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L’immigrazione: una risorsa per piccoli comuni e aree interne

Nel corso del precedente paragrafo abbiamo cercato di definire un’unità analitica di base: abbiamo visto come non possiamo fare riferimento ai piccoli comuni come ad una categoria, per lo meno non nel senso del presunto disagio economico e sociale

283 Regione Calabria (2014), “Programma operativo nell’ambito dell’obiettivo «investimenti in favore

della crescita e dell’occupazione»” p. 18.

284Corrado A. & D’Agostino M. (2016), “I migranti nelle aree interne. Il caso della Calabria”

Consultabile al link https://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/45/i-migranti-nelle-aree- interne-il-caso-della-calabria

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vissuto da queste realtà. In generale la distribuzione italiana dei comuni, della popolazione e delle imprese si presenta come molto diffusiva e di conseguenza a comuni di piccole dimensioni caratterizzati da fenomeni di de-antropizzazione e contrazione del mercato del lavoro, se ne affiancano altri che fanno parte di distretti urbani o industriali diffusi e che per questo motivo non risentono dei suddetti fenomeni.

Per la Calabria possiamo fare un discorso diverso: abbiamo fatto riferimento alle caratteristiche morfologiche e territoriali proprio per sottolineare la sostanziale sovrapposizione tra Aree Interne e Piccoli Comuni, per una serie di motivi a cui abbiamo già accennato. Innanzitutto il fatto per cui circa l’80% dei comuni calabresi sia di piccole dimensioni; sia poco attrattivo, come dimostrano i dati sullo spopolamento i quali raggiungono una maggiore incidenza proprio nelle aree periferiche e ultra-periferiche; soffra di uno squilibrio nella distribuzione per età della popolazione, a favore delle classi d’età “inattive”; sia causa di un consumo di suolo eccessivo, collegato a fenomeni di abusivismo edilizio e dissesto idrogeologico; sia poco competitivo, come dimostrano i dati sul reddito medio pro- capite calcolati per zona; sia storicamente segnato da intensi flussi di emigrazione. Inoltre, abbiamo visto come il lessico per indicare queste aree sia estremamente variegato e tuttavia, indipendentemente dalle espressioni utilizzate, identifichi aree che vivono situazioni di complessità in parte dovute anche a un potenziale economico e sociale inespresso. Il fenomeno dell’immigrazione si intreccia con quelli appena citati producendo dei risvolti per certi versi inaspettati286. Le diverse combinazioni tra fragilità e immigrazioni possono essere ricondotte a tre questioni principali287: il contrasto vissuto dalle aree fragili tra la loro relativa semplicità a livello istituzionale e la “complessità” portata dallo straniero; la prevalenza nelle aree fragili di attività legate al settore primario che generalmente attirano gli stranieri poco qualificati; il rischio che, vista l’ampiezza limitata del mercato del lavoro locale, queste aree siano in grado di attirare e trattenere solo migrazioni temporanee. A queste questioni generali se ne legano altre tre: la prima è legata alla qualità dei rapporti che si instaurano tra immigrati e popolazione autoctona. Abbiamo fatto riferimento al caso di Rosarno, il quale rappresenta in maniera eclatante un esempio negativo. Allo stesso modo, il caso di Rosarno è emblematico di alcune delle

286 Osti G. & Ventura F. (2012), op. già citata p. 1. 287 Ivi, p. 2.

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conseguenze a cui può portare la marcata specializzazione di un’area nel settore primario, questione che si collega ad un’altra: i fenomeni di segregazione spaziale e professionale che gli immigrati subiscono. Alla terza questione si lega infine il tema della dimensione e della composizione dei flussi che interessano queste aree.

Nell’ottica della Strategia per le aree interne, i flussi migratori sono considerati come un’occasione cruciale per lo sviluppo. Infatti, sotto questo punto di vista, le “nuove popolazioni” sono considerate fondamentali per lo sviluppo di queste aree per almeno tre motivi: perché riescono a promuovere lo sviluppo delle aree marginali attraverso la costituzione di legami affettivi, culturali ed economici con la popolazione autoctona; perché, se adeguatamente integrate, le nuove popolazioni riescono a produrre valore territoriale; perché spesso le nuove popolazioni fanno riferimento a reti di relazione “lunghe” e, in questo modo, connettono gli spazi marginali agli spazi urbani e con essi le risorse locali a quelle nazionali288. Inoltre, lo scopo ultimo di tale Strategia è proprio il potenziamento della struttura demografica di queste aree che può essere raggiunto “attraverso l’aumento della presenza di immigrati in età attiva o un aumento delle classi in età lavorativa289”.

Il secondo dei motivi appena citati fa riferimento al tema dell’integrazione, che viene considerato come una premessa imprescindibile per produrre lo sviluppo delle aree interne. In Calabria si sono costituiti tre modelli principali d’integrazione. Il primo si fonda sull’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo attraverso il sistema dello Sprar che, in molti comuni marginali, ha tratto ispirazione dall’esperienza positiva nella c.d. “Dorsale dell’ospitalità”.

Il secondo modello è legato alla stagionalità di alcuni settori economici che inevitabilmente produce una circolarità dei flussi migratori, peraltro contraddistinti dall’essere provvisori.

Al terzo modello corrisponde un’immigrazione di più vecchia data che ha trovato nei piccoli comuni le basi per un insediamento stabile.

288Barbera F. (2015), “Il terzo stato dei territori: riflessioni a margine di un progetto di policy”

consultabile al link

https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahU KEwiCm8D0JPYAhXCPRQKHeaDDhMQFggoMAA&url=https%3A%2F%2Faperto.unito.it%2Fretr ieve%2Fhandle%2F2318%2F1575261%2F170501%2Faree_interne_BARBERA.pdf&usg=AOvVaw3 5WMWUCS9HizTrkpbmy2Q4

289 Carlucci C. & Lucatelli L. (2013) “Aree interne: un potenziale per la crescita economica del

paese” consultabile al link https://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/34/aree-interne-un-

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Ad ognuno di questi modelli corrisponde una o più categorie d’immigrati: rifugiati e richiedenti asilo per il primo; immigrati c.d. economici per l’ultimo; diverse categorie per il secondo.

Nel corso di questo lavoro abbiamo già ampiamente discusso della seconda categoria e per farlo abbiamo preso come riferimento il caso di Rosarno. Nel corso di questo capitolo tracceremo una breve analisi degli altri due modelli di inclusione: utilizzeremo come esempi il caso di Riace per il primo modello e il caso di alcuni piccoli comuni dell’Area Grecanica per il terzo290.

La scelta dei casi è intenzionale: sono stati utilizzati come esempi comuni che registrano tassi di presenza straniera residente superiori alla media regionale e che hanno avviato progetti di inclusione già da alcuni anni.