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La prospettiva rimediale

2. Funzioni diverse a seconda della fattispecie

2.3. La funzione determinante

2.3.1. La prospettiva rimediale

Per prospettiva rimediale si intende quell’insieme mobile di

tecniche di tutela a presidio di interessi protetti dall’ordinamento,

ancorché non tipizzati in diritti soggettivi o azioni.

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Essa prende le mosse dalla nozione di rimedio e dalla sua

autonomia concettuale rispetto a quella di diritto soggettivo. Se

entrambe denotano strumenti atti a dare rilevanza giuridica ai

molteplici interessi che emergono dalla realtà sociale, bisogna

sottolineare che differenti sono i livelli in cui i due oggetti operano e le

rispettive fonti. I diritti soggettivi, specie se assoluti, necessitano di una

norma (quale che sia la sua posizione nella gerarchia delle fonti)

174 Art. 2600 c.c.: “Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con

colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei danni. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume”.

175 Cfr. G. GHIDINI, op. cit., p. 495, «Questione diversa, noto per inciso, è se

nell’esercizio della inibitoria sia ammesso il titolare di un mero interesse alla prevenzione: non portatore, cioè, di un contestuale interesse al risarcimento. Chi lo neghi, richiamandosi al testo dell’art. 2043 e alla tradizione, non potrà non constatare, nuovamente, la posizione privilegiata dell’interesse imprenditoriale nella complessiva disciplina dell’illecito. Là dove (rapporti di concorrenza) tale interesse è destinatario della tutela, la inibitoria è ammessa indipendentemente dalla verificazione di un danno (artt. 2599-2600); là dove l’impresa, in quanto propagatrice di rischi, appare tipicamente in posizione “passiva” rispetto alla massa dei potenziali danneggianti, la inibitoria verrebbe ammessa (e così grandemente limitata) solo in presenza di un effettivo evento dannoso subìto dal richiedente».

176 Cfr. A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, cit., pp. 57-58, «la

prospettiva rimediale ha riguardo ad un piano mobile di tecniche di tutela, che intende costituire risposta a bisogni di tutela via via emergenti e sovente non tipizzati in categorie riconosciute di diritti o di azioni. Si è parlato di “dispostivi tecnici” a stretto ridosso del bisogno di tutela».

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attributiva dei medesimi ai singoli individui, mentre i rimedi nascono

dalle pronunce dei giudici.

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Inoltre i primi operano sul piano della

protezione, e non già della tutela, come invece i secondi.

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Circa i rapporti fra le due entità è possibile dire che: il rimedio può

conseguire alla violazione tanto di un diritto quanto di un interesse

ritenuto giuridicamente rilevante;

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è poi teleologicamente orientato,

in quanto predisposto dall’ordinamento in ragione di uno specifico

obiettivo;

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infine, esso può precedere il diritto soggettivo

“ogniqualvolta la forma di tutela […], non essendo sempre ancorata

alla violazione di diritti soggettivi nominati ma ad interessi ritenuti

rilevanti, sarà la sede [di decisione] di questa rilevanza”.

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L’ultimo aspetto è specialmente importante nell'economia di

questo lavoro. La crescente attenzione verso tali strumenti si spiega, è

stato osservato,

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in ragione del fatto che la logica del diritto

soggettivo e della perdita da compensare non sempre risulta efficiente

sul piano della tutela. Per comprendere meglio il discorso è opportuno

introdurre un esempio paradigmatico: la tutela della persona.

177 Cfr. A. DI MAJO (2005), Il linguaggio dei rimedi, in Eur. dir. priv., 2005, p. 342.

In tal senso si guardi al ruolo di supplenza riconosciuto ai giudici nell’esercizio di poteri equitativi, come rilevato da A. Ravazzoni: «l’equità consiste nel fatto che il giudice ha il potere di dire ciò che direbbe anche il legislatore, se fosse stato presente e di decidere in ordine ad una determina, singola vicenda, alla stessa maniera come avrebbe deciso il legislatore […] l’equità rappresenta, come è stato autorevolmente detto, le valvole e gli organi respiratori dell’ordinamento: il mezzo con il quale, nella materia specifica, esso resta a contatto con il mutare delle situazioni o delle concezioni sociali» (A. RAVAZZONI, , La riparazione del danno non patrimoniale, Giuffrè, 1962, pp. 169 ss.).

178 Ivi, p. 341, «la funzione storica dell’ordinamento giuridico non è solo quella di

dare ordine e sistemazione alle relazioni sociali ma di fornire risposte in positivo ove violazioni siano realizzate»

179 Si pensi alle azioni possessorie, esperibili in ragione della lesione non già di un

diritto soggettivo.

180 Vd. D. MESSINETTI (2005), Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali,

in Eur. dir. priv., 2005, p. 612, «il metodo rimediale si basa sull’efficienza, cioè, su successo della proposta che esso incorpora. Sicché, per assolvere a questa esigenza, deve, anch’esso, ragionare in termini di ratio […] a) ratio delle soluzioni prima consolidate; b) ratio dell’innovazione giurisprudenziale ed, eventualmente, nuova

ratio che un intero istituto viene assumendo per effetto di tali innovazioni». 181 A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, cit., p. 343.

182 Cfr. D. MESSINETTI, op. cit., p. 608, «l’analisi rimediale […] viene, per

definizione, giustamente invocata contro le generalizzazioni della concettualizzazione giuridica».

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Un primo problema risiede a monte, e cioè nel fatto che, come

visto, un eventuale diritto della personalità richiede una previsione

normativa, ma non sempre il legislatore è in grado di intercettare

tempestivamente i mutamenti della realtà sociale.

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In questo modo il

problema della rilevanza giuridica della persona viene risolto

aggiungendo nuovi diritti soggettivi della personalità, con ciò

subordinando il momento della tutela a quello della definizione

legislativa: il diritto soggettivo diviene quindi un limite alla tutela della

persona. Viceversa, laddove il presupposto della reazione sia un

bisogno emergente dalla realtà, a sua volta non considerato dal

legislatore e, tuttavia, parimenti connaturato alla persona, ecco che la

prospettiva rimediale si lascia preferire.

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Il secondo problema riguarda, invece, la valenza compensativa. Si

è già osservato che la compensazione è riconducibile alla nozione di

danno risarcibile e quindi ad una visione patrimonialistica che

richiama, a sua volta, l’idea dell’appartenenza. Ma v’è di più:

quest’ultima, ancora, è coerente con la logica stessa del diritto

soggettivo, e non potrebbe essere altrimenti.

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Quindi, sulla scorta

183 Ivi, p. 606, «i tempi della modernità […] mettono in crisi il vecchio

concettualismo classificatorio della dottrina civilistica, come provano ampiamente le manifestazioni del diritto comunitario e internazionale»; F. QUARTA, op. cit., p. 518, «Né può darsi per scontato che l’universo dei dati giuridici rilevanti in seno all’illecito civile si esaurisca entro una dimensione puramente individualistica, traendo linfa argomentativa dalla sola alterazione in pejus verificatasi nella sfera del danneggiato. La rappresentazione tipica della giustizia correttiva […] è espressione di una forma parziale di giustizia, che può presto rivelarsi insufficiente».

184 Ivi, p. 617, «paradigma solitamente seguito dalla dottrina […] risolve ogni

problema di tutela dei valori personalistici semplicemente aggiungendo un nuovo diritto della personalità a quelli già emersi nella prassi sociale […] l’analisi rimediale produce un effetto che diremmo “terapeutico”, nel senso che essa è in grado di cogliere e svelare quei significati che sono nascosti o non elaborati nella formazione di categorie giuridiche generalizzate».

N.B. si ricordi che «Il “rimedio” non sempre ha bisogno di appoggiarsi ad un diritto ma sicuramente ad un interesse in qualche modo protetto e che risulta, allo stato, leso o insoddisfatto» (A. DI MAJO, il linguaggio dei rimedi, p. 341).

185 D. MESSINETTI, op. cit., p. 614, «vi è, o non, nel nostro ordinamento una

considerazione dell’essere (alla cui dimensione ricondurre il problema della persona in quanto tale) non riconducibile alla considerazione ed alla tutela dell’avere (alla cui dimensione è invece certamente significativa la categoria del diritto soggettivo)?».

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delle medesime considerazioni svolte sopra, esistono aree in cui la

funzione compensativa è inefficiente.

Ed allora a quali conseguenze conduce una lettura in via rimediale

della responsabilità civile?

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Se il rimedio può essere sottoposto a un test di efficienza, in

termini di maggiore effettività della tutela, e se molteplici possono

essere le relative funzioni, allora l’istituto aquiliano non può più

concepirsi come unitario; se a ciò si aggiunge che il rimedio

presuppone anche solo la lesione di un interesse protetto,

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allora il

danno risarcibile (nel senso di cui al § 2.3.) non è più elemento

costitutivo della fattispecie.

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Ancora una volta, in definitiva, è la funzione a determinare il

danno.

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186 Cfr. C. SALVI, Il danno extracontrattuale, cit., p. 290, «il modello aquiliano si è

rivelato il recipiente più adatto, nello strumentario della tutela civile, a raccogliere le istanze dirette, da un lato, alla riparazione generalizzata dei danni, e, dall’altro, ad assicurare la protezione di “diritti” nuovi, e anzi la possibilità stessa, talvolta, di affermarne la giuridica rilevanza».

187 Cfr. S. RODOTÀ, op. cit., p. 606, «Diventa così plausibile parlare di un modello

di responsabilità orientato verso i danni e di uno orientato verso gli interessi?».

188 Vd. A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, cit., pp. 65 ss., secondo l’A.

l’esperienza dei danni punitivi nordamericani consiste nel considerare la RC un rimedio in funzione di deterrenza basato, tuttavia, sul postulare l’esistenza di danni fittizi da risarcire. Mentre, per l’A. stesso la prospettiva rimediale consiste nell’apprestare rimedi che “bypassano” le ipotesi di danno, come si evince nel seguente passo «Si tratta dunque di bypassare la conformazione della regola contenuta nell’art. 2043 e cioè del sintagma fatto-danno ingiusto per (giungere a) ritenere sufficiente che la lesione abbia a materiarsi con riguardo ad interessi già rilevanti e che l’ipotesi di danno […] possa essere assunta ad oggetto del rimedio».

189 Ivi, p. 61, «la prospettiva rimediale, in quanto disancorata dalla fattispecie e dalla

valenza compensativa di cui la stessa si è resa espressione, si dimostra più flessibile e adeguata rispetto alla tutela di interessi che non sono suscettibili di tecniche compensative secondo logiche di scambio e comparazioni ma, semmai, di essere

restaurati nella loro identità originaria o, in alternativa, che la loro lesione sia

sanzionata con forme penalizzanti, a tal punto da fare bene sperare nell’esito dell’opera di prevenzione»; C. SALVI, Il danno extracontrattuale, cit., p. 284, «ogni definizione di danno in termini di lesione (o violazione) del diritto (o dell’interesse) [è] riduttiva e inappagante. Il contenuto della nozione non può essere descritto prescindendo dalla funzione della tutela. E da tale funzione esula la reintegrazione della situazione soggettiva lesa».

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