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3.10 Il caporalato e i “signori delle braccia”

3.10.3 Capi neri, capi bianchi e caporali tutto l’anno

A differenza di quanto si potrebbe pensare, il caporale non è espressione di una campagna arretrata o immobile: parliamo di filiere agricole che hanno seguito gli sviluppi e le trasformazioni del capitalismo e che per questo si trovano inserite in maniera profonda nel mercato internazionale183, di cui subiscono la concorrenza e i prezzi. Come affermano gli stessi agricoltori, il prezzo del lavoro è l’unico sui cui essi riescono ad esercitare una pressione, spesso trasformandosi nella sola possibilità di poter mandare avanti l’azienda: se i prezzi dei beni agricoli sono molto bassi, l’agricoltore è costretto a mantenere i salari altrettanto bassi184.

Inoltre, abbiamo cercato di sottolineare come il caporalato non sia un fenomeno omogeneo, anzi non lo è mai stato. Si è adattato ai diversi territori e alle diverse

182Perrotta D. (2014), op. già citata pp. 33-34. 183Ivi, p. 31.

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epoche e, in particolare, si è dimostrato funzionale alle dinamiche migratorie che hanno interessato la penisola, sia interne che internazionali.

Oggi il caporalato può assumere diverse sfumature: si va dalle forme meno brutali di un caporalato definito “etnico”, tipico della zona di Rosarno, e in cui il caporale (il “Caponero”) ha un ruolo meno rilevante nelle dinamiche di sfruttamento; a forme in cui il caporale ha esclusivamente il compito di trasportare i braccianti nei campi mentre essi riescono ad organizzarsi in maniera autonoma; a forme estreme di violazione dei diritti, in cui il caporale ha il controllo di tutti gli aspetti della vita quotidiana del bracciante185 e questa rappresenta l’ultima evoluzione del caporalato moderno.

In alcune zone, i caporali riescono ad essere attivi tutto l’anno: ciò si verifica nelle pianure che sono riuscite a diversificare le colture o che hanno convertito la produzione attraverso la serricoltura, temperando il fattore della stagionalità. In questi luoghi i caporali riescono a costituire squadre di lavoro abbastanza stabili, anche su richiesta dei datori di lavoro che decidono di regolarizzare la posizione dei braccianti: in questi casi l’azione dei caporali spesso si limita al trasporto nei campi. In genere, questo elemento della stabilità della presenza è associato alla nazionalità del caporale e dei braccianti: sono principalmente lavoratori dell’est Europa e i caporali si servono di familiari e parenti per garantire gli altri “servizi” quali il trasporto e la fornitura degli alimenti.

I capi neri sono espressione di un caporalato molto più etnico e maggiormente legato al fattore della stagionalità: per ogni zona lavora più di un capo nero, ed essi generalmente si occupano di trovare alloggio per la propria squadra in un casolare abbandonato in cui spesso la moglie del caponero si occupa del “servizio mensa” per i braccianti, con un ulteriore taglieggiamento sul salario finale.

Quando nei pressi dei campi si costituiscono veri e propri ghetti è più facile che si crei una gerarchizzazione delle pratiche e delle figure implicate nello sfruttamento. Le funzioni del caporale vengono suddivise tra un capo bianco, che si occupa dei rapporti con gli agricoltori e un caponero, che invece organizza le squadre di braccianti186.

Molto spesso il caporale è un lavoratore che nel corso del tempo è riuscito a trovare i contatti e a conoscere gli imprenditori agricoli. Altre volte egli è descritto come un

185Ivi, p. 40.

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caposquadra in grado di assicurare lo svolgimento del lavoro, decidendo orari e addirittura mansioni, ed esercitando pressioni psicologiche quando i braccianti sono sfiniti187.

Spesso il caporale conosce bene i meccanismi di sfruttamento non solo perché risiede da molto tempo in quel territorio, ma anche perché egli li ha vissuti in prima persona sulla propria pelle. Inoltre, non è inusuale il fatto che egli sia sottoposto all’autorità di un caporale italiano188. Capita quindi che l’intermediazione svolta dal caporale straniero sia qualificabile come di “secondo livello” in quanto egli non fa riferimento diretto all’impresa agricola ma a un caporale italiano, che gestisce i rapporti con le aziende finali.

Per alcuni autori sembra tuttavia improbabile l’ipotesi di un potere dei caporali che si estenda nel lungo raggio: se è vero che i braccianti si spostano seguendo il ciclo delle colture, meno attendibile appare l’ipotesi che questi movimenti siano gestiti dai caporali stessi.

Per altri189 invece esisterebbe una rete di caporali, interregionale e ramificata, in grado di spostare masse di lavoratori in tutto il Meridione. Questo movimento, questa “tratta interna” che determina il flusso dei braccianti garantirebbe ai caporali il massimo del profitto soprattutto quando essi sono in grado di contenere le ribellioni e gli scioperi.

Ciò che è certo è che essi hanno sicuramente un potere che aumenta tanto quanto maggiore è la distanza tra i campi e gli insediamenti abitativi: relegati in zone lontane dai centri abitati, i migranti devono fare riferimento al caporale anche per l’acquisto di farmaci e viveri, che sono venduti a prezzi maggiorati. Questo avviene soprattutto in zone caratterizzate da una densità di popolazione molto bassa e in cui gli insediamenti abitativi dei braccianti sono dislocati lontani dai centri abitati190. Per quanto riguarda la retribuzione, parliamo di paghe che si aggirano tra i 15 e i 20 euro a giornata. La retribuzione può essere a cottimo (ad es. i braccianti vengono pagati per i cassoni riempiti) o a giornata. In entrambi i casi i datori di lavoro non pagano direttamente il bracciante: a seconda dell’accordo raggiunto, al caporale viene consegnata una cifra pari al lavoro realizzato o ai braccianti impiegati. La paga

187Osservatorio Placido Rizzotto (2016) op. già citata p.39. 188 Ivi, p. 44.

189Leogrande A. “Il caporalato e le nuove schiavitù”, Fascicolo 1, Gennaio-Giugno 2016, Il Mulino,

Bologna, p.5.

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che viene suddivisa tra i lavoratori dal caporale è nettamente inferiore a quella stabilita dal datore di lavoro, in quanto il caporale trattiene una somma notevole. Si parla di paga oraria solo nei rari casi in cui il lavoratore sia regolare191.

Perrotta192 sottolinea come il rapporto tra braccianti e caporale non sia sempre conflittuale. Nelle forme più recenti di caporalato “etnico” non di rado accade che il bracciante si senta inserito in una comunità di cui il caporale costituisce il mediatore con il mondo esterno. I braccianti non mettono in discussione la sua autorità ed anzi sentono di essere legati al caporale da un vincolo di fiducia che va oltre le ragioni economiche.

In una condizione di estremo disagio come quella vissuta dai braccianti, capita spesso che la figura del caporale diventi per loro un modello di riferimento. Perrotta, nelle sue indagini sul campo raccoglie le testimonianze di braccianti che aspirano a diventare aiutanti o autisti dei caporali: spesso sono i figli degli immigrati ad avere queste aspirazioni, giovani ragazzi che hanno perso il lavoro nelle industrie del Nord Italia.

In altri casi, se non sfocia nell’odio per motivi legati ai ritardi nella retribuzione, agli abusi e all’assoluta arbitrarietà nel decidere chi possa lavorare, il rapporto tra braccianti e caporale è vissuto come totalmente strumentale: vista l’impossibilità di avere un contatto diretto col proprietario delle aziende, il caporale è visto come assolutamente necessario per l’attività di intermediazione ma anche per procurare un alloggio o altri servizi.

Allo stesso tempo, il caporale non è che una figura di un sistema di sfruttamento che si articola su più livelli, con leggi e regole proprie coinvolgendo datori di lavoro, imprese e criminalità organizzata.