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Criteri di determinazione del quantum risarcibile

2. Funzioni diverse a seconda della fattispecie

2.1. La funzione punitiva

2.1.3. Criteri di determinazione del quantum risarcibile

La regola operativa che presiede alla funzione risarcitoria è la ben

nota regola dell’equivalenza,

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in forza della quale unico parametro di

determinazione del danno risarcibile è l’ammontare esatto della perdita

subita;

80

ne consegue che ogniqualvolta l’applicazione di tale criterio è

78 Vd. R. JHERING, op. cit., p. 144, «presso noi il torto subiettivo è disceso al grado

di quello puramente obiettivo. Tra il debitore, che impudentemente contesta il prestito fattogli, e l’erede che fa altrettanto in buona fede; tra il mandatario che mi ha ingannato, e colui che ha preso semplicemente errore; insomma, tra la violazione intenzionale, fraudolenta, e l’ignoranza e l’errore non sa il diritto nostro mettere alcuna differenza»; P. CENDON, Il dolo nella responsabilità extracontrattuale, Giappichelli, Torino, 1976, passim; F.D. BUSNELLI – S. PATTI, op. cit., p. 125, «una difesa della regola generale di responsabilità soggettiva come “criterio che serve i proprî tempi” è stata condotta sul versante degli illeciti di dolo (esteso a figure come la malafede, la reticenza, la frode, ecc.), con l’intento di coniugare un allargamento dell’area della responsabilità […] con una rivalutazione della funzione preventivo-punitiva della responsabilità civile»;

N.B. Il tema rievoca il requisito della c.d. malice dei danni punitivi nordamericani, quindi si rinvia al cap. 3 per ulteriori approfondimenti.

79 Vd. nt 50.

80 N.B. Qui il danno assume la duplice funzione di presupposto e di criterio di

quantificazione dell’obbligazione nascente da fatto illecito; tuttavia cfr. C. SCOGNAMIGLIO (2007), op. cit., p. 2489, «nella prospettiva iniziale della lex

80

impossibile

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ovvero non esclusiva, poiché affiancata o surrogata da

altre considerazioni, non può sostenersi che la funzione precipua svolta

dall’obbligazione pecuniaria sia quella compensativa.

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Cercando di razionalizzare il novero di questi possibili ulteriori

parametri, essi sono individuabili in: gravità dell’offesa, intensità della

colpevolezza, condizione patrimoniale del danneggiante, arricchimento

realizzato mediante fatto ingiusto. Se il primo può assumere,

potenzialmente, un carattere neutro,

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gli altri tre tradiscono

Aquilia, il danno economico era solo il presupposto per l’esperibilità dell’azione, non

l’oggetto della aestimatio».

81 È il problema centrale del danno non patrimoniale, vd. § 4.

82 Vd. P. GALLO, op. cit., «Può infatti iniziare a parlarsi di pene private solo quando

ai fini della quantificazione vengono presi in considerazione fattori non strettamente attinenti all’entità del danno effettivamente inferto»; F.D. BUSNELLI – S. PATTI,

op. cit., p. 190, «la caratteristica peculiare della pena privata consiste nella mancanza

di una necessaria corrispondenza tra il vantaggio pecuniario che il soggetto leso consegue e il danno effettivamente subito. La pena si scorge appunto nell’eccedenza»; SCOGNAMIGLIO (2007), op. cit., p. 2490, «si può convenire sull’assunto che di funzione deterrente [e sanzionatoria] della responsabilità civile sia dato parlare […] quando la medesima qualificazione soggettiva, o i vantaggi che l’autore del fatto deriva dal compimento del medesimo, siano presi in considerazione dall’ordinamento ai fini della determinazione nel quantum della condanna del responsabile; quest’ultima, in tal caso, viene, dunque, a sganciarsi da quella relazione di tendenzialmente esatta corrispondenza rispetto all’ammontare della perdita subita dalla vittima»; P. CENDON, Responsabilità civile e pena privata, in Le pene private, (a cura di) F. D. BUSNELLI – G. SCALFI, Giuffrè, 1985, p. 298 ss; sul significato della funzione compensativa, cfr. C. GRANELLI (2014), In tema di danni punitivi, in

Resp. civ. e prev., p. 1761, «secondo la nostra Cassazione il sistema italiano della

responsabilità civile ha come finalità esclusiva quella della reintegrazione della sfera della vittima dell’illecito […] non può essergli liquidata una somma inferiore a quella necessaria a riparare il danno concretamente verificatosi, ma neppure una somma superiore».

83 N.B. F. QUARTA (2015), Diritti inviolabili, gravità dell’offesa e rimedi civilistici,

in Danno e resp., 2015, p. 511 ss.. Acquista un significato decisivo, in tal senso, quando per gravità dell’offesa si intende non già “intensità della sofferenza soggettiva” quanto “oggettiva intollerabilità giuridica del fatto illecito”. È questo il significato attribuito alla locuzione in una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. Cass. 22 gennaio 2015, sez. III, n. 1126) in cui si afferma che laddove l’offesa attenga alla lesione di un diritto costituzionale inviolabile “La gravità dell’offesa, requisito la cui indubbia rilevanza ai fini della quantificazione del danno si desume, sia pur e contrario, dalle stesse sentenze delle sezioni unite di questa Corte dell’11 novembre 2008, appare pertanto predicabile, nella specie, con assoluta certezza”. L’argomento a contrario, come visto, opera sulla ben nota statuizione contenuta nelle sentenze c.d. “di San Martino”: “la gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili”. Da ciò la Corte nella sentenza in esame ha poi inferito che, osserva l’A., «muovendo dall’assunto che per i danni alla sfera immateriale della persona “non seri” e “non gravi” il risarcimento debba essere negato, allora “e contrario” […] quanto più serio il danno e quanto più grave l’offesa

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indubbiamente la volontà di trascendere la dimensione della perdita in

concreto subita dalla vittima, poiché esulano dalla sfera giuridica di

quest’ultima.

L’intensità della colpevolezza consiste nell’attribuire una

differente rilevanza alla colpa ovvero al dolo, con ciò rifiutando il

dogma dell’equivalenza tra i due nessi psichici.

84

La condizione patrimoniale del danneggiante

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è spesso

considerata quando quest’ultimo è dotato di ampia disponibilità

finanziaria, tale per cui la reintegrazione, ancorché integrale, della

sfera giuridica della vittima non risulta sufficiente ed adeguata al fine

di persuadere l’agente dal commettere nuovamente l’illecito. Lo si

osserva chiaramente sia nelle fattispecie concernenti la divulgazione di

informazioni lesive dell’altrui reputazione a mezzo stampa,

allorquando l’editore si suppone dotato di una cospicua capacità

finanziaria, sia quando è coinvolta un’impresa, come nella

responsabilità da prodotto.

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L’ultimo parametro, ovviamente, è motivato dalla necessità di

rafforzare la cogenza del principio “Tort must not pay”.

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Le ipotesi legali che impongono espressamente al giudice di

applicare siffatti criteri sono molteplici, a titolo esemplificativo si

citano: il già ricordato art. 18 L. 349/1986 (abolito); l’art. 187-

tanto più elevato dovrebbe risultare il quantum risarcitorio» (si consideri però che la

ratio dell’indicazione contenuta nelle sentenze del 2008 era diversa: «l’obiettivo di

quella mozione interpretativa era di enucleare una regola juris che impedisse la risarcibilità del danni-conseguenza non sufficientemente “seri”, c.d. bagatellari»).

84 Cfr. F. BENATTI (2014), Il danno punitivo fra forma e sentenza, in Resp. civ. e prev., 2014, p. 53, «I danni compensativi sono quantificati in modo dettagliato e

secondo regole fisse e precise […] e sono indipendenti da un esame dell’intensità del dolo e della colpa»; P. GALLO, op. cit., p. 197, «Graduare l’entità del quantum al grado della colpevolezza è quindi sicuramente indice della funzione sanzionatoria/deterrente […] con buona pace del dogma dell’equivalenza del dolo e della colpa».

85 Cfr. art. 133-bis c.p. rubricato “Condizioni economiche del reo; valutazione agli

effetti della pena pecuniaria”.

86 Cfr. P. GALLO, op. cit., p. 198 ss., in cui l’A. dopo aver citato tali esempi

emblematici, conclude «Trattandosi di soggetti dotati di ampia disponibilità finanziaria imporre penali inferiori potrebbe infatti non svolgere alcun effetto deterrente».

82

undecies, comma 2 T.U.F. (testo unico delle disposizioni in materia di

intermediazione finanziaria)

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che prevede, nei casi di abuso di

informazioni privilegiate o di manipolazione del mercato, l’obbligo per

l’autore dell’illecito di riparare il danno cagionato all’integrità del

mercato, da quantificarsi in relazione ai suddetti; la cosiddetta legge

sulla stampa prevede all’art. 12

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che, nel caso di diffamazione a

mezzo stampa, la persona offesa può richiedere una somma a titolo di

riparazione commisurata alla gravità dell’offesa ed alla diffusione

dello stampato.

90

Al di fuori delle ipotesi legali, in aggiunta, occorre considerare il

diritto vivente e, nello specifico, la tendenza delle corti ad avvalersi di

criteri che, trascendendo la mera dimensione compensativa,

88 Decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, art. 187-undecies: “2. La Consob può

costituirsi parte civile e richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all'integrità del mercato, una somma determinata dal giudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell'offensività del fatto, delle qualità personali del colpevole e dell'entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato”.

89 L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12: “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo

della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato”.

90 Vd. T. MAUCERI (2012), Denigrazione dei prodotti di un’impresa e risarcibilità della “sofferenza” patita dai dipendenti, in Danno e resp., 2012, p. 635 ss., in cui si

commenta una sentenza del Tribunale di Torino che ha condannato la RAI al risarcimento del danno per aver sminuito il carattere di sportività del modello di vettura “Alfa mito” in un servizio televisivo concernente una prova comparativa su strada. L’elevata somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale (circa 5.250.000 €) è stata giustificata sulla scorta del pregiudizio patito da «quanti, a qualsiasi titolo, lavorano all’interno dell’ente e organicamente lo compongono», ed è stata determinata tenendo conto di: bacino d’utenza, gravità dell’offesa, intensità dolo/colpa, notorietà e posizione personale del soggetto leso, clamore suscitato dalla pubblicazione. Tuttavia, analizza l’A., dietro al riconoscimento del «pregiudizio al senso di dignità professionale dei lavoratori risarcito all’ente in forza di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 e, in particolare, dell’art. 2 Cost.» (che, a ben vedere, rischia di degradare la tutela aquiliana ad una funzione meramente consolatoria, vd. infra § 3.) si nasconderebbe la tendenza ad «allargare la riflessione sempre più, dal turbamento da consolare, all’effetto di una punizione dell’offesa e di una garanzia preventiva dello stato sentimentale esposto al pericolo» concludendo quindi «Anche nei criteri operativi seguiti dalla sentenza in commento l’esigenza di deterrenza risulta aver giocato un ruolo prevalente. Più che quantificare la sofferenza dei lavoratori (i quali, del resto […] resteranno comunque estranei al concreto beneficio dell’arricchimento in denaro) si è visto come il giudice […] congegni un criterio che […] si rivela comunque idoneo a non perdere efficacia deterrente nei confronti dei responsabili che, dalla commissione dell’illecito, conseguono profitti maggiori».

83

contraddicono l’affermazione di principio delle Sezioni Unite.

91

Esempi emblematici sono da un lato talune condanne al risarcimento

dei danni per lesione dei diritti della personalità a favore della P.A.

92

o

delle persone giuridiche;

93

dall’altro alcune pronunce in materia di

violazione della privacy.

94

Ulteriori considerazioni devono essere fatte, conclusivamente, in

merito a quelle che sono state opportunamente definite “pene private

giudiziali”, ossia sanzioni previste dalla legge e determinate nella loro

misura o modalità dal giudice. Fra le ipotesi più importanti, oltre al

91 Cfr. F. BENATTI, op. cit., p. 55, «Peraltro va osservato come […] questi due

elementi [il dolo e la colpa] influenzano sensibilmente la valutazione del giudice nell’esame della fattispecie e nel modulare il risarcimento».

92 Vd. G. DI VETTA (2013), Danno all’immagine della P.A.: funzione punitiva?, in Danno e resp., 2013, p. 871 ss., in cui l’A. sottolineando che «Il giudice penale, nella

sentenza in commento, impone come parametro di valutazione del danno subìto dall’Amministrazione finanziaria, sebbene non in modo esplicito, la gravità dell’offesa […] i criteri oggettivi attraverso i quali si svolge l’accertamento della gravità dell’offesa sono tributari di una logica sanzionatoria e, al contempo, preventiva» arriva ad escludere che il risarcimento del danno all’immagine alla P.A. possa mai avere una funzione compensativo-satisfattiva (l’A. presuppone che in relazione alla lesione dei diritti della personalità delle persone fisiche il risarcimento abbia una duplice funzione sanzionatoria-satisfattiva) e ad affermare, all’opposto, che «si giunge ad ammettere il recupero di un proprio valore punitivo».

93 Cfr. nt. 90, in cui il Tribunale di Torino incorre in una inopportuna operazione di

ingegneria giuridica consistente nel riconoscere alla Fiat (rectius una società di capitali, dotata quindi di personalità giuridica) un danno non patrimoniale derivante dalla sofferenza patita dai lavoratori per «la diminuita considerazione sociale del loro senso di dignità professionale», dovendo da un lato escludere che il danneggiante sia chiamato a rispondere sic et simpliciter per ragioni di deterrenza e punizione, e dall’altro, di conseguenza, dovendo individuare una situazione giuridica soggettiva da reintegrare: infatti, presupponendo che la riparazione del danno non patrimoniale corrisponda ad una funzione esclusivamente compensativa, la corte esclude che la sofferenza conseguente dall’illecito possa essere provata da un ente collettivo. Di qui la soluzione paradossale.

94 Cfr. A. GARIBOTTI (2013), La quantificazione del danno da lesione della privacy di un calciatore, in Danno e resp., 2013, p. 309 ss., in cui l’A., nel commentare una

sentenza di condanna al risarcimento del danno (ex art. 15 D.lgs. 196/2003, codice in materia di protezione dei dati personali) nei confronti di una società sportiva per l’abusivo controllo del traffico in entrata ed in uscita dall’utenza telefonica di un suo noto calciatore, rileva che «il quantum di risarcimento è stato nettamente superiore ai precedenti in materia […] L’ingente e sproporzionata cifra riconosciuta […] potrebbe trovare giustificazione, e anche una più profonda motivazione rispetto alle formule di stile utilizzate dal giudicante, se si ammettesse che nel sistema della responsabilità civile, il risarcimento del danno assume anche una funzione sanzionatoria e non solo esclusivamente riparatoria, per cui esso deve ricomprendere anche una misura afflittiva e punitiva per il danneggiante».

84

sopracitato art. 12 della legge sulla stampa, si citano gli artt. 96,

comma 3 c.p.c. e 709-ter c.p.c.

L’art. 96, comma 3 c.p.c. (introdotto con L. 18 giugno 2009, n.

69)

95

prevede che la parte soccombente in un giudizio civile, che ha

agito o resistito con mala fede o colpa grave, può essere condannata,

anche d’ufficio, al pagamento, a favore della controparte, di una

somma equitativamente determinata. Premesso che la Corte di

Cassazione qualifica tale somma come vera e propria pena pecuniaria,

indipendente dalla prova di un danno patito dalla controparte,

96

la sua

riconducibilità al genus della responsabilità extracontrattuale

97

costituisce un’ulteriore conferma della corrente dottrinaria in esame.

98

La norma è stata infatti interpretata come disposizione a carattere

sanzionatorio

99

preposta al perseguimento di un interesse pubblico: il

95 Art. 96, comma 3 c.p.c.: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi

dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

96 Cass. civ., 30 luglio 2010, n. 17902, in Foro it., 2011, 11, I, p. 3134 ss.

97 Cfr. F.D. BUSNELLI – E. D’ALESSANDRO (2012), L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o “condanna” punitiva”?, in Danno e resp., 2012, p. 586, in cui gli AA., partendo dalla constatazione che «Si tratta, in altri

termini, di una fattispecie ricondotta al genus della responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.) di cui l’art. 96, comma 1, c.p.c. costituirebbe una species», pur riportando come «Nella giurisprudenza di merito, al contrario, prevale la convinzione che quella contemplata dall’art. 96, comma 3, c.p.c. non sia una fattispecie di responsabilità civile vera e propria ma che si tratti, piuttosto, di una “condanna punitiva” […]», ma, al contempo, rilevando che la norma da ultimo citata si ponga in continuazione coi precedenti due commi «I giudici di merito precisano inoltre che […] la liquidazione non può prescindere […] dalla rimproverabilità del comportamento della parte perdente in termini di dolo o colpa grave […] L’elemento soggettivo sarebbe indispensabile […] Sotto questo profilo, l’art. 96, comma 3, c.p.c., si porrebbe in una situazione di continuità rispetto ai primi due commi», affermano chiaramente che la norma costituisce, alla stregua de primo comma, una species della responsabilità civile. La differenza fra le due, quindi, risiede nel fatto che «l’ultimo comma […] sembra legittimare ulteriormente il giudice a condannare “anche d’ufficio” a un risarcimento di danni che non dipendono necessariamente da una specifica iniziativa di parte».

98 Cfr. G. DI VETTA, op. cit., p. 877, «Partecipano al riconoscimento di un carattere

tra l’altro sanzionatorio del risarcimento del danno […] alcuni attuali indici normativi. L’introduzione di un terzo comma all’art. 96 c.p.c. ha animato un vivace dibattito in dottrina […] Risolto il dilemma nel senso della qualificazione della fattispecie come un danno lato sensu punitivo, il dato che emerge è il profilarsi di un’autoctona tendenza punitiva della responsabilità civile».

99 Cfr. D. COVUCCI (2012), Deterrenza processuale e pena privata: il “nuovo” art. 96, terzo comma, c.p.c., in Danno e resp., 2012, p. 525 ss., «Il carattere sanzionatorio

85

buon andamento del processo. Nell’ottica di un bilanciamento tra

diritto d’azione (ex art. 24 Cost.) e principi della ragionevole durata del

processo e corretta amministrazione della giustizia (ex art. 111 Cost.),

essa svolge una funzione deflattiva rispetto al contenzioso

ingiustificato, sanzionando l’abuso del processo. La sua natura di pena

privata (processuale) si ricava, quindi, da indici comuni a tutte le

sanzioni punitive civili: non corrispondenza fra il danno patito (che

potrebbe anche non essersi verificato)

100

e la somma liquidata;

riconoscimento di quest’ultima alla controparte privata e non allo

Stato; rilevanza del nesso psichico nella determinazione del quantum

risarcibile; tutela di un interesse generale della collettività.

101

Le osservazioni analoghe che è possibile svolgere in merito all’art.

709-ter c.p.c.,

102

rafforzano, ancora una volta, l’idea di una

implicito nella condanna de qua trova ragionevolmente conferma nella officiosità della pronuncia, prevista fra l’altro a favore di una parte e non dello Stato; pronuncia che fra l’altro non presuppone l’allegazione e la prova di un danno per controparte […] Il rimedio […] dunque è senz’altro non riparatorio, assumendo una connotazione fortemente sanzionatoria»; M. GERBI (2012), La possibile natura

doppiamente sanzionatoria dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. tra dubbi ed incertezze,

in Danno e resp., p. 1129 ss.; F.D. BUSNELLI – E. D’ALESSANDRO, op. cit., p. 585 ss, in cui gli AA., ricomprendendo la fattispecie nel novero dei danni non patrimoniali, vi ricavano un’ulteriore conferma (oltre ai poteri officiosi del giudice e la destinazione del relativo ammontare alla controparte privata) derivante dalla presupposta natura sanzionatoria del danno non patrimoniale; R. BRENDA (2013),

L’art. 96, comma 3, c.p.c. ed i punitive damages. Considerazioni in margine ad un caso giudiziario, in Giur. it, 2013, p. 1889, «D’altronde, lo stesso tenore letterale

della norma induce a rifiutare il profilo strettamente risarcitorio dell’istituto […] Il fatto che la condanna possa essere irrogata d’ufficio, a prescindere da domanda di parte, in mancanza di qualunque danno arrecato all’avversario, e che l’ammontare di detta condanna possa essere quantificato equitativamente, sembrano aprire la strada ad una rivisitazione globale della responsabilità processuale aggravata, propugnando la tesi del risarcimento punitivo».

N.B. Tutti gli AA. pongono l’accento sulla mancanza effettiva di un danno patito dalla controparte e/o della sua prova.

100 Cfr. D. COVUCCI, op. cit., p. 529, «La funzione sanzionatoria, quindi,

svolgerebbe, in questa ipotesi, una funzione trainante giustificando un’attribuzione patrimoniale».

101 Ibidem, «la “pena privata” processuale, invece, può essere comunque inflitta alla

parte formalmente soccombente, essendo preordinata all’obiettivo di una corretta gestione del processo come “bene pubblico”»; R. BRENDA, op. cit., p. 1889, «Una pena civile di natura pubblicistica volta a reprimere le forme di abuso del processo e, quindi, a preservare l’interesse pubblico ad una giustizia sana e funzionale»

102 Art. 709-ter c.p.c.: “[…] In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque

arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, [il giudice] può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche

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responsabilità civile sempre più declinata e declinabile verso una

pluralità di scopi.

103

La ratio della norma risiede nella necessità di

garantire un esercizio paritetico della potestà genitoriale, connesso al

doveroso adempimento delle funzioni educative, nell’interesse

esclusivo del minore. Al fine di disincentivare condotte gravemente

ritorsive/ostative di un genitore nei confronti dell’altro, suscettibili di

ripercuotersi negativamente sulla personalità del minore, la norma

prescinde, anche qui, dall’allegazione di un danno effettivo o della sua

prova: ciò conferma la logica punitivo-deterrente ivi sottesa.

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