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Nel primo capitolo abbiamo spiegato come i primi migranti avessero trovato occupazione proprio nei luoghi che nel corso degli anni ‘70 soffrivano di uno spopolamento dovuto ai flussi in uscita. Le aree rurali sono diventate sin da subito protagoniste dei cambiamenti avvenuti in quegli anni sia nella conformazione dei flussi migratori in entrata e in uscita, che nella produzione agricola divenuta nel corso degli anni “intensiva”.

Le aree a vocazione agricola in prossimità delle coste (la Piana di Sibari, la Piana del Sele, la Piana di Gioia Tauro, la zona di Nardò) differiscono per caratteristiche geografiche e per il tipo di coltivazioni ma sono accomunate da un’alta richiesta di manodopera a basso costo132.

Allo stesso tempo, come vedremo meglio più avanti, i meccanismi di sfruttamento della manodopera, sono sempre di più la diretta conseguenza dell’imposizione dei prezzi dei prodotti agricoli da parte della Grande Distribuzione Organizzata e delle multinazionali.

Dunque, le campagne non sono rimaste immobili nel tempo: i flussi migratori, insieme ai cambiamenti portati dal modello di produzione post-fordista, hanno prodotto una campagna multietnica e oggi più che mai globalizzata. La disponibilità dei migranti a lavorare in questo settore ha avuto delle conseguenze su un duplice piano: a partire dagli anni ‘90 la loro presenza, assieme ad alcuni adeguamenti infrastrutturali, ha consentito ai distretti agricoli di avviare un processo di intensificazione della produzione; allo stesso tempo, il settore agricolo ha costituito sin da subito un segmento del mercato del lavoro in cui i migranti sono riusciti ad inserirsi anche se in situazione di irregolarità amministrativa133.

132Corrado A. & Perrotta D. “Migranti che contano. Percorsi di mobilità e confinamenti

nell’agricoltura del Sud Italia” p.1 in Mondi Migranti n. 3/2012 p.103-128.

133Colloca C. & Corrado A. “La globalizzazione delle campagne. Migranti e società rurali nel Sud

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Fin da subito, la possibilità per gli imprenditori agricoli di poter attingere ad un conveniente bacino di manodopera, che oggi più che mai appare sconfinato, ha permesso loro di essere competitivi su un mercato che è sempre più internazionale: stretti tra la morsa delle liberalizzazioni e della concorrenza di prodotti provenienti da altri paesi, gli imprenditori sono riusciti a mantenere basso il costo del lavoro senza dover ricorrere ad investimenti per la meccanizzazione della produzione agricola134.

Dunque parliamo di un’agricoltura globale non solo perché legata alle dinamiche di un modello di produzione che mette in connessione tra loro i luoghi e i mercati più lontani; ma anche perché le aree rurali diventano le protagoniste di percorsi migratori anche molto diversi tra loro.

I migranti che vi si stanziano non differiscono tra loro solo per la nazionalità: essi fanno riferimento a diverse situazioni amministrative relative all’ingresso e al soggiorno, spesso irregolari. Proprio la lontananza dai centri urbani e l’assenza di controlli efficaci rendono il settore agricolo e le aree rurali perfette per l’inserimento in un mercato lavorativo che funge quasi da nascondiglio, da terra di passaggio per coloro che si trovano in una situazione di transizione o di attesa: “Senza documenti, gli africani finiscono nei luoghi dove immaginano di trovare uno Stato meno pressante, meno rigido, meno presente. Purtroppo trovano anche contesti caratterizzati da una violenza spesso cieca e gratuita, a volte letale135

Possiamo trovarvi lavoratori stagionali che hanno fatto ingresso grazie alle quote messe a disposizione dai Decreti Flussi; immigrati in possesso di un permesso di soggiorno sottoposto a scadenza e che hanno perso il lavoro nelle fabbriche del Nord; immigrati che accettano di lavorare in nero per non perdere il sussidio della Cassa Integrazione; immigrati provenienti da paesi neo-comunitari e che per questo godono di una maggiore libertà di movimento; immigrati irregolari; richiedenti asilo e rifugiati136.

L’eterogeneità delle figure appena elencate mostra anche la complessità degli interventi necessari o l’inadeguatezza di quelli già attivati: in primo luogo i decreti flussi, anche se potenzialmente perfetti per un mercato che necessita di manodopera in larga misura stagionale, si sono rivelati insufficienti dal punto di vista delle quote

134Corrado A. & Perrotta D. (2012), op. già citata p. 2.

135Mangano A. (2009), “Gli africani salveranno Rosarno” Terre Libere.org. 136Ibidem.

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messe a disposizione e del meccanismo che ne è alla base. Come già spiegato, i decreti flussi hanno via via visto ridurre i numeri dei posti messi a disposizione perlopiù per ragioni politiche e, nella maggior parte dei casi, si traducono in forme di regolarizzazione “mascherate” per quanti già risiedono sul territorio nazionale. Inoltre, questi provvedimenti hanno funzionato soprattutto al Nord, in regioni come il Trentino Alto Adige e il Piemonte, mentre la loro applicazione si è rivelata fallimentare nel Mezzogiorno. Infatti, la legge Bossi-Fini impone che le quote vengano stabilite sulla base dei dati relativi all’occupazione: vengono così assegnate più quote al Nord137.

In secondo luogo, maggioritaria è la presenza di migranti che non sono sottoposti alle fluttuazioni del mercato del lavoro e che non giungono in Italia col preciso scopo di trovarvi un impiego: i richiedenti asilo e i rifugiati, ma anche coloro che fanno ingresso grazie ai provvedimenti di ricongiungimento familiare costituiscono una parte importante e una componente molto attiva nel lavoro sommerso138. Allo stesso tempo, la vicinanza delle aree agricole ai centri di accoglienza non ha fatto altro che fomentare questo fenomeno.

Gli eventi di Rosarno hanno messo in luce queste dinamiche che, soprattutto per i lavoratori con un permesso di soggiorno, risultano amplificate dall’approvazione della Legge Bossi-Fini la quale lega il rinnovo del permesso di soggiorno al possesso di un’occupazione. Secondo alcuni, questa legge non fa altro che produrre e riprodurre dinamiche di “marginalizzazione economica e sociale”139 spingendo

coloro che abbiano perso il lavoro a rifugiarsi sin da subito nelle maglie del sommerso.

Il lavoro in agricoltura si configura come un lavoro di passaggio, utile sia come primo inserimento nel mercato del lavoro che come meccanismo per mitigare i problemi legati alla disoccupazione.

Lo status giuridico incide poi sulla possibilità per il migrante di riuscire a distaccarsi dai meccanismi di sfruttamento che sono molto diffusi nel settore: spesso sono i

137Ibidem. Come sottolinea il rapporto di Amnesty International del 2012 “Volevamo braccia e sono

arrivati uomini”, sembra essersi instaurato un sistema di compravendita dei permessi di

soggiorno stagionali i quali possono essere acquistati attraverso agenzie e intermediari presenti sia in Italia che nei paesi d’origine.

138Carbone V. & Russo Spenna M. “Il dovere di Integrarsi”, Armando Editore, Roma 2012, p.2. 139Pugliese E. & altri“Diritti violati. Indagine sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in aree

rurali del Sud Italia e sulle violazioni dei loro diritti umani e sociali”, Cooperativa sociale

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diniegati (ossia coloro che hanno ricevuto esito negativo alla domanda di asilo), gli irregolari o i migranti in stato di necessità ad accettare condizioni di lavoro usuranti.