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Analisi economica della responsabilità civile

1. L’analisi economica del diritto: breve introduzione

1.2. Analisi economica della responsabilità civile

I temi principali della AED riguardano:

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antitrust e tutela della

concorrenza; proprietà; contratti; responsabilità civile; illeciti penali;

teorie dell’impresa.

Molto importante è stata, e tuttora continua ad essere, la sua

applicazione alla disciplina dell’illecito aquiliano. Non a caso sono

113 “Una qualsiasi scelta pubblica è preferibile se genera un incremento nel reddito

reale tale da avvantaggiare una parte della collettività in modo tale da poter compensare quella danneggiata dal provvedimento. Indipendentemente dal fatto che la compensazione abbia luogo”.

114 N.B. è necessario che ciò sia solo potenziale e non già obbligatorio, poiché

altrimenti il criterio equivarrebbe a quello paretiano.

115 Cfr. A. LAINO, op. cit., p. 18, «L’analisi costi-benefici valuta l’impatto di un

determinato intervento sulla collettività di riferimento: per questo motivo il primo nodo da sciogliere per sviluppare quest’analisi è l’individuazione dell’ambito territoriale, sociale e temporale di riferimento».

116 Ivi, p. 19, «La disponibilità a pagare di un gruppo di individui per fruire, o evitare,

un determinato intervento pubblico può misurarsi come variazione del surplus del consumatore (o del produttore) relativo a quel gruppo»; cfr. R. A. POSNER,

L’economia e il giurista, cit., p. 51, «La volontà di pagare, che è alla base dei

concetti di valore e di efficienza, è funzione di molte cose, in particolare della distribuzione del guadagno e della ricchezza».

117 Vd. Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, parte II “Procedurte per la

valutazione ambientale d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC)”.

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stati proprio i contributi offerti a quest’ultima ad agevolare la

diffusione della AED in Europa.

Innanzitutto occorre una premessa di fondo relativa alla funzione

della RC.

Nella logica consueta del calcolo utilitaristico,

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la tutela

aquiliana, quale tecnica di controllo sociale, è considerata come un

sistema complesso di incentivi, finalizzato alla internalizzazione delle

esternalità negative prodotte.

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Rientrano in questa categoria i danni:

“costi imposti su soggetti estranei all’attività generatrice del danno, al

di fuori del meccanismo consensuale del mercato”.

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Se, come visto, tradizionalmente il fondamento giustificativo

dell’istituto viene fatto risalire ad un’idea di giustizia correttiva, in

forza della quale ogni “rottura dell’equilibrio” deve essere ristabilita,

diversamente la AED ne individua la ratio nella nozione di efficienza

economica. Da ciò consegue, non già ogni ristabilimento del benessere

(fra i soggetti interessati) preesistente al danno, quanto invece solo

quelli spostamenti di ricchezza idonei a ricondurre il mercato in una

condizione di naturale equilibrio.

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119 Cfr. A. LAINO, op. cit., p. 65, «Secondo Becker […] le scelte comportamentali

degli individui rappresentano il frutto di un calcolo utilitaristico: ogni soggetto seleziona i propri comportamenti sulla base dell’utilità marginale e adotterà condotte illecite se queste gli assicurano un maggior beneficio rispetto agli alternativi comportamenti leciti».

120 Vd. G. FREZZA – F. PARISI, op. cit., p. 3.

121 Ibidem; A. LAINO, op. cit., p. 68, «Il danno è definibile come un’esternalità

negativa che emerge da un’attività di produzione, o di consumo, che comporta una riduzione livello di utilità, o un aumento del costo di produzione, per il danneggiato, senza che questi fenomeni siano internalizzati nel prezzo».

N.B. Il danno è visto in una dimensione collettiva, come costo sopportato dalla società; secondo questa prospettiva, per la nozione economica di danno è indifferente che esso sia stato sopportato dal singolo come lesione di una situazione giuridico soggettiva a questi esclusivamente riferibile: ciò che conta è che la società abbia sopportato il costo dell’alterazione in pejus di un quid ritenuto meritevole di tutela (vd. supra Cap. II, § 2.3.).

122 Si faccia un confronto fra la concezione classica, «[corrective justice theories]

hold that, as a matter of individual justice between the plaintiff and the defendant, the defendant who has caused an injury to the plaintiff in violation of his rights in his person or property must compensate him for such injury, wheter or not imposition of liability will further some collective social goal» (R. W. WRIGHT, Actual Causation

v. Probabilistic Linkage: The Bane of Economic Analysis, 14 J. LEGAL STUD. 435,

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Ma a questo punto occorre chiedersi: perché internalizzare?

Dalla regola marginalista si ricava che il livello efficiente di una

determinata attività corrisponde al punto in cui beneficio marginale e

costo marginale si eguagliano.

123

Poiché un soggetto razionale, cioè

massimizzatore del proprio benessere individuale, tende ad attestarsi su

tale livello, allora è lecito attendersi che il suo calcolo privato di utilità

coinciderà con quello sociale. Nel momento in cui quella data attività è

suscettibile di produrre delle esternalità negative (i.e. il danno, cioè dei

costi sopportati dalla società), poiché per definizione il relativo costo

non è sopportato dall’autore dell’attività generatrice, le due funzioni di

utilità non coincideranno più: la curva del costo marginale originaria si

è duplicata in due distinte (una per l’agente, che continua ad essere

quella del caso senza esternalità; una per la società), quindi saranno

due le intersezioni con la curva del beneficio marginale (rimasta

invariata). È facile constatare che, dal punto di vista della società, il

livello efficiente di attività è sempre inferiore a quello individuale.

124

Se da un lato il teorema di Coase dimostra che, come per tutte le

esternalità, il Mercato può risolvere tale problema,

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dall’altro si è

vittima delle esternalità negative […] Queste forme di compensazione saranno, invero, desiderabili solo se risulteranno essere gli strumenti più economici per ricondurre il mercato alla sua dinamica ottimale […] La funzione del sistema di responsabilità civile […] non è quella di rimuovere le conseguenze negative degli incidenti. Infatti, una volta verificatisi, gli incidenti causano danni che la società nel suo complesso non ha modo di annullare. È, invece, cruciale decidere su quali individui, all’interno della compagine sociale, debbano, in ultima istanza, ricadere i costi di tali conseguenze dannose» (G. FREZZA – F. PARISI, op. cit., p. 6 ss.).

123 Ivi, p. 5, «In un sistema di concorrenza perfetta, il punto di equilibrio viene

determinato dalla intersezione della curva di domanda con la curva di offerta. In questo punto il prezzo del bene e la relativa quantità ceduta o prodotta sono detti ottimali, in quanto solo in tal punto di intersezione costo marginale ed utilità marginale si equivalgono e, secondo i parametri della welfare, il benessere sociale viene ad essere massimizzato».

124 Cfr. G. FREZZA – F. PARISI, op. cit., p. 8, «la presenza di esternalità non

internalizzate (ovvero di danni non risarciti) crea una divergenza tra i costi privati (i costi che ricadono sul soggetto agente) ed i costi sociali (categoria che ricomprende altresì i costi che ricadono su altri soggetti o sulla società nel suo complesso). A seguito di tale divergenza, viene a mancare la presunzione di efficienza delle scelte individuali che è normalmente promossa dagli incentivi di razionalità economica del mercato».

125 Assumiamo che l’esternalità negativa consista nell’inquinamento generato da

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visto

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che non sempre siffatta soluzione è possibile.

127

Conseguentemente si può (rectius si deve) ricorrere ad altre tecniche,

come le regole di RC.

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I modi attraverso i quali la tutela aquiliana assolve a tale compito

sono sostanzialmente tre: incentivando la riduzione dei rischi;

allocando efficientemente il rischio in caso di incidente; riducendo i

costi amministrativi per la gestione degli incidenti.

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Astrattamente, l’equivalenza fra danno risarcito e danno subìto si

può spiegare in quanto permette agli agenti di tenere conto delle

esternalità prodotte, così riallineando le funzioni di utilità privata e

danneggiato il fondo del vicino B. Se questo valuta maggiormente il proprio diritto ad essere esente da inquinamento, sarà disposto a pagare a B una certa somma S tale da convincerlo a produrre non già la quantità pur lui efficiente (XA), quanto quella

efficiente socialmente (XE). Ovviamente produrre una quantità inferiore significa, per

l’impresa, accettare una contrazione dei propri guadagni P (pari a: (XA - XE) ∙ il

prezzo di ogni unità di prodotto), quindi la stessa accetterebbe soltanto con S > P; mentre il contadino è disposto a pagare una somma che non ecceda il danno derivante dall’inquinamento. Se le due condizioni sono entrambe soddisfatte, non solo le due curve dei costi si riallineano, ma addirittura aumenterebbe il benessere sociale.

126 Vd. supra § 1.

127 Alla base vi sono le riflessioni dell’analisi pigouviana, «Pigou suggerisce di creare

un sistema di incentivi che costringa gli operatori economici a prendere in considerazione i costi marginali delle diseconomie esterne. A tal fine Pigou suggerisce di computare il costo sociale di una determinata attività attraverso la somma aritmetica di tutti i costi diretti ed indotti da essa prodotti. Così ottenuta, tale somma andrà confrontata con il corrispondente costo individuale, e la differenza compensata con un sistema di imposte o di sussidi, da computarsi in modo tale da far slittare la curva del costo marginale individuale verso la curva del costo marginale sociale, fino a coincidere con essa» (G. FREZZA – F. PARISI, op. cit., p. 7); A. LAINO, op. cit., pp. 68-69, «In presenza di esternalità non è indispensabile ricorrere ad un meccanismo di responsabilità per la correzione di questo fallimento allocativo. È possibile ricorrere, in alternativa, alla proprietà e al contratto […] Si rende necessaria la previsione di un sistema di responsabilità per quei casi di esternalità non eliminabili attraverso la contrattazione privata. Questo è tanto più vero quanto più elevati sono i costi di transazione».

128 Cfr. G. CALABRESI, Costo degli incidenti e responsabilità civile, cit., pp. 45-46,

«Parlando di incidenti, parliamo di costi, perché la interdipendenza dei due concetti è ovvia. A dire il vero, parliamo anche di fattori emotivi e morali, sempre però in rapporto ai costi. In caso contrario, daremmo l’impressione di voler evitare gli incidenti “a tutti i costi”. Ne consegue che, tutte le volte che esaminiamo un qualsiasi sistema di responsabilità civile dobbiamo sempre riflettere sul costo della sua istituzione e del suo esercizio, oltre che sui vantaggi che speriamo di trarne; costi e vantaggi che debbono poi essere messi a confronto con quelli degli altri sistemi».

129 Ivi, p. 50 ss., in cui l’A. distingue, rispettivamente, in funzione primaria,

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sociale.

130

Ma è vero anche che nell’ottica della AED, l’esigenza

distributiva alla base del trasferimento di ricchezza fra danneggiante e

vittima è ritenuta assolvibile dal sistema assicurativo.

131

Ancora una

volta, la compensazione della vittima non è considerata compito

precipuo dell’istituto.

132

Viceversa, ciò che interessa è la creazione di un sistema di

incentivi ottimali, che permetta di minimizzare il costo degli

incidenti:

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tanto la minaccia del danno da risarcire, quanto il rischio

di dover sopportare il danno subìto, sono idonee ad esercitare

un’adeguata pressione, rispettivamente, su danneggianti e vittime.

Indubbiamente lo scopo delle regole di RC risiede nella deterrenza.

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130 Ivi, p. 66, «Nell’ipotesi di condanna di un fatto illecito, per definire l’utilità

complessiva per l’individuo, è necessario sottrarre alle utilità derivanti dall’attività, la disutilità connessa alla sanzione».

131 Ivi, p. 65, «Prima dello sviluppo del mercato assicurativo, la previsione di un

sistema di responsabilità forniva alle vittime una fonte di risarcimento, quindi la previsione dell’illecito civile era necessaria sia come deterrente, sia come elemento di refusione del danno».

132 Vd. G. CALABRESI, Costo degli incidenti e responsabilità civile, p. 51, «l’idea

secondo la quale una delle funzioni principali della responsabilità civile consisterebbe nel risarcimento delle vittime, è in realtà un modo equivoco, anche se talvolta utile, per definire la funzione di riduzione “secondaria” [il primo fine della RC consiste nella riduzione del numero e della gravità dei sinistri; il secondo nella riduzione del costo degli incidenti sopportati dalla società; il terzo nella riduzione del costo di amministrazione della RC] Il fatto che io abbia “definito” “secondaria” l’idea del risarcimento, non deve, peraltro, trarre in inganno sulla sua importanza. Non c’è dubbio che il modo in cui provvediamo alle vittime dopo l’incidente abbia un’importanza cruciale, e che il vero costo sociale dei sinistri possa essere ridotto in quel momento altrettanto efficacemente che mediante la previsione di strumenti atti a prevenire gli incidente stessi. Di fine “secondario” si può dunque parlare solo nel senso che non entra in giuoco se non quando sono fallite le tecniche di riduzione “primaria” del costo dei sinistri».

133 Ivi, p. 50, «A parte gli imperativi imposti dalla funzione di giustizia, è fuor di

dubbio che la funzione principale della responsabilità civile sia quella di ridurre il più possibile il costo dei sinistri e il costo per evitare i sinistri».

134 Ivi, p. 53, «riduzione “primaria” dei costi, mediante il metodo di prevenzione

generale, o del mercato, e il metodo della prevenzione specifica, o collettivo». N.B. relativizzare l’operatività dell’istituto ad esigenze di mera compensazione rischia di determinarne un impiego sub-ottimale. Infatti occorre considerare: le difficoltà di determinazione del quantum (si pensi al danno non patrimoniale); la possibilità che dall’attività illecita l’agente possa ricavare più di quanto cagionato (e quindi risarcito); la circostanza che le vittime non si attivino (soprattutto si pensi a danni diffusi che complessivamente considerati ammontano a cifre notevoli, ma che considerate singolarmente non rappresentano dei validi incentivi ad agire, specie se confrontate con i costi e l’aleatorietà del processo); G. ALPA – M. BESSONE, La

responsabilità civile, vol. II, Giuffrè, 1980, pp. 185-186, «l’analisi di Atiyah registra

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Poiché nella logica della AED tutti gli istituti giuridici devono

confrontarsi con il test dell’efficienza, riprendendo allora la metafora

della torta, si deve preferire la regola di responsabilità che minimizzi il

costo degli incidenti: assumendo l’inevitabilità degli stessi e posto che

gli incidenti distruggano benessere sociale, si deve selezionare la

regola che meglio di tutte le altre limiti tale distruzione di ricchezza.

Nell’operare una simile valutazione, però, non si deve dimenticare

che: da un lato, investire in prevenzione comporta l’impiego di risorse,

quindi distruzione di ricchezza,

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mentre dall’altro, la probabilità e/o

l’ammontare degli incidenti sono funzioni decrescenti del livello di

prevenzione del danneggiante potenziale. Quindi, è parimenti

inefficiente adottare costi di prevenzione tendenti all’infinito oppure

troppo bassi: “ne segue che lo scopo economico principale delle regole

di responsabilità civile è quello di indurre gli agenti a livelli di

prevenzione ottimali x*. Le regole di responsabilità sono efficienti se

conducono gli agenti a tale livello x* che minimizza il costo sociale

atteso”.

136

Un altro problema tipico della responsabilità civile consiste nella

definizione di fatto illecito; tenendo conto della relazione fra

prevenzione e ammontare di danni (attesi) e considerando sullo sfondo

i costi della prevenzione, si può ricavare che è fatto illecito l’aver

concetto di public policy, la cui identificazione, all’interno delle singole tendenze giurisprudenziali, è premessa imprescindibile per individuare le ragioni dell’evolvere delle regole dell’illecito. L’impiego […] di policies di natura economica e sociale non può, infatti, che modificare gradualmente i confini della law of torts, prefigurando nuovi modelli di decisione […] per una riforma del sistema vigente, nella quale si tenta di realizzare secondo moduli razionali un complesso tra prevenzione e compensation dei danni, da un lato, e libero svolgimento delle attività private, dall’altro. Il passaggio da forme di responsabilità “individuale” e “soggettiva” a forme di responsabilità “collettiva” che […] documenta la tendenza, in atto negli ordinamenti continentali e di common law ad abbandonare gli schemi della responsabilità civile per delineare un sistema più organico ispirato a principi di sicurezza “sociale”».

135 P. G. MONATERI, Costo e prevenzione degli incidenti, in Analisi economica del diritto privato, cit., p. 282, «Adottare misure preventive spesso significa spendere

denaro o perdere tempo, o tollerare altre scomodità. I costi di prevenzione aumentano all’aumentare delle misure di prevenzione».

136 Ivi, p. 285. Si segnalano le pagine precedenti dello stesso A. per la dimostrazione

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irragionevolmente posto un rischio (tradottosi in danno) in capo alla

vittima (rectius alla società). L’irragionevolezza della condotta

negligente, a sua volta, non è espressa da regole di buon senso o di

prassi sociale,

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bensì da una semplice regola matematica, nota come

“formula di Hand”:

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il comportamento è da ritenersi negligente se il

sacrificio economico necessario per evitare il danno (rectius i costi di

prevenzione che distruggono ricchezza) risulta inferiore al prodotto tra

prevedibile costo del danno per la probabilità del suo accadimento.

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In questo modo si individua un criterio tendenzialmente obiettivo,

avulso da più o meno generiche petizioni di principio,

140

e

137 A. P. HERBERT, Uncommon Law; Being Sixty-Six Misleading Cases Revised and Collected in One Volume, Including Ten Cases not Published Before, London:

Metheun, 1952, «[Reasonable man] è colui che invariabilmente guarda dove sta andando e che con accuratezza esamina il terreno innanzi a lui prima di fare un salto; colui che non guarda per aria e che non è mai assorto nei suoi pensieri quando si avvicina a qualche trabocchetto od ai margini di una banchina […] Privo, insomma di ogni debolezza [egli è] senza alcun difetto, senza pregiudizi, senza indugi, senza cattivi umori, avarizia o svagatezza, così attento per la sicurezza altrui come lo è per la propria. Questa eccellente ma odiosa creatura si erige come un monumento nelle nostre aule d’udienza, invano appellandosi ai suoi concittadini al fine di far loro seguire il proprio esempio»; G. FREZZA – F. PARISI, op. cit., p. 29 ss., «Al fine di fornire un criterio di valutazione della responsabilità meno evanescente, verso l’inizio del XX secolo, la giurisprudenza nord-americana, nell’istruire la giuria in

negligence cases, affermò più volte che l'uomo di ordinaria prudenza andava

identificato con l’uomo medio […] La giuria veniva, così, istruita in modo tale da effettuare una valutazione di carattere sociale. Nel 1901, nel caso Yerkes v. Northern

Oac. Ry. Co. […] il reasonable man viene descritto come the man in the street […]

In posizione ancora più estrema, si colloca un consolidato gruppo di decisioni, che nega alla giuria la possibilità di ritenere negligente colui che si uniforma alla prassi di settore […] L’identificazione della ragionevolezza ordinaria con la prassi di settore, nasce, quindi, “come tentativo per ridurre l’incertezza legata alla nozione di

reasonable care” […] [Ma] l’adozione di una simile formula nelle istruzione delle

giurie mostrò ben presto, però, la sua incompletezza».

138 Ivi, p. 40 ss., «Nel 1947 il giudice federale Learned Hand, nella motivazione di United States v. Carroll Towing Co., esprimeva – per la prima volta attraverso l’uso

di una formula matematica – il difficile rapporto tra i vari fattori legati alla valutazione della colpa extracontrattuale […]», in altri termini, «Secondo la Hand formula, se il costo della prevenzione – o, se inferiore, il costo del mancato esercizio dell’attività – eccede il costo del prevedibile danno, non sarà opportuno incoraggiare una siffatta dispersione di risorse, investendo in misure di cautela».

139 Dati B (costi di prevenzione), P (probabilità del danno) e L (gravità del danno

stesso), esiste responsabilità se B < P ∙ L; C. H. SCHROEDER, op. cit., p. 463, «Determinations of negligence thus require some capacity to assess the magnitude and likelihood of harm in order to compare it to available precautions and to assess alternative action possibilities».

140 Cfr. R. A. POSNER (2004), Pragmatic Liberalism versus Classical Liberalism, in The University of Chicago Law Review, Vol. 71, No. 2 (Spring 2004), p. 663,

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cionondimeno coerente con l’essenza stessa dei giudizi di

responsabilità: la valutazione comparativa degli interessi coinvolti.

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