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"I want to tell the story again": riscrittura dei libri e della vita in Jeanette Winterson

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Academic year: 2021

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INDICE

CAPITOLO 1 – MOLTE VITE IN UNA……….………

1.1. “The trouble with a book is that you’ll never know what’s in it till it’s too

late”…………...p. 3 1.2. Gli esordi……….………..p. 6 1.3. Il successo internazionale e l’accanimento della critica………p. 11 1.4. A 21st-century comeback………p. 15 1.5. The need to tell the story again………..p.19 1.6. Modernista o postmodernista?...p. 24 CAPITOLO 2 – LE FICTIONAL FAMILIES DI JEANETTE WINTERSON……….p.26

2.1. La madre adottiva e i suoi ‘avatar’………..p. 27

2.1.1 Oranges, tra fictional autobiography e Bildungsroman………p. 29

2.1.2 Mrs Winterson in Oranges Are Not the Only Fruit………p. 35

2.1.3 Boating for Beginners, il comic book finito nell’oblio………..p.40

2.1.4 Mrs Munde in Boating for Beginners……….p. 42

2.1.5 Sexing the Cherry………....p. 45

2.1.6 The Dog-Woman in Sexing the Cherry………..p. 49

2.2. Il padre e la mascolinità………p.52

2.2.1 Oranges, una mascolinità

ambivalente……….……….p. 55

2.2.2 Sexing the Cherry, una mascolinità

contrastante………p. 57

CAPITOLO 3 – ADOZIONE E INTERTESTUALITÀ : Si adottano i libri come si adottano i figli

3.1 Adoption as an open wound……….……….p.60

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3.3 L’intertestualità in Oranges Are Not the Only Fruit………p. 67

3.3.1 La relazione intertestuale tra Oranges e la Bibbia…….……….p. 68

3.3.2 In dialogo con Oranges e La Morte D’Arthur…….………..p. 77

3.3.3 Oranges e Jane Eyre………p. 80

3.3.4 Altri riferimenti socio-culturali……….………..p. 84

3.4 Boating for Beginners: in conversazione con la Genesi………..p. 87

3.5 Sexing the Cherry - The Story of the Twelve Dancing Princesses……….………p. 95

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CAPITOLO 1

MOLTE VITE IN UNA

1.1. “The trouble with a book is that you never know what’s in it till it’s too late”

Jeanette Winterson nasce il 27 agosto del 1959 a Manchester e viene adottata pochi mesi dopo da Constance e John William Winterson, una coppia di fede pentecostale che vive nel Nord dell’Inghilterra. Cresce ad Accrington, nel Lancashire, una tipica cittadina inglese in cui, ricorda l’autrice in un’intervista, le due uniche distrazioni erano: “the church and the rugged landscape".1 Qui viene educata nella Elim Pentecostal Church per

diventare una missionaria pentecostale, cresciuta da una madre bizzarra e moralista che vede l’Apocalisse imminente e crede in un Dio vendicativo, e da un padre passivo che vive all’ombra della moglie. Fin dall’età di sei anni comincia a leggere la Bibbia, uno dei pochi libri permessi in casa. Come spesso ha spiegato infatti, i suoi genitori tenevano solo sei libri in casa: “two of those were Bibles and the third was a concordance to the Old and New Testaments. The fourth was The House at Pooh Corner. The fifth, The

Chatterbox Annual 1923 and the sixth, Malory’s Morte d’Arthur”.2 Quest’ultimo si rivela

molto influente nella futura carriera di Jeanette in quanto la ricerca archetipica e il triangolo amoroso sono topoi che l’autrice tratterà molto spesso.3 Passa l’infanzia e

l’adolescenza imparando a memoria passi della Bibbia, il cui ritmo riecheggia spesso nella sua prosa, e leggendo La Morte d’Arthur di Malory e Jane Eyre. Quest’ultimo sarà un testo fondamentale per la sua formazione in quanto l’unico altro libro che la madre le permetteva di tenere in casa, oltre quelli prima citati. Tuttavia, quella che la madre le leggeva da piccola non era altro che una versione rivista della storia, in cui Jane volta le spalle all’ormai cieco Mr Rochester per sposare il reverendo St Jones River e partire con lui con l’obiettivo di convertire i territori pagani. Jeanette lo scoprirà solo dopo molti anni, all’Università, quando avrà finalmente libero accesso a tutti i libri. Erano molte le maniere in cui la piccola Jeanette cercava di eludere il divieto materno di leggere. Una

1 M. Jaggi, “Jeanette Winterson: Redemption Songs”, The Guardian, 29 May 2004,

https://www.theguardian.com/books/2004/may/29/fiction.jeanettewinterson

2 J. Winterson, Art Objects: Essays on Ecstasy and Effrontery, London, Jonathan Cape, 1995, p. 153. 3 S. Onega, Jeanette Winterson, Manchester, Manchester University Press, 2006, p. 4.

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di queste era nascondersi nei posti più improbabili, come lo scantinato, dove era spesso chiusa a chiave dopo le violente liti con la madre, oppure il bagno esterno, che in Art Objects ci descrive come la ‘working-class version’ della woolfiana A Room of One’s Own. Possiamo dire che Jeanette sperimenta una situazione simile a quella presentata da Virginia Woolf, rappresentando una generazione di donne simultaneamente chiuse dentro il salotto e fuori dall’Accademia.4 Un’altra modalità per portare avanti la sua

passione per la lettura era quella di nascondere sotto il materasso libri che trovava in casa o che prendeva in prestito alla biblioteca comunale. Escamotage che, purtroppo per Jeanette, non passa inosservato all’ occhio onnisciente della madre, la quale un giorno scopre la sua piccola biblioteca personale e decide di dare fuoco dal primo all’ultimo libro, affermando: “The trouble with a book is that you never know what’s in it till it’s too late”.5 Una frase che ripeterà a Jeanette nel corso di tutta la vita e che

rimarrà stampata nella sua memoria al punto da diventare il titolo del quarto capitolo del suo ultimo memoir. Ci ricorda questo episodio drammatico in un’intervista rilasciata alla Repubblica:

Avevo 16 anni, vivevo ancora con i miei genitori e una notte mia madre trovò la mia scorta di libri e la bruciò. Li avevo nascosti nel mio letto. Sotto un materasso può starci uno strato di circa 76 tascabili: mia madre si rese conto che sua figlia stava dormendo più vicina al soffitto che al pavimento (come la Principessa sul pisello) e vide l'angolo di un libro fare capolino. Sfortunatamente era Donne in amore di D. H. Lawrence. Lei iniziò a tirare furiosamente fuori i libri uno per uno da sotto il materasso, per gettarli dalla finestra giù nel cortile. Li bagnò con del kerosene e dette fuoco alla pila. Fu una cosa terribile e quella notte mi resi conto che ogni cosa che ami ti può essere portata via. Iniziai a memorizzare i testi, se l'intera biblioteca era dentro di me nessuno avrebbe potuto togliermela.6

Sempre dal suo ultimo lavoro ‘autobiografico’, Why Be Happy When You Could Be Normal?, provengono le seguenti righe che ci danno una perfetta e al tempo stesso ironica descrizione della madre adottiva e dell’ambiente in cui è cresciuta l’autrice:

4 M. Laniel, Tightrope Walking the Twenty-First Century”: Jeanette Winterson’s Vital Connections with

Modernism, Bourgogne, Université de Bourgogne, Centre Interlangues TIL, 2012, p. 4.

5 J. Winterson, Why Be Happy When You Could Be Normal?, London, Vintage, 2012, p. 33.

6 F. Paloscia, “Winterson La letteratura vivrà finché ci sarà l'uomo”, La Repubblica, 14 giugno 2013,

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/06/14/winterson-la-letteratura-vivra-finche-ci-sara.html

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She was a flamboyant depressive; a woman who kept a revolver in the duster drawer, and the bullets in a tin of Pledge. A woman who stayed up all night to avoid sleeping in the same bed as my father. A woman with a prolapse, a thyroid condition, an enlarged heart, an ulcerated leg that never healed, and two sets of false teeth – matt for everyday, and a pearlised set for ‘best’7

I sedici anni di Jeanette rappresentano un momento tanto delicato quanto un punto di svolta fondamentale sia per la sua vita personale, che per la sua carriera. È proprio a quest’età che Jeanette scopre il suo orientamento sessuale, quando si innamora di una ragazza e, non vergognandosi della sua omosessualità decide di confessarlo alla madre, affermando: “Amo una donna e sono felice.” La risposta della madre, oltre a esemplificare al meglio il suo atteggiamento, sarà proprio quella che darà il titolo all’opera prima citata: “Perché essere felice quando puoi essere normale?”. Il suo rapporto con la madre adottiva è sempre stato complicato e ha sicuramente influito sulla sua carriera. L’autrice ne parla così, nell’intervista rilasciata alla Repubblica:

E sua madre? A proposito perché a volte la chiama Mrs Winterson?

“Non so. Sceglievo a seconda di come suonava nella frase. Perché non c’è dubbio che per me lei fosse questo tremendo archetipo, una figura più grande della vita, che ho amato, e assolutamente non una madre. Un mostro, ma il “mio” mostro. Ora nella mia testa è Mrs Winterson perché quel nome sembra più consono alla sua natura. Non sapeva essere madre e probabilmente io non sapevo essere figlia. Sa quell’idea di Winnicott che “il bambino fa la madre” e che non esiste una madre senza un bambino? Credo ci sia una profonda verità perché è la relazione che permette a entrambi di essere ciò che sono. Noi non avevamo idea di come costruirla e siamo rimaste intrappolate in questa strana fiaba, in cui lei era un mostro e io cercavo sempre di essere più furba di lei o di aggirarla per arrivare al tesoro che lei nascondeva così bene. Forse questo era un meccanismo per tenerla a distanza ma che su di me ha avuto grandi conseguenze perché mi ci è voluto molto tempo per imparare ad amare e a essere vulnerabile”.8

Una volta resa pubblica questa relazione con una ragazza, avviene il punto di rottura definitivo sia con la madre, che con la comunità. Jeanette viene infatti denunciata pubblicamente dalla madre e condannata dalla chiesa, dopo essere stata sottoposta a

7 J. Winterson, Why Be Happy When You Could Be Normal?, cit., p. 1.

8 M. Accettura, “Scrittrici Cult: Jeanette Winterson”, La Repubblica, 3 marzo 2012.

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pratiche di esorcismo. La giovane Jeanette decide quindi di scappare di casa e per un po’ di tempo vivrà nella sua vecchia Mini in cerca di una sistemazione migliore. Intanto si iscrive prima alla scuola femminile di grammatica Accrington High School For Girls, mantenendosi con diversi lavoretti, e poi al St Catherine’s College di Oxford.

1.2 Gli esordi

Dopo essersi laureata con un Bachelor of Arts in English, si trasferisce a Londra, dove lavora per un po’ di tempo al Roundhouse Theatre per poi entrare nella casa editrice Pandora Press. È qui che conosce Philippa Brewster, la prima a credere in lei. Nel 1985 sarà proprio lei a darle la possibilità di dare alle stampe la sua opera prima: Oranges Are Not the Only Fruit. A metà tra autobiografia e romanzo, il testo combina realismo, riferimenti biblici, elementi di fantasia e fairy tales in una struttura composita che la stessa autrice definisce ‘fiction masquerading as a memoir’9. Può essere definita una fictional autobiography, genere tipicamente postmoderno. Parlare di autobiografia finzionale rappresenta un ossimoro, dato che uno dei valori fondamentali dell’autobiografia è proprio la veridicità, ma la fictional autobiography sta a metà tra fiction e realtà. Winterson narra la sua infanzia e racconta la storia della sua adozione da parte di due soggetti molto strani: il padre, un uomo passivo e assente dalla vita di famiglia e la madre, una fanatica religiosa. Viene educata come fedele in quella che può essere definita una setta-chiesa. A scuola realizza disegni di scene oscure, crude, tratte dall’Antico Testamento, che spaventano altri bambini. Col tempo, ella impara a conoscere la propria omosessualità e questo le provoca una frattura con la madre. In Oranges Are Not the Only Fruit, Winterson dichiara di scrivere fiction, pur facendo riferimento ad eventi tratti dalla propria esperienza personale. Quando infatti le viene chiesto “Is Oranges an autobiographical novel?” la sua risposta è la seguente: “No, not at all and yes of course”10. Riordinare la folle visione del mondo della madre bigotta,

esemplificata al meglio nell’incipit del romanzo con la sua bizzarra lista di farseschi amici e nemici, ha condotto Jeanette a riparare ai preconcetti fatti passare dalla narrativa canonica, soprattutto riguardo le relazioni coniugali, i legami familiari e il ruolo della

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https://membership.theguardian.com/event/between-the-lines-jeanette-winterson-and-helen-macdonald-16394321858

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donna. Inoltre, la struttura dell’opera, in cui ogni capitolo prende il nome da un libro dell’Antico Testamento, rappresenta una sorta di risposta ironica alla storia genesiaca della madre adottiva riguardo la nascita miracolosa di Jeanette e il suo destino già scritto come eletta missionaria.

Il romanzo di Winterson si aggiudicherà il Whitbread First Novel Award per il miglior romanzo esordiente e non tarderà ad avere un successo sia di pubblico che di critica. Superficialmente è la storia di una bambina cresciuta in una famiglia evangelica, il cui mondo viene sconvolto nel momento in cui si innamora di una ragazza, ma i temi che affronta questa semi-autobiografia sono difficili e, come li definisce la stessa autrice nell’introduzione all’edizione del 1991, “threatening”.11 Nonostante l’ambientazione di Oranges sia locale, temi come la religione, l’amore omosessuale, la famiglia, sono applicabili ad un contesto universale. Il romanzo illustra la santità della famiglia come qualcosa di falso, fa intendere che quello che la chiesa chiama amore non è altro che psicosi e suggerisce che quello che rende difficile la vita degli omosessuali non è la loro perversione, ma quella degli altri. Affrontare questi temi negli anni ‘80 è pericoloso e, allo stesso tempo, significativo perché segna una svolta nelle “established conventions of women’s writing in the mid-1980s”12. Winterson ha dichiarato di aver

deliberatamente lottato molto all’inizio della sua carriera per rompere con “the received idea that women always write about ‘experience’ – the compass of what they know - while men write wide and bold – the big canvas, the experiment with form”.13

Nonostante questa semi-autobiografia sia subito identificata come un testo impregnato di lesbian feminism ed abbia pertanto beneficiato del movimento lesbico dei primi anni ‘80, secondo molti critici, tra cui Rachel Wingfield, l’opera si caratterizza più per un individualismo depoliticizzato che per un femminismo radicale. Teoria che viene confermata dalla stessa autrice:

Do you think of Oranges as a lesbian novel?

No. It’s for anyone interested in what happens at the frontiers of common-sense. Do you stay safe or do you follow your heart? I’ve never understood why straight fiction is supposed to be for everyone, but anything with a gay character or that includes

11 Ibidem

12 https://literature.britishcouncil.org/writer/jeanette-winterson.

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gay experience is only for queers. That said, I’m really glad the book has made a difference to so many young women.14

A conferma del grande successo del romanzo, dopo solo cinque anni Winterson riceverà una richiesta per l’adattamento televisivo. Jeanette quindi scrive personalmente e pubblica il copione che vedrà la luce nel 1990 con il titolo: Oranges Are Not the Only Fruit: The Script. La serie è diretta da Beeban Kidron e i tre episodi vengono trasmetti sulla BBC. Anche questa serie tv sarà altamente apprezzata dal pubblico e non mancherà di ricevere anche riconoscimenti importanti, aggiudicandosi il BAFTA Award nel 1990 nella categoria Best Drama. Inoltre in uno degli episodi è presente una scena lesbica molto esplicita, la prima, secondo i giornali inglesi, ad essere stata trasmessa sulla BBC.15

Questa non sarà l’unica sceneggiatura in cui si cimenta, infatti nel 1994 scrive Great Moments in Aviation. Questa pellicola cinematografica narra la storia di Gabriel Angel, una donna di Grenada che negli anni ’50 si imbarca in una crociera per l’Inghilterra con l’intento di diventare aviatrice. La pellicola, diretta dallo stesso team con cui aveva collaborato per Oranges, non ottiene però grande apprezzamento da parte della critica. Nonostante venga particolarmente apprezzato il sub-plot lesbico, è proprio la sceneggiatura di Winterson ad essere presa di mira. Thomas Sutcliffe, nell’intervista che rilascia su The Independent, descrive la scena che conclude la storia lesbica come: "radiant and beautifully acted by Vanessa Redgrave and Dorothy Tutin"16, ma riguardo

alla recitazione in generale sostiene che "for the most part, these people are simply Winterson's puppets, jerked around by the symbolic demands of the plot".17

Dopo solo tre mesi dalla pubblicazione del suo romanzo-esordio, esce Boating for

Beginners. Descritto dall’autrice come “a comic book with pictures”18, questo graphic

novel può essere definito come una parodia in chiave capitalistica e pubblicitaria della storia di Noè in cui si inizia a delineare il suo gusto per la commistione di generi letterari

14 J. Winterson, Oranges Are Not the Only Fruit,

http://www.jeanettewinterson.com/book/oranges-are-not-the-only-fruit/

15 G. Almansi, Com’ è fatta la donna-cane, La Repubblica, 10 gennaio 1990,

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/01/10/com-fatta-la-donna-cane.html?refresh_ce

16 T. Sutcliffe, Culture Review, The Independent, 13 November 1995,

https://www.independent.co.uk/arts-entertainment/review-5641021.html

17 Ibidem

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che prenderà piena forma in The Passion. Winterson non si vergogna a dire che lo ha scritto in un momento di difficoltà economica, dichiarando: “I don’t know what that might be but I do know that this book was written for money in 6 weeks. Nothing wrong with that. I never write my real books for money, but I have no problem writing anything else with the bung in mind”.19 Di questa sua opera un po’ dimenticata, Jane Solanas

scrive sul Time Out: “Winterson has re-written The Book of Genesis and turned it into a surreal Cecil B De Mille epic.” Per lo stesso motivo, l’anno successivo pubblica Fit for the Future: The Guide for Women who Want to Live Well. Questo fitness book viene definito dalla Brewster "a deeply unsafe fitness guide, which recommended exercise by hanging from the shower rail".20

L’approvazione critica continua con la pubblicazione di The Passion nel 1987, grazie al quale Winterson si aggiudicherà il John Llewellyn Rhys Memorial Prize. Ambientato nell’Europa napoleonica in questo romanzo si intrecciano le storie di Henri e Villanelle. Henri è un giovane soldato francese che proviene da una famiglia povera e si arruola nell’esercito napoleonico, combattendo le più importanti battaglie, come quella di Austerlitz e di Mosca. Villanelle è la bellissima figlia di due gondolieri veneziani, lavora in un casinò dove intrattiene storie d’amore sia con uomini che con donne e indossa spesso vestiti maschili. Inoltre, possiede caratteri fisici bizzarri e maschili come ad esempio la caratteristica di avere i piedi palmati, particolare che ci fa subito notare come il testo afferisca alla sfera del realismo magico. Con il termine realismo magico si intende un tipo di scrittura che include elementi magici o fantastici che non sono esplicitamente spiegati in un modo logico-razionale al lettore, il quale è così indotto ad accettarli alla stregua di qualsiasi evento verosimile. La storia viene narrata in prima persona dai protagonisti: il primo e il terzo capitolo vengono raccontati da Henri, il secondo da Villanelle, mentre l’ultimo da entrambe i punti di vista alternati. Sono quindi le stories quelle che dominano il testo, stories che si sostituiscono alla history. Sono i singoli individui che narrano la loro storia personale senza il bisogno di interpellare uno storico ufficiale. Anziché trattare i grandi eventi della vicenda napoleonica, vengono narrate microstorie. La campagna di Russia, ad esempio, è evocata ricostruendo la vita dei

19 http://www.jeanettewinterson.com/book/boating-for-beginners/ 20 M. Jaggi, op.cit.

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soldati costretti a lasciare alle spalle i loro compagni assiderati dal freddo. A partire dalla decostruzione della figura di Napoleone, il quale fin dall’incipit viene descritto non per la sua grandezza militare ma per la sua inclinazione culinaria per i polli, il testo decostruisce tutti i grandi narrativi e le grandi rappresentazioni, come l’umanesimo e l’illuminismo. L’oggetto primario della decostruzione infatti è Napoleone, non in quanto araldo di una particolare causa ma in quanto rappresentante della volontà di imporre un disegno alla storia, che è ciò che il post-moderno rifiuta. La frase che Henri ripete in continuazione “I'm telling you stories, believe me”21 cristallizza al meglio la visione

dell'autrice sull'indissolubilità di realtà e finzione.

Anche il suo quarto romanzo, Sexing the Cherry (1989), viene, nel complesso, accolto positivamente, ricevendo l’ E.M. Forster Award dalla American Academy of Arts and Letters l’anno successivo alla sua pubblicazione. È una fantasia stravagante che mescola romanzo storico, farsa gotica, mito e fiaba, fondendo voci narranti maschili e femminili. Ambientato nella Londra del XVII secolo, nel periodo della guerra civile, la vicenda inizia in una notte nebbiosa, quando una donna dalle dimensioni gigantesche e dall’aspetto spaventoso, chiamata Donna-cane, trova Jordan per caso sulle rive del Tamigi. Quest’ultima decide di adottarlo e di crescerlo come se ne fosse a tutti gli effetti la madre. Gli anni passano, la peste infuria nella città e Jordan intravede una principessa che sta partendo dal porto verso chissà dove, perché decisa a non sposare uno dei dodici fratelli che sono stati scelti come mariti per lei e le sue undici sorelle. Deciso a ritrovarla, il protagonista intraprende allora una ricerca ai limiti dell’incredibile, che lo porta a conoscere i personaggi più bizzarri e surreali, con cui intrattiene discorsi tra il fiabesco e il filosofico, e a visitare luoghi sorprendenti. Il romanzo interseca due fasce temporali, il passato e il futuro, confrontandoli nella metafora dell’eterno presente. Ciò significa che il tempo e lo spazio qui sono svincolati da ogni coerenza cronologica, facendo emergere uno dei concetti alla base della sua letteratura: il tempo inteso non come cronologico, ma come tempo infinito. Romanzi come The Passion e Sexing the Cherry, che combinano autoriflessione e storia e mettono in discussione la relazione tra realtà e finzione, propongono narratori che possono essere definiti across-gender, basta pensare ai piedi

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palmati di Villanelle e le grottesche caratteristiche della Donna-Cane, per decostruire i concetti di gender identity e fluidity of sexual desire.22

Nonostante abbia già ricevuto premi letterari importanti e ottenuto un grande successo di pubblico e di critica, Winterson fatica ancora ad avere l’ammirazione degli autori più eminenti del tempo. Questi due bestsellers passano un po’ inosservati tra i suoi colleghi. In un’intervista del 2010 ci confessa:

I was at a party in 1989 and Ian McEwan, Martin Amis and Salman Rushdie were sitting on a sofa wondering where the next generation of great British writers would come from. As we talked, it became clear they had never read a word by me.23

1.3 Il successo internazionale e l’accanimento della critica

È nel 1992, grazie al romanzo Written on the Body che Winterson si afferma nel panorama internazionale, raggiungendo grande popolarità sia in Europa, in cui il romanzo viene tradotto e pubblicato in nove nazioni, che oltreoceano. Insieme a questo consenso da parte del pubblico arrivano però anche i primi attacchi da parte della critica e dei giornalisti. In questo “viaggio onirico” Winterson ripropone una radicale interrogazione sul corpo fisico e metafisico, sulla natura dell’amore e sull'identità di genere. Il narratore non esprime mai la sua identità, assumendo personalità multiple, maschili e femminili, dall’Alice di Lewis Carroll a Lancillotto di Re Artù. Della passione d’amore al centro della narrazione conosciamo l’oggetto, Louise, una bellissima donna sposata dai capelli color rosso Tiziano, ma non il soggetto. L’autrice non lascia mai capire chi sia la voce narrante, nonché il punto di vista dai quali vengono raccontati e filtrati tutti gli eventi narrati. Sebbene venga ben accolto dal pubblico, per molti critici e accademici l’autrice è diventata arrogante e pretenziosa. "I have made a lot of mistakes in my life,"24 dichiara, ma spiega che gli sbagli erano invitabili in quanto stava aprendo

nuove strade alle scrittrici, aggiungendo: "At college, I was told there were four great women novelists in the 19th century – Jane Austen, George Eliot, Charlotte and Emily

22 M. Makinen, The Novels of Jeanette Winterson, A Reader’s critical Guide to Essential Criticism,

Basingstoke, Palgrave Macmillian, 2005, p. 1.

23 S. Jeffries, “Jeanette Winterson: 'I thought of suicide'”, The Guardian ,22 february 2010,

https://www.theguardian.com/books/2010/feb/22/jeanette-winterson-thought-of-suicide

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Brontë. Not one of them led an enviable life – all of them had to sacrifice ludicrously in order to be writers. I wasn't prepared to do that.”25

Inoltre aggiunge: "It made my name in America; I went from being published in eight to 19 countries. But there was a mass of confusing information. I had a recurring dream of skiing downhill and my skis coming apart and tearing me in two."26

In effetti, questo romanzo viene visto come ‘over-written’ ‘melodramatic’ ‘derivative’ e viene lanciato sul mercato nel bel mezzo di una raffica di pubblicità negativa e critiche, come ricorda Lynne Pearce:

the tide of public and critical approbation that had swept Winterson along for some time… suddenly turned against her […] What I remember was that the quality newspapers stamping their reservations all over the book: its politics (the issue of the genderless narrator); its form (the slide from narrative towards panegyric with a few recognising it was more like a (courtly love)poem than prose);and, inevitably its endings. 27

Tuttavia, la cattiva pubblicità sembra non scalfire Winterson, che ostenta sufficiente fiducia nelle sue capacità. Lo dimostra il fatto che quando nel 1992 le venne chiesto dal Sunday Times quale fosse secondo lei il libro dell’anno, scelse proprio il suo Written on the Body.

Anche il suo successivo romanzo, Art and Lies: A Piece for Three Voices and a Bawd viene accolto con pareri controversi. Qui Jeanette inscena un surreale incontro-scontro teorico su un treno ad alta velocità, tra Händel, un ex sacerdote divenuto poi chirurgo, Picasso, una giovane artista scacciata da una famiglia troppo repressiva e la poetessa greca Saffo. Le voci dei tre personaggi si alternano, raccontando ognuna la propria storia, ma senza mai arrivare a dialogare direttamente. I temi trattati sono il desiderio, l’amore, la perdita e soprattutto la bellezza senza tempo dell’arte, che secondo l’autrice serve a migliorare la realtà, attaccando la teoria platonica dell’arte come imitazione della natura. I pareri dei critici oscillano tra chi lo reputa noioso, incomprensibile e

25 Ibidem

26 M. Jaggi, op.cit.

27 L.Pearce, “The Emotional Politics of Reading Winterson”, in I'm telling you stories: Jeanette Winterson

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addirittura la accusa di ‘platitude e flashiness’, e chi invece difende il suo stile poetico a tratti incomprensibilmente denso.

Fra le opere successive, di fondamentale importanza è il saggio critico che pubblica nel 1995: Art Objects: Essays on Ecstasy and Effrontery. Questa opera può essere considerata il suo aestethic manifesto28, una raccolta di saggi su arte e letteratura scritti in prima persona e con costanti riferimenti al suo personale sviluppo come scrittrice. Lo scrive nel bel mezzo di una crisi personale e artistica e per questo può essere visto come un tentativo di sistemare le sue idee artistiche comparabile a Notes for a New Culture di Peter Ackroyd o al Pansies di D.H. Lawrence. È una meditazione sull’arte e la tradizione, ma anche una difesa e una rivendicazione del Modernismo, troppo spesso definito da accademici e critici come “a kind of cul-de-sac, a literary bywater which produced a few brilliant names but which was errant to the true current of literature, deemed to flow, fiction-wise, from George Eliot to Anita Brookner”.29 In questa raccolta di saggi la

Winterson sottolinea il bisogno per l’artista del XI secolo di guardare sempre verso le precedenti generazioni di scrittori, soprattutto i modernisti, cercando di stabilire con loro un delicato equilibrio tra continuità ed emancipazione, responsabilità e libertà. Secondo l’autrice, l’artista del nuovo millennio, fortemente connesso al passato, ma in cerca della propria voce, deve praticare la difficile arte del funambolo unendo due mondi sulla taut line del linguaggio. Come ha notato Christine Raynier30, Winterson affronta,

discute e rielabora più volte anche il concetto dell’impersonalità che T.S. Eliot espone in “Tradition and the Individual Talent”. Inoltre, sebbene in questa raccolta di saggi stili una lista degli scrittori modernisti più importanti secondo lei, tra cui Stein, Pound, Eliot, Graves, Winterson sceglie Virginia Woolf come principale fonte di ispirazione per la sua scrittura. “Here she is and here she was, of private ancestors, the most complete”.31

Con il romanzo Gut Symmetries, uscito nel 1997, sembra avere fine questo periodo cupo e l’autrice torna ad avere fiducia in se stessa, affermando: “it gave me courage that I was still a writer"32. Il romanzo interseca la fisica quantistica e un triangolo amoroso tra Stella

28 M. Laniel, op. cit.

29 J. Winterson, Art Objects, cit., p.176.

30 C. Reynier, Jeanette Winterson, le miracle ordinaire, Pessac, Presses Universitaires de Bordeaux, 2004. 31 J. Winterson, Art Objects, cit, p.131.

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e Jove, coppia che vive su due pianeti diversi, e Alice, una brillante e giovane fisica che, innamorata di entrambe, intrattiene con loro una doppia storia d’amore. Oltre a raccontare le vicende amorose di questi personaggi, l’opera è un collage di ricordi, di teorie scientifiche e di meditazioni su concetti astratti. Alternando la voce dei tre protagonisti nella narrazione infatti Winterson ci porta dentro la mente di ognuno di loro, mostrandoci come l’uomo elabora e costruisce le idee. L’autrice usa inoltre spesso i suoi personaggi come “mouthpieces who affirm -- among much else -- the Keatsian dictum that beauty is truth, truth beauty. 'Perhaps it seems surprising that physicists seek beauty,' Alice comments, 'but in fact they have no choice. As yet there has not been an exception to the rule that the demonstrable solution to any problem will turn out to be an esthetic solution.’''33 E questo sembra essere apprezzato dai suoi lettori, dai critici

e dai giornalisti, come dimostra il seguente commento di Bruce Bawer:

At a time when many publishers expect literary novels to have the relentless forward motion of an Indiana Jones movie, Ms. Winterson refuses to shift into narrative drive; eschewing the Interstate, she favors the bumpy, meandering byways of interior landscapes. At every turn, furthermore, her fresh, vivid way of putting things stops one dead in admiration.34

Nonostante questa piccola ripresa e le recensioni positive, non c’è dubbio che gli anni ’90 furono per Winterson ‘her dark period’. Durante questo periodo era infatti diventato un luogo comune per i critici sostenere che Winterson stesse scrivendo i suoi romanzi peggiori. Accusata di essere arrogante, auto-indulgente e pretenziosa, Jeanette vede la sua figura di donna senza peli sulla lingua e la sua omosessualità assumere un’importanza maggiore della sua carriera:

The 90s were a dark decade for me, in personal terms and in terms of the work I wanted to do. I didn't know I could ever find my voice again; I thought I was destroyed. My writing used to be a place of joy and became a place of terror; I couldn't bear that.35

Vende dunque la sua casa di Highgate e si trasferisce in campagna, decisa a non rilasciare più interviste finché la rabbia della stampa nei suoi confronti non fosse finita.

33 B. Bawer, “Sexing the Cosmos”, The New York Times, 11 May 1997,

http://movies2.nytimes.com/books/97/05/11/reviews/970511.11bowert.html

34 Ibidem

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1.4 A 21st-century comeback

Il nuovo millennio, tuttavia, libera una nuova Winterson, che mette da parte l’arroganza irritante e scrive con meno didatticismo. Dopo un periodo di solitudine nelle Cotswolds, inizia il suo grande ritorno nel panorama letterario con The PowerBook, che completa quello che Jeanette vede come il suo primo ciclo di sette opere di fiction: “In my subconscious, those books were part of a single emotional journey, and The PowerBook was a summation; a gaudy, baroque, extravagant book, packing in everything I'd learned and felt since Oranges; crossing time, altering gender, refusing linear connections. I'd found myself and my voice again.”36 Questo romanzo vede anche un adattamento

teatrale, che è portato sulla scena dal Royal National Theatre di Londra nel 2002, con la sua compagna di allora, Deborah Warner, come regista, e Fiona Shaw come attrice protagonista. Per Winterson, The PowerBook, è stato decisamente un "self-cleansing and a victory.”37 L’opera, un viaggio virtuoso nella realtà virtuale, riprende la

terminologia computeristica ed è costruita come un'operazione di videoscrittura in cui ci viene raccontata la storia d'amore fra Ali e la sua amante, rivissuta e intrecciata con le più grandi storie d'amore della letteratura mondiale, tra cui Lancillotto e Ginevra, Paolo e Francesca, Tristano e Isotta. Ali, la protagonista e narratrice, offre “Freedom just for one night”, ossia la possibilità di diventare qualcun’altro attraverso l’immaginazione. È il pretesto per una serie di intense variazioni su parole e concetti particolarmente cari a Winterson: amore, corpo, tempo, letteratura, desiderio, sogno, filtrati nel racconto di storie d'amore travagliate che si ripetono incessantemente nella letteratura e nella vita.

Nel 2003 Winterson scrive il suo primo libro per bambini, The King of Capri, seguito da Tanglewreck nel 2006 e The Battle of the Sun nel 2010. Del 2004 è invece Lighthousekeeping, storia dell’educazione sentimentale data da un gentile e misterioso personaggio, Pew, che vive in un faro, a una piccola orfana, Silver. Un’istruzione fatta di racconti e di storie che diventano una mappa per orientarsi nelle proprie oscurità. Legati da un amore, i due vengono sospinti alla deriva quando il loro santuario sulla costa nord-ovest viene automatizzato. Un capitolo intitolato "Some Wounds Never Heal", è un

36 Ibidem.

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telling del wagneriano Tristano e Isotta e sembra quasi profetizzare la scoperta che Winterson farà pochi anni dopo riguardo la sua adozione, una ferita mai guarita:

My life from the beginning was of loss and being strangely buffeted: you lose one set of parents and then manage to lose another. What drives you on is a combination of recklessness and anger.38

L’adozione, ci spiega, lascia un vuoto e un’assenza che ha bisogno di essere riempita. Ed è questa stessa assenza che alimenta la sua narrazione ma allo stesso tempo resta pur sempre una ferita che non guarisce mai, non si rimargina mai.

Adopted children are self invented because we have to be. There's an absence, a void, a question mark at the very beginning of our lives. A crucial part of our story is gone, and violently. Like a bomb in the womb, the baby explodes into an unknown world and it's only knowable through some kind of story.39

Questo vuoto è scritto sul corpo e sul testo: “your fingers learn a kind of braille. There are markings here, raised like welts.”40

Nel 2007, poco dopo la fine della relazione durata sei anni con Deborah Warner, la Winterson passa un periodo di profonda depressione che la porta addirittura a pensare al suicidio. In quel periodo scopre anche alcuni documenti sulla sua adozione, dai quali viene a conoscenza del fatto che i genitori adottivi conoscevano la sua madre naturale dalla quale è stata addirittura allattata per circa sei mesi. La notizia provoca a Jeanette una grossa crisi e uno shock profondo, che saranno espressi, anche se inconsciamente, in molti dei suoi romanzi. È forse proprio grazie a questi ultimi, che riesce a scoprire se stessa.

I've always had this sense that my novels contain prophecy, a little thing for me and not for the reader. After I found out about my real mother's intimate bond with me in 2007, I realised that what I had written in The Powerbook [her 2001 novel about a writer creating stories to seduce a woman lover] was not about a lover but someone else. I was effectively asking: 'What have you done with my mother?41

38 M. Jaggi, op.cit.

39 J. Winterson, Why Be Happy When You Could Be Normal?, cit., p. 5. 40 Ibidem

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Nel 2007, proprio prima di scoprire i documenti dell’adozione, Winterson aveva appena finito The Stone Gods, in cui sperimenta per la prima volta con la fantascienza.

Each section of the book ends with a death. That's four deaths." Those deaths could easily be read not as deaths of lovers but as symbolic mourning for her severed relationship with her birth mother.42

Con The Stone Gods, sposta la sua meditazione sull’arte verso lo spazio cosmico. Ci narra la storia di Billie Crusoe, che viaggia nel tempo e nello spazio, guidato dall’amore che prova per Spike, un Robo-sapiens, dalle sembianze umane. La storia inizia su Orbus, un pianeta in cui tutte le risorse energetiche e naturali sono state esaurite dalla razza umana e che quindi è destinata alla distruzione. Per questo un piccolo gruppo di pionieri viene inviato a esplorare un nuovo pianeta, Planet Blue, ancora vergine e disabitato. Billie, Spike e qualche altro membro del gruppo partono con una navicella capitanati da Captain Handsome, “space privateer” e appassionato lettore dei Journals di James Cook. La loro missione è atterrare su Planet Blue, esaminare le sue risorse e distruggere le creature primaverili per renderlo ospitabile. Durante il precedente viaggio nello spazio la squadra di Captain Handsome si trova a fronteggiare una tempesta di libri: “I saw that what we were flying to was a bookstorm – encyclopedias, dictionaries, a Uniform Edition of the Romantic Poets, the complete work of Shakespeare”43. Perduta nello spazio, la

letteratura del passato sta fluttuando nel cosmo libera dalla gravità e dai confini del tempo. Le opere di Shakespeare sono libere nello spazio da prima della colonizzazione di Planet Blue dal genere umano. La spiegazione che Captain Handsome ci dà non ci sorprende: l’esistenza di un mondo che si ripete, in cui passato e futuro non possono più essere raccontati separatamente. Questo è un tema che Winterson aveva già introdotto con Sexing the Cherry e Art & Lies, in cui spesso ripete “if what can exist does exist, is memory invention or is invention memory?”44 e che sviluppa in questo testo il cui

leitmotif è “everything is imprinted forever with what it once was”.45 In questo mondo

ripetuto, passato e futuro sono una cosa sola, tutti i libri sono già stati scritti ed è impossibile distinguere tra memoria e invenzione. Se il passato influenza il futuro, il

42 Ibidem.

43 J. Winterson, The Stone Gods, New York, Mariner Books, 2009, p. 49.

44 J. Winterson, Art & Lies: A Piece for Three Voices and a Bawd, London, Vintage, 1995, p. 199. 45 J. Winterson, The Stone Gods, cit., p. 119.

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futuro influenza il passato, come ci mostra la radicale trasformazione nei subtexts che cita nell’opera, dalle poesie di John Donne al Robinson Crusoe.

Nel 2009, in occasione del settantacinquesimo anniversario del Glyndebourne Festival of Opera, pubblica Midsummer Nights, una raccolta delle più amate e criticamente apprezzate storie di autori contemporanei ispirati all’opera; ogni storia trae la sua ispirazione da un’opera teatrale, alcune con riferimenti diretti, come The Turn of the Screw di Britten, altre stravolgendone alcuni particolari, come Le Nozze di Figaro di Mozart. Sono inoltre incluse delle note che spiegano su quale opera la storia è basata, una breve sinossi ed informazioni su quando e dove ha debuttato per la prima volta. Lo stesso anno scrive il thriller per bambini, Ingenious, per la BBC e The Lion, The Unicorn and Me, una storia di Natale per bambini che Winterson confessa di aver scritto in una sola notte nel bel mezzo di un crollo di nervi.

I had been in Holland delivering an important public lecture and I was exhausted with the effort of pretending to be OK and not letting anyone down. I came home. My house was cold. I was too miserable to light a fire or cook. My cats came and sat on my knee and I wrote this story about a sad little donkey who gets a golden nose.46

Pubblicata prima come storia di Natale sul The Times, viene poi arricchita dalle meravigliose illustrazioni di Rosalind MacCurrach e pubblicata singolarmente.

Why Be Happy When You Could Be Normal? (2011) ha per titolo la domanda che la madre adottiva rivolse alla scrittrice il giorno in cui se ne andò di casa per vivere da sola: con una scrittura intensa, rifuggendo da ogni retorica dei sentimenti, Winterson riesce a trasformare la propria vita in materiale letterario.

But the words were in my head so fast I could hardly get them written down – and in 2 weeks I had 15,000 words. It was clear that a book was coming through and that I had to follow it. As a writer I think you have to be faithful to what happens – not censor yourself, not censure yourself. Write it as best you can, believe in what you write, and if it has power, then publish it. If it’s weak, throw it away. Why Be Happy When You Could Be Normal? had tremendous energy. There was no choice really. It had to happen.47

46 http://www.jeanettewinterson.com/book/the-lion-unicorn-and-me/

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Questa ‘autobiografia’ viene definita dalla stessa autrice come il silent twin di Oranges, ma, a differenza di quest’ultimo testo, che era intervallato da faity tales e cadenzato da un tono comico, è una discesa agli inferi senza ritorno. Oltre all’infanzia, parla della notte oscura in cui Winterson precipita dopo la fine del rapporto con Deborah Warner e il tentato suicidio, della morte del padre e del ritrovamento dei documenti di adozione, infine dell’innamoramento per Orbach e dell’incontro con la “vera” madre. Why Be Happy non è solo una biografia, è un libro sull’amore, la mancanza, la perdita, il desiderio, il cercare di appartenere e la ricerca di identità. “Non volevo scrivere un sequel”, dice l’autrice in un’intervista:

Sono tornata al mio passato in virtù di quei documenti scovati in un baule, così ho iniziato a scrivere per me e solo per me, la mia storia, senza pensare che sarebbe diventata un libro. È stata la mia agente a consigliarmi di metter insieme tutto, e a metà mi sono accorta che dietro gli appunti c’era una incredibile forza. Speravo che, sebbene molto personali, potessero parlare a molta gente.48

E ha funzionato perché a distanza di più di venticinque anni dalla pubblicazione di Oranges, questo memoir ha raggiunto un successo mondiale e la stessa Jeanette è stata inondata da lettere e email di donne e uomini di tutte le età. Questi sono dei commenti di alcuni magazine: “Unforgettable… It’s the best book I have ever read about the cost of growing up”49 e ancora “Vivid, unpredictable, and sometimes mind-rattling memoir…

This book – which had been funny enough to make me laugh out loud more times than is advisable on the No 12 bus – turns into something raw and unnerving”.50

1.5 The need to tell the story again

A questo grande successo segue l’anno successivo The Daylight Gate (2012), un breve racconto gotico ambientato durante il periodo dei processi sulle streghe di Pendle Hill nel 1612, durante il regno di Giacomo I. Fu uno tra i più celebri processi per stregoneria della storia inglese, coinvolse dodici donne che vivevano nel Lancashire, accusate dell’uccisione di dieci persone attraverso le loro pratiche demoniache. La storia vede protagonisti personaggi storici realmente esistiti come Thomas Potts, John Dee, e un

48 M. Accettura, op.cit.

49 http://www.jeanettewinterson.com/book/why-be-happy-when-you-could-be-normal/ 50 http://www.jeanettewinterson.com/book/why-be-happy-when-you-could-be-normal/

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cammeo di William Shakespeare, ma Winterson si concentra soprattutto sul personaggio di Alice Nutter, l’unica donna che spiccava rispetto alle altre per rango più elevato e benessere economico. L’autrice ne immagina una vita avventurosa in un racconto che è anche un omaggio a quelle donne che, processate come streghe nel Vecchio e nel Nuovo Continente, non meritavano di soffrire torture indicibili per essere indotte a confessioni false, né di essere crudelmente giustiziate nel delirio collettivo dell'era precedente il secolo dei Lumi. Nonostante l’opera abbia deluso le aspettative di alcuni dei lettori più affezionati di Winterson, viene particolarmente apprezzata dalla critica, come dimostra la recensione di Sarah Hall sul Guardian, di cui riportiamo qualche riga:

There's a forensic quality to the paranormal manifestations – smells, lesions, blood – that convinces, horribly. Occasionally, the daylight gate as a descriptive phrase becomes repetitious. By virtue of titular importance it's the most potent incantation, and could perhaps have been used more sparingly.51

Inoltre, oltre ad essere un’appassionante racconto gotico, questo testo ci dà anche un puntuale commento storico e sociale sul fenomeno della stregoneria e della persecuzione alle streghe.

Pochi anni dopo, mossa da quel bisogno di ‘tell the story again’, Winterson collabora con la Hogarth Press, riscrivendo una delle più celebri commedie sheakespeariane in The Gap of Time. Con questo racconto Winterson ha inaugurato una collana ispirata ai capolavori shakespeariani che vede tra gli altri autori Margaret Atwood e Anne Tyler. È una riscrittura del Racconto d’inverno di Shakespeare: dell’originale mantiene il tema di fondo, ovvero la gelosia di un uomo potente nei confronti della propria moglie e le sue devastanti conseguenze, e le coincidenze che fanno incrociare tra loro i protagonisti in tempi diversi. Nelle ultime pagine del libro entra in scena l’autrice, dichiarando la sua passione per questo dramma shakespeariano con al centro una trovatella come lei. D’altra parte la nostra Jeanette è sempre stata affascinata dal raccontare le storie di nuovo perché secondo lei con il re-telling arriva anche una nuova enfasi, una nuova consapevolezza, e il nuovo arrangiamento degli elementi chiave richiede che del

51 S. Hall, The Daylight Gate by Jeanette Winterson – review, The Guardian, 16 august 2012,

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materiale nuovo sia iniettato nel testo esistente, senza cambiarne la natura. La stessa autrice dichiara: “My work is full of Cover Versions. I like to take stories we think we know and record them differently”52. Ed è proprio questo il motivo che nel 2005 l’aveva

spinta a collaborare con la Canongate Myth Series, riscrivendo la storia di Atlas in

Weight, il cui leitmotif, non a caso è: “I want to tell the story again”53. Questa riscrittura

infatti va aldilà del racconto della semplice storia della punizione di Atlas e del suo temporaneo sollievo quando Ercole toglie il peso della Terra dalle sue spalle. In questo re-telling Winterson esplora e indaga temi come la solitudine e la responsabilità, regalandoci un finale particolare, che non si trova da altre parti. Riguardo alla richiesta dalla Canonagate a Winterson sulla riscrittura di un mito a sua scelta, è fondamentale leggere le seguenti righe scritte personalmente da lei sul suo sito:

Jamie Byng, the passionate impresario behind Canongate, called me to tell me about his Myth series. Basically, lots of writers from all over the world, writing around a myth that meant something to them. Pick a myth. Any myth.

I knew straight away that mine would be the story of Atlas and Hercules because I have an Atlas Complex. I think I have to carry everything. And like Hercules, I’ll take on any task but I can be a bit of a thug.

The great thing about cover versions is that you can do what you like providing you keep faith with the original. I have always worried about Laika, that little dog in space sent up in a Soviet Sputnik. She got a lethal injection somewhere in her days without gravity, but she will have suffered, and I guess her tinny craft is still up there somewhere, lost in the silence of the universe.54

Tra le ultime opere, dopo The Daylight Gate, è importante ricordare Christmas Days: 12 stories and 12 feasts for 12 days, uscito nel dicembre 2016. È una raccolta di short stories ispirate al Natale in cui ghost stories, animal fables e urban fairytales sono intervallate da ricette natalizie dei più cari amici di Winterson. Quindi, oltre a “ghosts, jovial spirits, chances at love and tricks with time, frost and icicles, mistletoe and sledges, a cat and a dog and a solid silver frog, a Christmas cracker with a surprising gift inside, a haunted house and a SnowMama, Yuletides and holly wreaths”55, troviamo le istruzioni di Susie

52 J. Winterson, Weight, Edinburgh, Canongate, 2006, p. xviii 53 Ibidem

54 http://www.jeanettewinterson.com/book/weight/ 55 http://www.jeanettewinterson.com/book/christmas-days/

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Orbach su come preparare il Christmas Eve gravlax e la ricetta del red cabbage di Ruth Rendell, con la quale Winterson era solita passare parte delle vacanze di Natale. Oggi Jeanette vive tra il Gloucestershire e Londra ed è una regolare contributrice di recensioni ed articoli a riviste e giornali, come il Times, il New York Times e Vogue, oltre ad avere una rubrica nel Guardian. È stata nominata tra le venti Best of Young British Writers in una promozione gestita dal magazine letterario Granta e il Book Magazine Council. Nel 2006 è stata nominata Ufficiale dell'Ordine dell'Impero Britannico per servizi resi alla letteratura, per poi essere elevata a commander nel 2018. Inoltre nel 2016 è stata eletta Fellow of the Royal Society of Literature. Dal 2012 tiene il corso di Scrittura creativa all'Università di Manchester ed è molto attiva nel panorama contemporaneo, esprimendo la sua opinione su temi come il ruolo del matrimonio nella società moderna, l’influenza dei social media sulle relazioni umane e il rapporto dei teenagers col sesso. Nel 2015 sposa la psicoterapeuta e psicoanalista Susie Orbach, autrice del classico Fat is a Feminist Issue. Le due si sono incontrate nel 2008, quando il Times offrì alla Winterson di intervistare Susie. L’autrice parla della compagna così: "Susie calls herself post-heterosexual. I like that description because I like the idea of people being fluid in their sexuality. I don't for instance consider myself to be a lesbian. I want to be beyond those descriptive constraints."56

Winterson ha analizzato e trattato questo tema nella sua narrativa in modo molto assiduo. Come se ci volesse dire che se riuscissimo ad andare oltre le limitazioni di genere, potremmo essere più soddisfatti sessualmente. È quello che cercava già di farci capire nel 1992 in Written on the Body, in cui il genere del narratore rimane sempre misteriosamente ambiguo. Nonostante sia ancora poco trattata dalle critica italiana, le sue opere compaiono ormai nei programmi d’esame delle università italiane, e sta progressivamente entrando a far parte della letteratura accademica.

L’ultimissima opera scritta da Jeanette Winterson è Frankissstein, uscita il 23 maggio di questo anno. In questa sorta di re-telling del classico di Mary Shelley, si intersecano due storie su due fasce temporali diverse. Nell’Inghilterra contemporanea, un giovane dottore transgender, Ry Shelley, si innamora di Victor Stein, un celebre professore che porta avanti alcune ricerche sull’intelligenza artificiale e la possibilità di risvegliare

56S. Jeffries, op.cit.

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l’attività cerebrale nei suoi pazienti dopo la morte. Intanto a Phoenix, un laboratorio criogenico ospita dozzine di cadaveri pronti ad essere riportati in vita. Ma la scena è ambientata nel 1816 quando la giovane Mary Shelley inizia a scrivere Frankenstein. Saltando tra passato e presente, tra il mondo di Mary Shelley in cui si ipotizza sulla possibilità di riportare in vita il corpo dopo la morte e il mondo a noi coevo in cui avanzano le ricerche scientifiche sull’intelligenza artificiale, l’implementazione cerebro-cibernetica e la creazione di ‘transhumans’, Winterson racconta queste due storie come intrinsecamente connesse, presentando la nostra società come l’erede del lascito di Frankenstein. Tre le prime opinioni della critica è interessante riportare il seguente commento sul Guardian: “It’s a book about artificial intelligence and gender fluidity that also harks back to themes Winterson has been writing about for the past 30 years: love and desire, transformation and the unwritten meanings of the body.”57

57 J. Thomas-Corr, “Frankissstein by Jeanette Winterson review – an inventive reanimation”, The

Guardian, 20 May 2019,

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1.6 Modernista o postmodernista?

Le credenziali postmoderniste di Winterson, fin dal suo debutto nel 1985, non sono state mai messe in dubbio. Come spiega Laura Doan:

Eschewing realism, Winterson constructs her narrative by exploiting the techniques of postmodern historiographic metafiction (such as intertextuality, parody, pastiche, self-reflexivity, fragmentation, the rewriting of history and frame breaks) as well as its ideology (questioning ‘grand narratives’, problematizing closure, valorizing instability, suspecting coherence, and so forth) in order to challenge and subvert patriarchal and heterosexist discourses and, ultimately, to facilitate a forceful and positive oppositional critique.58

In effetti quasi tutti i critici hanno sempre ritenuto le sue opere come un vero e proprio manifesto della scrittura postmodernista. Basti pensare a Oranges, in cui l’autrice intesse una fitta rete di riferimenti intertestuali che vanno dalla Bibbia a Jane Eyre o ai suoi successivi romanzi più sperimentali, The Passion e Sexing the Cherry, in cui non solo vengono decostruite le coordinate spaziali e temporali, ma viene anche abolita l’idea che ogni soggetto umano sia unico e irripetibile. La Donna-cane e Jordan, i due protagonisti di Sexing the Cherry, hanno infatti due alter-ego nel ventunesimo secolo e sono capaci di viaggiare attraverso i secoli e i continenti. Jordan spiega la loro condizione come segue: “Time has no meaning, space and place have no meaning, on this journey. All times can be inhabited, all places visited.”59

Tuttavia, la critica recente ha enfatizzato l’influenza del modernismo sulla sua scrittura e le sue evidenti connessioni con esso. Come spiega Sonya Andermahr nella sua guida critica alla scrittrice:

Winterson has always placed her work in the modernist rather than post-modernist tradition and, rather than invoke the authorial fallacy to dismiss her view, from a literary critical perspective it has much to recommend it: Winterson shares both the formal experimentalism, the Eliotean reworking of tradition of the modernists and, significantly, their privileging of Art and the logos, as may be seen in her modernist manifesto Art Objects.60

58 L. Doan, “Jeanette Winterson’s Sexing the Postmodern”, in Laura Doan (ed)The Lesbian Postmodern,

New York, Columbia University Press, pp.137-55.

59 J. Winterson, Sexing the Cherry, London, Vintage, 1990, p. 90.

60 S. Andermahr, Jeanette Winterson: A Contemporary Critical Guide, London, Continuum International

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In effetti, in Art Objects Winterson sfida l’idea che il modernismo si differenzi dal postmodernismo, rispetto al quale costituirebbe un fenomeno culturale autonomo e distaccato, e sostiene invece una continua rivoluzione del linguaggio, la rivitalizzazione e il rinnovamento del linguaggio attraverso una nuova intensità poetica. L’opera di Winterson può quindi essere letta come una continuazione del tragitto del modernismo. Come sostiene Pykett, sebbene i suoi romanzi siano aperti a una lettura postmodernista, risultano allo stesso modo inclini a un dialogo col modernismo, di cui riprende alcuni aspetti. Nella sua opera manifesto, Winterson rivisita del resto l’idea di impersonalità di Eliot attraverso la metafora dell’“Indian Rope Trick”.61 Come un illusionista indiano, il

vero artista deve arrampicarsi sulla corda del linguaggio, stesa verticalmente tra passato e futuro, per sparire magicamente: “To perform the Indian Rope Trick is what Eliot meant by impersonality”.62 Secondo lei è la profondità della connessione di uno scrittore

col passato che può permettergli di sottrarsi al peso della sua stessa personalità e raggiungere l’impersonalità professata da Eliot. Come Winterson afferma anche in un articolo apparso sul Guardian: “The paradox of the best writing is that while the writer’s voice is unmistakable, the writer has somehow performed the Indian Rope Trick and disappeared”.63

Quindi, sebbene politicamente sia più radicale rispetto ai suoi predecessori modernisti, sembra che la preponderanza del suffisso post nella sua opera sia dovuta, dopo tutto, alla sua collocazione storica di scrittrice della fine del ventesimo secolo e inizio del ventunesimo, più che a un chiaro criterio estetico. La frase che meglio sintetizza la posizione di Winterson è la seguente: “I shall argue that Winterson’s postmodernism is post-Modernist not in the sense of constituting a break with Modernism or superseding it, but rather as a collaborative dialogue with Modernism which continues what Winterson sees as the modernist project”.64

61 M.Laniel, op.cit., p. 7.

62 J. Winterson, Art Objects, cit., p. 186.

63 J. Winterson,“Shafts of Sunlight”, The Guardian, 15 November 2008,

http://www.guardian.co.uk/books/2008/nov/15/ts-eliotfestival-donmar-jeanette-winterson

64 L. Pykett, “A New Way with Words?: Jeanette Winterson’s post-modernism”, in H.Grice and T.Woods

(eds) Postmodern Studies 25: I’m telling you stories: Jeanette Winterson and the Politics of Reading, Amsterdam, Rodopi, 1998, p. 53.

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CAPITOLO 2

LE FICTIONAL FAMILIES DI JEANETTE WINTERSON

I never wanted to find my birth parents – if one set of parents felt like a misfortune, two sets would be self-destructive. I had no understanding of family life. I had no idea that you could like your parents, or that that they could love you enough to let you be yourself. I was loner. I was self-invented. I didn’t believe in biology or biography. I believed in myself. Parents? What for? Except to hurt you.65

Da questo brano di Why Be Happy When You Could Be Normal risulta evidente come il concetto di famiglia per Jeanette Winterson sia piuttosto problematico. In effetti le famiglie descritte nella sua narrativa non rispecchiano mai i canoni della famiglia tradizionale formatasi su basi biologiche. Al contrario, come afferma Julie Ellam: “The traditional, biological family is at time, used in order to be exposed as brutal and false, as in Art and Lies where Picasso is sexually abused by her brother and is the product of rape between her father and a maid. Winterson’s novels appear to challenge the biological family.”66

Inoltre, un tema ricorrente nei suoi romanzi è l’adulterio. Il matrimonio è descritto come un’istituzione in crisi, un’ipocrisia la cui unica funzione è quella di attenersi alle convenzioni sociali. È considerato un contratto in cui la felicità non è inclusa. Lo dimostra il fatto che i matrimoni che ci presenta sono sempre contraddistinti da falsità, noia e mancanza di emozioni e sentimenti. Tuttavia, il fatto che continui a focalizzarsi sulla famiglia, sebbene non quella canonicamente formata, e a metterla spesso al centro dei suoi romanzi, riflette un interesse costante per i legami affettivi ed evidenzia un chiaro bisogno di empatia microcomunitaria. Ed è proprio questa fiducia nell’amore che rivela una fedeltà paradossale e un orientamento conservativo, che viene, attraverso la critica della famiglia e del matrimonio, apparentemente sempre messo in discussione. La sua posizione può quindi essere concepita come profondamente conservativa, grazie al ripetuto uso della family-structure – sebbene quella non canonica – e all’iterazione del tema sempre marcato dell’amore.

65 J.Winterson, Why Be Happy, cit., p.155.

66 J.Ellam, “Jeanette Winterson’s Family Values: From “Oranges Are Not the Only Fruit to

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“Families, real ones, are chairs and tables and the right number of cups, but I had no means of joining one, and no means of dismissing my own; she had tied a thread around my button, to tug when she pleased”67.

In questo estratto da Oranges, uno dei tanti in cui troviamo riflessioni sulla famiglia, notiamo come Winterson esprima sempre questo malessere dovuto ad anaffettività. Nelle famiglie che popolano i romanzi di Winterson mancano i legami di sangue che ci si potrebbe aspettare, ma esprimono un ricorrente interesse per il passato e le connessioni tra bambini e adulti. La sua narrativa racconta spesso il processo di crescita e di formazione di un bambino da parte di genitori con cui non ha legami biologici, e che impongono delle regole ferree sulla vita dei loro figli, privandoli da ogni forma di libertà. Ma al centro della sua narrativa e soprattutto dei suoi primi tre romanzi non c’è tanto alla famiglia in generale, quanto la figura della madre adottiva, Mrs Winterson: “Una figura più grande della vita, che ho amato, e assolutamente non una madre. Un mostro, ma il ‘mio’ mostro.”68 Una presenza così incidente e profonda da spingere Jeanette a

crearne dei ‘fictional avatars’. Come ci conferma Jan Rosemergy: “The family, most particularly the mother, defines the child’s present and future identity - unless the child challenges that definition. Winterson’s characterizations of mothers reveal the possibilities of oppression or liberation in the parent-child relationship”69.

2.1 La madre adottiva e i suoi ‘avatar’

In tutta la sua carriera Jeanette Winterson ha tratto ispirazione dalla sua esperienza di vita, riscrivendola, rivisitandola e mettendola in fiction, focalizzandosi soprattutto sulla complessa relazione con la madre adottiva: “Rereading and rewriting her mother has been Winterson’s survival strategy as she explained how she contemplated suicide after she found, upon her father’s death, papers revealing her parents knew about her early infancy.”70

67 J. Winterson, Oranges, cit., p. 171. 68 M. Accettura, op.cit.

69 J. Rosemergy, “Navigating the Interior Journey: The Fiction of Jeanette Winterson”, in Abby H. P.

Werlock (eds), British Women Writing Fiction, Tuscaloosa, University of Alabama Press, 2000, p. 252.

70 E. Walezak, “The Fictional Avatars of Mrs W: The influence of the Adoptive Mother and the Birth of

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Andremo così ad analizzare i molti avatar della madre adottiva, per fare luce sul metodo di scrittura di Jeanette Winterson non a caso definito “politics of reading gendered narratives”71. L’associazione tra la figura della madre adottiva e le figure femminili della

sua narrativa risulta palese soprattutto nei primi tre romanzi dell’autrice. Le madri che descrive hanno tutte saldi principi religiosi che cercano di inculcare ai propri figli e sono portatrici di una visione del mondo senza sfumature. Si va da Mrs Winterson di Oranges e Mrs Munde di Boating, che amano le proprie figlie finché esse si adattano alle loro regole, fino all’esempio più eclatante in Sexing the Cherry, la Donna-Cane, che viene descritta come segue: “How hideous am I? My nose is flat, my eyebrows are heavy. I have only a few teeth, and those are poor show, being black and broken....The caves in my face are home enough for fleas.”72 Come ci spiega Emilie Walezak nel passo

seguente, troviamo Mrs Winterson sotto forma di vari personaggi: “While she has expenceried with herself through first name variations with Jane, Janet, Jeanette, Jordan, she has rewritten her adoptive mother under different names.”73 In Oranges Are Not the Only Fruit, sebbene molti critici abbiano insistito sul nome Louie che appare una sola volta nel testo quando Auntie May chiama la madre di Jeanette, il personaggio è “my mother”. In Boating for Beginners, la troviamo come Mrs Munde, a sottolineare il suo prepotente dominio matriarcale sul mondo della figlia Gloria. In Sexing the Cherry, è la Dog-Woman, un nome che richiama la massima sotto l’attaccapanni di casa Winterson: “THINK OF GOD, NOT THE DOG” e ironicamente sottolinea lo zelo religioso della donna.

71 H. Grice and T. Woods, “Reading Jeanette Winterson Writing”, in “I’m Telling You Stories”, Jeanette

Winterson and the Politics of Reading, H. Grice and T.Woods (eds), Amsterdam, Rodopi, 1998, p.2.

72 J. Winterson, Sexing the Cherry, London, Vintage, 1990, p. 24. 73 E. Walezak, op.cit., p. 129.

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2.1.1 Oranges, tra fictional autobiography e Bildungsroman

Oranges Are Not the Only Fruit è una fictional authobiography, per definizione una narrazione mirata alla comprensione di se stessi, in cui l’autrice/narratrice ci racconta la storia della sua adozione da parte di una madre dominatrice ed evangelica e di un padre assente che vivono nelle Midlands industriali inglesi. Fictional autobiography, un genere tipicamente postmoderno, è un concetto quasi ossimorico, in quanto la veridicità, che sta alla base dell’autobiografia tradizionale, viene a mischiarsi con eventi fittizi. Come spiega Philippe Lejeune nel suo Pacte autobiographique, un racconto autobiografico richiede introspezione da una parte ed esigenza di verità dall'altra: questo doppio movimento caratterizza il genere. Il saggista francese, che ha messo al centro delle sue ricerche proprio l’autobiografia, ne propone la seguente definizione: "il racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l'accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità".74

In Oranges, ci fa notare Emilie Walezak:

In accordance with her overall intent of opposing her mother’s prescriptive truths – “oranges are the only fruit” – Jeanette Winterson makes a subversive use of autobiography. On the one hand, she clearly identifies the protagonist as herself by calling her Jeanette, a device which Philippe Lejeune has identified as a foundational element in the autobiographical contract. On the other hand, she turns the compact on its head by positing that truth is versatile as reading paradigms change over time, thus contesting Lejeune’s distinction between autobiography and fiction as “a matter of all or nothing” (Lejeune 202).75

Winterson, perciò, dichiara di scrivere fiction, pur facendo riferimento ad eventi tratti dalla propria esperienza personale, ma questo non è insolito perché siamo nella postmodernità e una della caratteristiche principali del postmoderno è rendere indistinti i confini tra fiction e realtà, history e story, verità e retorica. In altre parole, tutto è una costruzione, una costruzione retorica. Non abbiamo più un bisogno di descrivere la verità. Hayden White, lo storico americano noto per Metahistory: The Historical Imagination in Nineteenth-Century Europe, del 1973, è il principale responsabile della teoria secondo cui il linguistic turn debba concernere anche la narrazione storica. Uno

74 P. Lejeune, Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986, p.12. 75 E. Walezak, op.cit., p.125.

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