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2.6 Il sistema dell’accoglienza in Calabria

2.6.1 Il Cara di Crotone

Nel maggio del 2017 un’indagine condotta dalla DDA di Catanzaro ha portato all’arresto di 68 persone tra Crotone e Isola Capo Rizzuto. Tra i capi d’imputazione (che sono 150) rientrano: associazione mafiosa, porto illegale di armi, malversazione ai danni dello Stato, truffa e frode in pubblica fornitura, tutti con l’aggravante delle modalità mafiose.

Il cuore dell’indagine è il Cara Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto: la sua gestione è stata affidata per dieci anni alla Misericordia (la cui Federazione Regionale è stata commissariata insieme alla sede di Isola Capo Rizzuto), il cui presidente, Leonardo Sacco è ora accusato di legami con la Cosca Arena. I vertici della Misericordia avrebbero dirottato nel corso degli anni circa 32 milioni di euro proprio nelle tasche

120 Medici Senza Frontiere (2016), “Fuori Campo. Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti

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della cosca Arena: il centro si sarebbe trasformato in poco tempo in vero e proprio un “bancomat121”.

Generalmente i Cara sono centri di grandi dimensioni, fuori dai centri abitati e nei quali i collegamenti con l’esterno non sono semplici, ossia tutte caratteristiche che vanno ad incidere negativamente sulla vita degli accolti. Sono centri aperti, in cui è consentita l’uscita nelle ore diurne senza previa autorizzazione.

Il Cara di Sant’Anna è nato nel ‘99 per affrontare l’incremento dei flussi provenienti dai Balcani: può accogliere fino a 1500 persone ed è attualmente il più grande d’Europa. La sua denominazione (Cpa, Cie, Cara) è cambiata nel corso degli anni, parallelamente alle nuove normative in materia di accoglienza, ma la sua gestione è stata pessima sin dall’inizio.

In realtà, intorno alle cifre relative alla capienza del centro non c’è molta chiarezza: in alcuni momenti i responsabili del centro hanno dichiarato che fossero presenti tra i 1600 e i 1700 ospiti, numero “confermato” dai “mattinali”, ossia i registri che vengono forniti quotidianamente dall’Ufficio Immigrazione della Questura con il resoconto dei pasti distribuiti122. Tuttavia, i controlli hanno dimostrato come i pasti trasportati al centro fossero in realtà in numero minore rispetto a quanto dichiarato. Gonfiare i numeri per anni ha permesso di ottenere rimborsi che potrebbero superare i 10mila euro giornalieri: questa pratica infatti determinava una sovra-fatturazione per tutti i servizi offerti e quindi non solo i pasti ma anche le sim, i beni di prima necessità e i famigerati pocket-money.

Da un lato, dichiarare di ospitare molte più persone rispetto a quelle effettivamente presenti consentiva ai gestori di ottenere rimborsi non dovuti; dall’altro, quegli stessi gestori riuscivano ulteriormente a guadagnarci risparmiando proprio sulla fornitura di quei servizi.

Come si può leggere sul sito web della Misericordia123, i migranti ospitati, che per legge hanno diritto a diversi servizi, ricevono “tre pasti giornalieri (colazione, pranzo e cena) distribuiti in base alle usanze e le diete particolari di ognuno (vegetariani,

121Lettera 43 “Migranti, le mani della 'ndrangheta sul Cara di Crotone” consultabile al link

http://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2017/05/15/migranti-le-mani-della-ndrangheta-sul-cara- di-crotone/210683/

122Cosentino R. “A Isola Capo Rizzuto l'accoglienza è un affare Ai danni dello Stato e dei diritti

umani” consultabile al link http://espresso.repubblica.it/inchieste/2015/09/30/news/isola-capo-

rizzuto-dove-l-accoglienza-diventa-un-affare-ai-danni-dello-stato-e-dei-diritti-umani- 1.232166#gallery-slider=undefined

123Misericordia Isola Capo Rizzuto “Il centro di accoglienza richiedenti asilo di Crotone” consultabile

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celiaci, mussulmani)”: in realtà quelli distribuiti non erano sufficienti per tutti e, nella maggior parte dei casi, erano di scarsissima qualità124.

Questo sistema è andato avanti per anni. La Misericordia in realtà non incassava nulla in quanto onlus e quindi organizzazione senza scopo di lucro. I soldi venivano dirottati attraverso l’apertura di società per la fornitura dei servizi: non solo per i pasti, ma anche per la gestione delle lavanderie industriali per la pulizia di lenzuola a tovaglie, così come per l’assunzione degli operatori che venivano opportunamente selezionati dalle cosche.

Inoltre, sempre sul sito web della Misericordia si può leggere: “all’interno della struttura sono presenti uffici per l’assistenza sociale, l’informativa legale e il sostegno psicologico”. Per quanto riguarda l’informativa legale, i gestori dichiaravano che la permanenza nel centro fosse di massimo sei mesi, anche se in realtà molti migranti dichiaravano di essere ospiti del centro già da alcuni mesi senza aver avuto l’occasione di avviare l’iter per la richiesta d’asilo.

La confusione a livello normativo, nonostante i recenti interventi legislativi125, si riflette anche a livello delle strutture di accoglienza, soprattutto in quelle di grandi dimensioni: spesso dentro le stesse mura convivono più centri, con funzioni e riferimenti normativi diversi. Accade la stessa cosa al Cara di Sant’Anna che è anche un Cie e che nel corso dell’ultimo anno è diventato un hub regionale, ossia un centro di smistamento dei migranti in altre regioni.

In Calabria il disagio abitativo degli immigrati non si limita al Cara di Sant’Anna. Nei pressi della stazione di Crotone è nato un ghetto che periodicamente si ripopola: coloro che hanno fatto richiesta di protezione internazionale devono ritornare ogni anno presso la medesima questura per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. I tempi per le pratiche burocratiche sono molto lunghi (servono dai 3 ai 5 mesi) e gli immigrati, che spesso vivono in situazioni economiche molto precarie, sono costretti

124Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha fornito ulteriori dettagli sulla malagestione del Cara

di Sant'Anna, parlando di «spaccato raccapricciante» e di «filmati e intercettazioni ambientali dalle quali si evince che il cibo non bastava per tutti e spesso era quello che solitamente si dà ai maiali». http://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2017/05/15/migranti-le-mani-della-ndrangheta- sul-cara-di-crotone/210683/

125Legge 13 aprile 2017 n. 46 recante “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in

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a trovare alloggi di fortuna. Per poter sopravvivere si accontentano di lavori saltuari, spesso in agricoltura o come ambulanti126.

La situazione degli insediamenti informali è nota già da qualche anno: è il risultato delle carenze del sistema di accoglienza italiano e interessa tutta la penisola.

A causa dell’incremento nel numero degli arrivi, il sistema di prima e seconda accoglienza non è riuscito ad assorbire completamente la quota di aventi diritto. Il problema è accentuato dai lunghi tempi necessari per l’esame delle domande di protezione internazionale da parte delle commissioni territoriali competenti (9 mesi) che, nel caso d’istanza per il diniego, diventano biblici (possono essere necessari anche 18 mesi). Questo implica che il turnover nelle strutture sia molto lento.

Il collasso del sistema di accoglienza è stato evitato solo grazie all’allontanamento volontario dei migranti, che spesso si sottraggono alle procedure d’identificazione per fare richiesta di protezione internazionale in un altro Stato Membro.

La popolazione degli insediamenti informali può essere suddivisa in due categorie: alla prima appartengono i richiedenti asilo in attesa di essere ammessi nel circuito dell’accoglienza e coloro che si sono sottratti alle misure di identificazione per recarsi in altri paesi; nella seconda vi rientrano i titolari di protezione internazionale che tuttavia sono stati esclusi dall’accoglienza127.

La stessa cosa accade nei pressi della stazione di Crotone che ospita quotidianamente dalle 50 alle 150 persone in una situazione di profondo disagio. Col tempo infatti si è creata una situazione paradossale: da un lato, centinaia di immigrati sostano in questi insediamenti prima di tentare il viaggio verso altri paesi europei; dall’altro, molti fuoriusciti dal sistema della prima accoglienza sperano di poter rientrare nel Cara, nonostante le condizioni di vita al suo interno, perché privi dei mezzi necessari per vivere.