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Danno ambientale. Tra private enforcement e pene private.

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Academic year: 2021

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Sommario

Introduzione ... 4

CAPITOLO I ... 8

Premessa ... 9

1.

La L. 08 luglio 1986, n. 349, in materia di "danno

ambientale" ... 10

1.1.

L'art. 18 della L. 349/1986 ... 11

1.2.

Il carattere sanzionatorio dell' art. 18 ... 15

1.3.

Il carattere sanzionatorio dell'art. 18 secondo la

giurisprudenza ... 21

1.4.

Confronto fra l’art. 2043 c.c. e l’art. 18 L. 349/1986 ... 24

2.

I principi internazionali ed il diritto comunitario ... 27

2.1.

Principi generali del diritto internazionale dell’ambiente . 28

2.2.

Il principio “chi inquina paga” (Polluter pays principle) . 33

2.3.

Il diritto comunitario ... 40

2.4.

La Direttiva 2004/35/CE ... 43

3.

L’attuale assetto normativo: il T.U. dell’ambiente ... 47

CAPITOLO II ... 57

1.

Le diverse funzioni della Responsabilità Civile ... 58

2.

Funzioni diverse a seconda della fattispecie ... 64

2.1.

La funzione punitiva ... 68

2.1.1.

Presupposti di carattere oggettivo ... 71

2.1.2.

Presupposti di carattere soggettivo ... 74

2.1.3.

Criteri di determinazione del quantum risarcibile ... 79

2.2.

La funzione deterrente ... 86

2.3.

La funzione determinante ... 95

(2)

2

2.4.

Le inefficienze del sistema penale ... 110

3.

Necessarietà del carattere sanzionatorio ... 114

4.

Il danno non patrimoniale ... 117

4.1.

Quale funzione per il danno non patrimoniale? ... 122

CAPITOLO III ... 129

1.

L’analisi economica del diritto: breve introduzione ... 130

1.1.

(segue) i principi della moderna AED ... 155

1.2.

Analisi economica della responsabilità civile ... 161

1.3.

Responsabilità oggettiva vs. Responsabilità per colpa .... 168

2.

I Punitive Damages ... 177

2.1.

I punitive damages e la Direttiva 2004/35/CE: questioni di

compatibilità ... 184

2.1.1.

Malice, Gross Negligence, Responsabilità oggettiva

... 184

2.1.2.

Punitive Damages ed assicurazione ... 195

2.2.

Punitive Damages: tra comparazione ed ordine pubblico

... 200

CAPITOLO IV ... 208

1.

Considerazioni di filosofia ambientale ... 209

1.1.

L’antropocentrismo nella dimensione del dovere morale

... 214

1.1.1.

(segue) considerazioni giuridiche: dal dovere morale al

dovere giuridico ... 216

1.2.

Il dovere verso le generazioni future ... 224

2.

Le ragioni di una riforma ... 226

2.1.

Una tutela parziale ... 232

2.2.

La categoria dei Mass Torts ... 237

2.3.

Il rischio incrementale ... 243

3.

I contenuti della riforma ... 249

(3)

3

3.1.1.

Il c.d. “Windfall problem” ... 260

APPENDICE ... 264

Responsabilità civile e Teoria del Disegno dei Meccanismi ... 264

(4)

4

Introduzione

Il presente lavoro propone una linea di ricerca finalizzata al

riconoscimento ai privati di un ruolo più incisivo nella tutela

dell’ambiente.

Lo studio si basa sulle nozioni di private enforcement (della

disciplina ambientale) e di pena privata: entrambe, infatti, condividono

l’assunto secondo il quale i privati possono affiancarsi all’autorità

pubblica nella cura di interessi generali della collettività, incluso

l’interesse alla conservazione dell’ambiente tout court unitariamente

considerato.

Il piano dell’opera si articola in quattro capitoli con l’aggiunta di

un’appendice.

Il primo capitolo è dedicato alla ricostruzione dello stato dell’arte.

Ad una ricognizione dei principi internazionali (con sezione dedicata al

principio c.d. “chi inquina paga”) e delle fonti comunitarie che

informano la materia (in special modo la Direttiva 2004/35/CE) segue

la presentazione del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ed un

approfondimento sulla relativa parte VI (artt. 299-318) dedicata alla

regolamentazione del danno ambientale. Tuttavia, il primo argomento

trattato è l’art. 18 L. 8 luglio 1986, n. 349 (ossia la disposizione della

disciplina previgente concernente l’illecito ambientale e la sua

risarcibilità): l’analisi del carattere sanzionatorio della norma, infatti,

ha lo scopo di anticipare una delle principali direzioni lungo le quali si

sviluppa il ragionamento nelle pagine successive, ossia la funzione

sanzionatoria della tutela aquiliana.

Alla polifunzionalità della responsabilità civile è dedicato, infatti,

il secondo capitolo, nel quale vengono poste in evidenza talune criticità

legate alla concezione classica ed, in special modo, alla dogmaticità

delle regole operative. Le riflessioni proseguono nel capitolo

(5)

5

successivo dedicato, nella prima parte, all’analisi economica del diritto

(ed al relativo rovesciamento del modo di concepire l’istituto).

Filo conduttore fra i due capitoli e la tematica ambientale è,

segnatamente, il principio “chi inquina paga” del quale, già nel

capitolo primo, si mette in evidenza la funzione dichiaratamente

preventivo-sanzionatoria, da un lato, ed economica dall’altro.

Più nel dettaglio, obiettivo della digressione sulla polifunzionalità

della responsabilità civile è quello di contestare l’esclusività della

dimensione compensativa e, quindi, la conseguente idea dell’altrettanto

esclusivo ristoro di una (necessaria) perdita subita, intesa come lesione

di una specifica situazione giuridica soggettiva. Su di un piano di

teoria generale del diritto, viene proposta una riflessione sulle pene

private e sull’attribuzione di funzioni punitive (in senso stretto) anche

a strumenti di diritto privato. Punto di raccordo con la responsabilità

civile è l’introduzione della nozione di pena privata da illecito

aquiliano: formula onnicomprensiva di tutte quelle fattispecie di

responsabilità civile orientate verso obiettivi di

general/special-prevenzione (del danneggiante) e funzionalizzate alla cura di uno

specifico interesse generale. Particolare attenzione, inoltre, viene

prestata alle nozioni di danno giuridico e di risarcimento, con puntuali

considerazioni circa il reale significato dell’espressione “responsabilità

civile senza danno”.

L’analisi dei saggi di R. H. Coase e di G. Calabresi – A. D.

Melamed introduce la Law and Economics. Dopo una breve sintesi dei

postulati di base attorno ai quali essa si struttura, si approfondiscono le

relative acquisizioni concernenti la responsabilità civile. In special

modo: si pone l’accento sul rifiuto di qualsiasi petizione di principio

e/o dogmaticità nell’applicazione degli istituti giuridici, in luogo di una

continua sottoposizione degli stessi a test di efficienza (sulla base delle

singole fattispecie e del sistema degli incentivi che l’ordinamento

giuridico intende fornire ai consociati); si evidenzia la dimensione

collettiva di tutte le regole giuridiche ed il rifiuto tanto di logiche

(6)

6

individuali, quanto di relazioni fra attore e convenuto (nei giudizi di

responsabilità civile) espresse nell’aprioristica dicotomia

“vittima-danneggiato”.

La seconda parte del capitolo, invece, introduce gli strumenti di

Common Law noti come Punitive Damages. La spiegazione di questi

ultimi nella prospettiva dell’analisi economica del diritto viene

condotta, quindi, a dimostrazione dell’utilità di tale metodo nel

superamento della concezione monolitica e meramente compensativa

della tutela aquiliana. Seguono delle valutazioni sulla compatibilità di

tali strumenti con la direttiva comunitaria in materia ambientale.

L’ultimo capitolo è dedicato all’esposizione della proposta.

Ricorrendo al metodo analitico descritto nelle pagine precedenti, si

rilevano le ragioni della riforma: inefficienza del controllo pubblico ed

insufficienza della nozione di danno ambientale prevista dal T.U.

Entrambe le critiche vengono integrate dalle riflessioni della filosofia

ambientale (cui è dedicata, in apertura, la prima parte del capitolo). Più

nel dettaglio: si individuano tutte le esternalità prodotte dalle imprese

inquinanti suscettibili di essere escluse dalla limitata e limitante

nozione di danno (cui all’art. 300 D.lgs. 152/2006), con particolare

approfondimento sui modelli di c.d. rischio incrementale; si contesta

l’opportunità di una qualsiasi proposta di private enforcement basata

sulla appartenenza al cittadino di una data situazione giuridica

soggettiva, tale da comportare una tutela indiretta, e quindi

sub-ottimale, dell’ambiente.

Viceversa, si propone l’abbandono della logica del diritto

soggettivo in favore di quella del dovere giuridico, coniugando, ancora

una volta, le acquisizioni della filosofia ambientale con l’analisi

economica. Inoltre, richiamando, sul versante della tutela aquiliana,

talune conclusioni tratte già nel secondo capitolo, si dimostra la piena

sovrapponibilità fra la nozione di danno ingiusto e la violazione di un

dovere giuridico (di protezione dell’ambiente) cui sia conseguita

l’alterazione in pejus di un interesse qualificato meritevole di tutela:

(7)

7

indipendentemente dalla lesione arrecata ad una situazione giuridica

soggettiva.

In questo modo, recuperando le riflessioni attorno alla

polifunzionalità della responsabilità civile, si giustifica il ricorso alla

pena privata da illecito aquiliano. Del pari, si arricchisce il modello

con una valutazione circa l’opportunità e l’efficacia del private

enforcement della disciplina ambientale, all’uopo commentando

l’esperienza nordamericana delle citizen suits.

La proposta viene coordinata con il dato normativo.

Dapprima si segnalano gli obiettivi della Direttiva e le rationes

sottese all’iniziativa comunitaria, con particolare riferimento al

principio di sussidiarietà verticale. Quindi si arricchiscono le riflessioni

svolte nelle pagine precedenti circa la compatibilità fra ipotetica azione

per danni punitivi ed intervento del Ministero dell’Ambiente.

Risolti i problemi di carattere sostanziale, infine, ci si sposta sul

versante processuale e si descrivono dettagliatamente le modalità di

coordinamento processuale fra l’azione esercitata dallo Stato e la pena

privata in commento.

L’opera si conclude con un’appendice dedicata ad una riflessione

di più ampio respiro circa il futuro della responsabilità civile. Con essa

si chiarisce la seconda importante finalità del lavoro: attraverso una

critica serrata del sistema di tutela aquiliana dell’ambiente si intende

sottolineare l’inadeguatezza della dogmaticità della tradizione classica,

nonché degli schemi proprietari che, nell’idea dell’appartenenza di una

situazione giuridica lesa, persistono, latenti, nelle pieghe dell’istituto.

Viceversa, ci si propone di mostrare al lettore l’assoluta importanza,

per la responsabilità civile, di sapersi adeguare ai nuovi obiettivi che la

società e l’ordinamento giuridico le impongono. Allo scopo, ci si

avvale della c.d. “Teoria del Disegno dei Meccanismi” di Hurwicz

equiparando la responsabilità civile ad un Meccanismo.

(8)

8

CAPITOLO I

Premessa – 1. La L. 8 luglio 1986, n. 349, in materia di

“danno ambientale” – 1.1. L’art. 18 della L. 349/1986 –

1.2. Il carattere sanzionatorio dell’art. 18 – 1.3. Il carattere

sanzionatorio dell’art. 18 secondo la giurisprudenza – 1.4.

Confronto fra l’art. 2043 c.c. e l’art. 18 L. 349/1986 – 2. I

principi internazionali ed il diritto comunitario – 2.1.

Principi generali del diritto internazionale dell’ambiente –

2.2. Il principio “chi inquina paga” (Polluter pays principle)

– 2.3. Il diritto comunitario – 2.4. La Direttiva 2004/35/CE –

3. L’attuale assetto normativo: il T.U. dell’ambiente

(9)

9

Premessa

Al fine di comprendere i maggiori orientamenti dottrinali e l'iter

interpretativo affermatosi presso la giurisprudenza, si rende necessaria

una breve disamina dell'evoluzione normativa in materia di danno

ambientale, iniziando dalla L. 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del

Ministero dell'ambiente e recante norme “in materia di danno

ambientale”. A conferma di tale opportunità si anticipano due

importanti aspetti:

a. prima vera definizione di danno ambientale ricavabile dall'art.

18 della L. 349/1986;

1

b. dichiarata propensione delle Corti a seguire, nonostante i mutati

riferimenti normativi, la giurisprudenza formatasi in relazione

all'art.18

2

e ad operare confronti diretti con la normativa

previgente,

nello

svolgimento

della

propria

attività

ermeneutica.

3

1 Cfr. P. LOTTI (2006), La liquidazione del danno ambientale, in Resp civ. e prev., p.

12 ss., secondo cui il pregio dell'art. 18 è proprio quello di aver introdotto la nozione di danno ambientale, «[l’art. 18 della l. n. 349/1986] ha introdotto una novità di grande rilievo […] in quanto esso ha determinato la risarcibilità del danno ambientale indipendentemente dalla violazione di altri diritti individuali. […] Con tale norma non si è più voluto tutelare l’ambiente salubre, ma l’ambiente tout court»; L. BIGLIAZZI GERI (1987), L'art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt.

2043 ss. c.c., in Riv. Trim. Appalti, 1987, p. 1153, «Il buono dell'art. 18 comma 1

dovrebbe invece cogliersi […] dall'impiego di un termine (danno) qui apparentemente utilizzato […] come specificazione del pregiudizio arrecato all'ambiente e, dunque, nella dimensione del c.d. danno in concreto, perché conseguente alla lesione fisica di un bene ed in tal senso materiale».

2 Cfr Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2007, n. 16575, in CED Cass. pen. 2007, che in

riferimento alle nuove disposizioni contenute nel D.lgs. 152/2006, afferma: «anche a fronte di tali recenti disposizioni normative […] ritiene questo collegio che debbano ribadirsi le conclusioni alle quali si è pervenuto […] nell'interpretazione dell'art. 18 della legge 349/1986».

3 Cfr. E. LECCESE, Danno all'ambiente e danno alla persona, FrancoAngeli

Edizioni, Milano, 2011, p. 113, in cui l’A. afferma «Orientamenti giurisprudenziali successivi all’entrata in vigore del Codice ambientale esplicitano un sistema risarcitorio tuttora ancorato ai principi dettati dalla precedente normativa e, sicuramente, improntato ad attribuire alla normativa ambientale valore puramente ricognitivo di valori e regole già presenti nel sistema».

(10)

10

1.

La L. 08 luglio 1986, n. 349, in materia di "danno

ambientale"

Con la L. 349/1986 il legislatore interviene per la prima volta in

maniera organica sul problema della tutela dell'ambiente, all'uopo

istituendo il Ministero dell'ambiente,

4

preposto, come recita la

disposizione, alla promozione, alla conservazione ed al recupero delle

condizioni ambientali, nonché alla conservazione e valorizzazione del

patrimonio nazionale e, per quello che maggiormente interessa il

presente lavoro, alla difesa delle risorse naturali dall'inquinamento.

Dopo le prime disposizioni concernenti le competenze specifiche

del Ministero, la legge introduce, all'art. 6, lo strumento della

valutazione di impatto ambientale, destinata ad assumere un ruolo

centrale e decisivo in materia; si prevede, nello specifico, un'articolata

procedura amministrativa basata sulla c.d. valutazione costi-benefici,

5

e caratterizzata dalla legittimazione a partecipare al procedimento

riconosciuta ai singoli cittadini.

6

Fra i servizi del Ministero

dell'ambiente appositamente istituiti dall'art. 10, rientrano, appunto, il

servizio di prevenzione degli inquinamenti e risanamento ambientale

4 Legge 8 luglio 1986, n. 349, articolo 1: " 1. È istituito il Ministero dell'ambiente.2.

È compito del Ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento. 3. Il Ministero compie e promuove studi, indagini e rilevamenti interessanti l'ambiente; adotta, con i mezzi dell'informazione, le iniziative idonee a sensibilizzare l'opinione pubblica alle esigenze ed ai problemi dell'ambiente, anche attraverso la scuola, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione. 4. Il Ministero instaura e sviluppa, previo coordinamento con il Ministero degli affari esteri e con gli altri Ministeri interessati, rapporti di cooperazione con gli organismi internazionali e delle Comunità europee. 5. Il Ministero promuove e cura l'adempimento di convenzioni internazionali, delle direttive e dei regolamenti comunitari concernenti l'ambiente e il patrimonio naturale. 6. Il Ministero presenta al Parlamento ogni due anni una relazione sullo stato dell'ambiente.".

5 Vd infra Cap. III.

6 L. 349/1986, articolo 6, comma 9: " 9. Qualsiasi cittadino, in conformità delle leggi

vigenti, può presentare, in forma scritta, al Ministero dell'ambiente, al Ministero per i beni culturali e ambientali e alla regione interessata istanze, osservazioni o pareri sull'opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni dall'annuncio della comunicazione del progetto.".

(11)

11

ed il servizio valutazione di impatto ambientale, informazione ai

cittadini e per la relazione sullo stato dell'ambiente.

Un ulteriore riconoscimento di poteri partecipativi in capo ai

privati proviene dall'art. 14, il quale disciplina il diritto di accesso dei

cittadini alle informazioni relative allo stato dell'ambiente, in aggiunta

al più generale dovere, gravante sul Ministero, di garantire la più

ampia divulgazione delle informazioni medesime. Importanti sono

anche le indicazioni contenute nell'art. 13

7

che definisce le associazioni

di protezione ambientale, descrivendovi la procedura amministrativa

per il loro riconoscimento.

1.1.

L'art. 18 della L. 349/1986

La disposizione centrale, sulla quale nel tempo si sono

maggiormente concentrate tanto la dottrina quanto la giurisprudenza, è

rappresentata dall'art. 18, in qualità di norma dedicata all'illecito

ambientale ed alla risarcibilità del danno conseguente. Come

anticipato, infatti, dalla norma è possibile ricavare una definizione di

quest’ultimo

8

consistente

nella

alterazione,

distruzione

e

deterioramento, in parte o meno, dell'ambiente; una formula

7 L. 349/1986, articolo 13: "1. Le associazioni di protezione ambientale a carattere

nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per l'ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine senza che il parere sia stato espresso, il Ministro dell'Ambiente decide.* 2. Il Ministro, al solo fine di ottenere, per la prima composizione del Consiglio nazionale per l'ambiente, le terne di cui al precedente articolo 12, comma 1, lettera c), effettua, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, una prima individuazione delle associazioni a carattere nazionale e di quelle presenti in almeno cinque regioni, secondo i criteri di cui al precedente comma 1, e ne informa il Parlamento. * Periodo aggiunto dal comma 3 dell'Art.17 L.23 Marzo 2001 n.93".

8 L. 349/1986, articolo 18, comma 1: "1. Qualunque fatto doloso o colposo in

violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.".

(12)

12

onnicomprensiva

9

che purtroppo non si affianca ad una mancante e,

ciò nondimeno, parimenti importante definizione di ambiente.

10

Sarà

poi la giurisprudenza a rimediare a questa lacuna, fornendo

un’interpretazione unitaria ed omogenea del concetto; ma, dal punto di

vista teorico, la mancanza di una definizione del bene giuridico tutelato

non può non avere delle conseguenze, più volte messe in risalto dalla

dottrina,

11

circa le tecniche rimediali e soprattutto la legittimazione ad

agire in giudizio.

La norma prevede innanzitutto un regime di responsabilità per

colpa, ritenuto disfunzionale, sin dall'entrata in vigore della legge,

rispetto agli obiettivi perseguiti dalle fonti comunitarie ed

internazionali, in ossequio alle quali la riforma italiana era stata

predisposta.

12

Conseguentemente, se da un lato la legislazione speciale

immediatamente successiva ha optato per l'opposto regime di

responsabilità

oggettiva,

13

creando

non

pochi

problemi

di

9 Diff. art. 300 T.U. dell'ambiente; Vd. P. LOTTI (2006), op. cit., p. 16, sui significati

specifici dei termini alterazione, deterioramento ecc.

10 Problema cui il legislatore non ha posto rimedio nemmeno col T.U. dell'ambiente. 11Vd. G. VILLA (2002), Il danno all'ambiente nel sistema della responsabilità civile,

in La nuova responsabilità civile per danno all'ambiente, a cura di B. POZZO, Giuffrè, Milano, 2002, p. 133, «ma è ovvio chiedersi se una alterazione ambientale […] possa rappresentare un danno risarcibile ed è altrettanto ovvio rispondere che tutto dipende o dalla identificazione del concetto di ambiente che si rende oggetto di protezione, o dall'individuazione delle attività potenzialmente dannose che implicano il risarcimento»; F. FRACCHIA, Il problema della definizione giuridica dell'

ambiente: sua rilevanza ai fini identificazione di ambiti di competenza, di definizione dei modelli di tutela e di ricostruzione sistematica della materia, in Introduzione allo studio del diritto all'ambiente. Principi, concetti e istituti, Editoriale Scientifica,

2013, p. 95 ss.

12 Cfr. A. FERRI (2007), Prospettive civilistiche e danno ambientale. Prevenzione e riparazione nel c.d. codice dell'ambiente, in Resp. civ., 2007, p. 390 ss., «Il modello

di responsabilità delineato dall'art. 18, l. n. 349/1986, basato sulla colpa o sul dolo quali criteri di imputazione, appariva inadeguato, tanto più in considerazione dell'evoluzione registratasi a livello comunitario, laddove si optava per il ricorso a responsabilità di tipo oggettivo.»; G. VILLA (2002), op. cit., p. 129 in cui l' A. fornisce una spiegazione di analisi economica del diritto sul perché la responsabilità per colpa non è soddisfacente nell'ambito dell'illecito ambientale, dopo aver affermato «occorre anzitutto riferire che le maggiori perplessità suscitate dalla legge del 1986 riguardano la scelta del regime di responsabilità per colpa».

13 Cfr. D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 17 in materia di "protezione del suolo,

sottosuolo e delle acque sotterranee e superficiali" e D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in materia di "tutela delle acque dall'inquinamento", art. 58; G. SCHIESARO (2005),

(13)

13

coordinamento con la disciplina generale, dall'altro anche la

giurisprudenza ha avuto modo di affermare l'assoluta centralità di

siffatto regime. Emblematico in tal senso è il caso del comune di

Senago contro una società produttrice di rifiuti tossici e quella preposta

al loro smaltimento,

14

citate in giudizio per il risarcimento del danno

ambientale (oltre che per il rimborso delle spese di ripristino). Infatti,

sebbene i giudici di primo e secondo grado avessero riconosciuto la

responsabilità delle convenute, applicando congiuntamente gli artt.

2043 e 2050 c.c., non vi era stato nessun riferimento all'art. 18, dal

momento che il fatto era avvenuto prima dell'entrata in vigore della L.

349/1986. Al contrario, il giudice di legittimità aveva chiaramente

esteso la ricostruzione dei giudici di merito al danno ambientale ex art.

18,

15

potendo quindi concludere per una decisiva apertura

giurisprudenziale verso la responsabilità oggettiva nell'illecito

ambientale, come afferma lo stesso F. Giampietro nella sua nota a

margine della sentenza.

16

Per quanto concerne la legittimazione ad agire, il comma terzo la

prevede in capo allo Stato ed agli enti territoriali sui quali incidano i

beni oggetti del fatto lesivo;

17

conseguentemente non è configurabile

dell’art. 58 D.Lgs. 152/1999 tra finalità di riparazione e punizione del trasgressore,

in Riv giur. ambiente, 2005, p. 613 ss.

14 Cass. 1 settembre 1995, n. 9211 in Giust. civ., 1996, 3, p. 777 con nota di F.

GIAMPIETRO, Il danno ambientale tra l'art.18 l. n. 349/1986 ed il regime ordinario

di codice civile.; P. DELL'ANNO, Profili civilistici, in Trattato di diritto dell'ambiente, a cura di P. DELL'ANNO - E. PICOZZA, I, Giuffrè, 2013, pp.

332-333.

15 Ibidem, afferma la corte: "Il soggetto produttore di rifiuti tossici è, comunque,

sottoposto alla responsabilità prevista dagli artt. 2043 e 2050 c.c. e non può esimersi da essa sostenendo di aver affidato completamente a terzi lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti tossici, in quanto tutti i soggetti coinvolti […] sono ugualmente responsabili e solidalmente tenuti ad adottare misure idonee, anche nella fase di smaltimento, affinché lo sversamento definitivo e lo stoccaggio dei rifiuti avvenga senza danno a terzi".

16 «Si potrebbe dire […] che il Collegio auspichi un ritorno dalla normativa del 1986

al più solido e ragionevole quadro della responsabilità oggettiva (per attività pericolosa) e quindi della solidarietà tra i responsabili, già codificata per il regime della responsabilità civile per danni a cose di proprietà pubblica o privata.».

17 L. 349/1986, articolo 18, comma 3: " 3. L'azione di risarcimento del danno

ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo.".

(14)

14

una legittimazione generale all'azione,

18

nella misura in cui tale facoltà

sia preclusa al singolo. Non mancano perplessità, del resto, circa la

portata della estensione agli enti territoriali, posto che per alcuni debba

considerarsi un'azione meramente sostitutiva

19

e per altri, così come

per la giurisprudenza,

20

un'azione in via principale.

In aggiunta, sono richiamate le associazioni ed i cittadini di cui

agli artt. 13 e 14, sebbene nei limiti del riconoscimento di poteri di

partecipazione ed intervento nel procedimento amministrativo ovvero

di denuncia.

21

La dottrina si soffermerà a più riprese su tali previsioni,

cercando di rinvenirvi una dimensione individuale dell'illecito

ambientale; ad esempio, L. Bigliazzi Geri

22

nell'evidenziare il carattere

pubblico

23

dell'interesse tutelato dalla norma (ricavandolo dalle

peculiarità della legittimazione ad agire, appunto) sottolineerà quanto

segue: «la dimensione individuale e collettiva (e pertanto diffusa)

dell'interesse all'ambiente risulta oggi ridotta ad una limitata

partecipazione (art. 6, comma 9), ad un diritto ad esser informati (art.

6, comma 3, art. 14, l. n. 349 del 1986) e, quel che più conta, ad una

possibilità di reazione alla lesione destinata ad esaurirsi in una facoltà

di denuncia (art. 18, comma 4), che potrebbe risultare apprezzabile sub

18 Vd. P. DELL'ANNO, op. cit., p. 329 in cui l'A. annovera fra gli elementi di

differenziazione dell'art. 18 dall'art. 2043 c.c. siffatta limitazione della legittimazione ad agire.

19 Ibidem.

20 Cass., Sez. Un., 22 ottobre 1988, in Riv. pen. econ., 1989, p. 17; Corte cost., 12

aprile 1990, n. 195, in Le regioni, 1991, p. 830 ss.

21 L. 349/1986, articolo 18, comma 4 e 5: " 4. Le associazioni di cui al precedente

articolo 13 e i cittadini, al fine di sollecitare l'esercizio dell'azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza. 5. Le associazioni individuate in base all'articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi.".

22 Vd. L. BIGLIAZZI GERI (1987), op. cit., p. 1158.

23 Dello stesso avviso, G. SALVI (2007), La tutela civile dell’ambiente alla luce del testo unico ambientale, in Resp. civ. e prev., Giuffrè, 2007, p. 660, «D’altra parte,

anche ragioni storiche depongono a favore della natura pubblica del danno all’ambiente […] Ragioni strutturali e storiche sono state gli elementi portanti sui quali si è consolidata l’idea per cui l’illecito ambientale abbia eminentemente natura pubblica […]»; A. SOMMA (1995), La valutazione del danno ambientale: rilevanza

pubblica della lesione e categorie civilistiche, in Cont. impr., CEDAM, 1995, p. 542

(15)

15

specie iuris, tanto da restituire reale autonomia e peso giuridico

all'interesse diffuso sottostante e da elevarlo al rango di diritto

soggettivo, solo se, di fronte ad essa, l'amministrazione non potesse

esimersi dall'agire in conformità».

24

Occorre precisare che l'accresciuto ruolo delle associazioni

ambientaliste (di cui all'art. 13) nella protezione dell'ambiente sarà

ratificato dall'estensione a queste ultime dell'azione in via sostitutiva,

in virtù delle modifiche apportate dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 4,

comma 3.

25

1.2.

Il carattere sanzionatorio dell' art. 18

Ciò che caratterizza la disposizione in esame è, invero, la sua

vocazione sanzionatoria; quest’ultima (insieme ad altri elementi)

26

ha

indotto la dottrina a collocare la norma al di fuori del sistema

tradizionale di responsabilità civile,

27

rendendola altresì attuale, alla

24 Vd. E. LECCESE, op. cit., pp. 150-159, in cui l'A. nel commentare l'art. 310 del

T.U. dell'ambiente (norma affine a quelle in commento) svolge una rapida disamina circa l’emersione di una corrente di pensiero asserente la risarcibilità del danno ambientale, al singolo, in quanto lesione di un interesse legittimo.

25 L. 265/1999, art. 4, comma 3: "3. Le associazioni di protezione ambientale di cui

all'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n.349, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale. L'eventuale risarcimento e' liquidato in favore dell'ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell'associazione."

26 Vd. infra § 1.4.

27 Vd. G. VILLA (2002), op. cit., p. 126, «la disciplina del danno ambientale appare

soprattutto disarmonica rispetto alla configurazione generale della responsabilità civile, della quale, tuttavia, utilizza strumenti e concetti»; L. BIGLIAZZI GERI (1987), Quale futuro dell’art. 18 legge 8 luglio 1986 n. 349?., in Rivista critica di

dir. privato, 1987, p. 688, in cui l’A. nel descrivere se ed in quale misura l’art. 2043

c.c. possa essere usato per le ipotesi di danno escluse dalla asserita tipicità dell’illecito ambientale, afferma «Ma, se quanto ho tentato di mettere sin qui in evidenza dovesse rivelarsi esatto […] non vedo come due sistemi tanto diversi, rispondenti a finalità così differenti in ragione della natura degli interessi tutelati (sanzionatoria, la prima; riparatoria, la seconda) strutturati in maniera tanto discorde proprio nei punti di maggiore qualificazione potrebbero rispondere al principio dei vasi comunicanti […] Se il legislatore dell’86 ha fatto una scelta così precisa […] la sensazione è che egli abbia inteso scegliere una via diversa […] la via, appunto, di un nuovo singolarissimo tipo di responsabilità civile».

(16)

16

luce della più recente riflessione europea in materia.

28

Segnatamente,

l’analisi deve essere focalizzata sui commi 6, 7, 8.

Recita infatti il comma 6: “6. Il giudice, ove non sia possibile una

precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via

equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa

individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto

conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento

lesivo dei beni ambientali”.

E’ quindi previsto un giudizio individualizzato, basato anzitutto

sulla graduazione del nesso psichico, ossia la gravità della colpa, che

rappresenta

una

prima

importante

differenziazione

rispetto

all’ordinario regime di responsabilità civile,

29

dovendosi precisare che

la graduazione della stessa come parametro di riferimento negli artt.

1226 e 2056 c.c. costituisce criterio di ripartizione del danno

risarcibile, e non già di determinazione del suo ammontare.

30

Accanto

a questo, vi è poi il criterio del “profitto conseguito dal trasgressore”,

in cui significativa, prima facie, risulta essere l’inconsueta scelta

lessicale, consistente nella sostituzione della più neutra parola

“danneggiante” con quella di “trasgressore”;

31

ma parimenti indicativo

è il richiamo al profitto, da cui si evince il reale intento del legislatore,

orientato verso istanze punitive anziché di mero ristoro di eventuali

28 Vd. infra, § 2.2. e 2.3..

29 Vd. L. BIGLIAZZI GERI (1987), A proposito di danno ambientale ex art. 18, L. 8/7/1986, n. 349 e di responsabilità civile, in Politica del diritto, Il Mulino, 1987, p.

253 ss., «[…] un preponderante profilo sanzionatorio, dove all’incolore riferimento alla colpa, di cui all’art. 2043, si sostituisce […] l’esplicita considerazione della sua gravità»

30 Cfr. S. PATTI (1992), La valutazione del danno ambientale, in Rivista di diritto civile, II, CEDAM, 1992, p. 456; P. CENDON e P. ZIVIZ (1987), L’art. 18 della legge 349/1986 nel sistema di responsabilità civile, in Rivista crit. dir. priv., 1987, p.

543 ss; L. BIGLIAZZI GERI (1987), A proposito di danno ambientale ex art. 18, L.

8/7/1986, n. 349 e di responsabilità civile, cit., p. 253; infra Cap. II, § 2.1.3.

31 Coerente, invero, con la descrizione della fattispecie di illecito ambientale, ove la

(17)

17

conseguenze pregiudizievoli (di natura patrimoniale o meno)

32

derivanti dalla lesione.

33

A ben vedere, la stessa previsione di un giudizio equitativo cui

possa ricorrere il giudice sarebbe espressione di una volontà legislativa

mirata alla punizione,

34

soprattutto se confrontato con altre

disposizioni del codice civile che ugualmente prevedono una

valutazione equitativa del danno. Soffermandosi, ad esempio, sull’art.

1226 c.c.

35

si può certamente rilevare come la norma non consenta di

tener conto di elementi estranei al pregiudizio subito dal danneggiato,

per di più subordinando l’applicazione della stessa ad una impossibilità

di prova (non assoluta, ma relativa), concernente il quantum e gravante

sul creditore; aspetto, quest’ultimo, non osservabile nell’art. 18, ove il

favor per la parte onerata (il danneggiato) in questo caso si

32 Cfr. S. PATTI (1992), op. cit., p. 461 ss., in cui l’A., assumendo che il danno

ambientale debba intendersi danno non patrimoniale, e richiamando brevemente alcune correnti dottrinarie relative alla presunta funzione sanzionatoria della responsabilità civile nell’art. 2059 c.c., giustifica la funzione sanzionatrice (dallo stesso più volte ribadita) proprio in ragione della natura del danno alla base «La funzione sanzionatrice collegata alla gravità della colpa individuale troverebbe infatti un preciso punto di raccordo con la natura del danno sulla base altresì della regola codicistica in tema di danno non patrimoniale»; dello stesso avviso L. BIGLIAZZI GERI (1987) in L’art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt. 2043 ss

c.c., cit., p. 1157, «Ma è proprio questo il punto: anche nell’ipotesi di danno

all’ambiente siamo di fronte alla lesione di un interesse […] non patrimoniale e costituzionalmente garantito. Eppure l’art. 18 mette in evidenza il carattere sanzionatorio e la funzione di sanzione civile punitiva, in quanto rapportata alla gravità della colpa ed al profitto del danneggiante, del previsto risarcimento: adotta, cioè, in sostanza, la soluzione che, per la Corte, dovrebbe valere per le ipotesi ricadenti sotto l’art. 2059» e C. CASTRONOVO (1987), Il danno all’ambiente nel

sistema di responsabilità civile, in Riv. Critica dir. priv., 1987, p. 515, «Ma che si

tratti di danno non patrimoniale è confermato, come avevo anticipato, dagli effetti che ad esso la legge riconnette, effetti che proprio il danno non patrimoniale sembrano richiamare sotto un duplice profilo: da un lato per la valutazione equitativa […] dall’altro per la allure sanzionatoria che sembra caratterizzare la norma»; infra Cap. II, § 2.1.1.

33 Cfr. G. VILLA (2002), op. cit., p. 128, «La quantificazione del danno assume

connotati eccentrici rispetto ai consueti rimedi risarcitori, dal momento che l’obbligo del responsabile non si commisura alla perdita causata dall’illecito, ma ad altri e più soggettivi parametri».

34 Cfr. P. DELL’ANNO, op. cit., p. 333, «Tale carattere sanzionatorio risulta

evidenziato sia dalla previsione di un giudizio equitativo […] sia dai criteri indicati dallo stesso comma 6».

35 Art. 1226 c.c.: ”La valutazione equitativa può operare solo se il creditore, cui cui

grava l'onere della prova del danno, non sia riuscito a dimostrare il quantum ma non se non abbia nemmeno dato la prova dell'esistenza del danno”.

(18)

18

manifesterebbe nella possibilità di accedere alla determinazione in via

equitativa, pur in mancanza di qualsiasi sforzo probatorio in tal

senso.

36

Ed inoltre, nella norma codicistica è implicita l’idea che

l’ammontare del danno stabilito debba tendere a coincidere con il

danno effettivo, poiché non sarebbe astrattamente possibile fissare un

risarcimento superiore al danno realmente cagionato; ed è quindi la

presunta diversità del giudizio equitativo, ex art. 18, ad aver indotto

parte della dottrina a sottolinearne l’atipicità rispetto alle regole

tradizionali di responsabilità civile: «occorre chiedersi se alla luce del

sistema la più rilevante novità dell’art. 18 – come risulta

dall’interpretazione più diffusa – non sia rappresentata proprio dalla

rottura del nesso di equivalenza o almeno del limite tra danno e

risarcimento».

37

Tutti questi indici, condurrebbero inequivocabilmente ad una

funzione sanzionatoria, come affermato a più riprese dalla dottrina

38

e

confermato dalla legislazione speciale.

39

L’ordinamento, pertanto,

36 Vd. S. PATTI (1992), op. cit., p. 459.

37 Ibidem; per la incompatibilità fra funzione sanzionatoria della responsabilità civile

(nella forma di danni punitivi) e giudizio equitativo ex artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., vd. F.D. BUSNELLI (2009), Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni

punitivi, in Europa e dir. priv., 2009.

38 Vd. L. BIGLIAZZI GERI (1987), L’art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt. 2043 ss c.c., cit., p. 1159, «E’ quanto mi è parso denunciare – in

contrapposizione ad una funzione eminentemente riparatoria della responsabilità – il carattere essenzialmente sanzionatorio di quella per danno pubblico ambientale […]»; C. CASTRONOVO (1987), op. cit., p. 511 ss; L. FRANCARIO (1987), Il

risarcimento del danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, in Riv. Critica dir. priv., 1987, p. 484, «si tratta di elementi che fanno ritenere che il risarcimento del

danno ambientale appare ispirato non già alla logica di ricostruire un improbabile patrimonio di cui si assume la lesione ai danni di un altrettanto improbabile proprietario, bensì alla logica di tutelare (mediante il ricorso alla tutela risarcitoria quale tecnica sanzionatoria) direttamente i beni ambientali senza che si richieda la previa individuazione del diritto soggettivo sovrastante»; G. SALVI (2007), op. cit., p. 658, dove l’A., nel commentare il T.U. ambientale partendo da un breve excursus storico, ha modo di affermare quanto segue in merito all’art. 18 «un modulo risarcitorio plasmato su obiettivi di punishment […] se il risarcimento ex art. 18 ha previsto i criteri suindicati [comma 6], non è stata la funzione riparatoria propria dell’illecito civile ad emergere, ma la funzione punitiva […]»; P. CENDON (1989),

Il profilo della sanzione nella responsabilità civile, in Contr. impr., CEDAM, 1989,

p. 886; P. LOTTI (2006), op. cit., pp. 20-21.

39 Cfr. D.Lgs 11 maggio 1999, n. 152, in materia di “tutela delle acque

dall’inquinamento”, art. 58, comma 3: “3. Nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione del danno di cui al comma 2, lo stesso si presume, salvo

(19)

19

comminerebbe una sanzione civile punitiva che, presupposta la natura

imprenditoriale e produttiva delle attività tipicamente generatrici del

danno,

40

sarebbe tesa a colpire, come afferma ancora una volta L.

Bigliazzi Geri,

41

«una logica aziendale che presieda a scelte ad alto

rischio ecologico e tale da consentire che a fatti lesivi identici possano,

in concreto, corrispondere condanne di diversa entità». A tale finalità

se ne affiancherebbe un’altra, strettamente connessa, quale quella

deterrente, che proprio nell’ambito delle attività di impresa appare

essenziale al fine di incentivare gli agenti economici ad internalizzare

quei costi (esternalità negative dell’attività, appunto) che, altrimenti,

sarebbero sopportati dalla collettività, ivi compresi i pregiudizi arrecati

all’ambiente.

42

E’ stato osservato, tuttavia, che l’asserito carattere punitivo della

norma, sarebbe contraddetto dalla preferenza accordata alla

reintegrazione in forma specifica, ove possibile, come risulta dal

prova contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa, ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata. […]”

40 Cfr. G. VILLA (2002), op. cit., p. 130, «l’illecito ambientale, caratteristica

manifestazione dei rischi industriali […]»; S. PATTI (1992), op. cit., p. 464, «è soltanto l’entità dei risarcimenti che si fanno gravare sulle imprese responsabili dell’inquinamento a rendere almeno in parte adeguato ai fini della tutela ambientale l’istituto della responsabilità civile […]»; R. MONTANARO, La direttiva sulla

responsabilità ambientale nel quadro della disciplina europea in materia di ambiente, in La responsabilità per danno ambientale. L’attuazione della direttiva 2004/35/CE, a cura di F. GIAMPIETRO, Giuffrè, Milano, 2006, p. 40, «materie –

come quella ambientale – strettamente connesse con le attività economiche e produttive»; E. LECCESE, op. cit., p. 89, «L’attività inquinante è normalmente attività d’impresa ed il danno da inquinamento è danno provocato all’ambiente da attività d’impresa».

41 L. BIGLIAZZI GERI (1987), A proposito di danno ambientale ex art. 18, L. 8/7/1986, n. 349 e di responsabilità civile, cit., p. 256.

42 Vd. P. TRIMARCHI (1961), Rischio d’impresa e responsabilità oggettiva, in Rischio e responsabilità oggettiva, Giuffrè, Milano, 1961; S. PATTI (1992), op. cit.,

p. 464, «la constatazione secondo cui alcuni beni vengono utilizzati – soprattutto nel corso del processo produttivo – senza che ne venga pagato il relativo costo. Si determinano in tal modo i cosiddetti costi esterni, cioè costi che non gravano su chi si serve del bene, con conseguente aumento del profitto. Se i beni appartengono alla collettività, come nel caso previsto dall’art. 18, si determinano costi sociali […] L’eliminazione, attraverso il risarcimento del danno, del profitto illecitamente conseguito attribuisce a questa ipotesi di responsabilità una funzione deterrente»;

(20)

20

comma 8;

43

questa considerazione, va detto, non sembra pienamente

convincente ed, anzi, la stessa rafforzerebbe l’interpretazione

sanzionatoria, in virtù delle differenze intercorrenti con la norma

codicistica parallela: l’art. 2058.

44

Innanzitutto, quest’ultima prevede il

limite dell’eccessiva onerosità, tale da escludere, per il danneggiato,

l’obbligo di reintegrazione in forma specifica; al contrario, il comma 8

menziona esclusivamente il requisito della possibilità, con ciò

inducendo numerosi autori a parlare di un vero e proprio «totale

disinteresse vistosamente dimostrato dal legislatore del 1986 nei

confronti dell’autore del fatto lesivo, costretto a sopportare il costo del

ripristino, quand’anche la relativa spesa dovesse risultare, per lui,

eccessivamente onerosa».

45

Inoltre, la reintegrazione, è meramente

subordinata ad una obiettiva possibilità, prescindendo dall’iniziativa di

parte (cfr. art. 2058 c.c.) e dal prudente apprezzamento del giudice, che

ben potrebbe, d’ufficio, ordinarne l’esecuzione.

Un’ulteriore conferma, infine, risiederebbe nella regola indicata al

comma 7,

46

dal momento che, ribaltando la soluzione prevista dal

codice civile (cfr. art. 2055 c.c., responsabilità solidale), sarebbe

maggiormente idonea a colpire il singolo trasgressore, in un tipo di

giudizio indubbiamente personalizzato

47

ed orientato alla punizione del

responsabile.

48

43 L. 349/1986, art. 18, comma 8: “8. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone,

ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile”.

44 Art. 2058 c.c.: “1. Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica,

qualora sia in tutto o in parte possibile. 2. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore”.

45 L. BIGLIAZZI GERI (1987), L’art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt. 2043 ss c.c., cit., p. 1159; G. CECCHERINI (1987), Note sulla nozione di danno ambientale, in Riv. Critica dir. priv, 1987, p. 695, «Si ritiene, quindi, che il

limite dell’eccessiva onerosità non venga in considerazione, poiché, data la natura degli interessi lesi, sarebbe quanto mai poco opportuno che il giudice tenesse in qualche conto la posizione del debitore se il suo sacrificio economico superasse in misura eccessiva il valore da corrispondere in base al risarcimento per equivalente».

46 L. 349/1986, art. 18, comma 7: “7. Nei casi di concorso nello stesso evento di

danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale”.

47 Cfr. C. CASTRONOVO (1987), op. cit., p. 516, in cui l’A. rinviene una forte

analogia col diritto penale nei criteri menzionati dal comma 6: «il riferimento alla gravità della colpa e al profitto conseguito dal trasgressore ci portano su traiettorie

(21)

21

1.3.

Il carattere sanzionatorio dell'art. 18 secondo la

giurisprudenza

Le indicazioni provenienti dalla dottrina vengono presto recepite

dalla giurisprudenza che, invero, sin dal 1987 aveva autonomamente

ricondotto alla disposizione in commento una tipica funzione

punitivo-deterrente.

49

Di particolare interesse è, ancora una volta, la sentenza della Corte

di Cassazione sul caso del comune di Senago,

50

in cui il giudice di

legittimità afferma: “Nella disciplina del danno ambientale, infatti,

considerato in senso unitario, l’ordinamento ha voluto tener conto non

solo del profilo risarcitorio, ma anche di quello sanzionatorio, che pone

in primo piano non solo e non tanto le conseguenze patrimoniali del

danno arrecato (i c.d. danni conseguenza), ma anche e soprattutto la

proprie del diritto penale. A mente dell’art. 133 c.p. il giudice, nella commisurazione della pena, deve tenere conto della gravità del reato, desunta tra l’altro dall’intensità del dolo o dal grado della colpa; e al profitto […] fa riferimento l’art. 240 c.p. nell’attribuire al giudice il potere di confisca di quanto sia frutto del reato»; G. SCHIESARO (2003), “Chi inquina paga”: una nuova frontiera nella liquidazione

del danno ambientale ex art. 18, legge 349/1986, in Riv. giur. ambiente, 2003, p.

179, «Sarà sufficiente osservare, poi, che non a caso tutti i parametri imposti per la valutazione equitativa del danno ex art. 18 legge 349/1986 costituiscono tipici strumenti normalmente utilizzati proprio dal giudice penale per le valutazioni di sua esclusiva competenza».

48 Vd. L. BIGLIAZZI GERI (1987), L’art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt. 2043 ss c.c., cit., 1987, p. 1159; P. TRIMARCHI, Per una riforma della responsabilità civile per danno ambientale, AA. VV., Milano, Giuffrè,

1994, secondo l’ A., infatti, la responsabilità solidale contrasterebbe con le finalità deterrenti della responsabilità per danno ambientale; B. POZZO, Danno ambientale

ed imputazione della responsabilità, Milano, Giuffé, 1996, p. 330; A. DE CUPIS

(1988), La riparazione del danno all’ambiente: risarcimento o pena?, in Riv. dir.

civ., 1988, II, p. 401 ss.

49 Vd. Cass. pen., sez III, 6 marzo 2007, n. 16575, cit., in cui, dopo aver affermato

che in merito alla nuova disciplina debbano comunque valere le conclusioni assunte dal Supremo Collegio relativamente all’art. 18 (vd. nt. 2 del presente capitolo), si offre un’articolata ricostruzione giurisprudenziale, dalla quale si ricava il fermo convincimento, in seno alla Corte medesima: “Per la valutazione del danno ambientale, dunque, non può farsi ricorso ai parametri utilizzati per i beni patrimoniali in senso stretto, ma deve tenersi conto della natura di bene immateriale dell'ambiente, nonchè della particolare rilevanza del valore d'uso della collettività che usufruisce e gode di tale bene. Da ciò discende il superamento della funzione compensativa del risarcimento”.

(22)

22

stessa produzione dell’evento”.

51

Prosegue, quindi, precisando che la

quantificazione del danno prescinderebbe dal consueto criterio della

teoria della differenza,

52

dipendendo, altresì, da “criteri del tutto

inusitati per il vecchio modello del danno risarcibile nella

responsabilità civile” e, conseguentemente, definendo siffatti criteri

“elementi chiaramente sanzionatori, a livello di pene civili”.

Inoltre, le conclusioni sopracitate cui giunge la Corte ben possono

definirsi diretta ed immediata conseguenza del modo peculiare in cui la

stessa interpreta l’illecito ambientale, definendolo, segnatamente, un

“torto ecologico” alla cui disciplina è chiaramente riconducibile un

“timbro repressivo”, come si evince dal seguente passo: “Il timbro

repressivo adoperato dal legislatore conferisce al torto ecologico una

sua peculiarità nell’ambito della responsabilità civile, con la

conseguenza che anche la prova di siffatto torto non può non

risentirne, ispirata, come dev’essere, non a parametri puramente

patrimoniali, ma alla compromissione dell’ambiente, strettamente

collegata al fatto lesivo del bene ambientale posto in essere […]”.

Proprio con riguardo all’aspetto probatorio, infine, è utile

sottolineare come, in sintonia con le osservazioni al riguardo proposte

dalla dottrina,

53

la Corte colga l’occasione per evidenziare l’ontologica

51 Ibidem, nella nota di F. GIAMPIETRO si osserva come il riferimento ad un evento

di danno (materiale) operato dalla Corte, costituisca ulteriore conferma della riconosciuta funzione sanzionatoria: «[…] l’ordinamento considera, innanzitutto, la lesione in sé del bene ambientale […] come evento di danno (profilo sanzionatorio) accanto alle conseguenze patrimoniali del danno arrecato (i c.d. danni conseguenza)».

52 O c.d. Differztheorie: criterio secondo il quale il danno, a contenuto patrimoniale,

debba intendersi come perdita patrimoniale valutabile in termini di differenza tra la situazione del patrimonio del danneggiato in un dato momento e quella in cui il patrimonio si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato.

53 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI (1987), L’art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt. 2043 ss c.c., in Riv. Trim. Appalti, 1987, p. 1160, in cui l’ A.,

soffermandosi sul rapporto fra art. 18 L. 349/1986 ed art. 2043 e risolvendosi in una necessaria differenziazione fra le due ipotesi di responsabilità («postami di fronte al quesito se la responsabilità ex art. 18 partecipi della stessa natura di quella ex art. 2043, sono stata indotta a rispondere negativamente»), si spinge ad affermare che sia «quasi inevitabile cominciare, invece, a pensare ad un responsabilità (civile) al plurale», adducendo come esempi a sostegno di tale tesi, l’art. 18, appunto, ma anche la responsabilità del medico o del pubblico funzionario; così come ribadito in Id., A

(23)

23

diversità dell’ art. 18 dalla clausola generale del 2043, in special modo

dei comma 6 e 7 “che lo diversificano dal genus aquiliano, cui pure

appartiene”. Le ultime parole confermerebbero l’idea di un genus

aquiliano più ampio, all’interno del quale confluirebbero fattispecie di

responsabilità civile diverse «perché diversamente caratterizzate, di

responsabilità scaturenti dalla differente natura degli interessi lesi e/o

dalla posizione degli autori dei fatti lesivi, in quanto tali ritenute dal

legislatore degne di essere sottoposte a specifica e differenziata

disciplina»;

54

con la naturale inferenza che ben potrebbero,

“responsabilità civili” diverse, adempiere a funzioni altrettanto

differenti, fra le quali anche quella punitivo-deterrente.

55

Bisogna precisare, tuttavia, che il filone ermeneutico invalso

presso la giurisprudenza di legittimità, come poc’anzi descritto, si

innesta, invero, su di una più risalente posizione della Consulta,

immediatamente successiva all’entrata in vigore della L. 349/1986.

Nella sent. Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641,

56

in merito alla

natura della responsabilità ex art. 18 L. 349/1986, si afferma che la

stessa rientra perfettamente nello schema della responsabilità

aquiliana,

57

ammettendone implicitamente il carattere sanzionatorio.

Dapprima enunciando un principio di carattere generale, secondo il

quale “il tipo di responsabilità civile ben può assumere, nel contempo,

compiti preventivi e sanzionatori” cui si aggiunga la seguente

considerazione: “L'ambiente è protetto come elemento determinativo

della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità

naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat

naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla

proposito di danno ambientale ex art. 18, L. 8/7/1986, n. 349 e di responsabilità civile, cit., 1987, pp. 259-260.

54 Ibidem.

55 Vd. infra Cap. II, passim.

56 Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, Foro It., 1988, I, c. 694 ss.; vd. anche Corte

cost., 28 maggio 1987, n. 210, Foro It., 1988, I, c. 346.

57 “La responsabilità che si contrae è correttamente inserita nell'ambito e nello

(24)

24

collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è

imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui

esso assurge a valore primario ed assoluto. […] le norme ordinarie in

attuazione di detti precetti, disciplinano ed assicurano il godimento

collettivo ed individuale del bene ai consociati; […] Sanzioni penali,

civili ed amministrative rendono la tutela concreta ed efficiente”.

“L'ambiente è, quindi, un bene giuridico in quanto riconosciuto e

tutelato da norme”, prosegue la Corte “È, inoltre, specificamente

previsto il danno che il bene può subire (art. 18 n. 1) […] Le dette

violazioni si traducono, in sostanza, nelle vanificazioni delle finalità

protettive e per se stesse costituiscono danno” con la conseguenza

naturale che “L'art. 2043 cod. civ. va posto in correlazione con la

disposizione che prevede il bene giuridico tutelato attraverso la

posizione del divieto primario”. Da questo confronto, in definitiva,

emerge la differenza sostanziale tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 18 in cui “La

sanzione risarcitoria è conseguenza della lesione della situazione

giuridica tutelata. E l'illecito è fatto consistere nella violazione della

norma e dei provvedimenti adottati in base ad essa. In tal modo si tiene

esattamente conto della realtà e si pone rimedio a tutta la gamma delle

conseguenze dannose che derivano dalla violazione effettuata”.

1.4.

Confronto fra l’art. 2043 c.c. e l’art. 18 L. 349/1986

Muovendo dall’analisi effettuata nella sentenza della Corte

costituzionale, da ultimo citata, si rende giocoforza opportuno

puntualizzare le conclusioni cui è giunta la dottrina in merito alle

differenze fra le due disposizioni.

Un primo aspetto, che permette, fra l’altro, di ricollegarsi alla

dichiarata funzione sanzionatoria, è quello relativo alla presunta

tipicità dell’illecito ambientale, in un sistema, quale quello italiano,

(25)

25

caratterizzato da una norma di riferimento (l’art. 2043 c.c.) delineante

una fattispecie atipica di responsabilità civile. La norma subordina la

responsabilità da illecito ambientale alla “violazione di disposizioni di

legge o di provvedimenti adottati in base a legge” (come recita il

comma 1), costituendo al contempo un punto di forza e di debolezza

della disciplina.

In relazione al primo, come sottolineato da autorevole dottrina,

58

il

pregio dell’art. 18, comma 1 dovrebbe cogliersi proprio nel mancato

riferimento testuale sia al danno ingiusto che al risarcimento dello

stesso, presenti nell’ art. 2043 c.c., forieri di antichi e pericolosi

equivoci.

59

In questo modo, la norma garantirebbe la risarcibilità di un

danno meramente materiale, laddove tale scelta legislativa risulti più

idonea alla tutela di un bene giuridico che, come afferma M. Libertini,

non possa considerarsi oggetto di una situazione giuridica soggettiva

unitaria (di diverso avviso, comunque, la giurisprudenza, anzitutto

costituzionale), bensì l’aggregato di singoli aspetti della realtà

materiale, suscettibili di subire menomazione, ed in ragione dei quali

sarebbe auspicabile il ritorno ad una categoria di danno come lesione

materiale.

60

La portata pratica di una simile scelta, alla luce

dell’intenso dibattito tuttora in corso, può essere ben sintetizzata dalla

riflessione di C. Castronovo secondo cui «[…] il tenore dell’art. 18

esclude, ai fini dell’affermazione del danno ambientale, la necessità di

individuare una situazione giuridica soggettiva della quale si debba

cogliere la lesione».

61

58 Vd. per tutti L. BIGLIAZZI GERI (1987), L’art. 18 della legge n. 349 del 1986 in relazione agli artt. 2043 ss c.c., cit., 1987, p. 1161

59 Ibidem, «Ritengo tutto ciò un fatto positivo perché forse capace di contribuire a

dissipare […] l’equivoco che invece si annida nella formula dell’art. 2043 e che in equivoco parrebbe aver indotto sia quanti escludono la risarcibilità del c.d. danno non patrimoniale al di là delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 2059, sia coloro che, pur ammessane la risarcibilità, finiscono per offrire spiegazioni non del tutto convincenti dell’assunto».

60 Vd. M. LIBERTINI (1987), La nuova disciplina del danno ambientale e i problemi generali del diritto dell’ambiente, in Riv. critica dir. priv., 1987, p. 547 ss;

61 Vd. C. CASTRONOVO (1987), Il danno all’ambiente nel sistema di responsabilità civile, cit., 1987, p. 514, posto che per l’A. «la mancata menzione

(26)

26

L’aspetto negativo, invece, risiederebbe nella circostanza per cui,

delimitando la fattispecie di illecito ambientale alla violazione di una

legge (od altro provvedimento ad essa equiparato), si rischierebbe di

sottrarre alla tutela risarcitoria tutti quei fatti che, pur provocando

degrado ecologico, risultino privi di normativa specifica.

62

In ogni caso, si anticipava, è corretto osservare come proprio la

tipicità dell’ illecito ambientale debba considerarsi ulteriore conferma

della sopracitata vocazione sanzionatoria, dal momento che siffatta

tecnica di delimitazione della fattispecie, in ossequio al principio di

legalità (sancito dalla Costituzione all’art. 25), è caratteristica

indefettibile del sistema sanzionatorio penale.

63

In conclusione, sebbene la giurisprudenza abbia più volte ribadito

il carattere tendenzialmente ricognitivo dell’art. 18 rispetto all’art.

2043 (il primo si porrebbe come specificazione, in un settore

determinato, di principi già contenuti nel sistema della responsabilità

civile),

64

ricostruendoli, semmai, in rapporto di genere a specie,

65

la

dottrina maggioritaria indica nelle seguenti caratteristiche

66

peculiari

dell’art. 18 le (inconciliabili)

67

differenze con la norma codicistica:

dell’ingiustizia, di cui dicevo, ci presenta un danno allo stato primordiale, in quanto esso viene fatto coincidere puramente e semplicemente con l’alterazione, il deterioramento o la distruzione dell’ambiente: la norma speciale accoglie un concetto di danno che è di tipo materiale».

62 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI (1987), Quale futuro dell’art. 18 legge 8 luglio 1986 n. 349?., cit., p. 686.

63 Cfr. G. VILLA (2002), op. cit., p. 127. 64 Cfr. E. LECCESE, op. cit., p. 113.

65 Cfr Cass. pen., sez III, 6 marzo 2007, n. 16575: “In seguito, la disciplina della L. n.

349 del 1986, art. 18, è stata innestata nel regime ordinano della responsabilità, con riferimento all'art. 2043 c.c. (ed all'art. 2050 c.c., per le attività pericolose), configurando una sorta di regime misto che ha mutuato dalla disciplina codicistica la responsabilità oggettiva per le attività pericolose e la solidarietà dei responsabili e dalla disciplina speciale il profilo della rilevanza autonoma del danno- evento (la lesione in sé del bene ambientale), sostituito al danno- conseguenza considerato dal codice”

66 Vd. P. DELL'ANNO, op. cit., p. 329; G. SALVI (2007), op. cit., pp. 657-660; P.

LOTTI (2006), op. cit., pp. 17-18.

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