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L'immigrazione in Calabria: analisi e prospettive tra fenomeni di marginalizzazione e modelli di inclusione.

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Sommario

Introduzione. ... 4

Capitolo 1 ... 8

Alcune premesse sull’immigrazione straniera in Italia: caratteri e tendenze. ... 8

1.1 L’evoluzione dei flussi migratori in Italia. ... 8

1.1.1 Il passaggio da paese di emigrazione e paese d’immigrazione. ... 8

1.1.2 Italia: un paese d’immigrazione. ... 11

1.1.3 Dati statistici sull’immigrazione in Italia: chi sono gli immigrati. ... 13

1.1.4 La collocazione della manodopera straniera nel mercato del lavoro. ... 15

1.1.5 Rifugiati e richiedenti asilo: le categorie più numerose dei flussi migratori in Italia. ... 16

1.2 Un “modello mediterraneo” dell’immigrazione. ... 17

1.2.1 Perché arrivano? ... 17

1.2.2 La distribuzione territoriale della presenza straniera in Italia. ... 20

1.3 Le politiche d’ingresso. ... 22

1.3.1 Quanto sono efficaci le politiche d’ingresso? ... 22

1.3.2 La politica migratoria in Italia: la ricerca di un equilibrio tra Decreti Flussi e Sanatorie. ... 26

1.3.3 Complementarietà, concorrenza e sostituzione della manodopera straniera. 28 Capitolo 2. ... 32

L’immigrazione in Calabria. ... 32

2.1 Un quadro d’insieme sull’economia in Calabria. ... 32

2.2 L’evoluzione dei flussi migratori in Calabria. ... 33

2.2.1 Dati statistici sulla presenza straniera in Calabria. ... 34

2.3 Dinamiche della presenza straniera in Calabria. ... 35

2.3.1 Una classificazione della presenza straniera. ... 35

2.3.2 La distribuzione territoriale degli immigrati in Calabria e i settori economici più rilevanti. ... 38

2.4 Quanto è attrattiva la Calabria per gli stranieri? ... 42

2.5 La governance delle migrazioni in Calabria. ... 44

2.5.1 La legge regionale n.17 del 1990. ... 45

2.5.2 Gli anni ‘2000. ... 46

2.5.3 La Legge regionale n.18 del 2009. ... 47

2.5.4 Le leggi per l’inclusione abitativa degli immigrati. ... 49

2.6 Il sistema dell’accoglienza in Calabria. ... 51

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2.6.2 Il sistema Sprar in Calabria. ... 55

Capitolo 3. ... 58

Lo sfruttamento della manodopera straniera in agricoltura e il caso di Rosarno. . 58

3.1 I nuovi braccianti di un’agricoltura globalizzata. ... 58

3.2 La sostituzione etnica. ... 61

3.3 Le ripercussioni dell`agricoltura globale sulla manodopera straniera. ... 63

3.4 Possiamo davvero parlare di auto-sfruttamento? ... 65

3.5 La pratica del contoterzismo in agricoltura: un altro modo di sfruttare la manodopera. ... 68

3.6 Il sistema agro-industriale e le filiere agricole. ... 70

3.6.1Alcune differenze fra Nord e Sud Italia. ... 70

3.6.2 Piccoli contadini, Food Empires e Corporate Food Regime. ... 71

3.6.3 I grandi commercianti: gli anelli di congiunzione tra produttori e GDO. ... 73

3.6.4 La Grande Distribuzione Organizzata. ... 74

3.7 “La rivoluzione antropologica del Mezzogiorno rurale”. ... 75

3.8 La stagionalità: una caratteristica fondamentale della produzione agricola. ... 76

3.9 Le ragioni alla base della richiesta di manodopera straniera. ... 77

3.10 Il caporalato e i “signori delle braccia”. ... 80

3.10.1 Alle origini del fenomeno. ... 80

3.10.2 La figura del caporale. ... 81

3.10.3 Capi neri, capi bianchi e caporali tutto l’anno. ... 83

3.11 Il settore agricolo in Calabria. ... 86

3.12 La manodopera straniera in agricoltura in Calabria. ... 88

3.13 Il caso di Rosarno. ... 90

3.13.1 Le rivolte del gennaio 2010. ... 90

3.13.2 All’origine della rivolta. ... 91

3.13.3 Il contesto economico della Piana di Gioia Tauro. ... 92

3.13.4 I problemi della filiera agricola nella Piana di Gioia Tauro. ... 94

3.13.5 Caratteristiche della manodopera straniera nella Piana di Gioia Tauro. ... 96

3.13.6 La segregazione spaziale. ... 97

3.13.7 Segregazione, “seclusione” e forme di organizzazione. ... 100

3.14 Il reato di caporalato. ... 102

3.14.1 Evoluzione della normativa in materia. ... 102

3.14.2 Il nuovo articolo 603 bis c.p. ... 111

3.14.3 La Legge Rosarno e i meccanismi di tutela per i lavoratori stranieri sfruttati. ... 105 3.14.4 La Rete del lavoro Agricolo di qualità e la certificazione etica del lavoro.113

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3.14.5 Luci e ombre della normativa in materia. ... 115

3.15 Alcune idee per il superamento dei fenomeni di sfruttamento in agricoltura. ... 116

3.15.1 I “bollini etici”. ... 116

3.15.2 Sos Rosarno: sviluppo e autocritica di una realtà in crescita. ... 118

3.15.3 Il caso di Immokalee: una best practice nella lotta allo sfruttamento. ... 121

Quarto Capitolo. ... 124

L’immigrazione nelle aree interne della Calabria: alcuni modelli di inclusione. .. 124

4.1 La dimensione territoriale dell’immigrazione in Calabria. ... 124

4.2 Problemi nella definizione dell’unità analitica. ... 127

4.2.1 I piccoli comuni. ... 127

4.2.2 Aree interne e aree fragili. ... 131

4.3 L’immigrazione: una risorsa per piccoli comuni e aree interne. ... 135

4.4 Riace, Badolato e la “Dorsale dell’Ospitalità”. ... 138

4.4.1 Caratteristiche morfologiche. ... 138

4.4.2 La creazione di un nuovo modello di accoglienza. ... 140

4.4.3 L’istituzionalizzazione del modello. ... 143

4.5 Come funzione il “modello Riace”? Punti di forza e punti di debolezza. .... 144

4.6 L’immigrazione nell’area grecanica. ... 149

4.6.1 Caratteristiche morfologiche ed economiche. ... 149

4.6.2 Caratteristiche della presenza straniera nell’area. ... 150

4.6.3 Condofuri e Roghudi. ... 151

Conclusioni ... 154

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Introduzione

A partire dalla fine degli anni ‘80 le regioni del Sud Italia, fino ad allora fortemente caratterizzate da movimenti migratori verso il Nord Italia e oltreoceano, si trasformano in zone di transito e ricezione di flussi migratori.

La crescita esponenziale dei flussi migratori che hanno interessato l’Italia soprattutto negli ultimi anni ha generato due tipi di problemi: da un lato, nel corso di un periodo relativamente breve la conformazione dei flussi ha subito dei cambiamenti che hanno dato vita a loro volta a nuovi conflitti, bisogni ed istanze sociali; dall’altro, l’aumento dei numeri ha messo in luce l’inadeguatezza dell’impianto normativo in materia di gestione di flussi migratori, in particolare in materia di accoglienza.

Il primo problema si lega alla questione del rispetto dei diritti dei migranti, persone che vivono in una condizione di vulnerabilità determinata da diversi fattori: la nazionalità, che gioca un ruolo fondamentale nella concessione del diritto d’asilo; la precarietà del soggiorno, la cui regolarità è indissolubilmente legata al possesso di un’occupazione; l’irregolarità della permanenza; l’età; il sesso. Il tema della violazione dei diritti dei migranti è fondamentale e diventa evidente nel momento in cui essi si affacciano sul mercato del lavoro: infatti, sono ormai note da tempo alcune situazioni di sfruttamento e violenza a cui i lavoratori stranieri sono spesso sottoposti in alcuni settori produttivi.

Il secondo problema riguarda la visione emergenziale che continua a contraddistinguere la gestione degli arrivi dei migranti e si riflette in quella che è la dimensione dell’accoglienza. Tale problema, è stato in parte determinato anche dalla proliferazione di strumenti normativi relativi a questa materia molto diversi fra loro e che tuttavia si sono contraddistinti per un elemento principale: il ricorso a grandi centri d’accoglienza. Cara, Cas, Centri di primo soccorso e accoglienza, hotspot, Cie: nomi diversi ma che tuttavia indicano luoghi appartenenti a un circuito in cui la maggior parte dei migranti è costretta a vivere per anni.

Perché la Calabria?

Analizzeremo questi due problemi utilizzando il macro-caso della Calabria, una Regione che si inserisce in questo quadro particolare e che ne rappresenta una fotografia perfetta. Infatti, nonostante la sua popolazione straniera residente incida

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solo per l’1,8% sulla totalità degli stranieri in Italia, la conformazione interna dei flussi migratori che attraversano la Regione è esplicativa di dinamiche globali che dispiegano i propri effetti a livello locale. Possiamo incontrarvi: un’immigrazione di più vecchia data (perché legata a stranieri che risiedono in Italia da molti anni); rifugiati e richiedenti asilo (il cui numero è progressivamente cresciuto e che rappresentano ormai la componente principale); fenomeni di migrazione circolare (ossia di lavoratori stranieri fuoriusciti dal mercato lavorativo del Nord Italia e che si recano nelle regioni meridionali); fenomeni d’immigrazione stagionale (che segue i cicli di raccolta degli agrumi e di altri prodotti agricoli) e d’immigrazione irregolare (legata per esempio agli overstayers o ai diniegati).

Dunque la scelta della Calabria non è casuale e s’inserisce appieno in quello che è il quadro delle problematiche che abbiamo precedentemente citato: il tema della violazione dei diritti dei migranti verrà analizzato attraverso il caso di Rosarno; il caso di Riace e di altri comuni della costa jonica calabrese ci servirà invece per esplorare il tema dell’accoglienza.

Nel primo capitolo approfondiremo meglio questi aspetti attraverso un’analisi generale dell’evoluzione dei flussi migratori in Italia: queste premesse sono utili in quanto evidenziano i cambiamenti intervenuti nella distribuzione territoriale e nella composizione dei flussi migratori. Vedremo come l’appartenenza dell’Italia a un “modello mediterraneo” delle migrazioni abbia giocato un ruolo fondamentale nel definire la collocazione spaziale e occupazionale degli stranieri. Inoltre, svolgeremo una breve analisi di due dei principali strumenti normativi (il decreto flussi e la sanatoria) che regolano l’ingresso e il soggiorno in Italia e questo ci servirà per mettere in luce quanto la presenza straniera si sia rivelata fondamentale per la sopravvivenza di alcuni settori economici.

Nel secondo capitolo disegneremo un breve quadro d’insieme dell’economia in Calabria, una delle più fragili e arretrate a livello nazionale. Qui, il progressivo aumento dei flussi migratori ha avuto delle conseguenze su tre livelli. A livello economico la manodopera straniera ha giocato un ruolo fondamentale per i due settori principali, i servizi e l’agricoltura, in quanto gli immigrati sono andati ad occupare quelli che sono stati definiti i “lavori delle cinque P”: precari, pesanti, pericolosi, poco pagati, penalizzati socialmente.

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A livello normativo, non sono mancati i tentativi, purtroppo non applicati in via di prassi, di supportare e consolidare gli esperimenti di accoglienza e d’integrazione virtuosi.

Infine, la Calabria è sede di situazioni profondamente in contrasto tra loro: il disagio abitativo vissuto da moltissimi immigrati ne è l’esempio ma è anche la regione con il numero più alto di progetti Sprar attivati. Alcuni comuni sono riusciti a cogliere nell’arrivo degli immigrati un’opportunità di crescita sociale ed economica ed hanno avviato nel corso degli anni progetti degni di nota.

Le aree rurali sono diventate sin da subito protagoniste dei cambiamenti avvenuti nel corso degli anni sia nella conformazione dei flussi migratori in entrata e in uscita, che nella produzione agricola divenuta “intensiva”. La disponibilità dei migranti a lavorare nel settore agricolo ha avuto delle conseguenze su un duplice piano: a partire dagli anni ‘90 la loro presenza, assieme ad alcuni adeguamenti infrastrutturali, ha consentito ai distretti agricoli principali di avviare un processo di intensificazione della produzione; allo stesso tempo, il settore agricolo ha costituito sin da subito un segmento del mercato del lavoro in cui i migranti sono riusciti ad inserirsi anche se in situazione di irregolarità amministrativa. Nel terzo capitolo approfondiremo questi temi attraverso l’analisi del caso di Rosarno: un Comune diventato protagonista delle cronache nazionali per un sistema generalizzato di violenza, sfruttamento, marginalizzazione sociale e abitativa, che aveva come destinatari proprio i migranti. Parliamo di un sistema così radicato nell’economia locale che a nulla sono serviti i tentativi di superarlo: né le proteste dei migranti, né l’intervento legislativo della “Legge Rosarno” in materia di lotta al fenomeno del caporalato. Inoltre, citeremo le esperienze che a livello locale e internazionale hanno cercato di proporre un modello di produzione agricolo alternativo, etico e non per questo motivo meno remunerativo.

Come già anticipato, l’economia calabrese si caratterizza per essere estremamente fragile: non a caso è segnata da oltre un secolo da intensi flussi migratori in uscita. Questo elemento ha enormemente influito sullo sviluppo infrastrutturale, economico e sociale dei suoi centri abitati i quali, nell’80% dei casi sono di piccole e piccolissime dimensioni e che affrontano le conseguenze dello spopolamento, dell’abbandono e della scarsità dei servizi. Alcuni di essi a partire dalla fine degli anni ’90 in concomitanza con gli sbarchi di migranti avvenuti presso le loro coste

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hanno dato vita a progetti di accoglienza che oggi vengono celebrati come modelli. In particolare nell’ultimo capitolo, esamineremo tra gli altri il caso di Riace, un piccolo borgo che ha cercato di coniugare l’esperienza dell’accoglienza con quella dello sviluppo locale.

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Capitolo 1

Alcune premesse sull’immigrazione straniera in Italia:

caratteri e tendenze.

1.1 L’evoluzione dei flussi migratori in Italia.

1.1.1 Il passaggio da paese di emigrazione e paese d’immigrazione.

Fino agli anni settanta del secolo scorso, l’Italia è stata uno dei principali paesi d’emigrazione: si stima che tra il 1876 e il 1976 circa 26 milioni di italiani abbiano deciso di emigrare all’estero1. E’ solo nel 1973 che il saldo migratorio riferito ai

cittadini italiani diventa positivo2. Il cambiamento avvenuto in Italia s’inserisce nel quadro più ampio della transizione migratoria che ha interessato l’Europa e che ha contribuito a trasformarla da area d’emigrazione ad area d’immigrazione. Un processo che, in una fase iniziale, ha visto come protagonisti la Francia, il Belgio, la Germania e la Svizzera, diventati nel corso degli anni cinquanta importatori di manodopera da impiegare nella ricostruzione postbellica. Queste destinazioni vanno a sostituire quelle transoceaniche che tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 avevano maggiormente attirato la manodopera a basso costo italiana. Solo a partire dagli anni settanta (soprattutto a causa delle politiche restrittive attuate nelle aree d’immigrazione) i paesi dell’Europa meridionale come l’Italia iniziano a sperimentare questo fenomeno3.

L’Italia entrava finalmente nel novero dei paesi industrializzati grazie a una intensa crescita economica che favoriva lo sviluppo industriale delle aree del Centro-Nord. Il numero degli espatriati da queste aree diminuisce, ed esse si trasformano nelle principali recettrici della mobilità interna: tra il 1951 e il 1971 circa 2 milioni di persone decisero di abbandonare il Sud e le Isole per trasferirsi nelle regioni del Centro e del Nord Italia4. Un numero impressionante di persone, in prevalenza

1Pretelli M. “L’emigrazione italiana negli Stati Uniti” Il Mulino, Bologna 2011 pp.15-17.

2Pugliese E. “L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne” Il Mulino, Bologna 2002,

p.55.

3Colombo A. & Sciortino G. “Gli immigrati in Italia” Il Mulino, Bologna 2004, pp.12-13.

4Balduzzi G. “Gli immigrati nei sistemi locali del lavoro italiani: caratteristiche e prospettive di un

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contadini, che contribuirono a soddisfare la domanda di manodopera interna e che si stanziarono perlopiù nelle aree urbane del triangolo industriale5.

Tra il 1981 e il 2001 i flussi in uscita calavano considerevolmente. Tuttavia, una quota consistente degli espatriati (circa 1.370.000) proveniva ancora dall’area del Mezzogiorno6. Sempre nel 1981 sono circa 200 mila gli stranieri residenti in Italia con una prevalenza delle comunità americana e francese. Solo dieci anni dopo, anche grazie alla vicinanza geografica, raggiungono il nostro paese in maggior parte tunisini e marocchini (e in misura minore albanesi).

Gli immigrati vanno a colmare il vuoto prodotto dai flussi interni e dal conseguente spopolamento di alcune aree: essi si stanziano prevalentemente nelle aree costiere del trapanese, in cui la richiesta di manodopera agricola è alta7. Ma già dagli anni ottanta questi primi insediamenti si trasformano in zone di transito verso aree caratterizzate da minore una precarietà del lavoro. A questo ha contribuito il carattere stagionale di settori economici prevalenti al Sud, quali l’agricoltura e la pesca.

All’aumentare della presenza straniera in Italia, la collocazione della forza lavoro composta dagli immigrati assume un’articolazione territoriale che è ben schematizzata da Ambrosini8:

• Un modello basato sull’industria diffusa, che ha il suo epicentro nelle zone maggiormente industrializzate quali la Lombardia, il Veneto e il Friuli. Gli immigrati vengono impiegati come operai soprattutto nelle mansioni più pesanti dei cicli produttivi.

• Un modello metropolitano che fa riferimento ai grandi centri urbani: gli immigrati vengono impiegati nei settori edile e terziario; negli ultimi anni si assiste inoltre ad una maggiore incidenza del lavoro autonomo legato sempre di più alle “specializzazioni etniche9”.

• Un modello delle attività instabili (legato a professioni precarie e in grossa misura irregolari) nei settori dell’agricoltura, delle pulizie, dell’assistenza,

5Ibidem.

6Chiara L. & Frisone F. “Immigrazione ed emigrazione in Italia: profili storici” in “Immigrazione e

condizione giuridica dello straniero” a cura di Moschella G. & Buscema L., Aracne Editrice,

Ariccia 2016, p.60.

7Pugliese E. (2002) op. già citata p.67.

8Ambrosini M. “Sociologia delle migrazioni” Il Mulino, Bologna 2005, pp.69-70.

9“Quando le reti di connazionali si insediano in maniera significativa in una determinata nicchia del

mercato del lavoro, determinando un’associazione tra provenienza e lavoro svolto” in

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dell’industria alberghiera e dell’edilizia. Questo modello lo ritroviamo soprattutto nelle aree del Mezzogiorno.

• Un modello che segue gli andamenti stagionali, strettamente legato a quello precedente e che si adatta ai circuiti economici delle zone del nostro paese in cui il lavoro stagionale è richiesto.

E’ proprio questa articolazione che spiega perché l’Italia sia diventata meta di flussi migratori consistenti, ed è all’organizzazione sociale ed economica del paese che va imputato questo cambiamento10. Lo sviluppo economico, la diffusione delle piccole e

medie imprese e l’importanza dell’economia sommersa11 sono tutti fattori di

attrazione dei migranti che dimostrano come, soprattutto in una prima fase, l’immigrazione in Italia non sia stata un fatto casuale.

Più in generale, in tutti i paesi sviluppati si assiste in quegli anni ad una trasformazione del modello industriale fordista, il quale cede il passo a una crescente offerta di lavoro nel settore terziario dei servizi alle persone, a scapito della produzione di massa. Il mercato del lavoro diventa globale così come l’offerta di lavoro, sempre più diversificata e composta da popoli che prima ne erano esclusi. Si riducono i posti disponibili all’interno delle grandi aziende e, al contempo, si riducono le garanzie a tutela dei lavoratori, che vedono diminuire le possibilità di essere assunti a tempo indeterminato nei settori in espansione12.

Un altro elemento che spiega il perché l’Italia sia diventata meta dei flussi migratori, soprattutto nella prima fase, è la mancanza di un retroterra normativo che contribuisse a contenere il fenomeno. Proprio negli anni in cui i paesi del Nord Europa mettevano in atto le prime politiche restrittive dell’immigrazione, l’Italia si trovava sguarnita di una legislazione in materia. Le uniche norme esistenti, tra l’altro di epoca fascista, contenevano disposizioni in materia di soggiorno di stranieri, espulsioni e respingimenti alla frontiera ma nulla in materia di lavoro13.

Era quasi impossibile per un lavoratore straniero non trovarsi in una posizione irregolare in quanto le procedure da esperire, oltre ad essere confuse, facevano riferimento a due Ministeri (Ministero degli Interni e Ministero del Lavoro) che, di fatto, si trovavano a fronteggiare un numero crescente di stranieri in un quadro

10Colombo A. & Sciortino G. (2004), op. già citata p. 15. 11Ibidem.

12Pugliese E. “L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne” Il Mulino, Bologna 2002,

pp.74-75.

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normativo che non prevedeva la loro presenza14. Per circa un decennio, l’aumento di

stranieri in posizione irregolare veniva gestito attraverso l’emanazione di sanatorie. Nel complesso, la normativa non solo non scoraggiava l’immigrazione irregolare, ma la favoriva15.

Come già detto, fino al 1986 la normativa vigente era quella contenuta nel Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e del correlato Regolamento esecutivo, i quali non trattavano l’ingresso di stranieri per motivi di lavoro.

Dello stesso anno è la prima legge organica in materia, la legge n. 943 del 30 dicembre: rappresenta il primo tentativo italiano di disciplinare l’ingresso e il soggiorno di lavoratori stranieri, contrastando allo stesso tempo l’immigrazione clandestina. Paradossalmente, la norma era stata introdotta non tanto per fronteggiare il numero crescente di stranieri in posizione irregolare presenti sul nostro territorio, quanto per dare attuazione alla Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sul trattamento dei lavoratori migranti del 1975. Questa convenzione era stata fortemente voluta dall’Italia per tutelare i propri lavoratori all’estero da forme di discriminazione. La legge n.943 del 1986 introduceva il principio di uguaglianza tra cittadini stranieri e cittadini italiani e il diritto al ricongiungimento familiare, ma nulla in merito al controllo e alla regolamentazione dei flussi. E’ anche la legge che prevede per la prima volta l’utilizzo della sanatoria, ossia di quella misura che d’ora in avanti rappresenterà una costante dei diversi governi nella gestione della presenza straniera in Italia16

1.1.2 Italia: un paese d’immigrazione.

Tralasciando in questa sede la descrizione storica dell’evoluzione della normativa in materia d’immigrazione, questi eventi ci sembravano fondamentali per sottolineare con quale lentezza amministrativa e organizzativa l’Italia abbia affrontato l’emergere di un fenomeno sempre più imponente ed eterogeneo. Nonostante il censimento del 1981 dimostrasse come l’Italia fosse ormai diventata terra d’immigrazione, il cambiamento avvenuto nel nostro paese in quegli anni non era vissuto con consapevolezza: gli studiosi di allora faticavano a comprendere un fenomeno che si

14Colombo A. & Sciortino G. (2004), op. già citata, p. 52.

15Adinolfi A. “I lavoratori extracomunitari” Il Mulino, Bologna 1992, p.14.

16Scuto F. “I diritti fondamentali della persona quale limite al contrasto dell’immigrazione

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sarebbe rivelato durevole e che avrebbe mutato profondamente la struttura sociale ed economica italiana17.

D’altra parte, quello che si mostrava agli occhi degli studiosi era una situazione paradossale: un paese afflitto da un alto tasso di disoccupazione tra i lavoratori nazionali e un crescente afflusso d’immigrati in cerca di condizioni di vita migliori. La situazione permane tutt’oggi con una variazione importante: mentre negli anni del boom economico l’Italia sperimentava un drastico calo dei flussi in uscita, oggi il numero di coloro che decidono di emigrare all’estero è in crescita18.

A preoccupare non è solo la dimensione del fenomeno ma anche la sua composizione: sebbene i flussi in uscita del secolo scorso coinvolgessero soprattutto lavoratori non qualificati, negli ultimi anni chi decide di abbandonare il nostro paese nella maggior parte dei casi possiede una qualifica professionale di livello medio-alto. Dunque, da un lato aumentano gli ingressi di migranti provenienti da zone del mondo caratterizzate da una forte instabilità politica; dall’altro, gli alti livelli di disoccupazione generano consistenti movimenti in uscita19. All’emigrante con la valigia di cartone, maschio, con un basso livello di scolarizzazione e proveniente dalla campagna si sta sostituendo l’emigrante giovane e con un livello di istruzione alto. Secondo dati Istat sono sempre di più i laureati italiani con più di 25 anni di età che lasciano il paese: circa 23 mila nel 2015, con un +13% rispetto al 2014; anche fra chi ha un titolo medio-basso si registra un incremento: circa 52 mila, con un +9%20.

Al cambiamento nella composizione dei flussi e delle destinazioni si accompagna un cambiamento nella visione complessiva del fenomeno migratorio: l’immigrazione non costituisce più un’occasione di crescita economica, ma diventa la causa di problemi politici, economici e sociali21. Si passa da un “libero mercato dell’immigrazione22” a un controllo sempre più rigoroso delle frontiere, anche alla

luce degli accordi di Schengen e della lotta all’immigrazione irregolare portata avanti dall’Unione Europea. Al contempo, si realizza una distinzione più netta tra il cittadino proveniente da uno degli Stati membri dell’Unione e lo straniero

17Ivi, p. 81.

18Nel 2015, secondo l’Istat, sono 102 mila le emigrazioni di cittadini italiani per l’estero (+ 15%

rispetto al 2014). Istat (2016) “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente”, p.1.

19Tomei G. “Biopolitics and the ‘Complementary Heterogeneity’ of migratory flows in Italy” p.5 in

“Critical Sociology”, (2016), pp.1-18.

20Istat (2016), op. già citata, p.2.

21Pugliese E. (2002), op. già citata, p. 79.

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proveniente da Stati terzi, profilando tra questi ultimi, Stati di serie A e Stati di serie B e introducendo la categoria dell’extracomunitario23, che nell’accezione comune

indica il migrante proveniente dal Sud del mondo.

Il significato negativo che ha assunto questo termine spiega la percezione sociale del fenomeno: il tema della clandestinità (di coloro che s’intrufolano tra le pieghe dell’economia sommersa per “rubare il lavoro agli italiani”, per distruggere l’ordine sociale) è utilizzato sempre di più da alcune forze politiche per fomentare l’ostilità nei confronti degli immigrati e assume un peso decisivo nella nostra quotidianità: i muri, la Brexit, l’Accordo Ue-Turchia sono gli esempi lampanti della centralità che questo tema ha assunto nel dibattito politico.

Innanzitutto c’è molta confusione intorno alle categorie di migranti che giungono nel nostro paese: le migrazioni possono essere volontarie o forzate. Queste ultime sono cresciute considerevolmente, sia nel volume che a livello di ripercussioni politiche. Negli ultimi due decenni il numero di rifugiati e richiedenti asilo è aumentato in maniera esponenziale: dal 2009 al 2014 è quasi triplicato24, con conseguenze evidenti nel nostro paese.

Quando ci si immerge nel dibattito pubblico è facile percepire la posizione negativa che molti hanno su questo tema: a fomentarla spesso incide la concentrazione degli immigrati in alcune zone, così come la rapidità con cui alcuni flussi si formano. L’elemento noto a pochi è l’importanza che gli immigrati rivestono nel nostro sistema economico. Parleremo di questo nei prossimi paragrafi. Lo faremo cercando di rispondere ad alcune domande fondamentali: chi sono? Perché arrivano? Come li accogliamo?

1.1.3 Dati statistici sull’immigrazione in Italia: chi sono gli immigrati.

Partiamo dalla definizione di immigrato ossia, di colui che “si è spostato in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno”25. Questa definizione è limitata: innanzitutto perché non universalmente riconosciuta, in quanto non fa riferimento a nessuno strumento normativo che la contenga. Inoltre, non sono incluse in questa definizione i migranti interni, coloro che si spostano per

23Pugliese E. (2002), op. già citata, p.80.

24Idos (2015), “Dossier Statistico Immigrazione” p.15. 25Ambrosini M. (2005), op. già citata p. 17.

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un periodo inferiore a un anno e i figli degli immigrati, i quali in moltissimi paesi, pur essendovi nati, sono ancora considerati stranieri26.

In Italia gli stranieri residenti regolarmente sono 5.026.153, circa un dodicesimo della popolazione italiana, anche se in leggera contrazione rispetto agli anni scorsi27. Sono numeri consistenti, che dimostrano come la presenza straniera in Italia vada studiata aldilà della visione emergenziale che si diffonde dopo ogni sbarco sulle nostre coste.

E’ una presenza che contribuisce a colmare parzialmente gli squilibri demografici nella composizione della popolazione italiana, sempre più sottoposta a fenomeni d’invecchiamento e bassa natalità: ogni 4 immigrati, 3 hanno meno di 45 anni, mentre i minorenni costituiscono circa un quarto del numero totale.

E’ una presenza per lo più stabile e a dimostrarlo sono sempre le statistiche: più della metà possiede un permesso di soggiorno illimitato, ossia non soggetto a rinnovo periodico. Solo nel 2015 gli immigrati giunti via mare sono stati 154mila: un numero consistente ma minore rispetto a quello degli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana (178mila)28. L’immigrazione per motivi di lavoro ha subito un calo negli ultimi anni per due motivi principali: la crisi del 2008, che ha ridimensionato le possibilità occupazionali nel nostro paese e il contemporaneo restringimento delle possibilità d’ingresso per motivi lavorativi, stabilite annualmente dai Decreti Flussi29.

Dunque, gli arrivi per motivi economici hanno subito un ridimensionamento e questo lo si può confermare attraverso due dati: quello relativo all’iscrizione anagrafica da parte di cittadini stranieri, motivato per il 69,8% dai ricongiungimenti familiari; e quello relativo alla cancellazione dai registri anagrafici sia da parte di cittadini italiani (102.259) che di stranieri (44.696, molto probabilmente sottostimato)30. L’Europa è rappresentata per più del 52%, seguita dal continente africano (21%) e asiatico (20%). Per quanto riguarda le nazionalità straniere maggiormente rappresentate, al primo posto troviamo la romena (22,9% del totale) seguita dalla nazionalità albanese (9,3% del totale), marocchina (8,7%), cinese (5,4%), ucraina (4,6%). Tra le nazionalità che hanno subito un aumento in termini di presenze

26Ibidem.

27Istat “Notizie sulla presenza straniera in Italia” consultabile al link https://www.istat.it/it/immigrati 28Idos “Dossier Statistico Immigrazione 2016” p. 88.

29Ibidem. 30Ivi p.89.

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rispetto al 2014 vi sono quella ucraina (+2,1%), l’egiziana (+5,9%), nigeriana (+8,6%), la senegalese (+4,4%).

1.1.4 La collocazione della manodopera straniera nel mercato del lavoro.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, un argomento che approfondiremo anche più avanti, le regioni in cui si concentra il maggior numero d’immigrati (84,1%) sono quelle del Centro Nord. Le città metropolitane non sono le aree che accolgono il maggior numero d’immigrati, a conferma di quello che spiegheremo nei prossimi capitoli, ossia di una presenza straniera che si concentra principalmente nella “città diffusa” (ad esempio le province di Prato, Brescia, Parma, Piacenza)31 e

nei comuni di piccole dimensioni.

Per quanto riguarda la situazione occupazionale, la crisi ha agito sulla presenza straniera in due modi: aumentandone il tasso di disoccupazione e incidendo in maniera negativa sulle garanzie contrattuali32. Se fino agli anni precedenti la crisi il settore in cui si inserivano maggiormente gli immigranti era quello industriale, i dati sui nuovi assunti rivelano una percentuale più che raddoppiata rispetto al passato nel settore agricolo (+17,8%), dimezzata nel settore industriale (13,2%), stabile in quello dei servizi (56%). Le aziende che assumono gli stranieri nel 74,1% dei casi sono micro imprese.

Lo studio della collocazione settoriale è importante per due motivi: evidenzia come la manodopera immigrata sia legata non solo alle variazioni nella struttura del mercato del lavoro nazionale, ma anche a meccanismi di etnicizzazione nelle mansioni svolte dagli immigrati. Per quanto riguarda la qualifica professionale, solo sette immigrati su cento svolgono un lavoro qualificato: al Nord prevale l’occupazione nell’industria, mentre nelle regioni del Sud prevalgono le mansioni con una bassa qualifica nei servizi e nel settore agricolo. Gli immigrati, rispetto ai cittadini italiani, ricevono uno stipendio più basso in media del 28,1%: mentre per gli uomini la percentuale si abbassa la 26,2% al Nord, le donne subiscono una situazione di svantaggio indipendentemente dalla collocazione territoriale (il 31,6% in meno). Dunque, gli immigrati costituiscono, nonostante la crisi, una parte importante del mercato del lavoro italiano: il problema è che essi continuano a svolgere mansioni

31Balduzzi G. “Gli immigrati nei sistemi locali del lavoro italiani: caratteristiche e prospettive di un

modello di insediamento” Fondazione ISMU 2016, p10.

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nei settori meno qualificati e con evidenti disparità legate all’etnia e al genere. Inoltre, i settori in cui risultano maggiormente impiegati sono quelli più esposti a sfruttamento a svantaggi retributivi33.

Come abbiamo visto, il settore agricolo è quello che ha subito una crescita notevole delle nuove assunzioni di immigrati. Dai dati elaborati dall’Istat emerge come la maggior parte della manodopera regolare impiegata in questo settore provenga da paesi appartenenti all’Unione Europea quali la Romania e da altri paesi quali la Tunisia e il Marocco. La presenza straniera irregolare è stimata intorno al 6% del numero totale degli stranieri, ossia circa 294mila persone34.

In generale, fino ad ora abbiamo fatto riferimento a una specifica categoria di migranti: i migranti per lavoro. E’ chiaro come la tipologia del lavoro contribuisca a determinare sia la porta d’accesso nel paese straniero, che il livello di tutela dei diritti garantiti a questi soggetti.

Più avanti, quando parleremo dei decreti flussi, ossia il sistema che in via esclusiva regola l’accesso in Italia per lavoratori stranieri, capiremo i punti di debolezza di un regime giuridico che non risponde alle necessità effettive dell’economia italiana. Inoltre, cercheremo di rispondere a una domanda cruciale: i decreti flussi, sommati alle regolarizzazioni straordinarie che periodicamente vengono emanate, favoriscono l’immigrazione irregolare?

1.1.5 Rifugiati e richiedenti asilo: le categorie più numerose dei flussi migratori in Italia.

Come già anticipato, quello che il nostro paese ha dovuto fronteggiare negli ultimi anni è un aumento dei flussi di particolari categorie di stranieri, nella maggior parte beneficiari della protezione internazionale. Tale categoria comprende i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria. Spesso, si riscontra una notevole confusione nei termini utilizzati per indicare queste particolari categorie di migranti: la caratteristica che li accomuna, aldilà del regime giuridico in cui vanno a collocarsi, è l’obbligo dello Stato in cui essi si recano di fornire una protezione adeguata che nel nostro paese, grazie soprattutto agli interventi normativi dell’Unione Europea, deve rispettare degli standard minimi.

33Ivi pag. 270.

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L’obbligo di proteggere è sancito in primis dalla nostra Costituzione all’art. 10, nonché dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 che l’Italia ha ratificato.

In Italia i richiedenti asilo nel 2016 sono stati 123mila, con un aumento del 47% rispetto all’anno precedente. La Nigeria si colloca al primo posto per numero di richiedenti asilo (27.289), seguita dal Pakistan (13.660) e dal Gambia (9.040). Su un totale di 91.102 esaminati il 5% è stato dichiarato rifugiato, il 14% è stato riconosciuto beneficiario della protezione sussidiaria, il 21% della protezione umanitaria, il 60% ha ricevuto un diniego.

1.2 Un “modello mediterraneo” dell’immigrazione.

1.2.1 Perché arrivano?

Quando ci si interroga sulle motivazioni che spingono i migranti a lasciare i loro paesi d’origine è facile cadere nelle semplificazioni. La decisione di emigrare è il prodotto di molteplici fattori, il risultato di un processo dinamico, interattivo e che coinvolge più attori: gli Stati d’origine, quelli di destinazione, coloro che si pongono come intermediari affinché il viaggio abbia esito positivo, le società in cui gli immigrati vanno ad inserirsi e i migranti stessi35.

E’ evidente come, soprattutto negli ultimi anni, gli arrivi nel territorio europeo siano dovuti a migrazioni forzate, riconducibili a preoccupazioni relative alla sicurezza personale: ne sono le cause scatenanti la guerra in Siria, le crisi nel Medio Oriente, il terrorismo in alcune parti della Nigeria, le guerre civili in Sudan e in Sud Sudan e l’instabilità della Somalia.

Secondo dati dell’Unhcr, nel 2016 hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa 361.678 persone di cui 181.436 solo in Italia. Le richieste d’asilo in Italia sono state 123 mila36: solo una parte minoritaria degli arrivi è dettata

da motivi economici. Come vedremo meglio nel prossimo capitolo, quando ci concentreremo sull’inserimento dei migranti in Calabria, capiremo come la commistione che si è creata (specie negli ultimi anni) tra queste due categorie di

35Ambrosini M. “Richiesti e respinti” Il Saggiatore, Milano 2010, pp.32-33. 36Unhcr, Operational Portal Refugee situation

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stranieri abbia contribuito a creare un serbatoio di manodopera a bassissimo costo, collocato proprio nei pressi delle aree in cui essi vengono sottoposti a fenomeni di sfruttamento.

Esistono delle caratteristiche che permettono d’identificare un “modello mediterraneo”37 d’immigrazione applicabile a molti paesi dell’Europa meridionale e

che in Italia assume connotati particolari: “L’Italia non ha un’immigrazione, ne ha molte, spesso diverse e non comunicanti tra loro”38 e questo è in gran parte dovuto a

notevoli differenze territoriali che producono disomogeneità nella distribuzione dei migranti a livello nazionale.

Innanzitutto, si parla di paesi in cui nel corso degli anni ‘70 i tassi d’immigrazione hanno gradualmente superato quelli di emigrazione, senza che l’emigrazione sparisse completamente. Inizialmente i migranti provenivano soprattutto dai paesi del Nord Africa, ma con la caduta del muro di Berlino i paesi d’origine che hanno maggiormente contribuito all’incremento dei flussi sono diventati quelli appartenenti all’ex blocco sovietico, in particolare quelli balcanici e l’Ucraina. Una delle caratteristiche del modello teorizzato quasi vent’anni fa da Pugliese e che negli ultimi anni ha assunto un’importanza primaria, è l’incremento degli immigrati richiedenti protezione internazionale. Tralasciando in questo momento le difficoltà incontrate dall’Italia nel gestire questi flussi, è importante sottolineare come queste categorie di immigrati si inseriscano nel mercato del lavoro italiano: iniziano a farlo già durante il percorso dell’accoglienza rendendo difficoltoso procedere a una distinzione con i migranti puramente economici39.

Questa componente dell’immigrazione inoltre, è impossibile da controllare con strumenti quali decreti flussi ed è sensibile ad aumenti ogni qualvolta si verifichi una crisi internazionale o una catastrofe naturale.

Un altro elemento caratterizzante il modello è la coesistenza, dovuta ai cambiamenti avvenuti nella struttura della domanda e dell’offerta di lavoro, di un numero crescente d’immigrati e un alto tasso di disoccupazione. Approfondiremo più avanti questi due aspetti. Gli immigrati vanno a collocarsi preferibilmente nel comparto agricolo e, solo in un secondo momento, nel settore terziario.

37Pugliese E. “Migrazioni e Mediterraneo” in Aymard M. & Barca F. “Conflitti, migrazioni e diritti

dell’uomo” (a cura di), Rubettino Editore, Soveria Mannelli 2002, p.145.

38Colombo A. & Sciortino (2004) op. già citata p.11. 39Pugliese E. (2002) op. già citata p.146.

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Prima della crisi del 2008, l’impiego nel settore industriale era delimitato a specifiche zone del Nord Italia e garantiva un’occupazione più stabile. Inoltre, l’assenza di politiche migratorie, soprattutto fino ai primi anni ‘90, ha agito in due direzioni, fomentando il fenomeno dell’immigrazione irregolare e costringendo gli immigrati già stabiliti sul territorio italiano a permanere in una situazione d’illegalità. Le procedure di regolarizzazione straordinaria (di cui i paesi dell’Europa meridionale si sono fatti promotori prolifici) hanno ulteriormente peggiorato questi profili40. L’emanazione di norme relative l’integrazione degli immigrati ha subito un’accelerazione solo negli ultimi anni, grazie all’espansione della legislazione europea. Dunque, quando ci chiediamo perché arrivino e come si inseriscono nella nostra società non possiamo che fare riferimento a un complesso di risposte: la struttura della domanda e dell’offerta di lavoro; il sistema normativo che regola l’accesso al lavoro degli stranieri; la costruzione di stereotipi; il sistema di accoglienza.

In generale, l’inserimento degli immigrati nel sistema economico avviene per lo più in maniera autonoma e sostanzialmente dal basso: questo fa sì che esso si adatti in maniera sensibile alle varie realtà locali41.

I paesi che possono essere ricompresi nel “modello mediterraneo” (Italia, Spagna, Grecia), sono anche quelli che negli ultimi anni hanno sperimentato lo sviluppo dell’agricoltura intensiva su larga scala, favorito anche dallo sfruttamento degli immigrati42. Nel terzo capitolo spiegheremo come la produzione agricola intensiva in alcune zone del nostro paese sia assimilabile a quel “modello californiano”, teorizzato da Berlan.

Le diverse categorie d’immigrati che lavorano sul territorio italiano sviluppano dinamiche di mobilità che si adattano alle caratteristiche economiche caratterizzanti specifiche aree. La già citata articolazione territoriale proposta da Ambrosini, nonché il lassismo con cui il lavoro immigrato viene tutelato a livello statale, spiegano bene l’autonomia che guida l’inserimento occupazionale degli stranieri.

40Guarneri A. “Le politiche migratorie nei paesi mediterranei dell’Unione Europea nell’ultimo

quindicennio: dimensione comunitaria e peculiarità nazionali” IRPPS-CNR Working Paper 05/05,

2013, pp.8-9.

41Ambrosini M. (2005), op. già citata p.68.

42Corrado A. “Ruralità differenziate e migrazioni nel Sud Italia” in Agriregionieuropa anno 8 n°28,

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I dati statistici recenti sulla popolazione straniera residente in Italia ci forniscono un quadro completo relativo alla collocazione della manodopera straniera regolare e alla sua variazione nel tempo.

Al contrario, per quanto riguarda la manodopera irregolare facciamo riferimento a stime. In quest’ultima categoria rientrano migranti privi del permesso di soggiorno; richiedenti asilo in attesa dell’audizione presso le commissioni territoriali; persone a cui è stata negata la protezione internazionale che non abbandonano il territorio italiano; immigrati già residenti sul territorio nazionale ma che vivono in condizioni precarie poiché hanno perso il lavoro nei distretti industriali del Nord Italia; rifugiati; migranti assunti con un permesso di lavoro stagionale43.

1.2.2 La distribuzione territoriale della presenza straniera in Italia.

Tornando per un momento all’evoluzione storica dei flussi in Italia e disaggregando i dati, si nota come l’Italia sia passata da paese d’emigrazione a paese d’immigrazione solamente nelle regioni del Nord. Nel 1981 per la prima volta le persone presenti in Italia sono in numero maggiore rispetto ai residenti e questo è un dato notevole, in quanto negli anni precedenti si era verificato l’opposto: il numero dei residenti era maggiore rispetto a quello delle persone effettivamente presenti in Italia per il solo fatto che la cancellazione dagli uffici anagrafici avviene sempre dopo un po' di tempo dalla partenza. Dunque, nonostante gli arrivi di immigrati, il Mezzogiorno continuava ad essere un’area d’emigrazione44.

Tra gli altri Sassen45 ha dimostrato come una quota consistente degli immigrati vada a stabilirsi negli agglomerati urbani, attirati dalla possibilità di essere assunti soprattutto nelle attività economiche del “basso terziario” quali i servizi e l’edilizia. La peculiarità del caso italiano a cui facevamo riferimento poc’anzi si denota invece per una presenza massiccia degli immigrati anche nei distretti manifatturieri di vitale importanza per l’economia italiana46, che l’Istat definisce come sistemi locali

diffusi47 e che non coincidono con le grandi città: essi sono caratterizzati

43Corrado A. (2012), op. già citata p.72. 44Balduzzi G. (2016), op. già citata p. 5.

45Sassen S. “Le città nell’economia globale” Il Mulino, Bologna 2004. 46Balduzzi G. (2016), op. già citata p. 8.

47“I sistemi locali, rappresentando aree geografiche precisamente identificate e delimitate sull’intero

territorio nazionale, soddisfano a precisi criteri dipendenti dalla domanda e dall’offerta di lavoro: sono infatti individuate in modo tale che la maggior parte della popolazione residente lavori ed eserciti la maggior parte delle proprie relazioni sociali ed economiche all’interno delle aree stesse.… da un punto di vista tecnico i sistemi locali sono regioni funzionali costruite tramite

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dall’aggregazione di comuni di piccole e medie dimensioni sparsi sul territorio in maniera non compatta.

I sistemi locali diffusi sono presenti prevalentemente nel Nord-Est, nell’area padana lombardo-emiliana, nel litorale marchigiano e nel pontino48. I dati statistici dimostrano come l’alto livello di attività imprenditoriali attiri manodopera straniera in queste zone: gli immigrati costituiscono il 10% della popolazione residente e hanno contribuito con più dell’11% alla crescita demografica di queste zone in un decennio49.

Una concentrazione molto alta è visibile anche nel cosiddetto “cuore verde”, ossia zone concentrate prevalentemente nel Centro-Nord, caratterizzate da una densità di popolazione molto bassa e da un alto livello di ruralità50. E’ chiaro come la forte presenza di immigrati in queste aree non sia casuale: le piccole e medie imprese legate al settore manifatturiero e le imprese agricole generano una domanda di lavoro prevalentemente a basso costo e ad alta intensità manuale.

Inoltre, il ruolo delle reti è stato cruciale nel favorire l’insediamento della manodopera immigrata ad alta specializzazione etnica: emblematico è il caso del settore manifatturiero a Prato, con una netta prevalenza della manodopera cinese. La presenza di manodopera immigrata è dunque fondamentale per la sopravvivenza delle piccole e medie imprese su cui si fonda l’economia italiana51: esse sono

caratterizzate da una forte tendenza all’export che le spinge a rendersi competitive sul mercato globale attraverso la riduzione dei costi, primo fra tutti il costo del lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni si è verificata un’inversione di tendenza: a seguito della crisi del 2008 i flussi nel Nord Est hanno subito un decremento a favore del Mezzogiorno, area in cui si è registrato un +15,9% dei flussi in entrata52.

Proprio la crisi ha innescato movimenti interni che hanno portato allo spostamento dei migranti verso i piccoli comuni e le aree interne a vocazione agricola. Ci sembrava utile fare queste premesse di carattere tecnico in quanto la suddivisione dei sistemi locali è necessaria, ai fini della nostra ricerca, non solo per comprendere dove

aggregazioni di due o più comuni, massimizzando la loro interazione. Tale caratteristica rende i sistemi locali geografie territoriali particolarmente idonee all’analisi dei fenomeni socio-economici e della loro evoluzione nel tempo” in Istat “La nuova geografia dei sistemi locali” (a cura di), 2015, p.25.

48Ivi, p. 146. 49Ibidem. 50Ivi, p.147.

51Balduzzi G. (2016), op. già citata p. 13. 52Ivi, p.14.

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vadano a collocarsi gli immigrati nel mercato del lavoro calabrese, ma anche per capire le potenzialità e le fragilità del mercato che li “accoglie”.

Ne ricaveremo una fotografia d’insieme che sarà emblematica per due motivi: dimostreremo, aldilà dei pregiudizi che li circondano, quanto gli immigrati siano “utili”, in un certo senso loro malgrado, al sistema produttivo che caratterizza il Meridione; attraverso due studi di caso diametralmente opposti, forniremo dati e prove di quanto la necessità della loro presenza possa assumere una duplice valenza positiva: per i territori rurali in cui si insediano in quanto promotori di sviluppo; per gli immigrati stessi, nel momento in cui riescono a portare avanti delle lotte per uscire dalla loro condizione di sfruttamento.

1.3 Le politiche d’ingresso.

1.3.1 Quanto sono efficaci le politiche d’ingresso?

Gli aspetti e le motivazioni alla base di un progetto migratorio sono alquanto eterogenee. Proprio queste componenti subiscono dei ridimensionamenti quando i paesi di destinazione mettono in atto politiche migratorie. I governi infatti intervengono sui flussi cercando di modificarne la portata e la composizione.

Fino agli anni ‘70 del secolo scorso l’immigrazione era considerata come una possibilità di sviluppo economico: sostanzialmente era utile ai fini dell’approvvigionamento di manodopera che, nei paesi che stavano vivendo un intenso processo d’industrializzazione e in cui la fascia di popolazione giovane aveva subito una riduzione a causa della guerra, era necessario per sostenere la crescita economica53.

Come abbiamo già avuto modo di vedere, alla fine degli anni ‘70 i principali paesi di destinazione iniziano ad attivare politiche di stop, ossia regolamenti più severi i quali, uniti alle congiunture economiche sfavorevoli, provocano una diminuzione nel numero degli ingressi.

Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, sia nei tradizionali paesi d’arrivo (Germania, Francia) che in quelli di nuova destinazione (Spagna, Italia) riemerge la tendenza ad attivare programmi d’ingresso per lavoratori stagionali. Questi programmi si distinguono da quelli precedenti per tre motivi: il numero dei lavoratori

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ammessi è inferiore; la durata del soggiorno è ridotta; è prevista una distinzione tra lavoratori qualificati e non54.

Di fatto, la politicizzazione della questione immigrazione, dovuta all’aumento dei flussi di rifugiati politici e per motivi umanitari, all’incremento degli ingressi per ricongiungimenti familiari e all’insediamento di minoranze etniche ha portato al rafforzamento delle politiche di gestione dei flussi55.

Le teorie che studiano le motivazioni e l’efficacia delle politiche di controllo dei flussi migratori sono svariate. Meyers,56 le suddivide in tre gruppi principali: un primo filone che si concentra sulla competizione economica tra i lavoratori nativi e gli immigrati; un secondo filone che analizza gli ostacoli prodotti dalle differenze culturali fra i due gruppi; un terzo filone, che mette in luce l’impatto delle relazioni internazionali e degli accordi multilaterali su queste politiche.

Il primo filone include varianti marxiste e neomarxiste, le quali ad esempio sostengono come le immigrazioni siano favorite dal capitalista che, attraverso di esse esercita una pressione sui salari: incoraggiando il razzismo tra le due classi di lavoratori, egli riuscirebbe a ridurre gli stipendi e a diminuire i costi della sua attività. Il secondo filone, tralasciando gli effetti dei fattori esterni sulle politiche di controllo dell’immigrazione, si rifà ad un’analisi propriamente storica: il punto focale è l’identità nazionale. Gli immigrati, rappresentando qualcosa di strano e non familiare, costituirebbero una sfida ai valori culturali, morali e simbolici delle società d’arrivo.

L’ultimo filone ha due varianti: la prima, facendo riferimento ad un approccio realista, sottolinea come i conflitti tra gli Stati, effettivi o potenziali, abbiano un effetto sulle politiche migratorie; la seconda variante, adottando un approccio neoliberale ed istituzionalista, sottolinea come le organizzazioni internazionali facilitino la cooperazione tra gli stati in relazione alle politiche di gestione dei flussi. Questi approcci hanno diversi limiti: non spiegano le migrazioni di rifugiati e richiedenti asilo, che hanno superato quelle economiche in termini d’impatto sui mercati del lavoro; non spiegano la tendenza a imporre restrizioni all’ingresso sulla base della provenienza etnica; non spiegano perché paesi diversi dal punto di vista culturale abbiano adottato politiche restrittive simili; non spiegano perché molte

54Castles S. & Miller M.J. “L’era delle migrazioni” Odoya, Bologna 2009,pp. 217-218. 55Ambrosini M. (2005) op. già citata p.188.

56Meyers E. “International immigration policy: a theoretical and comparative analysis” Palgrave

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politiche restrittive siano inefficienti o irrazionali, pur presupponendo che lo Stato sia un attore razionale; inoltre, le organizzazioni internazionali hanno avuto un impatto minimo sulla gestione dei flussi, con l’eccezione dell’Unione Europea.

Gli sviluppi politici recenti dimostrano come, a livello globale, gli Stati si stiano attivando sempre di più nella direzione di gestire i flussi, scoraggiarli e disincentivarli anche attraverso un uso maggiore dello strumento dell’espulsione. Non bisogna dimenticare come concetti che determinano l’attributo della regolarità o dell’irregolarità del soggiorno siano mobili, variabili: siano sostanzialmente costruzioni volte ad assegnare un’etichetta sociale sulla base di convenienze politiche contingenti57. Allo stesso modo, non si può determinare aprioristicamente cosa sia l’immigrazione irregolare, in quanto essa è determinata dall’incontro tra gli spostamenti delle persone attraverso le frontiere e le norme previste dai diversi ordinamenti statali58.

Massey59 giunge a tre conclusioni sui motivi che determinano la scelta di introdurre una politica migratoria restrittiva da parte di uno Stato. Egli sostiene come queste subiscano un ampliamento nelle fasi di crisi economiche, mentre vivano una fase recessiva nei periodi di crescita economica. Secondariamente, il volume dei flussi incide in maniera negativa sulle politiche, anche quando nel lungo periodo, la presenza degli immigrati nei collegi elettorali riesce parzialmente a mitigarle. Inoltre, quando l’opinione pubblica è attraversata da conformità sociale vi sono politiche più restrittive; accade il contrario in periodi in cui c’è un sostegno maggiore al libero commercio. Secondo Massey, quello che si sta realizzando nella nostra epoca è un “paradosso postmoderno”, ossia una tensione latente tra la globalizzazione, che spinge verso un ampliamento del libero scambio di merci ed informazioni e l’attuazione di politiche restrittive della mobilità delle persone. D’altro canto, è ancora vera l’affermazione di Zolberg60 che nel 1989 riconosceva alle politiche

migratorie il potere di rendere le migrazioni internazionali processi sociali in grado di provocare un cambiamento nell’appartenenza a una giurisdizione, oltre che un mero spostamento fisico.

57Ambrosini M. (2005) op.già citata p. 188. 58Ivi p.189.

59Massey D. “La ricerca sulle migrazioni nel XXI secolo” traduzione a cura di Sciortino G. in

Colombo A. & Sciortino G “Stranieri in Italia” (a cura di), Il Mulino, Bologna 2002, p.38.

60Zolberg A.R. “The next waves: Migration theory for achanging world” in International Migration

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Egli afferma che sono proprio le politiche migratorie a determinare il “chi” e il “dove” della mobilità umana. Questa osservazione è applicabile sia ai rifugiati che ai migranti economici, in quanto le violenze a cui sono sottoposte le persone nei paesi d’origine, provocano un flusso di rifugiati solo nel caso in cui essi abbiano un posto in cui andare61.

Noi aggiungiamo che le restrizioni indiscriminate, come nel caso dell’accordo Ue-Turchia, provocano sì una riduzione dei flussi, ma a scapito delle persone: esse intraprenderanno viaggi ancora più pericolosi e più lunghi, pur di raggiungere un luogo sicuro.

Queste premesse ci sembravano utili anche alla luce dello studio sull’efficacia delle politiche migratorie in Italia: quello a cui assistiamo quotidianamente quando siamo testimoni o complici di abusi sui migranti è la dimostrazione di un divario tra le finalità delle politiche restrittive e gli esiti che esse realmente producono.

Di fatto, negli ultimi anni gli Stati hanno dovuto affrontare una crescita impetuosa dei flussi migratori, ed essi hanno cercato di disincentivarli attraverso meccanismi che tuttavia incontrano degli ostacoli di varia natura: l’accresciuta importanza della tutela dei diritti umani, che impedisce discriminazioni di tipo etnico e razziale e obbliga al soccorso in caso di pericolo; l’economia globale, che agisce al di sopra delle possibilità statali incentivando la mobilità; un potere giudiziario indipendente, su cui i politici non possono esercitare pressioni62.

Proprio i politici affrontano una situazione in cui l’opinione pubblica chiede sforzi sempre maggiori nel contrasto all’immigrazione, in qualunque categoria essa rientri. Questo elemento spesso porta all’approvazione di misure efficaci più sul piano simbolico che su quello pratico: i politici ricevono un vantaggio dal punto di vista del consenso, in quanto dimostrano una parvenza di controllo che nella realtà si scontra con l’effettiva efficacia delle politiche restrittive.

Questi tentativi diventano ancora più visibili quando escludono gli stranieri già residenti nel territorio nazionale dal godimento di determinati diritti sociali (sanità, scuole, prestazioni assistenziali): tali provvedimenti vanno a ridurre la platea dei beneficiari e mirano a rendere meno “appetibile” una permanenza stabile, o l’arrivo

61Ivi, p. 406.

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di altri stranieri attirati dalle informazioni scambiate dai migranti tramite il circuito delle reti.

1.3.2 La politica migratoria in Italia: la ricerca di un equilibrio tra Decreti Flussi e Sanatorie.

Dunque, per tornare al caso italiano, abbiamo visto con quale lentezza il nostro paese abbia risposto alle conseguenze del passaggio da area d’emigrazione ad area d’immigrazione. Quando parliamo di migrazioni facciamo riferimento a diversi “progetti migratori”: quello delle migrazioni da lavoro, trova la sua regolamentazione diretta nei “decreti flussi”, ossia uno degli strumenti utilizzati dalla nostra normativa per regolare il numero di stranieri presenti sul territorio nazionale o che vogliono farvi accesso per motivi di lavoro63.

Il primo tentativo di programmazione era contenuto nella legge organica del 198664 la quale prevedeva l’ingresso di stranieri per motivi di lavoro sulla base delle domande presentate dalle famiglie e dalle imprese.

Ad oggi, la disciplina sui decreti flussi è contenuta all’art.21 del Testo Unico sull’Immigrazione così come modificato dalla legge Bossi-Fini del 2002. L’articolo prevede che il datore di lavoro si rivolga allo Sportello Unico per l’immigrazione, chiedendo un nulla osta per l’ingresso di un lavoratore straniero. Si avvia una procedura volta a verificare: il tipo di lavoro nonché il possesso da parte dell’impresa di una capacità reddituale minima; la disponibilità di un alloggio con le caratteristiche stabilite da ciascuna regione e del denaro necessario al rimpatrio; l’insussistenza di motivi ostativi all’ingresso.

A quel punto, qualora il datore di lavoro conosca già lo straniero, la domanda viene inoltrata al consolato del paese di provenienza dello stesso, altrimenti il datore pesca a caso da una lista di persone disponibili. Al termine dell’istruttoria con la quale lo Sportello Unico verifica la sussistenza dei requisiti già citati, rilascia ovvero respinge la domanda di nulla osta. Il lavoratore straniero, che a quel punto avrà ottenuto un visto per l’ingresso, dovrà recarsi allo Sportello per firmare il contratto entro otto giorni dalla data del rilascio del nulla osta65.

63Ministero dell’interno “Procedure Flussi” http://www.interno.gov.it/it/servizi-line/procedure-flussi 64Legge del 30 Dicembre1986, n.943.

65Melting Pot Europa “Decreti Flussi: autorizzazione all’ingresso per lavoro subordinato stagionale”

consultabile al link http://www.meltingpot.org/Decreto-flussi-Autorizzazione-all-ingresso-perlavoro.html#.WPSaxUexXVM

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Le problematiche di questa procedura sono due: innanzitutto le quote rappresentano in maniera esclusiva il canale d’ingresso regolare da parte di cittadini stranieri per motivi di lavoro; tuttavia le quote sono nettamente inferiori alle richieste di assunzione inviate dai datori di lavoro, il che ci porta alla seconda problematica, ossia alle prassi che hanno avuto modo di consolidarsi nel corso degli anni per ovviare a queste carenze. Spesso accade che lo straniero lavori già in maniera irregolare nel nostro paese e che, qualora il datore di lavoro ottenga il nulla osta, rientri nel suo paese per ottenere il visto d’ingresso. Di fatto, il decreto flussi si trasforma in un procedimento di regolarizzazione66.

Questa prassi, nonché la previsione di sanatorie, hanno progressivamente svuotato di senso i decreti flussi: per un immigrato è molto più semplice entrare nel nostro paese con un visto turistico e aspettare un provvedimento straordinario di regolarizzazione. Inoltre, fino al 2005 i posti previsti dai Decreti Flussi oscillavano tra i 60mila e gli 80mila, ma nel 2009 non è stato emanato nessun decreto e quelli successivi hanno stabilito quote sempre inferiori alle 100mila unità67.

Dunque, le quote stabilite dai decreti flussi sono un chiaro esempio di gestione miope da parte dei governi che si sono succeduti, degli interventi in materia di ingressi per motivi di lavoro.

Da un punto di vista della convenienza politica, è utile dimostrare agli elettori come le quote siano state ridotte in un momento in cui la disoccupazione giunge a livelli molto alti, anche se le proiezioni Eurostat dimostrano come nei prossimi venti anni l’Italia avrà bisogno di circa 300mila immigrati all’anno per compensare il deficit demografico che provoca una diminuzione delle persone in età lavorativa68.

I decreti flussi inoltre sono sì selettivi, ma in una maniera che li ha privati di senso: per esempio, fino al 2009 l’unico modo per ottenere un visto d’ingresso era dimostrare di essere un collaboratore domestico. Nonostante nei quattro anni precedenti i programmi d’ingresso fossero rivolti sostanzialmente a questa categoria, presentarono la domanda più di 300mila persone, ossia un numero nettamente superiore a quello previsto.

Si evince come non solo i numeri non rispecchino una necessità effettiva del mercato italiano, ma anche come la selezione avvenga solo sulla base dell’appartenenza a

66Ibidem.

67Colombo A. “Fuori Controllo. Miti e realtà dell’immigrazione in Italia” Il Mulino, Bologna 2012. 68“Idos (2016), op. già citata p.113.

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determinate categorie: se si è cittadini di paesi che hanno concluso specifici accordi con l’Italia; indipendentemente dalla qualifica professionale e spesso con delle differenze di genere69.

Verifichiamo quanto detto attraverso l’analisi del decreto flussi per il 2017. I posti messi a disposizione sono 30.85070: il problema è che circa 13 mila quote sono destinate alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo, per coloro che già risiedono sul territorio nazionale con permessi rilasciati per altri motivi71. Gli altri 17mila posti sono riservati ad ingressi per lavoro stagionale di cittadini i cui paesi di provenienza hanno stipulato con l’Italia accordi di riammissione72. Il decreto non regolarizza la posizione di coloro che lavorano stabilmente in Italia in maniera irregolare, procrastinando la risoluzione di un problema che si trascina ormai da decenni: la mancanza di una politica precisa che tuteli l’accesso al lavoro di stranieri che, di fatto, continuano a fare affidamento sul canale irregolare73.

1.3.3 Complementarietà, concorrenza e sostituzione della manodopera straniera.

Nel primo paragrafo abbiamo sottolineato come gli studiosi degli anni ‘70 fossero perplessi a causa della situazione che si era creata in Italia: un paese con alta disoccupazione generale, ma in cui i migranti iniziavano a stabilirsi in numero sempre maggiore per motivi di lavoro. Come abbiamo già detto, la situazione odierna è la medesima: le cause vanno ricercate in una mancanza di manodopera in alcuni settori specifici, quali l’agricoltura e la cura della persona, in cui soprattutto i giovani, anche se disoccupati, preferiscono non essere impiegati a causa dei salari bassi e delle scarse garanzie occupazionali.

69Colombo A. (2012) op.già citata

70Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 febbraio 2017 concernente la

programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari nel territorio dello Stato per l’anno 2017.

71Per lavoro stagionale, per motivi di studio, formazione professionale e tirocinio, per cittadini

stranieri che possiedono un permesso di lungo periodo rilasciato da un altro Stato Membro. http://www.interno.gov.it/it/notizie/decreto-flussi-2017-lavoratori-stranieri-stagionali-dal-21-marzo precompilazione-domande

72Albania Algeria, Bosnia-Herzegovina, Repubblica di Corea, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Ex

repubblica Jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Ucraina e Tunisia.

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