo, dopo una breve introduzione sulle cause della crisi, e ripercorso l’iter che ha portato al recepimento di Basilea III, ho focalizzato la mia attenzione su questo nuovo indicatore previsto dal nuovo framework regolamentare, il leverage ratio di Basilea III. Ho cercato di mettere in evidenza il perché della sua introduzione, illustrando quelli che potranno essere i suoi punti di forza e debolezza nel momento in cui diventerà un requisito patrimoniale, e quindi un obbligo di calcolo per l’intermediario al pari dei requisiti patrimoniali basati sul rischio. Inoltre, dopo aver rafforzato lo schema di regolamentazione del sistema bancario prevedendo una serie di misure, il Comitato sta attualmente considerando gli aspetti della complessità dello schema e della comparabilità dei coefficienti di adeguatezza patrimoniale tra banche e giurisdizioni diverse. L’eccessiva complessità è dovuta in ampia misura all’intento di rendere il regime di adeguatezza patrimoniale sensibile al rischio, ossia di fare in modo che i coefficienti patrimoniali riflettano i rischi effettivamente assunti dalle banche. Il rischio è tuttavia multiforme e tutt’altro che semplice da misurare. Benché uno schema di regolamentazione sensibile al rischio offra una serie di vantaggi, la sua complessità comporta anche un insieme di conseguenze potenzialmente negative. Il perseguimento di una maggiore sensibilità al rischio, quindi, ha accresciuto notevolmente la complessità dello schema di adeguatezza patrimoniale sotto vari aspetti, specie per quanto concerne la metodologia di calcolo delle attività ponderate per il rischio. Di conseguenza, vi è il rischio che lo schema non consegua sempre il giusto equilibrio fra gli obiettivi complementari della sensibilità al rischio, della semplicità e della comparabilità. In questo capitolo, infine, vengono messi in evidenza quali potrebbero essere le sfide e le idee da percorrere per garantire una maggiore semplicità e comparabilità dello schema, in modo tale da realizzare un giusto equilibrio fra sensibilità al rischio, semplicità e comparabilità.

Nel secondo capitolo mi sono concentrato a spiegare quelle che sono le cause, nonché i fattori che contribuiscono a determinare una crisi sistemica. Dopo aver spiegato la problematica legata al rischio sistemico ho illustrato quelle che sono state le disposizioni messe in atto dalla vigilanza sui grandi intermediari sistematicamente rilevanti a livello globale e come il leverage ratio di Basilea III potrebbe rappresentare una soluzione contro il rischio sistemico.

Nel terzo ed ultimo capitolo ho messo in evidenza gli impatti e le conseguenze che il leverage ratio insieme alle altre misure previste dall’Autorità di vigilanza stanno avendo sulle istituzioni sistematicamente rilevanti a livello globale. In particolare, ho analizzato, a seguito delle recenti modifiche, quelli che sono gli impatti sulla raccolta, sulla gestione del capitale e sui volumi di

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intermediazione. Inoltre, ho messo in evidenza, quali sono stati i cambiamenti che si sono susseguiti nello scenario europeo, in particolare facendo riferimento ai due pilastri dell’Unione bancaria di recente attuazione: il Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) e il Meccanismo di Risoluzione Unico (MRU), e come tali cambiamenti possono riuscire a creare i presupposti per avere sempre di più un sistema finanziario stabile e robusto.

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Capitolo 1: Una risposta alla crisi: il leverage ratio di Basilea III

1.1 La sua ragion d’essere

Stiamo uscendo faticosamente da una crisi che, dopo aver sconvolto il sistema finanziario internazionale, si è trasmessa all’economia reale, con rilevanti ripercussioni sociali. Una crisi che per profondità e ampiezza è una delle più gravi della storia recente. Una crisi che ha fatto venire meno la fiducia nella capacità dei meccanismi di mercato e negli assetti di governo del sistema finanziario di prevenire e contrastare squilibri di portata sistemica. La crisi si è manifestata dapprima negli Stati Uniti nel settore immobiliare. In quello finanziario a partire dalla seconda metà del 2007. All’inizio essa è stata sottovalutata e considerata come una fase ciclica che, in modo fisiologico, faceva seguito a più di dieci anni di crescita, di sviluppo e di accettabile contenimento della crescita del livello dei prezzi. Una crescita continua che aveva potuto prodursi grazie all’accresciuto grado di flessibilità dei sistemi economici e di quelli finanziari rispetto alla situazione che era in essere alla seconda metà degli anni ’70, che hanno conosciuto le fasi di stagnazione – inflazione. Il cambiamento di situazione che ha trasformato la recessione americana in una crisi globale ha una matrice finanziaria e si è diffuso dagli Stati Uniti agli altri principali Paesi con la velocità con la quale si effettuano le scelte finanziarie, si perfezionano le operazioni e si spostano i capitali. Uno dei principali fattori che ha reso così grave la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007 è stato che gli intermediari di numerosi Paesi presentavano un’eccessiva leva finanziaria in bilancio e fuori bilancio che si era accumulata nel corso degli anni precedenti. Ciò si era accompagnato a una graduale erosione del livello e della qualità della base patrimoniale. Inoltre, numerose banche detenevano riserve di liquidità insufficienti. Il sistema bancario non era quindi in grado di assorbire le conseguenti perdite sistemiche sull’attività di negoziazione e su crediti, né di far fronte alla reintermediazione di ampie esposizioni fuori bilancio accumulatesi nel sistema bancario cosiddetto ombra. La crisi è stata ulteriormente accentuata dal processo prociclico di riduzione dell’indebitamento e dalle interconnessioni tra istituzioni sistemiche tramite una molteplicità di complesse operazioni finanziarie. Durante la fase più acuta della crisi il mercato ha perso fiducia nella solvibilità e nella liquidità di molti istituti bancari. Le debolezze del settore si sono rapidamente trasmesse al resto del sistema finanziario e all’economia reale, dando luogo a una massiccia contrazione della liquidità e della disponibilità di credito. A fronte di questo, il settore pubblico è dovuto intervenire in ultima istanza con iniezioni di liquidità, ricapitalizzazioni e garanzie senza precedenti, esponendo i contribuenti a ingenti perdite. Alla luce dell’entità e della rapidità con cui la crisi più recente e quelle precedenti si sono trasmesse a livello internazionale, nonché dell’imprevedibilità delle crisi future, è stato essenziale che tutti i Paesi

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rafforzassero la tenuta dei rispettivi sistemi bancari di fronte agli shock interni ed esterni. Per ovviare alle forti carenze messe in luce dalla crisi, il Comitato di Basilea1 nel 2010 è dovuto intervenire con una serie di riforme sostanziali dell’assetto regolamentare internazionale. Esse potenziano la regolamentazione microprudenziale, ossia a livello di singole banche, e contribuiscono in tal modo ad aumentare la solidità dei singoli istituti bancari in periodi di stress. Le nuove regole, del nuovo pacchetto regolamentare di Basilea III rispetto al precedente impianto di Basilea II, hanno anche una dimensione macroprudenziale, in quanto affrontano i rischi sistemici che possono accumularsi nel settore bancario, così come l’amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo. Entrambi gli approcci, micro e macroprudenziale, sono chiaramente interconnessi, poiché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock di portata sistemica. Le riforme messe in atto dal Comitato innalzano sia la qualità che la quantità della base patrimoniale e migliorano la copertura dei rischi. Una delle novità del nuovo pacchetto regolamentare di Basilea III è la previsione di un indice di leva finanziaria (leverage ratio) non basato sul rischio, che va a integrare i coefficienti patrimoniali basati sul rischio al fine di contenere l’accumulo eccessivo di leva nel sistema bancario e di fornire un presidio supplementare contro il rischio di modello e i possibili relativi errori di misurazione. Gli obiettivi che si propone il leverage ratio ad oggi sono quelli di contenere il grado di leva finanziaria nel settore bancario, contribuendo in tal modo a ridurre il rischio di processi di deleveraging destabilizzanti che possono arrecare pregiudizio al sistema finanziario e all’economia e di introdurre presidi aggiuntivi a fronte del rischio di modello e degli errori di misurazione, integrando i coefficienti basati sul rischio con una misura di rischio semplice, trasparente e indipendente. Tale indice inoltre ha la funzione di tutela contro qualsiasi tentativo di aggirare i requisiti di capitale basati sul rischio. Dovrà essere calcolato in modo analogo nelle varie giurisdizioni, tenendo conto delle differenze nei criteri contabili. Il Comitato ha definito tale indice in modo tale da rappresentare una misura supplementare credibile rispetto ai requisiti patrimoniali basati sul rischio, con l’obiettivo di trasformarlo in requisito minimo nell’ambito del primo pilastro sulla base di un’adeguata revisione delle regole di calcolo e del livello di calibrazione. Questo indicatore come viene definito nella circolare 285 del 20132 che recepisce l’intero pacchetto della nuova regolamentazione di Basilea III in ambito nazionale è dato dal rapporto fra Tier1 (o patrimonio di base) che rappresenta la misura del patrimonio ad oggi definita dal Comitato, su Total Asset che rappresenta la misura dell’esposizione. Il Total Asset fa riferimento

1 Un’organizzazione internazionale istituita dai governatori delle Banche centrali dei dieci Paesi più industrializzati (G10) alla fine del 1974, che opera sotto il patrocinio della Banca dei regolamenti internazionali (Bank for International Settlements, BIS - organizzazione internazionale avente sede sociale a Basilea, in Svizzera). Il suo scopo è quello di promuovere la cooperazione fra le banche centrali allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.

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alla dimensione della banca e non alla sua rischiosità. Questo rappresenta un punto importante in quanto nella prassi non è mai stato considerato come misura, come grandezza in grado di segnalare la rischiosità del'intermediario; per questo si sono sempre avute le attività ponderate per il rischio (risk weighted assets - RWA ). Esse rappresentano la grandezza che rapportata al capitale suggerivano quella capacità di patrimonializzazione ovvero quell'indicatore di rischiosità del singolo intermediario. Con il tempo si è visto che queste attività ponderate per il rischio non erano così in grado di suggerire la rischiosità degli intermediari, perché specialmente gli intermediari che si spostavano verso metodologie più evolute attribuivano minor peso a queste attività, causando un minor assorbimento del capitale. L'elemento che è stato messo in risalto per diverso tempo è stato quello di puntare tutto sull'esame della rischiosità degli intermediari attraverso l'esame degli RWA, ma questo non ha rappresentato un successo, perché per come è stato impostato il precedente framework regolamentare (Basilea II), dava la possibilità agli intermediari che ricorrevano a modelli interni per qualsiasi rischio di pillar 1 di assottigliare molto la dimensione degli RWA nel calcolo del requisito patrimoniale e di conseguenza di far assorbire meno capitale rendendo compromessa quella capacità di assorbire le perdite. Questo a dimostrazione del fatto che la crisi si è manifestata a fronte di intermediari che presentavano dei capital ratio assolutamente allineati ai requisiti minimi obbligatori. A fronte dei dissesti verificatesi, i requisiti patrimoniali previsti dal precedente framework regolamentare di Basilea II, non possedevano tutta quella capacità segnaletica, specialmente per gli intermediari che usano o usavano metodologie interne, dove portavano con se una forte valenza discrezionale. Queste RWA cosi come sono state pensate per Basilea II hanno determinato una sottostima di quelle che sono le attività, di quelle che erano effettivamente le esposizioni rischiose degli intermediari, in particolare per quelli che utilizzavano le metodologie interne. Al contrario per gli intermediari che ricorrevano a metodologie standardizzate per calcolare i requisiti patrimoniali questo problema non veniva a crearsi perché si perdeva tutta quella discrezionalità che solo il modello interno poteva rilasciare. L’utilizzo del modello standardizzato infatti prevede delle ponderazioni che vengono attribuite dalle varie autorità nazionali alle singole attività in funzione del rischio, dove l’intermediario si limita soltanto a calcolare il requisito patrimoniale. Si perde quindi tutta quella discrezionalità, autonomia che gli intermediari si ritrovano quando utilizzano modelli interni per calcolare i requisiti patrimoniali. Perché tutte le banche grandi si sono spostate verso le metodologie interne? Perché evidentemente conveniva loro in termini di abbattimento del capitale regolamentare, alla luce del fatto che non vi era una norma rigida per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori previsti dal precedente framework regolamentare. L’introduzione del leverage ratio3 da parte del Comitato,

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insieme alle altre misure previste nel nuovo pacchetto regolamentare di Basilea III, è motivata dal presupposto di ridurre l’eccessiva volatilità presente negli RWA e non di eliminarla perché la discrezionalità degli intermediari che utilizzano modelli interni per calcolare i requisiti patrimoniali rappresenta un dato del problema. Prima dell’arrivo di Basilea III gli RWA costituivano l’unico elemento per garantire l’adeguatezza del capitale dell’intermediario. Questo oggi è un elemento fortemente discusso, cominciano ad esserci alcuni interventi della dottrina, degli accademici in questo ambito mettendo in discussione quello che fino a Basilea III aveva identificato il concetto dell’adeguatezza del capitale, cioè la centralità delle attività ponderate per il rischio. Nessuno prima di Basilea III aveva pensato di mettere in gioco altri strumenti per garantire la stabilità o la resilienza del singolo intermediario o dell’intero sistema ma tutto veniva fatto dipendere da una sola grandezza dando grande spazio alla volatilità e creando grande instabilità. Con l’arrivo di Basilea III si aggiungono nuove leve al precedente framework regolamentare con l’obiettivo di misurare l’adeguatezza del capitale degli intermediari, ovvero la loro capacità di reggere il colpo nel caso di assorbimento di perdite in condizioni positive e non. Vengono introdotti i requisiti per la liquidità, i requisiti macroprudenziali ed il leverage ratio una grandezza semplice, penalizzante che và ad incidere sulla struttura finanziaria, sul rapporto capitale e mezzi di terzi. L’introduzione del leverage ratio è motivato da una evidenza messa in luce dalla crisi, dove il rapporto di leverage di certi intermediari costituiva la principale causa del dissesto e non l’adempimento dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori che in effetti risultavano assolutamente compliant alle disposizioni di vigilanza.

1.2 La crisi, Basilea III e l’introduzione del leverage ratio

Una delle cause di fondo della crisi finanziaria globale è stato l’accumulo di un grado eccessivo di leva finanziaria, in bilancio e fuori bilancio, nel sistema bancario. In numerosi casi le banche avevano accumulato una leva eccessiva pur mantenendo in apparenza robusti coefficienti patrimoniali basati sul rischio. Nella fase più acuta della crisi i mercati finanziari hanno costretto il settore bancario a ridurre la propria leva, il che ha amplificato le pressioni al ribasso sui prezzi delle attività. Questo processo di riduzione della leva finanziaria ha accentuato la spirale tra perdite, erosione del capitale delle banche e contrazione della disponibilità di credito. Come già spiegato nel primo paragrafo l’introduzione del leverage ratio da parte del Comitato di Basilea è volto a costituire una misura supplementare credibile rispetto ai requisiti patrimoniali basati sul rischio. Il levarage ratio sebbene previsto dal nuovo pacchetto regolamentare di Basilea III intitolato “Basilea III: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei

rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, Dicembre.

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sistemi bancari” - è stato oggetto di successivo affinamento da parte del Comitato in un successivo documento del 2014 intitolato - “Basilea III – l’indice di leva finanziaria e i requisiti di informativa pubblica”- per cercare di comprendere in sostanza i tratti maggiormente rispondenti all'obiettivo che si intende realizzare. Prima di esaminare le varie evoluzioni che si sono susseguite in materia di leverage ratio, è bene ripercorrere l’iter che ha portato al recepimento del nuovo pacchetto regolamentare di Basilea III prima in Europa e successivamente in Italia. Nel luglio del 2011 la Commissione Europea adotta la proposta legislativa per il recepimento nell’Unione Europea delle regole di Basilea III contenute nel primo documento del Comitato Di Basilea del dicembre 2010 intitolato “Basilea III: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”. Quando sembrava che Basilea III sarebbe entrata in vigore a breve, nel 1° gennaio del 2013, il processo di adeguamento ha avuto delle battute di arresto a causa essenzialmente del perdurare della crisi. Solo a meta del 2013 i percorsi legislativi decidono di chiudere il cerchio e mettersi concretamente a lavorare per l’attuazione di Basilea III. Dopo il via del Parlamento Europeo alle disposizioni sui requisiti prudenziali dell’aprile 2013, il 26 giugno dello stesso anno l’Europa recepisce quella che è la normativa di Basilea III attraverso due distinti atti legislativi:

a. una nuova Capital Requirements Directive (la cosiddetta direttiva CRD IV), che ha necessitato del consueto processo di recepimento negli ordinamenti nazionali e che contiene disposizioni in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, libera prestazione dei servizi, cooperazione tra le Autorità di vigilanza home e host, secondo pilastro, ambito di applicazione dei requisiti, metodologie per la determinazione dei buffer di capitale;

b. una Capital Requirements Regulation (CRR), che disciplina i requisiti prudenziali che saranno direttamente applicabili alle banche e alle imprese di investimento che operano nel Mercato Unico. Si tratta dei nuovi requisiti che derivano da Basilea III e di quelli già in vigore, in quanto provenienti dalle direttive 2006/48 (sulle banche) e 2006/49 (sulle imprese di investimento) emesse in attuazione del precedente framework regolamentare di Basilea II. Quest’ultimo rappresenta la vera novità di Basilea III. Con Basilea I e II l’attuazione in ambito europeo arrivava nei singoli Paesi sempre attraverso l’emanazione di una direttiva (I-II-III), che doveva essere fatta propria in termini legislativi dai vari governi che poi delegavano alle singole autorità nazionali per definire gli aspetti tecnici. Con Basilea III si assiste a un cambiamento rilevante; a livello europeo viene trasposta in due documenti: la CRD IV che in quanto direttiva dovrà essere recepita dal singolo stato e la CRR che al contrario ha diretta efficacia nei Paesi

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membri dell’UE. La novità della CRR sta nel disporre di un provvedimento legislativo valido per tutti i Paesi dell’UE, per rispondere all’obiettivo generale che la nuova normativa intende raggiungere ovvero quello dell’Armonizzazione. Tra i tanti aspetti bisogna anche sottolineare che la Banca Centrale Europea (BCE) da novembre 2014 è diventata l’autorità di vigilanza a livello europeo questo ha dimostrazione di creare un contesto sempre il più possibile uniforme. Vengono previste nell’ambito della CRR comunque sempre delle discrezionalità nazionali, ossia ogni organo di vigilanza del singolo Paese può decidere di applicare la norma in modo diverso ma sulla base di una libertà che le è concessa dalla norma stessa; ma sono delle discrezionalità molto più contenute rispetto al passato. La nuova regolamentazione comporterà per le banche, specie per le maggiori, un impegno rilevante in termini di maggiore capitalizzazione e importanti ristrutturazioni della loro operatività, necessarie per ridurre l’attuale elevata trasformazione delle scadenze. Il Comitato di Basilea ha rilevato il rischio che il settore bancario, per rispettare i maggiori requisiti patrimoniali e di liquidità, potesse reagire con processi di deleveraging, ossia riducendo gli impieghi e in particolare i finanziamenti all’economia. Per questo, tenuto anche conto dell’attuale recessione in atto e della bassa redditività del patrimonio delle banche, Basilea III prevede una lunga fase transitoria, con inizio graduale dal gennaio 2014 e completamento entro il 2019. Tuttavia, già oggi i mercati stanno esprimendo valutazioni sulle banche (attraverso i prezzi delle azioni, i rating attribuiti ai titoli di debito) tenendo conto della loro adeguatezza patrimoniale in base alle nuove regole, e penalizzando le banche caratterizzate da significativi fabbisogni di capitale addizionale per rispettare gli standard di Basilea III. Subito dopo il recepimento in Europa della nuova regolamentazione di Basilea III, Banca d’Italia, l’autorità nazionale presente nel nostro Stato, ha predisposto dei documenti di consultazione che hanno portato al recepimento della nuova normativa di Basilea III in Italia attraverso la circolare 285 del 17 dicembre 2013. La presente Circolare raccoglie le disposizioni di vigilanza prudenziale applicabili alle banche e ai gruppi bancari italiani, riviste e aggiornate per adeguare la normativa interna alle novità intervenute nel quadro regolamentare internazionale con particolare riguardo al nuovo assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria dell’Unione europea, nonché per tener conto delle esigenze emerse nell’esercizio della vigilanza sulle banche e su altri intermediari. L’emanazione della Circolare è funzionale all'avvio dell'applicazione, dal 1° gennaio 2014, degli atti normativi comunitari con cui sono stati trasposti nell’ordinamento dell’Unione europea le riforme degli accordi del Comitato di Basilea (“Basilea III”) volte a rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, indipendentemente dalla loro origine, a migliorare la gestione del rischio e la governance, a rafforzare la trasparenza e l'informativa delle banche, tenendo conto degli insegnamenti della crisi finanziaria. Le riforme sono di due ordini: microprudenziali, ossia

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concernenti la regolamentazione a livello di singole banche; macroprudenziali, cioè riguardanti i rischi a livello di sistema che possono accumularsi nel settore bancario, nonché l'amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo. Nel far ciò, il Comitato ha mantenuto l’approccio, basato su tre Pilastri, che era alla base del precedente accordo sul capitale noto come “Basilea II”, integrandolo e rafforzandolo per accrescere quantità e qualità della dotazione di capitale degli intermediari, introdurre strumenti di vigilanza anticiclici, norme sulla gestione del rischio di liquidità e sul contenimento della leva finanziaria.

Come detto in precedenza, il primo pilastro è stato rafforzato attraverso una definizione maggiormente armonizzata del capitale e più elevati requisiti di patrimonio. A fronte di requisiti patrimoniali rafforzati per riflettere in modo più accurato la reale rischiosità di talune attività (ad esempio, cartolarizzazioni e trading book), vi è ora una definizione di patrimonio di qualità più elevata essenzialmente incentrata sul common equity. Secondo quanto definito dal Comitato nel documento del 2010 e rivisto successivamente nel giugno del 20114, il Common Equity Tier1, ovvero la parte di capitale di primaria qualità deve essere composto dalla somma algebrica dei seguenti elementi:

a. azioni ordinarie emesse dalla banca che soddisfano i criteri di classificazione come azioni ordinarie a fini regolamentari;

b. sovraprezzo azioni derivante dall’emissione di strumenti ricompresi nel Common Equity Tier1;

c. riserve di utili;

d. riserve addizionali in funzione di conservazione del capitale e in funzione anticiclica nonché per le istituzioni a rilevanza sistemica;

e. azioni ordinarie emesse da filiazioni consolidate della banca e detenute da soggetti terzi (ossia interessi di minoranza) che soddisfano i criteri di computabilità nel Common Equity Tier1;

f. aggiustamenti regolamentari applicati nel calcolo del Common Equity Tier 1.

Inoltre, in aggiunta al sistema dei requisiti patrimoniali volti a fronteggiare i rischi di credito, controparte, mercato e operativo, è ora prevista l’introduzione di un limite alla leva finanziaria (incluse le esposizioni fuori bilancio) con funzione di backstop del requisito patrimoniale basato sul rischio e per contenere la crescita della leva a livello di sistema. La nuova normativa di Basilea III

4 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (2010), “Basilea III: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento dei sistemi bancari”, Dicembre (Ultimo aggiornamento giugno 2011).

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prevede, altresì, nuovi requisiti e sistemi di supervisione del rischio di liquidità, incentrati su un requisito di liquidità a breve termine (Liquidity Coverage Ratio – LCR) e su una regola di equilibrio strutturale a più lungo termine (Net Stable Funding Ratio – NSFR), oltre che su principi per la gestione e supervisione del rischio di liquidità a livello di singola istituzione e di sistema.

Il Secondo Pilastro richiede alle banche di dotarsi di una strategia e di un processo di controllo dell’adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, rimettendo all’autorità di vigilanza il compito di verificare l’affidabilità e la coerenza dei relativi risultati e di adottare, ove la situazione lo richieda, le opportune misure correttive. Crescente importanza è attribuita agli assetti di governo societario e al sistema dei controlli interni (SCI) degli intermediari come fattore determinante per la stabilità delle singole istituzioni e del sistema finanziario nel suo insieme. In quest’area sono stati rafforzati i requisiti regolamentari concernenti il ruolo, la qualificazione e la composizione degli organi di vertice. La consapevolezza da parte di tali organi e dell’alta direzione circa l’assetto organizzativo e i rischi della banca e del gruppo bancario; le funzioni aziendali di controllo, con particolare riferimento all’indipendenza dei responsabili della funzione, alla rilevazione dei rischi delle attività fuori bilancio e delle cartolarizzazioni, alla valutazione delle attività e alle prove di stress; i sistemi di remunerazione e di incentivazione.

Il Terzo Pilastro riguardante gli obblighi di informativa al pubblico sull’adeguatezza patrimoniale, sull’esposizione ai rischi e sulle caratteristiche generali dei relativi sistemi di gestione e controllo, al fine di favorire la disciplina di mercato è stato rivisto rispetto alla normativa precedente per introdurre, fra l’altro, requisiti di trasparenza concernenti le esposizioni verso cartolarizzazioni, maggiori informazioni sulla composizione del capitale regolamentare e sulle modalità con cui la banca calcola i ratios patrimoniali. Come detto in precedenza, in ambito comunitario i contenuti di Basilea III sono stati trasposti in due atti normativi:

i. Regolamento (UE) n. 575/2013 del 26 giugno 2013 (CRR), che disciplina gli istituti di vigilanza prudenziale del Primo Pilastro e le regole sull’informativa al pubblico (Terzo Pilastro);

ii. la direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013 (CRD IV), che riguarda, fra l'altro, le condizioni per l'accesso all'attività bancaria, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, il processo di controllo prudenziale, le riserve patrimoniali addizionali.

La scelta dello strumento normativo del regolamento, a fianco della direttiva, si inscrive nell’obiettivo delle istituzioni comunitarie e delle autorità che compongono il Sistema Europeo di

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Vigilanza Finanziaria e in particolare, dell'Autorità bancaria europea (“EBA”) di creare un insieme di regole vincolanti uniformi a livello europeo (single rulebook): lo strumento del regolamento, direttamente applicabile negli Stati membri senza necessità di atti di recepimento, pone le premesse per realizzare l’armonizzazione assoluta di determinate aree della disciplina prudenziale, riducendo corrispondentemente le aree di discrezionalità nazionale. Il single rulebook verrà progressivamente completato dall’emanazione di norme tecniche di regolamentazione o di attuazione adottate dalla Commissione europea su proposta delle autorità del Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria. Le novità intervenute nel contesto regolamentare internazionale e dell’Unione europea rendono necessaria un’azione complessiva e sistematica di adeguamento dell'ordinamento nazionale. A tale esigenza risponde questa Circolare, che non si limita a un’opera di mero adattamento alle disposizioni sovra ordinate, ma opera parallelamente la revisione sostanziale e il coordinamento redazionale dell’intera normativa bancaria di competenza della Banca d’Italia, coerentemente con l’obiettivo strategico di contribuire alla creazione di un single rulebook ispirato a un approccio tecnicamente rigoroso e prudente in linea con quello sinora seguito dalla regolamentazione italiana. In questa prospettiva, la Circolare 285 riordina le vigenti disposizioni di vigilanza per le banche nelle aree rimesse alla potestà regolamentare secondaria della Banca d’Italia, raccogliendo in un solo fascicolo le disposizioni contenute in una molteplicità di sedi, fra cui in particolare la Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 - “Nuove disposizioni di vigilanza per le banche”, la Circolare n. 229 del 21 aprile 1999 -“Istruzioni di Vigilanza per le banche”, altre disposizioni rilevanti non incorporate in Circolari. Nel far ciò si è dovuto tenere conto del fatto che, in alcune aree, il CRR ha introdotto norme direttamente applicabili nei confronti di tutte le banche europee, incluse quelle italiane. In tali materie le autorità nazionali non hanno, quindi, competenze regolamentari, salvo i limitati ambiti di discrezionalità consentiti dallo stesso CRR. Nel contempo, la competenza regolamentare della Banca d’Italia viene confermata, e in alcuni casi ampliata, nelle materie contemplate dalla CRD IV nonché in quelle materie che, non formando oggetto di armonizzazione comunitaria, sono tuttavia rilevanti per le finalità di vigilanza attribuite alla Banca d’Italia. La disponibilità di un set di norme prudenziali chiare e coerenti, conformi al single rulebook europeo, costituisce altresì una precondizione per il successo del Single Supervisory Mechanism di cui la Banca d’Italia è parte insieme con la BCE e le altre Autorità nazionali competenti. La presente Circolare si compone di quattro Parti, caratterizzate da impostazioni differenti che riflettono la diversa ampiezza e natura dei poteri regolamentari esercitabili dalla Banca d'Italia.

La Parte Prima è dedicata alle disposizioni di recepimento della CRD IV. Essa comprende quattro Titoli, rispettivamente dedicati all’accesso al mercato e alla struttura (ivi inclusa la disciplina dell’autorizzazione all’attività bancaria e dei gruppi bancari, nonché l’operatività transfrontaliera

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con stabilimento di succursali e in libera prestazione di servizi); alle misure prudenziali, incluse le disposizioni sui capital buffer introdotte dalla CRD IV; al processo di controllo prudenziale; al governo societario.

La Parte Seconda, dedicata all’attuazione del CRR, contiene in ciascun capitolo l’indicazione a titolo meramente ricognitivo delle parti o sezioni del regolamento e delle norme tecniche di regolamentazione o di attuazione che disciplinano la materia per i profili sostanziali e segnaletici; riporta le discrezionalità nazionali relative alla medesima materia esercitate dalla Banca d’Italia; individua i termini dei procedimenti amministrativi che hanno nel regolamento la loro fonte normativa diretta.

La Parte Terza contiene le disposizioni prudenziali su materie e tipologie di rischi non disciplinate né dalla direttiva né dal regolamento. Tali disposizioni sono riconducibili, in alcuni casi, a standard internazionali di vigilanza bancaria che non formano oggetto di armonizzazione in ambito europeo, ma al tempo stesso non contrastano con norme comunitarie. Assumono particolare rilievo le disposizioni volte a disciplinare i conflitti di interesse e altri rischi connessi con le operazioni con parti correlate e con la detenzione di partecipazioni.

La Parte Quarta accoglie disposizioni relative ad intermediari particolari e nel primo Capitolo disciplina il Bancoposta. Ai sensi dell’art. 288 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, i regolamenti dell’Unione sono obbligatori in ogni elemento e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri, senza necessità di atti di recepimento. Ciò vale sia per il CRR sia per le norme tecniche di regolamentazione e di attuazione nei casi previsti dallo stesso regolamento e dalla CRD IV. Tali disposizioni possono fondare provvedimenti della Banca d’Italia volti ad assicurarne il rispetto e a sanzionarne le violazioni. Ciò considerato, si precisa che l’indicazione del regolamento e delle relative norme tecniche tra le fonti della materia, in particolare nei capitoli della Parte Seconda, non costituisce atto di recepimento dei regolamenti europei né interferisce sulla loro diretta e integrale applicazione nell’ordinamento interno bensì vuol essere un mero ausilio a beneficio degli operatori. Le disposizioni contenute nella Circolare sono dettate tenendo conto degli standard internazionali del Comitato di Basilea, degli orientamenti e raccomandazioni dell’EBA, dei risultati delle analisi d’impatto e delle consultazioni condotte, con l’obiettivo di dotare il sistema finanziario italiano di una regolamentazione di elevata qualità sotto il profilo dell’efficacia rispetto alle finalità di vigilanza, della proporzionalità degli oneri ricadenti sugli intermediari, della chiarezza e intelligibilità per gli operatori. Come già accennato in precedenza, tra le tante novità della nuova regolamentazione di Basilea III, vi è l’introduzione di un indice di

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leva finanziaria (leverage ratio) volto a costituire una misura supplementare credibile rispetto ai requisiti patrimoniali basati sul rischio. La nostra fonte normativa in ambito europeo in materia di leverage ratio è rappresentata dal regolamento dell’UE n.575 del 26 giugno 2013 (CRR).

Il CRR rappresenta il primo atto di diritto dell’Unione Europea che imponga agli enti l’obbligo di calcolare il coefficiente di leva finanziaria, segnalarlo alla rispettiva autorità di vigilanza e di pubblicarlo.Nello specifico l’art.429 del regolamento impone agli enti di calcolare il coefficiente di leva finanziaria conformemente alla metodologia ivi prevista, l’art.430 di segnalarlo all’autorità competente e l’art.451 di pubblicarlo. Il CRR, coerentemente con la normativa internazionale di Basilea III, non impone attualmente agli enti un requisito di fondi propri basato sul coefficiente di leva finanziaria, rinviando a data successiva la decisione sulla sua eventuale introduzione prevista ad oggi per il 1° gennaio 2018. Inoltre, l’art. 511 del CRR, chiede alla Commissione europea di presentare al Parlamento europeo e al Consiglio, entro il 2016, una relazione sul coefficiente di leva finanziaria, che si baserà su una relazione dell’Autorità bancaria europea (EBA) e sarà, se del caso, accompagnata da una proposta legislativa per l’introduzione di un coefficiente di leva finanziaria obbligatorio, o di più coefficienti diversi per i diversi modelli aziendali, applicabile a partire dal 1° gennaio 2018. La proposta legislativa comporterà una valutazione d’impatto completa. Successivamente, il Comitato di Basilea è dovuto nuovamente intervenire sul leverage ratio (2014) rispetto a quanto definito nel dicembre 2010, perché evidentemente definita nelle sue linee generali non riusciva ad essere applicata se non attraverso aggiustamenti successivi che ne migliorassero la capacità di realizzare le finalità per le quali è nata. Questo intervento successivo da parte del Comitato si è reso necessario per permettere il passaggio di elaborazione ulteriore da parte delle autorità europee. Si tratta di un documento determinante perché fa chiarezza su alcuni aspetti, su altri non fa altro che ribadirli rispetto a quanto già affermato nel dicembre 2010. Sicuramente rappresenta un punto di partenza per l’Autorità Bancaria Europea (EBA) e che il mercato chiedeva riguardo a degli aspetti che necessitavano maggiore chiarezza. Nel documento del gennaio 20145 intitolato – “Basilea III - l’indice di leva finanziaria e i requisiti di informativa pubblica”- , il Comitato non fa altro che ribadire, rispetto a quanto affermato nel 2010, la definizione dell'indice di leva finanziaria ovvero “ misura del patrimonio divisa per una misura dell’esposizione” ed è espressa in termini percentuali.

Indice di leva finanziaria (leverage ratio) = Misura del patrimonio/ Misura dell’esposizione

5 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (2014) , “Basilea III - L’indice di leva finanziaria e i requisiti di informativa pubblica ”, Gennaio.

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La misura ad oggi del patrimonio, si basa sulla definizione di patrimonio di base Tier1, ma nulla esclude che rimanga sempre così, ed il valore minimo dell'indice di leva finanziaria è definito nella misura del 3%. Il Comitato continuerà a sperimentare un requisito minimo del 3% per l’indice di leva finanziaria durante il periodo dal primo gennaio 2013 al primo gennaio 2017, per poi divenire requisito minimo obbligatorio che tutti gli intermediari dovranno calcolare nell’ambito del pillar 1 insieme ai requisiti patrimoniali basati sul rischio a partire dal primo gennaio 2018.

Durante i lavori preparatori del nuovo assetto regolamentare di Basilea III del 2010, alcuni sostenevano che il 3% fosse una percentuale bassa. Secondo alcuni il valore minimo di leva doveva essere innalzato perché di fatto i dissesti finanziari hanno fatto vedere che gli intermediari che hanno presentato maggiori criticità, in realtà presentavano un indice molto più elevato. Dall’altro lato c’era chi non la voleva considerare. Come al solito, è stata data una risposta di bilanciamento delle diverse misure prudenziali. Sarebbe giusto ciò che dicono gli "estremisti" se il leverage ratio fosse l'unica misura prudenziale a garantire la stabilità del singolo intermediario e di conseguenza dell'intero sistema. Al contrario, Basilea III cerca di privilegiare la MOLTEPLICITA' delle leve prudenziali a disposizione; una leva finanziaria superiore al 3% potrebbe diventare troppo onerosa per l'intermediario. Il richiamo che è stato fatto, e che poi ha vinto come contraddittorio è stato quello di dire: "cerchiamo, visto che crediamo che ci debbano essere più leve di regolamentazione, di bilanciarle", altrimenti si rischia di esasperare gli intermediari bancari che già sono chiamati a far fronte a più indicatori, chiamarli anche a far fronte ad uno sforzo sulla dimensione degli indicatori stessi potrebbe risultare abbastanza oneroso. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che gli intermediari dovranno comunque confrontarsi con il mercato e questi pesi, più pesanti sono, più impediscono questo processo di guarigione. La ragionevolezza della posizione ultima di Basilea III, è stata quella di considerare una logica più ampia, questo a sostegno di quanto già detto anticipatamente, ovvero che gli RWA che rappresentavano l’unica grandezza fino alla crisi, oggi dovranno condividere il palcoscenico con altre misure che hanno pari dignità e importanza. La misura del patrimonio definita dal Comitato per l’indice di leva finanziaria corrisponde ad oggi al patrimonio di base (Tier1) dello schema di regolamentazione patrimoniale basato sul rischio, in base alla definizione contenuta nel primo documento di Basilea III6 del dicembre 2010 e rivisto successivamente nel giugno del 2011, tenendo conto delle disposizioni transitorie. Durante questo periodo transitorio il Comitato continuerà a raccogliere dati per valutare quale sarebbe l’impatto di utilizzare il Common Equity Tier 1 (CET1) ovvero il patrimonio di qualità primaria o addirittura il patrimonio di vigilanza totale (total capital) dato dalla somma algebrica tra patrimonio di base (Tier 1) in grado

6 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (2010), “Basilea III: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, Dicembre ( Ultimo aggiornamento giugno 2011).

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di assorbire le perdite in condizioni di continuità d’impresa (going concern) e patrimonio supplementare (Tier2), in grado di assorbire le perdite in caso di crisi (gone concern), come misura del patrimonio. All’interno del patrimonio di base o Tier1 troviamo una prima componente di patrimonio di qualità primaria definito Common Equity e una componente aggiuntiva di patrimonio definito additional Tier1. Per ciascuna delle tre categorie, Common Equity, additional Tier1 e Tier2, il Comitato stabilisce un singolo insieme di criteri che gli strumenti devono soddisfare prima di poter essere computati nella relativa categoria. Come affermato in precedenza, la misura del patrimonio definita per l’indice di leva finanziaria fa riferimento al patrimonio di base o Tier1 dello schema di regolamentazione patrimoniale basato sul rischio, in base alla definizione contenuta nel documento di Basilea III del giugno 2011, tenendo conto delle disposizioni transitorie. Il patrimonio di base o Tier1, definito in tale documento, viene ottenuto attraverso la somma algebrica dei seguenti elementi:

a. strumenti emessi dalla banca che soddisfano i criteri di computabilità nel Tier1; b. sovraprezzo azioni derivante dall’emissione di strumenti ricompresi nel Tier1;

c. strumenti emessi da filiazioni consolidate della banca e detenuti da soggetti terzi che soddisfano i criteri di computabilità nel Tier1 e non vengano ricompresi nel Common Equity Tier1;

d. aggiustamenti regolamentari applicati nel calcolo del Tier 1.

La tabella seguente presenta i criteri minimi che uno strumento emesso dalla banca deve soddisfare per essere ricompreso nel Tier1.

Tabella 1: Criteri di computabilità nel Tier1

1.È emesso e interamente versato.

2.È subordinato rispetto ai depositi, ai crediti chirografari e al debito subordinato della banca. 3.Non è né garantito né assistito da una garanzia dell’emittente o di un’entità collegata e non presenta altre disposizioni che ne accrescano legalmente o economicamente il grado di prelazione nei confronti dei creditori della banca.

4.È perpetuo, ossia non presenta una data di scadenza, e non prevede clausole di step-up o altri incentivi al rimborso anticipato.

5.Può essere richiamato e rimborsato su iniziativa dell’emittente una volta trascorsi almeno cinque anni dall’emissione:

a . per esercitare l’opzione call la banca deve ottenere la preventiva approvazione dell’autorità di vigilanza;

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b. la banca non deve adottare comportamenti che creino aspettative che l’opzione call verrà esercitata;

c. la banca può esercitare l’opzione call solo se:

1) sostituisce lo strumento rimborsato con capitale di qualità pari o superiore e la sostituzione di tale capitale è effettuata a condizioni sostenibili per la capacità reddituale della banca7; o

2) dimostra che la sua dotazione patrimoniale sarà ampiamente superiore ai requisiti patrimoniali minimi dopo il rimborso8.

6.Qualsiasi restituzione di capitale (ad esempio tramite riacquisto o rimborso) deve ricevere la preventiva approvazione dell’autorità di vigilanza e le banche non devono presumere che tale approvazione sia concessa o creare sul mercato aspettative in tal senso.

7.Discrezionalità in materia di dividendi/cedole:

a. la banca deve avere in qualsiasi momento la piena discrezionalità in merito alla cancellazione di distribuzioni/pagamenti9;

b. la cancellazione dei pagamenti discrezionali non deve rappresentare un evento di insolvenza; c. le banche devono poter disporre della totalità dei pagamenti cancellati per far fronte agli obblighi di pagamento alla scadenza degli stessi;

d. la cancellazione di distribuzioni/pagamenti non deve comportare vincoli per la banca, eccetto in relazione alle distribuzioni agli azionisti ordinari.

8.I dividendi/le cedole devono essere pagati attingendo alle componenti distribuibili.

Fonte: Comitato di basilea per la vigilanza bancaria (2010), “Basilea III: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, Dicembre (Ultimo aggiornamento giugno 2011).

7 Le emissioni sostitutive possono essere effettuate contestualmente ma non successivamente al rimborso dello strumento.

8 Con il termine “minimi” ci si riferisce ai requisiti minimi prescritti dall’autorità di regolamentazione, che possono

essere superiori a quelli previsti dal primo pilastro di Basilea III. 9

Una conseguenza della piena discrezionalità di cancellare in qualsiasi momento distribuzioni/pagamenti è il divieto di clausole del tipo dividend pusher che obbligano la banca emittente al pagamento di cedole/dividendi sullo strumento qualora sia stato effettuato un pagamento su un altro strumento di capitale o azione (generalmente con un grado di subordinazione maggiore). Tale obbligo sarebbe incompatibile con il requisito della piena discrezionalità in qualsiasi momento. Inoltre, il termine “cancellazione di distribuzioni/pagamenti” indica l’estinzione di tali pagamenti e non consente clausole che obblighino la banca a effettuare distribuzioni/pagamenti in natura.

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Il sovrapprezzo azioni non ammesso nel computo del Common Equity potrà essere ricompreso nel Tier1 aggiuntivo (additional tier 1) solo se le azioni che hanno dato origine al sovrapprezzo possono essere computate nel Tier1.

Per quanto riguarda la misura dell’esposizione, secondo quanto definito sempre nel documento del giugno 2011, dal Comitato di Basilea, essa viene ottenuta attraverso la somma algebrica dei seguenti elementi:

i. poste in bilancio; ii. derivati;

iii. operazioni di rifinanziamento tramite titoli (SFT - Security Financing Transactions); iv. poste fuori bilancio.

La misura dell’esposizione ottenuta attraverso la somma algebrica degli elementi elencati in precedenza segue di norma la relativa misurazione contabile. Affinché essa risulti coerente con il bilancio di esercizio dovranno essere applicati i seguenti principi:

a. le esposizioni in bilancio diverse dagli strumenti derivati vengono misurate al netto delle rettifiche di valore (es. deterioramento del merito creditizio);

b. le garanzie reali o finanziarie, le garanzie personali o gli strumenti di attenuazione del rischio di credito acquistati non possono essere utilizzati per ridurre le esposizioni in bilancio;

c. la compensazione tra prestiti e depositi non è consentita.

Ai fini del calcolo della misura dell’esposizione, gli intermediari dovranno includere tutti gli elementi elencati in precedenza. In particolare, per quanto riguarda le poste in bilancio devono essere incluse nella misura dell’esposizione sulla base del loro valore di bilancio. Inoltre, la misura dell’esposizione dovrà comprendere le operazioni di rifinanziamento tramite titoli (SFT),i derivati e le poste fuori bilancio.

Quando parliamo di operazioni di rifinanziamento tramite titoli (SFT) facciamo riferimento ad una forma di finanziamento garantito e che costituiscono quindi un’importante fonte di leva finanziaria in bilancio. Si tratta di operazioni pronti contro termine attive e passive, operazioni di concessione e assunzione in prestito di titoli e finanziamenti con margine, il cui valore dipende dalle quotazioni di mercato e che sono spesso soggette a margini di garanzia. Secondo quanto definito dal Comitato nel giugno del 2011, gli intermediari dovevano calcolare tali operazioni applicando la misura contabile dell’esposizione e le regole prudenziali sulla compensazione basate sul precedente schema

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di regolamentazione di Basilea II. Per quanto riguarda i derivati, essi danno luogo a due tipologie di esposizione:

i. un’esposizione riconducibile al sottostante del contratto derivato; ii. un’esposizione al rischio di credito di controparte (RCC).

Ai fini dell’indice di leva finanziaria e inclusi i casi in cui viene venduta protezione tramite un derivato di credito, gli intermediari dovranno computare i derivati applicando la misura contabile dell’esposizione più una maggiorazione relativa all’esposizione potenziale futura calcolata in base al metodo dell’esposizione corrente.

Misura dell’esposizione = costo di sostituzione (CS) + maggiorazione

CS = il costo di sostituzione del contratto (in base al prezzo corrente di mercato), qualora il contratto presentasse valore positivo.

Maggiorazione = importo corrispondente alla EPF (Esposizione Potenziale Futura) durante la vita residua del contratto, calcolato applicando un fattore di maggiorazione.

A seconda della durata residua, agli strumenti finanziari derivati verranno applicati i seguenti fattori di maggiorazione per determinare l’esposizione potenziale futura (EPF):

Tabella 2

Tassi di interesse

Cambi e oro Azioni Metalli preziosi (escluso l’oro) Altre merci Fino a un anno 0,0% 1,0% 6,0% 7,0% 10,0% Oltre un anno e fino a cinque anni 0,5% 5,0% 8,0% 7,0% 12,0% Oltre cinque anni 1,5% 7,5% 10,0% 8,0% 15,0%

Fonte:Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (2010), “Basilea III: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, Dicembre (Ultimo aggiornamento giugno 2011).

Per i contratti a termine, gli swap, le opzioni acquistate e gli strumenti derivati analoghi non contemplati da alcuna colonna della tabella sopra riportata, andranno trattati come “Altre merci”. Inoltre non è prevista alcuna esposizione creditoria futura potenziale per gli swap su tassi di

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interesse variabile/variabile in un’unica valuta. In questo caso l’esposizione verrà determinata solo sulla base del valore corrente di mercato del contratto. Inoltre, le autorità di vigilanza nazionali dovranno assicurare che le maggiorazioni siano basate sugli importi nozionali effettivi e non apparenti. Nel caso in cui l’ammontare è soggetto a effetto di leva o comunque amplificato dalla struttura della transazione, le banche dovranno impiegare l’ammontare nozionale effettivo nel determinare l’esposizione potenziale futura. Ciò garantisce che tutti i derivati siano convertiti in modo uniforme nel corrispondente ammontare di equivalente creditizio. Questo approccio fa riferimento al metodo dell’esposizione corrente (Current Exposure Method, CEM) utilizzato nell’ambito del precedente schema di regolamentazione di Basilea II per calcolare l’ammontare delle esposizioni all’RCC (rischio di credito di controparte) associate ad esposizioni in derivati. Il Comitato, oggi sta valutando metodi alternativi al CEM. Qualora venisse adottato un metodo alternativo, in sostituzione del CEM, il Comitato dovrà valutare se tale metodo alternativo risponda alla necessità di rilevare entrambe le tipologie di esposizione create dai derivati.

Rientrano anche nella misura dell’esposizione anche le esposizioni fuori bilancio. Esse comprendono le aperture di credito, incluse anche le linee di liquidità, gli impegni revocabili incondizionatamente, i sostituti diretti del credito, le accettazioni, le lettere di credito standby, le lettere di credito connesse con operazioni su merci, le transazioni non perfezionate e le transazioni in titoli in attesa di regolamento. Le poste fuori bilancio, secondo il Comitato rappresentano una fonte di leva finanziaria potenzialmente significativa, pertanto ai fini del calcolo dell’indice di leva finanziaria, gli intermediari dovevano computare tali poste applicando un fattore di conversione creditizia (Credit conversion factor, CCF) uniforme al 100%, secondo quanto definito inizialmente dal Comitato nel documento del giugno 2011. Solo agli eventuali impegni revocabili incondizionatamente in qualsiasi momento dalla banca, doveva essere applicato un CCF del 10%. Il Comitato, rispetto a quanto delineato nel documento del giugno 2011, nel gennaio 201410 interviene in modo particolare per fare chiarezza, su alcuni aspetti che gli operatori dell'industria bancaria vedevano come un problema da risolvere. Gli aspetti su cui si esprime il Comitato sono diversi:

a. Operazioni di rifinanziamento tramite titoli (securities financing transactions - SFT): la versione definitiva dello standard consente entro certi limiti e nel rispetto di determinate condizioni la compensazione nei confronti di una stessa controparte al fine di ridurre la misura dell'esposizione per l'indice di leva finanziaria. Deve essere incluso nella misura dell’esposizione dell’indice di leva finanziaria la somma degli importi delle attività SFT lorde riconosciute ai fini contabili (ossia al lordo di compensazioni contabili) più una misura

10 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (2014) , “Basilea III - L’indice di leva finanziaria e i requisiti di informativa pubblica ”, Gennaio.

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dell’RCC (rischio di credito di controparte) calcolata come l’esposizione corrente senza una maggiorazione per l’esposizione potenziale futura (EPF). Gli importi delle attività SFT lorde riconosciute ai fini contabili devono essere corretti escludendo dalla misura dell’esposizione il valore di eventuali titoli ricevuti nell’ambito di un’operazione SFT, laddove la banca abbia contabilizzato i titoli in bilancio come attività11, e i debiti e i crediti derivanti da operazioni SFT con la medesima controparte potranno essere misurati su base netta se verranno soddisfatti alcuni criteri;

Criteri che dovranno essere rispettati:

i. le operazioni presentano la stessa data esplicita di regolamento finale;

ii. il diritto di compensare l’importo dovuto alla controparte con quello dovuto dalla controparte è giuridicamente vincolante sia nell’ambito della normale operatività, sia nell’eventualità di default, insolvenza e fallimento;

iii. le controparti intendono effettuare il regolamento su base netta ovvero i flussi di cassa delle operazioni sono equivalenti. Per ottenere una simile equivalenza, entrambe le operazioni dovranno essere regolate tramite lo stesso sistema di regolamento e gli accordi di regolamento dovranno essere assistiti da liquidità o linee di credito infragiornaliere volte ad assicurare che il regolamento di entrambe le operazioni abbia luogo entro la fine della giornata operativa. Per quanto riguarda la misura dell’RCC (rischio di credito di controparte) è calcolata come l’esposizione corrente senza una maggiorazione per l’EPF (esposizione potenziale futura), in base alla metodologia seguente:

I. in presenza di un accordo quadro di compensazione idoneo (MNA – master netting agreement)12, l’esposizione corrente è pari al valore più

11 Ciò accade, ad esempio, nel quadro dei principi GAAP statunitensi, che prevedono la possibilità di contabilizzare come attività i titoli ricevuti nell’ambito di un’operazione SFT se il ricevente ha il diritto di riutilizzarli , ma non lo ha fatto.

12 È considerato idoneo un “Accordo quadro di compensazione –MNA”, che soddisfa i seguenti requisiti:

- Gli effetti degli accordi bilaterali di compensazione devono essere legalmente opponibili in ogni giurisdizione competente al verificarsi dell’evento di default e indipendentemente dalla natura di quest’ultimo (insolvenza o fallimento della controparte);

- assicurare alla parte non inadempiente il diritto di sospendere e chiudere tempestivamente tutte le operazioni contemplate nell’accordo al verificarsi dell’evento di default, inclusi l’insolvenza o il fallimento della controparte;

- assicurare la compensazione tra i profitti e le perdite sulle operazioni sospese o chiuse ai sensi del relativo accordo, così che un solo importo netto sia dovuto da una controparte all’altra;

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elevato tra zero e il fair value totale dei titoli e del contante dati in prestito a una controparte per tutte le transazioni incluse nell’MNA idoneo, meno il fair value totale del contante e dei titoli ricevuti dalla controparte per tali transazioni.

E*= max 0, sommatoria Ei – sommatoria Ci

II. in assenza di un MNA idoneo, l’esposizione corrente per le transazioni con una controparte dovrà essere calcolata per ogni singola transazione, ne deriva che ciascuna transazione i verrà trattata come insieme di compensazione a sé stante:

E*= max 0, Ei – Ci

b. Vendite di protezione mediante derivati su crediti: qui il Comitato stabilisce che gli importi nozionali effettivi considerati ai fini della misura dell'esposizione potranno essere soggetti a un massimale pari al livello della perdita potenziale massima stimata dall’intermediario; Questo intervento successivo da parte del Comitato rispetto a quanto delineato nel dicembre 2010 è teso a cercare di seguire dei criteri che permettessero di delimitare il più possibile la misura dell’esposizione.

c. Modalità di computo delle esposizioni fuori bilancio: rispetto a quanto definito inizialmente dal Comitato, esse sono state ricalibrate allineandole sostanzialmente a quelle previste per il rischio di credito. Dovranno essere convertite in equivalenti creditizi mediante l’impiego di fattori di conversione creditizia (FCC). I fattori di conversione creditizia che si applicano, per determinare l’ammontare dell’esposizione relativa alle poste fuori bilancio, fanno riferimento agli FCC del metodo standardizzato per il rischio di credito di Basilea II, con l’applicazione di una soglia minima del 10%. La soglia minima del 10% riguarda gli impegni revocabili incondizionatamente dalla banca in qualsiasi momento senza preavviso, o che prevedono di fatto la revoca automatica in caso di deterioramento del merito creditizio del debitore. A tali impegni è applicabile un fattore di conversione creditizia (FCC) dello

Inoltre la compensazione tra posizioni del portafoglio bancario e del portafoglio di negoziazione sarà ammessa solo se le transazioni oggetto della compensazione soddisfano le seguenti condizioni:

- tutte le operazioni vengono rivalutate giornalmente a prezzi correnti di mercato;

- gli strumenti utilizzati come garanzia per l’operazione sono ammessi fra le garanzie finanziarie nel portafoglio bancario.

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