• Non ci sono risultati.

L’attuale assetto normativo: il T.U dell’ambiente

Il recepimento della Direttiva 2004/35/CE si è realizzato col D.lgs.

3 aprile 2006, n. 152, recante “norme in materia ambientale”, meglio

noto come “Codice dell’ambiente”, mediante il quale, più in generale,

si è provveduto al riordino, al coordinamento ed all’integrazione

dell’intera normativa ambientale, come prescritto dalla Legge-delega

308/2004.

Nello specifico, abrogata la precedente disciplina di cui all’art. 18

della L. 349/1986,

171

la nuova regolamentazione del danno ambientale

è contenuta nella parte VI (artt. 299-318); ed è proprio in relazione al

rapporto fra quest’ultima e la sopracitata Direttiva che si sono

eminentemente concentrate le critiche al T.U., come dimostrato,

invero, dalla notifica all’Italia di numerose procedure d’infrazione per

“non corretta trasposizione della Direttiva 2004/35/CE sulla

responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del

danno ambientale”.

172

La prima differenza consiste nella codificazione della nozione di

danno

173

che riproduce fedelmente le prescrizioni contenute nella

Direttiva comunitaria; infatti esso viene definito “qualsiasi

deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una

170 Ivi, p. 38; per una analisi critica della Direttiva, vd. anche R. MONTANARO, op. cit., p. 39 ss.

171 D.lgs 152/2006, art. 318.

172 Vd. F. BONELLI (2014), Il risarcimento del danno all’ambiente dopo le modifiche del 2009 e del 2013 al T.U. 152/2006, in Dir. comm. Internaz., 2014, p. 3

ss.

48

risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima”,

174

cui si

aggiungono, ai comma successivi, puntualizzazioni circa le singole

fattispecie: danno alle specie e agli habitat naturali protetti; alle acque

interne ed a quelle costiere; al terreno.

175

Tuttavia, a tale scelta, ancorché coerente con la Direttiva,

176

sono

state mosse numerose critiche: è stata giudicata suscettibile di limitare

l’intervento circa la salvaguardia globale dell’assetto ecologico.

177

La

soluzione, da questo punto di vista, risulta antitetica rispetto

all’art.18,

178

contenente, altresì, una definizione onnicomprensiva.

Le conseguenze negative di siffatta impostazione, ancora, possono

essere sintetizzate: nel predisporre una tutela delle singole risorse

naturali (materialmente intese) e non già dell’ambiente in sé

considerato;

179

nel trascurare, fra i molteplici elementi di peculiarità

del danno ambientale,

180

l’imprevedibilità spesso associata alla

174 D.lgs 152/2006, art. 300, comma 1.

175 Cfr. rilievi critici da parte della dottrina, in merito alla mancata previsione del

danno provocato all’atmosfera (altresì previsto dal 4° Considerando della Direttiva comunitaria); fra tutti, F. GIAMPIETRO. Prevenzione, ripristino, risarcimento dei

danni all’ambiente nel D.lgs. n. 152/2006. Esame delle disposizioni di rinvio alla bonifica, in La responsabilità per danno ambientale. L’attuazione della direttiva 2004/35/CE, (a cura di) F. GIAMPIETRO, Giuffrè, Milano, 2006, p. 297.

176 Ivi, p. 291, «Il più recente dettato (Parte Sesta), evidenzia un approccio del

legislatore delegato […] molto più aderente alla impostazione della direttiva comunitaria di quanto non siano apparse le precedenti versioni, sotto il profilo della definizione dell’area del danno […]»;A. MURATORI, La disciplina del danno

ambientale e i problemi (ancora) aperti dopo il Testo Unico n. 152/2006, in La responsabilità per danno ambientale. L’attuazione della direttiva 2004/35/CE, (a

cura di) F. GIAMPIETRO, Giuffrè, Milano, 2006, p. 556.

177 Cfr. G. SALVI (2007), op. cit., p. 665, ove l’A. si esprime nei seguenti termini in

merito al provvedimento comunitario «l’ipotesi di responsabilità emergente dalla direttiva, infatti, risulta particolarmente circoscritta, sia perché il danno può derivare unicamente da determinate attività, sia perché il pregiudizio è riconducibile solo agli interessi ambientali selezionati dal legislatore comunitario, senza alcuna possibilità di estensione ad altri aspetti del concetto di ambiente».

178 Vd. note 1, 8, 9, circa la definizione di danno, ricavabile implicitamente dalla

norma in esame.

179 Cfr. E. LECCESE, op. cit., pp. 139-140, «L’elaborazione della nozione di danno

si svolge parallelamente all’affermarsi nella cultura giuridica del concetto di ambiente come […] sintesi […] delle risorse naturali, la loro interazione e il continuo interagire con lo svolgimento della vita […] Il danno all’ambiente […] non può pertanto consistere esclusivamente nel pregiudizio ai singoli elementi che lo compongono […]».

180 Vd. per tutti, G. FREZZA – F. PARISI, Responsabilità civile e analisi economica,

49

eccessiva latenza. Con riguardo al primo aspetto, ciò rischierebbe di

porsi in contrasto

181

anzitutto con la giurisprudenza, tanto di

legittimità,

182

quanto del giudice delle leggi,

183

secondo cui l’ambiente

deve considerarsi bene immateriale ed unitario;

184

in aggiunta,

verrebbero escluse fattispecie che, ancorché condividendo una visione

meramente ecologico-materiale, meriterebbero di esser oggetto di

tutela: non solo l’inquinamento atmosferico,

185

ma anche quelle

diverse forme di contaminazione pur non incidenti sulla salute

umana.

186

In merito al secondo, invece, basti sottolineare che talvolta

alcune attività si scoprono dannose nel momento stesso in cui il danno

si produce, e che l’ambiente può essere aggredito nel tempo senza

manifestazioni evidenti ed immediate;

187

conseguentemente, un ambito

di applicazione limitato da un elenco paradigmatico di danni

ambientali

188

si porrebbe in conflitto, anche e soprattutto, col principio

181 Cfr. A. FERRI (2007), op. cit., p. 397, «Si opera inoltre un frazionamento del

bene giuridico, contraddicendo l’orientamento dominante della giurisprudenza […] che reputa essenziale ai fini di una tutela ambientale effettiva e globale una configurazione giuridicamente unitaria dell’ambiente».

182 Cfr. Cass. 9 aprile 1992, n. 4362, in Giust. civ. mass., 1992, p. 558 183 Cfr. Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, cit., c. 694 ss.

184 Cfr. A FERRI (2007), ibidem, «La definizione di danno ambientale assume una

importanza fondamentale non solo per circoscrivere l’ambito di applicazione della nuova normativa, ma anche ai fini della corretta individuazione del bene giuridico che si intende tutelare»; dello stesso avviso F. GIAMPIETRO, op. cit., pp. 296-298, che riscostruisce la nozione di ambiente, presupposta nel T.U., partendo dalle norme concernenti il danno.

185 Vd. supra.

186 Cfr. A. MURATORI, op. cit., p. 556, «L’ipotesi di danno ambientale resta perciò

circoscritta alle fattispecie di deterioramento significativo […] nonché del terreno; ma in quest’ultimo caso, solo quando la contaminazione crei un “rischio significativo di effetti nocivi anche indiretti, per la salute umana”, restando perciò escluso il mero danneggiamento degli ecosistemi o di altre matrici ambientali […] i deterioramenti alla flora, alla fauna e agli ecosistemi non tutelati da specifiche disposizioni di protezione, al paesaggio, all’atmosfera, ect.»; A. FERRI (2007), ibidem, che aggiunge «Tale ultima limitazione [rischi per la salute umana] è incomprensibile, almeno se riferita al solo danno al terreno, in quanto è evidente come un danno alla salute possa essere provocato da ogni forma di inquinamento»; nota 60 del presente capitolo.

187 Cfr. E. LECCESE, op. cit., p. 134. 188 Cfr. G. SALVI (2007), op. cit.

50

dello sviluppo sostenibile,

189

in quanto escluderebbe “danni futuri che

oggi possono non essere previsti o prevedibili”.

190

Il legislatore italiano ha poi accolto il concetto di danno

imminente,

191

consistente nel “rischio sufficientemente probabile che

stia per verificarsi uno specifico danno ambientale”

192

ed implicante

puntuali obbligazioni per l’operatore interessato

193

e l’esercizio di

estese facoltà da parte del Ministero dell’Ambiente.

194

Ispirato al

principio di precauzione, esso viene implicitamente richiamato anche

dall’art. 301, rubricato “Attuazione del principio di precauzione”, in

cui si prevede l’obbligo di assicurare un alto livello di protezione, a

fronte di un rischio previamente individuato tramite una valutazione

scientifica obiettiva.

195

In linea con le previsioni comunitarie,

196

sono previsti regimi di

responsabilità differenziati, a seconda dell’attività che ha dato luogo al

danno; nel prevedere tre diverse tipologie di azione,

197

tuttavia, si deve

evidenziare che il legislatore, in origine, si è pienamente attenuto alle

indicazioni solo in merito alle prime due.

198

Nello specifico, tanto per l’ipotesi di azione di prevenzione,

quanto per quella di ripristino, il Codice ambientale imputa il costo

189 Vd. supra §§ 2.3. e 2.4.

190 Vd. G. SALVI, op. cit.; A. FERRI (2007), op. cit., «Si accoglie un concetto di

danna imperniato sulla verificazione di un evento (“deterioramento significativo e misurabile”) già conclamato, senza considerare fenomeni di inquinamento graduale, che diverrebbero “significativi” […] solo in una prospettiva di medio-lungo termine».

191 Vd. nt.161.

192 D.lgs 152/2006, art. 302, comma 7. 193 D.lgs 152/2006, art. 304, comma 1 e 2. 194 D.lgs 152/2006, art. 304, comma 3 e 4.

195 Vd. A. MURATORI, op. cit., pp. 556-557, sulle differenze fra gli artt. 301 e 304. 196 Vd supra § 2.1.

197 Azione di prevenzione relativa alla minaccia di danno (art. 304); azione di

ripristino (art. 305); azione risarcitoria (art. 311).

198 Vd. P. DELL’ANNO, op. cit., p. 348, in cui l’A., commentando l’art. 311 (azione

risarcitoria) afferma «La normativa nazionale non si pone, pertanto, perfettamente in linea con la Direttiva 2004/35/CE, la quale […] prevede un diverso regime di responsabilità […]»; si anticipa, in ogni caso, che il quadro normativo è stato modificato da due successivi interventi, del 2009 e del 2013, resi necessari da altrettante procedure di infrazione, all’uopo aperte nei confronti dell’Italia; vd. nt 167.

51

delle relative operazioni a titolo di responsabilità oggettiva, con

annesse prove liberatorie;

199

mentre l’azione risarcitoria subordina, o

meglio, subordinava, l’addebito di responsabilità alla “negligenza,

imprudenza, imperizia o violazione di norme tecniche” (rectius

comportamento colposo).

200

Prima delle riforme del 2009

201

e del 2013,

202

la disposizione da

ultimo citata era apparsa in contrasto con le indicazioni delle istituzioni

comunitarie, che con due contestazioni al Governo italiano (nel 2008 e

nel 2012) avevano imposto di correggere la normativa italiana,

affinché, in ossequio alla Direttiva, il danno all’ambiente fosse

risarcito esclusivamente mediante misure di riparazione (primaria,

complementare e compensativa), e non già per equivalente

pecuniario.

203

Tralasciando le modifiche intermedie,

204

ma precisando

che non si è esclusa in radice la possibilità di tale forma di

risarcimento, oggi l’art. 311 prevede quanto segue: accorda la

preferenza al risarcimento in forma specifica, al fine dell’effettivo

ripristino (c.d. riparazione primaria);

205

prevede in subordine la

possibilità di risarcimento monetario;

206

imputa la responsabilità a

199 D.lgs 152/2006, art. 308.

200 Vd. fra tutti, per una compiuta ed esaustiva descrizione della norma ante-riforma,

E. LECCESE, op. cit., p. 120 ss., in cui l’A. opera un parallelismo con l’art. 18 L. 349/1986 per quanto concerne: criteri soggettivi di imputazione; medesima nozione, onnicomprensiva, di danno; medesimi soggetti passivi (“chiunque” e non solo gli “operatori professionali”).

201 Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135, art. 5-bis. 202 L. 6 agosto 2013, n. 97, art. 25.

203 Cfr. rubrica originaria dell’art. 311: “Azione risarcitoria in forma specifica e per

equivalente patrimoniale”.

204 Sui rilievi critici in merito alla disposizione in esame, ante-riforma, vd. A.

MURATORI, op. cit., p. 559 ss.; P. DELL’ANNO, op. cit., p. 346 ss., il quale evidenzia come la giurisprudenza avesse cercato di superare le principali incongruenze rispetto alla Direttiva; F. GIAMPIETRO (2006), La responsabilità per

danno all’ambiente in Italia: sintesi di leggi e di giurisprudenza messe a confronto con la direttiva 2004/35/CE e con il T.U. ambientale, in Riv. giur. ambiente, 2006,

p. 31 ss.

205 D.lgs 152/2006, art. 311, comma 1: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del

territorio agisce […] per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica […]

206 D.lgs 152/2006, art. 311, comma 1: “[…] e, se necessario, per equivalente

52

titolo oggettivo

207

per tutti gli operatori svolgenti attività

intrinsecamente pericolose;

208

a titolo di colpa,

209

de residuo, per

chiunque altro;

210

riproduce la soluzione, prospettata in origine dall’art.

18 L. 349/1986,

211

della responsabilità personale nei casi di concorso

nello stesso evento di danno.

212

In merito alla legittimazione ad agire, essa è riconosciuta

solamente in capo allo Stato (Ministero dell’ambiente),

213

con

esclusione tanto degli Enti territoriali,

214

quanto del singolo individuo

(persona fisica o giuridica), come previsto dalla Direttiva. Tuttavia,

non si deve dimenticare che quest’ultima fa salva “la legislazione

nazionale”;

215

in tal senso è possibile concludere, a contrario, che la

previsione non costituisce alcun vincolo di carattere cogente al

riguardo.

216

A seguito dell’abrogazione dell’art 9, comma 3, D.lgs. 18

agosto 2000, n. 267 che consentiva alle associazioni di protezione

ambientale (di cui all’art. 13 L. 349/1986) di proporre le azioni

207 Cfr. Direttiva 2004/35/CE, 8° Considerando, vd. nt. 157.

208 D.lgs 152/2006, art. 311, comma 2: “Quando si verifica un danno ambientale

cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell’allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all’adozione delle misure di riparazione di cui all’allegato 3 […] da effettuare entro il termine congruo di cui all’art. 314, comma 2 […]”

209 D.lgs 152/2006, art. 311, comma 2: “[…] Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque

altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa.

210 La norma pare non limitare il novero dei soggetti passivi, al più differenziandoli

in base al criterio di imputazione. Con ciò si realizza una corretta soluzione intermedia fra la previgente disciplina (art. 18 L. 349/1986), che non operava restrizioni di sorta (tuttavia descrivendo una responsabilità solo per colpa), e la Direttiva comunitaria, che viceversa impone regimi differenziati per una ristretta categoria di soggetti responsabili. Quest’ultimo aspetto, non a caso, è stato più volte contestato dalla dottrina, vd. fra tutti G. SALVI, op. cit., p. 664, «A questa difformità sulla nozione di ambiente, la direttiva in esame ha aggiunto una grave limitazione dei soggetti passivi dell’azione di responsabilità».

211 Vd. nt. 46.

212 D.lgs 152/2006, art. 311, comma 3; vd. supra per riflessioni sulla implicita

vocazione sanzionatoria della norma dietro la scelta della responsabilità personale.

213 D.lgs 152/2006, art. 311, comma 1. 214 Cfr. art. 18 L. 349/1986.

215 Cfr. Direttiva 2004/35/CE, art. 3, n. 3. 216 Per ulteriori riflessioni, vd. nt 167.

53

risarcitorie di competenza del giudice ordinario,

217

tale facoltà, infine,

è stata loro preclusa.

218

Una dimensione individuale, è stato rilevato,

219

può essere

ravvisata nel combinato disposto degli artt. 309 e 310, i quali

riconoscono anche alle persone fisiche, che siano o che potrebbero

essere colpite dal danno ambientale (o che vantino un interesse

legittimante la partecipazione al procedimento relativo all’adozione

delle misure di precauzione, prevenzione o ripristino), il diritto di

chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente

220

e di chiedere il

risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da

parte

del

medesimo

Ministro.

221

Quest’ultima facoltà, in

considerazione della piena risarcibilità degli interessi legittimi, quale

confermata dalle Sezioni Unite nella nota sentenza 22 luglio 1999, n.

217 Vd. P. DELL’ANNO, op. cit., p. 344.

218 La situazione è però mutata grazie all’intervento della giurisprudenza, anzitutto

penale, che a partire dal 2010 ha riconosciuto alle medesime una piena legittimazione a costituirsi parti civili, per l’esperimento dell’azione civile di danno nel processo penale; vd. Cass. pen., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 14828, in CED Cass. pen. 2010: “la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno in esame presenta, oltre a quella pubblica, una dimensione personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente salubre di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità: il danno ambientale in quanto lesivo di un bene di rilevanza costituzionale, quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua sfera individuale e sociale. In tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un interesse legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta la loro possibilità di costituirsi parti civili nel processo alle seguenti condizioni […] Pertanto […] Quando, invece, l'interesse allo ambiente non rimane una categoria astratta, ma si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, esso cessa di essere comune alla generalità dei consociati. In questo caso, le associazioni sono centri di tutela e di imputazione dell'interesse collettivo all'ambiente che, in tale modo, cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato. […] A tali condizioni, le associazioni ecologistiche sono legittimate in via autonoma e principale alla azione di risarcimento per il danno ambientale con diritto al ristoro del nocumento commisurato alla lesione degli interesse collettivi rappresentati”.

219 Vd. E. LECCESE, op. cit., pp. 124-125; A. FERRI (2007), op. cit., p. 665

220 Cfr. G. SALVI (2007), op. cit, p. 672, in cui l’A. sottolinea l’importanza del ruolo

del privato cittadino nella tutela dell’ambiente, fra l’altro, a sostegno della tesi secondo cui sarebbe opportuno il riconoscimento di una tutela “privatistica” del bene ambiente «Solo consentendo anche al privato cittadino di salvaguardare l’ambiente in cui vive si avrà quella armonizzazione del privato con il sociale prevista dai principi costituzionali […]»

221 Cfr. A. FERRI (2007), op. cit., p. 665, «Viene da chiedersi perché a tale

riconoscimento non abbia fatto seguito una presa di posizione più coraggiosa volta ad istituire, in capo al singolo o alle associazioni rappresentative, una legittimazione all’azione risarcitoria diretta nei confronti dei responsabili del danno ambientale».

54

500,

222

potrebbe rappresentare il riconoscimento, quantomeno nelle

forme di una tutela in via mediata, della risarcibilità al singolo del

danno ambientale.

223

Una vera e propria legittimazione ad agire in capo all’individuo,

comunque, è prevista dall’articolo 313, comma 7, in forza del quale

“[…] Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal

fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro

proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei

diritti e degli interessi lesi”. Posto che, come è stato osservato,

224

la

norma non avrebbe alcun carattere innovativo (limitandosi a

confermare l’applicazione delle ordinarie regole previste nel Titolo IX

Libro quarto del Codice civile), sarebbero due, piuttosto, le

implicazioni di siffatta scelta legislativa. Da un lato, la stessa

rafforzerebbe la distinzione fra danno (pubblico)

225

ambientale (in cui

sarebbe tutelato il bene giuridico in sé considerato)

226

e le tradizionali

ipotesi di danno riflesso (o danno-conseguenza), normalmente

risarcibili ex art. 2043 ss. c.c.; con ciò tradendo l’idea, in ultima

analisi, che il danno all’ambiente, quale bene giuridico unitario ed

immateriale

227

in sé considerato, non possa mai essere risarcito

222 Cass, Sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, Giur. it., 2000, p. 22 ss.

223 Cfr. E. LECCESE, op. cit., pp. 150-160, «Ciò che muta in materia di ambiente

sono alcune coordinate della relazione: ben può configurarsi una relazione individuale con il bene, ma mentre nella configurazione classica del diritto soggettivo il bene è insuscettibile di relazioni individuali quantitativamente indeterminate, in questo caso il bene è suscettibile di molteplici ed indeterminate relazioni tutte individuali: ancora una volta ciò che deforma l’immagine è la lente del diritto soggettivo modellato sul diritto di proprietà».

224 Vd. P. DELL’ANNO, op. cit., p. 353, «Con tale disposizione, non sembra, però,

che il testo unico in materia ambientale abbia voluto riconoscere una particolare legittimazione ai privati, se non il diritto di promuovere […] tutte le azioni […] nel rispetto dei principi di cui all’art. 2043 c.c.».

225 Cfr. G. SALVI (2007), op. cit.; sulla configurabilità del danno ambientale, in

quanto pubblico, nell’ordinamento italiano vd. P. MADDALENA, Danno pubblico

ambientale, Rimini, 1990. 226 Vd. supra.

227 Vd. note 177 e 178; Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641, cit., c. 694 ss.:

“L'ambiente è stato considerato un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità. Il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa

55

all’individuo.

228

Dall’altro lato, il legislatore fornirebbe una chiara

indicazione a favore della risarcibilità del danno, derivante da illecito

ambientale, di natura anche non patrimoniale.

229

L’ultima disposizione da analizzare, infine, è rappresentata

dall’art. 314, comma 3 concernente la quantificazione del danno: “3.

La quantificazione del danno deve comprendere il pregiudizio arrecato

alla situazione ambientale con particolare riferimento al costo

necessario per il suo ripristino”. Da un rapido confronto con la

disciplina previgente,

230

emerge come il legislatore delegato non abbia

voluto riproporre quei peculiari criteri di liquidazione che avevano

indotto la dottrina a parlare di manifesta vocazione sanzionatoria,

limitandosi, altresì, al “costo necessario per il ripristino”.

231

Se, però, si

tiene maggiormente conto del dato letterale, non può non attribuirsi

rilievo all’uso dell’espressione “con particolare riferimento”, poiché la

stessa

assegnerebbe

al

suddetto

parametro

una

valenza

esemplificativa, piuttosto che esaustiva,

232

con la conseguenza che,

essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in considerazione”.

228 Vd. A. FERRI (2007), op. cit., p. 394, dove l’A. critica la scelta legislativa

riportando, fra l’altro, una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. III, 5 aprile 2002, in Rep. Foro it., 2002, Sanità pubblica, n. 717 ss.), «il danno ambientale presenta una triplice dimensione: personale (quale lesione del diritto fondamentale all’ambiente di ogni uomo), sociale (quale lesione del diritto fondamentale all’ambiente nelle formazioni sociali in cui si sviluppa la personalità umana ex art. 2

Cost.) e pubblica (quale lesione del diritto-dovere pubblico spettante alle istituzioni

centrali)».

229 Cfr. P. DELL’ANNO, op. cit., p. 357, «La norma nel consentire la risarcibilità,

nei confronti dei soggetti privati di tutti i danni prodotti da illecito ambientale, annovera espressamente il diritto alla salute, ammettendo la risarcibilità del cd. danno biologico, ormai pacificamente considerato quale voce di danno non patrimoniale […]».

230 Vd. supra; art. 18, comma 6, L. 349/1986.

231 Cfr. G. SALVI (2007), op. cit., p. 667, «Emerge con chiarezza che il T.U.

ambientale ha ripreso dalla direttiva europea uno degli elementi più negativi, cioè la carenza di quel forte carattere sanzionatorio che, al contrario, l’art. 18 possedeva attraverso la particolare modalità di quantificazione del danno […]».

232 Cfr. P. DELL’ANNO, op. cit., p. 356, «Al riguardo, parte della dottrina ha

affermato che il particolare riferimento effettuato dalla norma […] andrebbe letto nel