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3.15 Alcune idee per il superamento dei fenomeni di sfruttamento in

3.15.1 I “bollini etici”

Il sistema della c.d. condizionalità sociale non sarebbe da solo in grado di debellare i fenomeni di sfruttamento lavorativo.

Sarebbe più proficua l’ipotesi per cui questo sistema venisse affiancato da politiche che incentivino il consumo critico: in tal caso sarebbe anche più semplice orientare la produzione agricola verso forme di sostenibilità sociale che esulino dalla necessità di utilizzare un pesante sistema sanzionatorio nei confronti dei datori di lavoro che non rispettano le regole. La scelta consapevole dei consumatori potrebbe essere un incentivo per le aziende agricole a fornire informazioni sulle condizioni di lavoro della manodopera impiegata.

Il trasferimento di informazioni dal produttore al consumatore potrebbe essere utilizzato come una strategia di marketing: in questa ottica si inseriva il tentativo della Regione Puglia di certificare attraverso un “social label” (Equapulia-No Mercato Nero) i prodotti di aziende che non facessero uso di manodopera sfruttata o intermediata illegalmente.

I c.d. social label o bollini etici sono delle certificazioni rilasciate da organismi indipendenti che forniscono informazioni circa la provenienza e il processo di produzione. Sono nati per rispondere all’esigenza, sempre più sentita da parte del consumatore, di trasparenza, tracciabilità e rispetto di determinati standard in materia di rispetto dell’ambiente, dei diritti umani, del benessere degli animali e della sicurezza alimentare.

L’utilità sociale del bollino etico si realizza su un duplice piano: sul piano della domanda consente di sensibilizzare il consumatore e renderlo responsabile dell’atto di acquisto; sul piano dell’offerta, i requisiti richiesti a un’azienda per poter apporre il bollino si traducono nella possibilità o meno di vendere i propri prodotti in determinati mercati oppure di riuscire ad attirare una particolare categoria di acquirenti243.

243Lagravinese R. & Coniglio N. (2015) “Responsabilità sociale in agricoltura: i bollini etici” p.7

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Tuttavia, l’esperienza della Regione Puglia si è rivelata fallimentare: sono stati circa 800 i lavoratori stranieri a iscriversi alle liste di prenotazione istituite dalla Regione, a cui tuttavia nessuna azienda agricola ha fatto riferimento.

Inoltre, soltanto una piccola parte delle aziende della filiera agro-alimentare presenti in Puglia ha accettato di sottoscrivere il protocollo d’intesa con la Regione244.

L’esempio appena riportato dimostra due limiti principali dei bollini etici: i costi per la partecipazione troppo alti e i costi per la mancata partecipazione troppo bassi. Nel primo caso, le aziende che decidono di ottenere la certificazione etica devono affrontare costi ingenti, sia diretti che indiretti, derivanti soprattutto dal rispetto della normativa in materia di lavoro. Se la gara al ribasso dei prezzi portata avanti dalle aziende agricole ha come conseguenza la vendita di pomodori che vengono pagati in media 8-9 centesimi al chilo, è scontato che i danni prodotti da questo sistema si scarichino sull’ultimo anello della catena: i lavoratori.

Per questi motivi, la promozione dei social label dovrebbe tenere in considerazione diversi fattori: una strategia di marketing adeguata che sostenga il valore dei beni prodotti senza sfruttamento; l’ingresso in mercati prima impossibili da raggiungere soprattutto per le aziende più piccole; filiere più “corte” e quindi eliminazione di alcuni passaggi costosi. Inoltre, a livello europeo, l’adesione a certificazioni etiche potrebbe costituire un canale preferenziale per l’accesso a fondi pubblici.

Per quanto riguarda i costi di non adesione ancora troppo bassi, essi sono legati soprattutto alla mancanza di controlli adeguati su tutta la filiera. In un contesto in cui il lavoro nero costituisce un elemento strutturale è chiaro come il ricorso esclusivo alle sanzioni premiali risulti insufficiente. Allo stesso tempo tuttavia, le dimensioni raggiunte dal fenomeno fanno sì che il metodo tradizionale che abbina il controllo alla sanzione si dimostri carente di fronte al numero dei datori di lavoro che ricorrono al lavoro nero. E’ chiaro come i due approcci debbano andare di pari passo. Il caso della Puglia dimostra un’altra cosa: affinché un bollino etico possa funzionare è necessario trovare l’accordo di tutti i soggetti coinvolti in una filiera: questo elemento è fondamentale se consideriamo che solo in questo modo i costi derivanti dal rispetto degli standard si distribuiscono su una molteplicità di soggetti.

244Sironi F. (2015), “Puglia: schiavi nella raccolta di pomodori. Così si può combattere lo

sfruttamento” consultabile al link http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/09/02/news/puglia-

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Una strategia che combini controlli serrati, coinvolgimento dell’intera filiera e sensibilizzazione del consumatore potrebbe risultare vincente.

La sensibilizzazione del consumatore non deve tuttavia prescindere dalla consapevolezza che spesso ciò che guida l’acquisto è il prezzo: soprattutto in tempo di crisi non tutti sono disposti a pagare un prezzo maggiorato per un prodotto, pur considerando il suo valore etico.

Se il consumatore riveste un ruolo importante ma fortemente influenzabile dalle dinamiche dell’economia e del prezzo, sicuramente più incisivo risulta essere quello della Grande Distribuzione Organizzata e delle aziende di trasformazione dei prodotti. Questi attori riescono ad avere un potere notevole sulla determinazione del prezzo, nella maggior parte dei casi in senso negativo. Come dimostra ancora una volta il caso di Equapulia, la mancata partecipazione di questi colossi può determinare il fallimento di queste iniziative: Mutti e Princes (aziende leader nella trasformazione dei pomodori), ma anche Auchan (colosso della GDO) decisero di non sottoscrivere l’accordo, decretandone di fatto la fine245.