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L'autodifesa nel procedimento penale. Una garanzia che stenta ad affermarsi.

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I

Indice

Introduzione Pag. 1

Capitolo 1: Ricostruzione storica dell’istituto dell’

autodifesa

1.1 Il Codice di Procedura Penale del 1930 Pag. 3 1.2 Il diritto di difesa all’interno della Costituzione Pag. 8 1.2.1 La Sentenza n. 125/1979 della Corte Costituzionale Pag. 17 1.2.2 La Sentenza n. 188/1980 della Corte Costituzionale Pag. 25 1.3 Il Codice di Procedura Penale del 1988 Pag. 35

Capitolo 2: Il diritto alla difesa tecnica

2.1 La difesa tecnica Pag. 41 2.2 Uno sguardo alla disciplina europea dell’assistenza tecnica

Pag. 46 2.3 Il difensore di fiducia e il difensore d’ufficio

Pag. 49 2.4 Il diritto all’effettività della difesa tecnica. Il patrocinio a spese dello Stato Pag. 53 2.5 La particolare condizione dell’imputato avvocato: le prese di posizione della Corte di Cassazione Pag. 59

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II

Capitolo 3: L’autodifesa all’interno della Convenzione

Europea dei Diritti dell’Uomo

3.1 L’art. 6, n. 3, lett. c) Pag. 68 3.2 Un possibile attrito con le scelte dell’ordinamento italiano

Pag. 71 3.3 Linee giurisprudenziali della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Pag. 74

Capitolo 4: Gli spazi dell’autodifesa nel processo penale

italiano

4.1 La capacità dell’imputato Pag. 101 4.1.1 I nuovi articoli 71 e 72 bis c.p.p. Pag. 113 4.2 L’interrogatorio Pag. 116 4.3 La garanzia del principio nemo tenetur se detegere Pag. 126 4.3.1 Il diritto al silenzio Pag. 129 4.3.2 Il rapporto tra il diritto al silenzio e il mendacio Pag. 142 4.4 La confessione Pag. 145 4.5 Le dichiarazioni spontanee Pag. 148 4.6 L’esame dibattimentale dell’imputato Pag. 155 4.7 Il diritto dell’imputato a partecipare alle udienze del procedimento a proprio carico Pag. 157 4.7.1 La partecipazione a distanza Pag. 160 4.7.2 L’esame a distanza Pag. 182 4.8 Il diritto dell’imputato ad avere un’informazione puntuale sulla natura e sui motivi dell’accusa Pag. 184

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III 4.9 Il diritto al colloquio con il difensore Pag. 190 4.10 Gli atti personali Pag. 195

Conclusioni Pag. 198 Riferimenti normativi Pag. 204 Riferimenti giurisprudenziali Pag. 206

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(6)

1

Introduzione

Con il presente lavoro, saranno analizzati gli spazi di autodifesa dell’imputato nel processo penale.

Pur essendo previsto nel nostro ordinamento l’obbligo per l’imputato di essere assistito da un difensore tecnico nello svolgimento del procedimento, si vedrà come il sistema non nega del tutto degli spazi di autonomia, in l’imputato cui si trova ad agire personalmente. Questi, pur residui, spazi saranno identificati, da una parte, negli atti personalissimi (quali l’interrogatorio e il rilascio di dichiarazioni spontanee) e, dall’altra, in atti in cui vi è una compresenza dell’assistito e del suo difensore, previsti in attuazione di garanzie costituzionali dell’imputato.

Con l’intento di ricercare una giustificazione per una possibile apertura all’autodifesa esclusiva da parte dell’ordinamento italiano, saranno analizzate le disposizioni della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti fondamentali dell’Uomo, in particolar modo l’art. 6, num. 3, lett c), il quale riconosce il diritto alla scelta tra autodifesa esclusiva o assistenza tecnica. Oggetto di analisi saranno, inoltre, molteplici pronunce della Corte Europea, la quale ha giustificato in vari modi detta previsione, precisando, allo stesso tempo, l’importanza dell’assistenza tecnica da parte di un difensore.

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2 Sarà constatato, quindi, come la giurisprudenza costituzionale italiana ha, da sempre, ritenuto l’ordinamento italiano maggiormente garantista rispetto al diritto convenzionale, proprio in virtù dell’obbligatorietà della difesa tecnica, essendo questa prevista, in un senso, per ragioni di interesse statuale allo svolgimento del giusto processo, in un altro, a tutela della stessa parte processuale; si analizzeranno i motivi secondo cui la giurisprudenza ha escluso la possibilità per l’imputato di rifiutare il difensore tecnico, con uno sguardo ai procedimenti contro le Brigate Rosse degli anni Settanta,.

Nonostante la chiusura alla possibilità di un’autodifesa esclusiva, verrà visto come il legislatore italiano si sia mosso confermando una posizione negativa e, allo stesso tempo, abbia ampliato le ipotesi di collaborazione dell’imputato e del suo difensore al compimento di determinati atti, ponendosi, in questo modo, a favore di una, pur ridotta, apertura all’autodifesa.

In ordine alla recente riforma, si analizzerà come questa sembra aver in parte confermato l’atteggiamento di apertura, soprattutto in ordine alla modifica della disciplina della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, ponendosi, quindi, dell’autodifesa; tuttavia, sarà constatato come, con le modifiche inerenti alla partecipazione a distanza, il legislatore sia ritornato sui suoi passi, adottando nuovamente una posizione negazionista relativamente all’autodifesa.

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3

Capitolo 1: Ricostruzione storica

dell’istituto dell’autodifesa

Sommario:

1.1 Il Codice di Procedura Penale del 1930

1.2 Il diritto di difesa all’interno della Costituzione

1.2.1 La Sentenza n.125/1979 Corte Costituzionale 1.2.2 La Sentenza n. 188/1980 Corte Costituzionale 1.3 Il Codice di Procedura Penale del 1988

1.1 Il Codice di Procedura Penale del 1930

L’art. 125 del Codice di procedura penale del 1930 prevedeva l’obbligo di assistenza tecnica da parte di un difensore in capo all’imputato, a pena di nullità, con la previsione di un’eccezione nel caso in cui si fosse proceduto per contravvenzioni punibili con l’ammenda

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4 non superiore a tremila lire ovvero con l’arresto non superiore ad un mese, anche se comminati congiuntamente, definiti come reati “bagatellari”. In tali ipotesi, data la lieve entità del reato commesso, l’imputato aveva la possibilità di autorappresentarsi in giudizio, senza la necessità di essere assistito da un difensore tecnico.

Apparentemente, “non vi è alcuna ragione, né logica né giuridica, che giustifichi sul piano sistematico e su quello pratico, questa deroga al principio generale secondo cui la difesa deve essere assicurata in ogni

procedimento, quale che sia la gravità del reato contestato”1. Parte della

dottrina ha ritenuto quasi paradossale il fatto che, all’interno di un codice imperniato dalle idee autoritarie e totalitarie del Fascismo, fosse presente una disposizione che permettesse l’autodifesa esclusiva dell’imputato, di fronte alla pretesa punitiva statale, rappresentata dal giudice inquisitore. Tuttavia, in questa ipotesi, il Codice di rito del ’30 porta al suo interno uno spirito, da un certo punto di vista liberale,

nonostante il Fascismo abbia denigrato e “condannato senza appello”2

le teorie demo-liberali.

Il diritto di difesa, difatti, come poi sarà sancito dalla Costituzione in un momento successivo, era dotato, già al tempo, dei caratteri di indefettibilità ed irrinunciabilità, dal momento che l’imputato aveva

1 G. D. Pisapia, Compendio di Procedura Penale, 1985, pag. 36.

2 M. Chiavario, Il processo penale: sulla bilancia della Corte, da un codice

all’altro, le garanzie, funzionalità della giustizia…et autres,

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5 l’obbligo di essere assistito da un difensore nello svolgimento del procedimento instaurato nei suoi confronti, ad esclusione, appunto, dell’eccezione sopra citata. Difatti, fin dal momento dell’interrogatorio svolto dalla polizia giudiziaria, l’indiziato di un reato aveva diritto alla nomina di un difensore di fiducia, come prevedeva l’art. 125 c.p.p. abr.e, sin dal primo atto di istruzione, il giudice o il P.M. erano obbligati ad inviare alle parti private una comunicazione giudiziaria, contenente l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore. Appare chiaro che “l’intenzione del legislatore è stata quella di garantire all’interessato

il diritto di difesa”3, in ogni momento del procedimento, e si è

riconosciuto che la presenza del difensore, all’atto dell’interrogatorio, conferisce maggior fermezza ai risultati ottenuti e consente di realizzare una pienezza del contraddittorio.

Tuttavia, la legislazione vigente prevedeva come obbligatoria la presenza del difensore solamente durante il dibattimento; per gli atti di istruzione e quelli compiuti dalla polizia giudiziaria, ad essere obbligatoria era, unicamente, la nomina di un difensore, la cui presenza era, però, necessaria se dovevano essere compiuti atti garantiti nei confronti dell’imputato.

È bene rammentare che il Codice di Procedura Penale risultava ormai insofferente e bisognoso di una radicale riforma, essendo imperniato su un sistema oramai obsoleto ed antiquato, come, appunto,

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6 il sistema inquisitorio. Difatti, il diritto di difesa può efficacemente esprimersi solo in un sistema processuale rispettoso di due principi: opposizione paritaria tra accusa e difesa e netta separazione tra giudice e parte; principi non presenti nel sistema delineato dal Codice Rocco.

A ciò si cercò di porre rimedio, soprattutto successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, attraverso un imperniante intervento della Corte Costituzionale, “alla quale è toccato il difficile compito di temperare l'affermazione dei più pregnanti significati dell'art.

24, comma 2 Cost. con funambolici distinguo e riserve”4, e dello stesso

legislatore attraverso la legislazione del “garantismo inquisitorio” e d’emergenza.

Attraverso gli interventi del legislatore, in ottica di introduzione del “garantismo inquisitorio”, si è avuto un ampliamento notevole dei poteri riconosciuti al difensore, tra i quali: il diritto di assistere e di essere avvisato, almeno nelle ventiquattro ore precedenti al compimento dell’atto, dell’interrogatorio dell’imputato, delle perizie, delle perquisizioni domiciliari e personali, il diritto di esaminare ed estrarre copia del verbale relativo al compimento degli atti svolti da parte dell’autorità investigativa. Lo sviluppo delle garanzie difensive si è articolato lungo due direttive: da una parte, il numero degli atti aperti alla difesa è stato notevolmente ampliato, dall’altro il nucleo delle

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7 garanzie difensive, prima instaurato relativamente alla fase istruttoria, si è poi esteso al dibattimento e ai riti speciali.

Tuttavia, “con la politica del garantismo inquisitorio l'istruzione si apre dunque ai difensori, ma questi vi compaiono in una veste più passiva che attiva; più come garanti dell'attività probatoria svolta dal giudice o dal pubblico ministero che come contraddittori; in breve,

chiamati non a partecipare, ma a constatare in una veste quasi notarile”5.

Il riconoscimento della difesa in quanto attività processuale postula una struttura triadica, fondata su un costante rapporto tra accusa, difesa e organo giudicante. Difesa e contraddittorio sono termini che necessitano, in ogni modo, di essere tenuti distinti, attenendo ad ambiti diversi, i quali, però, inevitabilmente, tendono ad intrecciarsi tra loro. Visto dal punto di vista difensivo, il contraddittorio si sostanzia nella predisposizione di garanzie e tutele difensive, le quali non possono essere contenute in un elenco chiuso. Allo stesso tempo, sono comunque individuabili delle costanti: la conoscenza dell’accusa ovvero il tema su cui dovrà pronunciarsi il giudice; il riconoscimento alle parti del potere di ricercare le fonti di prova; la partecipazione della difesa al procedimento probatorio, in posizione di parità con l’accusa; il diritto della difesa di sviluppare la propria linea difensiva sia in sede di interrogatorio sia in dibattimento, “attraverso quell'attività

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8 argomentativa che la parte svolge nel corso del processo in forma orale

o scritta e che culmina nella discussione finale”6.

Il diritto di difesa nella Costituzione

Il diritto di difesa viene sancito, all’interno della Costituzione, dall’art. 24, comma 2, il quale recita: “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Tale diritto è annoverato tra i principi fondamentali del nostro ordinamento, “assurgendo a presupposto per la salvaguardia e il ripristino di tutte le libertà e i diritti

garantiti”7; ed è proprio sulla scorta di ciò che questo acquista una

rilevanza non solo fondamentale, ma anche ordinamentale, così da essere considerato uno dei cardini del sistema accusatorio.

Per difesa deve intendersi “la funzione dialetticamente contrapposta all'accusa che l'imputato (autodifesa) e il suo difensore

(difesa tecnica) esercitano di fronte ad un giudice imparziale”8; questa

definizione consente di eliminare l’equivoco che scaturisce dalla nozione di difesa come attività processuale ovvero un insieme di atti

6P. Ferrua, op. cit.

7 G. Bellavista, Difesa giudiziaria penale, in Enc. Dir.,1964. 8 P. Ferrua, op. cit.

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9 volti “a far valere davanti al giudice i diritti soggettivi e gli altri interessi

giuridici dell'imputato”9.

La garanzia di inviolabilità stabilita a livello costituzionale deve ritenersi riferita ad entrambe le eccezioni del diritto di difesa: sia alla “difesa tecnica”, ossia l’assistenza processuale fornita da un soggetto con competenze tecnico-giuridiche professionali, quale un difensore tecnico, sia alla c.d. “difesa personale o materiale”, o autodifesa, cioè la partecipazione attiva e cosciente della parte processuale alla vicenda processuale.

Per autodifesa, secondo la Corte Costituzionale, si deve intendere quel “complesso di attività mediante le quali l’imputato, protagonista del processo penale, ha la facoltà di eccitarne lo sviluppo dialettico, contribuendo all’acquisizione delle prove ed al controllo della legalità

del suo svolgimento”10; in altre parole, la difesa materiale o personale

rappresenta “il diritto dell’imputato all’esercizio dei poteri processuali necessari per agire o difendersi in giudizio, senza la necessità

dell’ausilio di un difensore”11.

Al fine di essere in grado di esercitare il proprio diritto di autodifesa, l’imputato deve essere dotato di capacità processuale, ossia “dell’idoneità ad esercitare, all’interno del processo, i diritti e le facoltà

9 V.Manzini, Trattato di diritto processuale italiano, 1968, pag. 542. 10 Corte Costituzionale, Sentenza n. 186/1973.

11 L. Ieva, Il diritto fondamentale all’autodifesa nel processo, in Corriere

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10

ricollegati all’assunzione della qualità”12 di imputato; tale condizione

implica necessariamente la capacità del soggetto di partecipare

coscientemente al processo13. Nell’opinione della Corte Costituzionale,

“la garanzia costituzionale del diritto di difesa comporta la necessità che l’imputato sia in grado, non solo, di essere fisicamente presente, se lo ritiene, al processo, ma anche di partecipare in modo consapevole ed

attivo alla vicenda processuale”14; tale necessità “comporta la possibilità

effettiva sia di percepire, comprendendone il significato linguistico, le espressioni orali dell’autorità procedente, sia di esprimersi a sua volta

essendo percepito e compreso”15 e. quindi, di interloquire “con gli altri

soggetti del procedimento medesimo, allo scopo di esercitare

l’autodifesa e di comunicare con il proprio difensore”16.

La difesa viene considerata talvolta come diritto, talvolta come garanzia: è un diritto dell’imputato che si specifica nell’esercizio dei poteri processuali necessari per agire o difendersi in giudizio e per influire positivamente sulla formazione del libero convincimento del giudice; è, altresì, una garanzia in quanto costituisce un’esigenza di un corretto processo, per un interesse pubblico che va oltre quello

12 Conso, Grevi, Compendio di procedura penale, pag. 108. 13 Vedere infra 4.1

14 Corte Costituzionale, Sentenza n. 39/2004. 15 Corte Costituzionale, Sentenza n. 341/1999. 16 Corte Costituzionale, Sentenza n. 39/2004.

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11 dell’imputato (o della parte) ed “è soddisfatto solo se il contraddittorio è effettivo”17.

In quanto diritto, la difesa è caratterizzata dalla piena disponibilità

e, secondo parte della dottrina, anche dalla sua rinunciabilità18, che,

tuttavia, non ne compromette l’inviolabilità; la difesa, infatti, presenta diversi modi di esplicazione, tra cui dovrebbe ricomprendersi, inoltre, la rinuncia a tale diritto, essendo questo nella piena disponibilità del titolare. Parte della dottrina ritiene che “‘inviolabilità’ significa

‘inalienabilità’” 19nel senso che l’imputato non può essere espropriato

del proprio diritto di difesa a favore di soggetti terzi.

Tuttavia, come anticipato in precedenza, il diritto di difesa rappresenta una garanzia al corretto svolgimento del procedimento, la cui attuazione comporta la necessità della presenza in un giudizio di un soggetto che si presenti, insieme al giudice e al Pubblico Ministero, come garante del rispetto del giusto processo e dei suoi corollari; tale soggetto sarebbe, appunto, il difensore tecnico, che ha il compito di assistere la parte processuale. In questo senso, la difesa risponderebbe non ad un interesse della parte processuale, bensì ad un interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia, nel rispetto del

17 V. Denti, La difesa come diritto e garanzia, in AAVV, Il problema

dell’autodifesa nel processo penale, 1977, pag. 48.

18 V. Grevi, Rifiuto del difensore ed inviolabilità della difesa, in AAVV, Il

problema dell’autodifesa nel processo penale, 1977, pag. 21.

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12 principio di legalità e, in virtù di ciò, la rinuncia alla difesa non sarebbe tutelata.

Se si considera la difesa tecnica come garanzia, sotto il profilo di correttezza del giudizio, non appare concettualmente possibile prospettarla unicamente a favore della parte processuale assistita; essa si traduce nell’opportunità dell’assistenza tecnica del difensore, che deve garantire che lo svolgimento del processo avvenga nel rispetto dei canoni del giusto processo, previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. È, quindi, difficile ammettere che tale salvaguardia sia lasciata alla piena disponibilità dell’imputato, in nome del suo diritto di difendersi, anche personalmente, nei modi che ritiene più consoni ed efficaci, o addirittura scelga di non difendersi affatto.

Il diritto all’autodifesa trova, quindi, una limitazione, pur essendo comunque garantito e tutelato, laddove il suo pieno esercizio confliggerebbe con quelli gli interesse di giustizia dello Stato.

Nel caso in cui ci si riferisca alla parte processuale dell’imputato, il difensore tecnico assume un ruolo più importante rispetto a quello delle altre parti processuali, in quanto si trova a dover contrastare la pretesa accusatoria, rappresentata dal giudice, durante la vigenza del codice precedente, e, poi, dal Pubblico Ministero. Deve perciò essere in grado di contrapporsi con efficacia all’organo dell’accusa pubblica, per assicurare “quella parità di armi essenziale perché l’accusato sia messo

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13 in condizione di far prevalere le proprie ragioni di fronte al giudice sulla

formazione del suo convincimento”20. La Corte Costituzionale ha

dichiarato che “la presenza del difensore risponde all’aspirazione a fondare l’intero processo penale sopra un effettivo contraddittorio tra

accusa e difesa”21 e che “alla specifica capacità professionale del

Pubblico Ministero (…) sia ragionevole contrapporre quella di un

soggetto di pari qualificazione che affianchi ed assista l’imputato”22;

parimenti, ha chiarito che “la difesa viene ad inserirsi nell’iter del processo con carattere di essenzialità, tanto da essere intimamente legata

alla regolare esplicazione del potere giurisdizionale”23 e che questa “è

di interesse pubblico, in quanto attiene alla validità del giudizio, che a

sua volta è di azione e di interessi pubblici”24.

Sembra chiaro, quindi, che la difesa tecnica debba intendersi come obbligatoria e non facoltativa, secondo la giurisprudenza della Corte

Costituzionale25. “Se infatti si muove dalla premessa che l’assistenza del

difensore all’imputato sia un fattore indispensabile per assicurare la parità di armi nel contraddittorio e si conviene che il contraddittorio rappresenta nel nostro ordinamento una condizione imprescindibile per

20 F. Li Volsi, Sempre incompatibile l’autodifesa con l’obbligatorietà della difesa

tecnica?, in Cass. Pen., 2009, fasc. 9, pag. 3468.

21 Corte Costituzionale, Ordinanza n. 421/1997, richiamando la Sentenza n.

125/1979.

22 Corte Costituzionale, Ordinanza n. 421/1997 richiamando la Sentenza n.

125/1979.

23 Corte Costituzionale, Sentenza n. 59/1959. 24 Corte Costituzionale, Ordinanza n. 421/1997. 25 Corte Costituzionale, Sentenza n. 53/1968.

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14 la regolarità del processo (…) è giocoforza desumerne che l’esigenza della difesa tecnica si configuri come espressione dell’interesse

pubblico ad una corretta amministrazione della giustizia”26.

Ci si chiede se il carattere dell’obbligatorietà debba riferirsi o alla presenza del difensore o alla sua nomina. Al riguardo la Corte Costituzionale, in un primo momento nel 1962, nell’esaminare la questione di legittimità postagli, effettuò una comparazione di tutti i modelli processuali presenti nell’ordinamento vigente, quali il sistema civile, penale, amministrativo e diversi riti speciali; sottolineò che nei vigenti ordinamenti processuali il diritto di difesa non si identifica sempre con la necessità dell’assistenza di un difensore. Da ciò la conseguenza che “le possibili limitazioni all’obbligatoria assistenza del difensore non costituiscono (…) violazioni del diritto di difesa, il quale deve ritenersi garantito dalle norme in virtù delle quali è assicurata la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni e di farsi assistere dal difensore, salvi i casi in cui il legislatore disponga l’obbligatorietà di tale assistenza”27.

Nella sentenza n. 53/68, il giudice costituzionale ha dichiarato che, nell’accennare il carattere obbligatorio della difesa tecnica, si “potrebbe cogliere il riflesso di un’interpretazione dell’art. 24, comma 2 Cost. in chiave ‘oggettiva’ con riguardo (…) cioè all’interesse pubblico per

26 V. Denti, op. cit., pag. 52.

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15 l’attuazione della difesa (…) quale condizione di regolarità del processo

e garanzia di giustizia delle decisioni”28.

Successivamente, la Consulta operò un’importante distinzione

relativamente al significato da attribuirsi al carattere

dell’”obbligatorietà” della difesa tecnica; nella sentenza n. 150/72, richiamando la sentenza n. 62/71, “si è osservato che la non indefettibile obbligatorietà della difesa tecnica va intesa nel senso che l’imputato deve essere assistito da un difensore tecnico, perché è obbligatoria la nomina (ad opera dello stesso imputato o degli organi giudiziari) e si è

aggiunto che la sola nomina risponde al dettato costituzionale”29, poiché

“una volta che sia stato garantito il diritto del difensore a svolgere adeguati interventi”, spetta al legislatore ordinario “il potere di valutare se determinati atti processuali possono essere validamente compiuti anche se il difensore si astenga dal pronunziarsi”. Il distinguo consente, così, di ritenere che “il precetto costituzionale sarebbe osservato alla sola condizione che sia imposta la nomina obbligatoria del difensore tecnico, essendo riservata alla discrezionalità del potere legislativo la scelta tra facoltatività o effettività dell’esplicazione dell’incarico ad

opera del difensore in ogni caso nominato”30.

28 V. Grevi, Misure di sicurezza e diritto di difesa dinanzi al giudice di

sorveglianza, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1968, pag. 1294.

29 A. Giarda, La difesa tecnica dell’imputato: diritto inviolabile e canone oggettivo

di regolarità della giurisdizione, in AA.VV., Il problema dell’autodifesa nel processo penale, 1977, pag. 73.

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16 La conclusione del giudice costituzionale, pur suscitando diversi dibattiti in dottrina, aveva però dimostrato un’apertura verso la possibilità di un’autodifesa esclusiva e sostitutiva della difesa tecnica; apertura, poi, smentita in futuro sia dal legislatore, sia dalle successive pronunce della Corte.

È bene precisare che, in ogni caso, se il difensore si presenta come garante dell’interesse dello Stato nei confronti del corretto svolgimento del processo, è anche vero che questi deve agire nell’interesse primario della parte assistita; deve, pertanto, svolgere la sua attività conformemente alla volontà del cliente, consigliandolo circa la scelta delle strategie processuali più efficaci e garantendo il rispetto di tutti i diritti riconosciutigli a livello ordinamentale.

La presenza obbligatoria del difensore tecnico non limita in alcun modo l’autodifesa dell’imputato, dal momento che questa è sempre garantita, grazie alla copertura costituzionale dell’art. 24 Cost.; tra autodifesa e difesa tecnica non esiste, difatti, una contraddizione, in quanto queste rientrano entrambe nell’ambito di tutela costituzionale e l’espletazione di una non esclude l’altra, bensì la intensifica. Tra difensore e imputato sussiste, infatti, un rapporto di “assistenza” e non è ravvisabile una sostituzione da parte del difensore nell’esercizio dei poteri esclusivi previsti in capo all’imputato, se non in caso di una sua completa rinuncia a difendersi. L’imputato, perciò, rimane titolare legittimo ed esclusivo dei suoi poteri ed ha il potere di esercitarli in

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17 qualsiasi momento del procedimento, senza che l’attività difensiva contrasti con essi.

Si deve precisare, quindi, che nell’ordinamento italiano, in ambito procedurale penale, alla luce delle ragioni già precisate, non è possibile ammettere un’autodifesa esclusiva in capo alla parte processuale, così come non è consentita una difesa tecnica che elimini completamente l’autodifesa dell’imputato. Del resto, “si è affermata l'essenzialità dell'autodifesa nella sua dimensione di consapevole partecipazione dell'imputato al processo che convive con l'opera del difensore ma dalla

quale non può essere né sostituita né assorbita”31.

Il difensore deve essere considerato, quindi, come il “garante dell’autonomia e dell’indipendenza dell’imputato nella condotta di

causa ed è consigliere della sua autodifesa”32.

1.2.1 La Sentenza n.125 del 1979 della Corte

Costituzionale

Il primo momento in cui la giurisprudenza costituzionale ebbe modo di avere un contatto diretto con il problema dell’autodifesa esclusiva fu in occasione dei procedimenti contro le Brigate Rosse e dei

31 A. Presutti, Autodifesa giudiziaria (agg. I, 1997), in Enc. Dir.

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18 Nuclei Proletari Armati, aperti alla fine degli anni Settanta. Gli esponenti di tali “movimenti”, in sede di dibattimento di fronte al giudice, revocarono i mandati nei confronti dei difensori di fiducia, da loro nominati, e diffidarono i difensori d’ ufficio, a loro assegnati dal Tribunale, dichiarando di non volersi difendere o di autodifendersi.

La volontà dei soggetti non era, di certo, quella di portare all’attenzione dei giuristi italiani il problema in questione, bensì quella di instaurare un “processo di rottura” e al rifiuto della difesa tecnica diedero, quindi, una funzione strumentale. I “rivoluzionari” rinunciarono a qualsiasi forma di assistenza tecnica, non tanto perché intendevano intraprendere personalmente la via difensiva, quanto per il fatto che ritenevano di non dover in alcun modo difendersi di fronte alle accuse mosse nei loro confronti dallo Stato Italiano, nemico che volevano contrastare in ogni modo.

Data la fondamentale importanza della questione, dovuta anche dalla stessa portata mediatica degli avvenimenti, “nel mondo dei giuristi si levarono varie voci dirette a razionalizzare una simile posizione, configurando il rifiuto opposto dagli imputati al difensore come espressione del loro diritto di autodifendersi, in quanto componente prioritaria e primordiale del diritto alla difesa garantito dalla

Costituzione”33.

33 V. Grevi, Introduzione, in AA.VV. Il problema dell’autodifesa nel processo

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19 Allo stesso tempo una parte della dottrina, a cui poi si affiancò la giurisprudenza della Corte Costituzionale, adita al riguardo, sostenne che il rifiuto alla difesa tecnica non fosse consentito all’interno del nostro ordinamento, se non nei casi specificatamente indicati dalla legge, per ragioni sia di interesse privato sia pubblico; l’obbligatorietà ed irrinunciabilità della difesa tecnica rispondono, difatti, sia a bisogni della parte privata, in quanto la difesa tecnica va a rafforzare la difesa materiale o personale del soggetto, in un’ottica di collaborazione, sia ad esigenze dello Stato, per il fatto che costituisce una garanzia di corretto svolgimento di ogni procedimento.

Gli avvocati d’ufficio, rifiutati dai loro assistiti, si rivolsero alle rispettive Corti d’Assise, di Torino e di Napoli, per adire la Corte Costituzionale, ritenendo che gli articoli 125 e 128 del Codice di Procedura Penale del 1930 violassero l’articolo 24, comma 2 della Costituzione, nella parte in cui prescrivevano che, nel giudizio, anche l’imputato, che avesse dichiarato di non voler essere difeso, dovesse, a pena di nullità, essere assistito da un difensore. Il giudice costituzionale venne, quindi, investito della questione di legittimità, con l’ordinanza

emessa dal pretore di Torino il 23 novembre 197834 e si pronunciò al

riguardo con la sentenza n. 125 del 10 ottobre 1979.

Il giudice a quo, nell’ordinanza sopracitata, sosteneva che “l’art. 24 della Costituzione, tutelando la difesa come diritto inviolabile in ogni

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20 stato e grado del procedimento, avrebbe inteso ricomprendere ogni possibile esplicazione tanto della difesa sostanziale dell’imputato

quanto della difesa tecnica del difensore”35. Nel caso di specie, punto

della questione era se fosse consentito all’imputato di non difendersi e, conseguentemente, se la nomina di un difensore d’ufficio non apparisse una violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Le tesi addotte comunemente per negare la facoltà di rifiutare la difesa tecnica, nell’opinione del giudice a quo, non apparivano convincenti: né la tesi dell’irrinunciabilità del diritto di difesa, “posto che la sua tutela costituzionale copre ugualmente tutti i diversi modi in

cui esso sia liberamente esercitato”36, uno tra questi costituito, appunto,

dal rifiuto di un qualsiasi tipo di assistenza tecnica; né la tesi della necessità di una difesa svolta da un difensore tecnico, collegata al “concorso” tra gli interessi dell’imputato e quelli dello Stato all’accertamento della verità, posto che, a tale obiettivo accertamento, la difesa tecnica dovrebbe necessariamente contrapporsi. Il non difendersi, di conseguenza, deve essere considerato come una modalità di esercizio del diritto di difesa e, per questi motivi, rientrerebbe nella tutela costituzionale di tale diritto, garantita dall’art. 24 della Costituzione.

L’Avvocatura dello Stato, al contrario del giudice a quo, ritenne che “il Costituente, nel garantire l’inviolabilità del diritto di difesa, si è

35 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.1 del ritenuto in fatto. 36 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.1 del ritenuto in fatto.

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21 dato carico dell’esigenza di assicurare a tutti il diritto di difendersi nei modi ritenuti più validi: è perciò che ha fatto ricorso alla difesa

tecnica”37. Per questi motivi, dunque, il rifiuto alla difesa tecnica non

può essere considerato una valida forma di difesa.

Riguardo all’ art. 24, comma 2, Cost., il giudice costituzionale ribadì la natura di norma generale, intesa a garantire indefettibilmente l’esercizio del diritto di difesa in ogni stato e grado di qualsiasi modello procedimentale, con l’essenziale finalità di garantire a tutti la possibilità di tutelare in giudizio le proprie ragioni. Essendo l’art. 24 norma generale, non è ricompresa al suo interno l’indicazione dei diversi modi di esercizio del diritto di difesa; tale compito spetta al legislatore ordinario, il quale deve dettare le diverse modalità di esplicazione del diritto garantito a livello costituzionale in base alle differenti situazioni processuali, determinate dai diritti ed interessi in gioco e dalle finalità dei vari stati e gradi della procedura.

Nel nostro ordinamento positivo, il diritto di difesa, di regola, si esercita mediante l’attività o con l’assistenza di un difensore tecnico, dotato di capacità professionale, ad eccezione delle ipotesi tassativamente previste dalle legge, tra cui, nel procedimento penale, era previsto il caso dei reati “bagatellari”, per cui la difesa può essere espletata personalmente dalla parte. In altre parole, nei procedimenti penali, “il diritto di difesa si esercita dall’imputato personalmente con

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22 l’assistenza di un difensore, la cui presenza è prevista a pena di nullità”38.

La linea di tendenza diffusasi nella pratica giudiziaria, dottrina e giurisprudenza in relazione ai problemi derivanti dall’istituto della difesa è stata quella di garantire all’imputato il massimo dell’assistenza tecnica, per il fatto che sono in gioco suoi beni ed interessi fondamentali, attinenti alla sua personalità. Si è sempre cercato, quindi, di tutelare, il più possibile, il soggetto in questione nei confronti della pretesta punitiva statale, ponendo al suo fianco un difensore tecnico, il cui ruolo non esclude, bensì rafforza la difesa materiale svolta personalmente. “Nel sistema della difesa giudiziaria penale, imperniato sul concorso dell’attività dell’imputato con quella del difensore tecnico, (…), si è voluta la presenza del difensore sin dal primo contatto con l’autorità

inquirente, anche non giudiziaria”39, in modo da assicurare la più sicura

garanzia di osservanza del principio di legalità, formale e sostanziale.

Complessivamente, la Corte Costituzionale ritenne che sia la produzione normativa, sia la sua stessa giurisprudenza, avessero perseguito il fine di rendere operante ed effettivo il precetto di cui all’art. 24 Cost., anche in un ambiente procedimentale ancora basato sul sistema inquisitorio.

38 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.4 del considerato in diritto. 39 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.5 del considerato in diritto.

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23 L’intero processo penale è fondato su un contraddittorio effettivo tra accusa e difesa, rappresentante la condizione ottimale per il più efficace esercizio della funzione giurisdizionale; poiché l’equilibrio del contraddittorio è basato sul sostanziale ed equo bilanciamento tra accusa e difesa, “nessuno ha mai dubitato o dubita che alla specifica capacità professionale del pubblico ministero fosse e sia ragionevole contrapporre quella di un soggetto di pari qualificazione che affianchi

ed assista l’imputato”40. Di fatto, quindi, la presenza di un difensore, che

sia di fiducia o nominato d’ ufficio, non limita in alcun modo la posizione dell’imputato, né la compromette, dal momento che l’attività espletata dal rappresentante si sostanzia in una funzione di assistenza ed affiancamento della parte assistita, che rimane libera di intervenire personalmente durante tutte le fasi del procedimento; tale facoltà di intervento incontra solo i limiti, peraltro negativi, della pertinenza rispetto all’oggetto del giudizio e quelli generali costituzionalmente rappresentati dalla libertà di manifestazione del pensiero.

La Corte Costituzionale, inoltre, ravvisò che il mancato ed inadeguato esercizio delle facoltà spettanti alla difesa non costituiscono causa di nullità del dibattimento, giacché l’ordinamento non ha preteso di trasformare il diritto di difesa in un dovere, “la cui incoercibilità rappresenta, oltre un dato di fatto, l’immediato risvolto dell’inviolabilità

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24 che comprende sicuramente anche la piena libertà delle scelte difensive”41.

In merito alla rinuncia alla difesa, avanzata dall’imputato, la Corte stabilì che, giusta la preordinazione del diritto di difesa alla tutela di beni e valori fondamentali e la finalità di garantire, anche nell’interesse dell’imputato, l’osservanza dei principi dell’ordinamento, la parte non può rinunciare ad un diritto inviolabile di cui è titolare; “egli può, certamente, astenersi dal compiere concrete e contingenti attività difensive intese a far valere quei diritti, senza che, peraltro, da questo suo atteggiamento possa dedursi una rinunzia ad essi, alla possibilità di

farli valere in un momento successivo”42.

Il giudice costituzionale concluse, quindi, constatando che “il diritto di difesa nel giudizio penale è non soltanto inviolabile, ma è altresì irrinunciabile, con la conseguenza che il rifiuto di compiere o di consentire al compimento di determinate attività difensive non può costituire di per sé preclusione assoluta allo svolgimento di altre

ulteriori”43. Se è così, la presenza obbligatoria del difensore non

contrasta in alcun modo con l’art. 24 della Costituzione, anzi corrobora il disposto costituzionale da un punto di vista sostanziale, assicurandone la concreta applicazione all’interno del procedimento penale.

41 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.6 del considerato in diritto. 42 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.7 del considerato in diritto. 43 Corte Costituzionale, Sentenza n. 125/1979, punto n.7 del considerato in diritto.

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25 Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiarò la questione di legittimità non fondata, non ritenendo sussistente alcun contrasto tra gli articoli 125 e 128 del codice di rito vigente e l’art. 24 della Carta Fondamentale.

1.2.2 La Sentenza n.188/1980 Corte Costituzionale

Un’altra occasione in cui la Corte Costituzionale si espresse relativamente alla possibilità di svolgere una difesa personale da parte dell’imputato fu la sentenza n. 188 del 22 dicembre 1980. In sede di decisione furono riuniti i giudizi di legittimità proposti rispettivamente dall’ordinanza emessa il 30 novembre 1978 dal pretore di Torino, l’ordinanza del 14 marzo 1979 del Giudice Istruttore di Monza e l’ordinanza del 5 aprile 1979 del Tribunale di Torino, riguardanti la lamentata illegittimità costituzionale degli artt. 125 e 128 del Codice di Procedura Penale del 1930.

Nel procedimento penale di fronte al pretore di Torino l’imputato Lintrami Arnaldo, sulla scia degli altri esponenti delle Brigate Rosse e dei Nap, revocò il difensore di fiducia, precedentemente nominato, e invitò il difensore d’ufficio a non difenderlo, in quanto non voleva essere difeso. Il pretore sollevò questione di legittimità costituzionale degli articoli 125 e 138 del Codice di Procedura Penale, in relazione agli

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26 articoli 2 e 24 della Costituzione, in quanto imponevano il difensore tecnico nonostante l’espressa rinuncia dell’imputato. Osservò, inoltre, che “la prospettata questione parrebbe ‘importare un contrasto con il concetto tradizionale di contraddittorio’, ma ciò sarebbe ‘più apparente che reale, in quanto anche la rinuncia alla difesa tecnica, effettuata a seguito della rituale contestazione dell’accusa, appare una modalità di esercizio del diritto di difesa, la qualcosa integra pienamente il

contraddittorio”44.

Nel procedimento pendente di fronte al Tribunale di Torino, l’imputato rifiutò l’assistenza tecnica, dichiarando di volersi autodifendere. A seguito di ciò, il giudice ha sospeso il procedimento e sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli precedentemente citati per contrasto con gli articoli 2, 3, 10, 11, 21 e 24 della Costituzione.

Il giudice a quo ha preso le mosse dall’ articolo 6, comma 3, lett.

c) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo45, ritenuta da questo

una previsione alternativa e disgiuntiva della difesa personale e difesa tecnica, implicante, quindi, in capo all’imputato un diritto di scelta tra piena autodifesa o nomina di un difensore. Questa possibilità di scelta deve essere considerata come “meta finale” cui tutti gli ordinamenti

44 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/ 1980, punto n.1 del ritenuto in fatto. 45 La norma stabilisce che ogni accusato ha il diritto di “difendersi da sé o avere

l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per poter ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ ufficio quando lo esigano gli interessi della giustizia”. Vedere infra 3.1.

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27 aderenti alla Convenzione dovrebbero tendere, in quanto l’art. 6 è norma programmatica, contenente al suo interno una regola massima.

Nell’ opinione del giudice a quo, l’art. 24 consacrerebbe come inviolabile “il diritto alla difesa, non ad un difensore, né potrebbe essere diversamente ove si interreli tale articolo con quell’ art. 3 della Costituzione che predica l’uguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla

legge senza distinzione alcuna relativamente alla cultura dei singoli”46.

La presunzione di incapacità processuale alla difesa dell’imputato contrasterebbe, secondo il Tribunale di Torino, con l’art. 2 della Carta Fondamentale, il quale, riconoscendo i diritti inviolabili dell’uomo, ricomprende il diritto di autodifendersi, come espressione del diritto di

libertà. Ulteriore supporto alla ritenuta incostituzionalità

dell’obbligatorietà della difesa tecnica sarebbe dato dall’ art. 3 Cost., il quale garantisce “la piena, egualitaria e libertaria capacità culturale di

ciascuno all’autodifesa di fronte ai magistrati”47. Il diritto all’autodifesa,

infine, sarebbe espresso dall’ art. 21 Cost., dal momento che la libertà di esprimere le idee necessarie a spingere in maniera personale l’attacco portato alla propria libertà deve essere ricondotta alla più generale libertà di manifestazione del proprio pensiero.

È opportuno inoltre notare come, nella prassi giudiziaria, l’autodifesa già esiste e si concretizza nelle ipotesi in cui, essendo

46 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/ 1980, punto n.3 del ritenuto in fatto. 47 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/ 1980, punto n.3 del ritenuto in fatto.

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28 nominato un difensore di fiducia, si assiste ad una “farsa processuale”, in cui il presunto assistito rimane materialmente senza un difensore, dal momento che questo, anche solo per mancanza di tempo o per l’eccessiva mole di lavoro, non è informato sulla situazione processuale dell’assistito. Questo è lasciato, quindi, alla “sensibilità” del giudice, a cui spetta aiutarlo da un punto di vista formale.

“Dai modi d’esercizio, spesso stereotipati, della difesa tecnica, con i loro effetti ‘desensibilizzanti’, finirebbe per essere appiattito il ‘rapporto umano’ fra magistrato ed imputato. Da ciò la necessità di scoprire forme processuali che ridiano vitalità al processo. Affermare l’autodifesa significa concedere la possibilità ad un libero cittadino di scegliere il tipo di rapporto col giudice, che preferisce: formale (con un

difensore) o sostanziale (personale)”48.

Occorre rammentare che nel contesto storico in cui furono pronunciate le ordinanze di rimessione della questione di legittimità costituzionale si avvertiva, in modo sempre più forte, il bisogno di una riforma del procedimento penale, la quale si sarebbe avuta solo nel 1989 con l’entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale, dopo quindici anni dalla legge delega n. 108 del 1974.

L’Avvocatura generale, intervenendo nel giudizio di legittimità, ha invitato la stessa Corte a considerare non fondate le questioni, per il

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29 fatto che non vi sarebbe alcun contrasto con l’art. 3 Cost., posto che l’obbligatorietà della difesa tecnica non comporta alcuna disparità di trattamento; né nei confronti dell’art. 21 Cost., in quanto il sistema processuale, in alcun modo, vieta all’imputato di manifestare liberamente il proprio pensiero.

La Corte d’Assise di Torino, dato il rifiuto alla difesa tecnica avanzato dagli imputati in un procedimento, ha sollevato questione di legittimità per gli stessi motivi del pretore e del Tribunale di Torino. Il giudice a quo argomentava che l’art. 24 Cost. “costituisce un ‘diritto inviolabile di libertà di scelta’ fra le possibili modalità di esercizio, ‘tra le quali può comprendersi sia l’autodifesa, che il non esercizio della

difesa’”49. Da questa considerazione deriva il dubbio se la presenza e

l’intervento del difensore possano o meno interferire nell’esercizio del diritto di scelta dell’imputato.

Al riguardo, l’Avvocatura dello Stato contestò che l’autodifesa dell’imputato debba essere contrapposta, come se fosse un’alternativa, all’assistenza prestata dal difensore; “autodifesa e difesa tecnica (…) si integrano a vicenda, e mai l’esistenza della seconda è stata di ostacolo alla prima. La difesa materiale (autodifesa) conserva anzi, quanto meno

‘de iure’, assoluta preminenza rispetto a quella formale”50, e ciò sarebbe

testimoniato dalla facoltà in capo all’imputato di nomina e revoca del

49 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/ 1980, punto n.5 del ritenuto in fatto. 50 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/ 1980, punto n.6 del ritenuto in fatto.

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30 difensore e dal fatto che è l’imputato ad avere sempre l’ultima parola, potendo anche contraddire il proprio difensore.

Il punto centrale della questione, a questo punto, sarebbe se, alla luce dell’art. 125, comma 1, c.p.p. abr. possa essere consentito all’imputato fare del tutto a meno del difensore. Il diritto all’esclusione del difensore, secondo l’Avvocatura dello Stato, non sarebbe ricavabile dallo stesso art. 24 Cost., dal momento che, come precisato nella

Sentenza n. 125/7951, la competenza a disciplinare i modi, le forme e i

soggetti abilitati spetta al legislatore ordinario; essenziale è che vi sia sempre spazio sufficiente per l’una o per l’altra forma di difesa.

Secondo il giudice di Cuneo, gli articoli contestati sarebbero in contrasto, inoltre, con l’art. 14, comma 3, lett. d) del Patto Internazionale

sui diritti civili e politici52; riguardo a questa lamentata antinomia,

l’Avvocatura dello Stato ha ribadito, come detto nei confronti della possibile violazione tra l’art. 125 c.p.p. e l’art. 6, num. 3, lett. c)

C.e.d.u.53, che i lavori preparatori al Patto dimostrano che la previsione

alternativa tra autodifesa ed assistenza di un difensore è stata prevista

51 Vedi infra 1.2.1.

52 Ogni accusato di un reato ha diritto “ad essere presente al processo ed a

difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta; nel caso sia sprovvisto di un difensore, ad essere informato del suo diritto ad averne e, ogni qualvolta l'interesse della giustizia lo esiga, a vedersi assegnato un difensore d'ufficio, a titolo gratuito se egli non dispone di mezzi sufficienti per compensarlo”.

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31 per garantire la legittimità e sopravvivenza di quelle disposizioni nazionali che permettono di fare a meno della difesa tecnica.

In conclusione, l’Avvocatura dello Stato sottolineò che l’autodifesa, in ambito penale, deve necessariamente fare i conti con interessi istituzionalizzati e, soprattutto, con l’esigenza pubblica di un corretto funzionamento dell’attività giurisdizionale, dal momento che la difesa assume il ruolo sia di diritto dell’imputato, sia di garanzia per lo Stato al corretto svolgimento del procedimento; si deve sempre tener presente, difatti, che “attraverso il rispetto della libertà del singolo lo Stato dimostra di essere capace di tutelare la libertà di tutti, e comunque

di assicurare il controllo tecnico degli strumenti atti a comprimerla”54.

Nasce così un interesse pubblico all’uso corretto dello strumento della difesa e, quindi la necessità di garantire il suo rispetto, anche al di là della volontà dell’imputato.

Contrariamente all’Avvocatura dello Stato, secondo cui l’interesse dello Stato sarebbe preminente rispetto all’interesse del singolo, parte della dottrina e gli stessi difensori “rifiutati” ritennero che fosse l’interesse dello Stato a dover cedere, nel caso di ponderazione degli interessi in gioco. Tale argomentazione sarebbe giustificata dal fatto che alla base del rapporto tra difensore e assistito dovrebbero esserci sintonia e fiducia reciproche; ora, se tale rapporto non sussistesse, dal momento che il difensore non è voluto, bensì imposto e

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32 quindi non vi è alcuna collaborazione tra i soggetti, lo stesso interesse dello Stato e della collettività ad un corretto svolgimento del procedimento non verrebbe soddisfatto.

La Corte Costituzionale, ritenendo tutte le questioni di legittimità non fondate, ha argomentato la sua decisione ribadendo, in parte, ciò che aveva statuito in precedenza nella sentenza n. 125/79 relativamente al supposto contrasto tra gli artt. 125 e 128 c.p.p. abr. e gli artt. 2 e 24 Cost. Riguardo alla portata generale dell’art. 24 Cost., ha constatato, poi, che “la possibilità di una piena difesa personale è riconosciuta all’imputato

in tutto il corso del dibattimento ed a conclusione di esso”55, incontrando

esclusivamente i limiti della pertinenza all’oggetto del procedimento e quelli generali della libertà di manifestazione del proprio pensiero. Quanto alla difesa tecnica, “l’obbligatorietà della nomina del difensore non significa affatto un vincolo a svolgere determinate attività

processuali”56, bensì si tratta della predisposizione astratta di uno

strumento che sia idoneo a consentire l’esercizio di un diritto inviolabile e, quindi, irrinunciabile di difesa in qualsiasi momento, senza che sussista alcun pregiudizio alla piena autonomia delle scelte difensive, positive o negative.

In merito alla presunta violazione dell’art. 6, num.3, lett c) C.e.d.u. e dell’art.14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, i giudici

55 Corte Costituzionale, Sentenza n.188/80, punto n.1 del considerato in diritto. 56 Corte Costituzionale, Sentenza n.188/1980, punto n.1 del considerato in diritto.

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33 a quibus ponevano un duplice ordine di problemi: uno di gerarchia e uno attinente all’ambito di operatività dell’art. 10 Cost. Quanto al primo, la Corte condivise il prevalente orientamento secondo cui, in mancanza di una specifica disposizione di legge, le norme pattizie hanno valore di legge ordinaria ed, in questo modo sarebbe esclusa la semplice prospettabilità di un giudizio di legittimità costituzionale; relativamente al secondo problema, la Corte ha ribadito la sua costante giurisprudenza in base a cui le norme pattizie non rientrerebbero nell’operatività dell’art. 10 dal momento che non è ravvisabile alcuna limitazione di sovranità da parte dello Stato italiano all’adesione della Convenzione. Sempre riguardo al rapporto tra ordinamento interno e C.e.d.u., nell’opinione del giudice delle leggi, la norma in questione concorrerebbe alla definizione del “giusto processo” e il diritto all’autodifesa non sarebbe assoluto, come precisato dalla Corte Europea, ma limitato al diritto dello Stato aderente ad emanare disposizioni puntuali al riguardo.

In merito alla lamentata violazione dell’art.2 Cost, ha stabilito che le diverse libertà costituzionali trovano esplicazione diretta, all’interno del procedimento penale, proprio grazie all’art. 24 Cost., e la presenza del difensore nulla aggiunge e nulla toglie alla facoltà di esprimersi dell’imputato.

(39)

34 Dalle varie ordinanze di rimessione si è distinta quella presentata

dal Tribunale di Monza57, riguardante un caso in cui l’imputato aveva

chiesto esplicitamente di autodifendersi. La situazione processuale, tuttavia, non ha influito sulle argomentazioni presentate dal giudice a quo, né, secondo la Corte, avrebbe potuto incidere sulla soluzione delle prospettate questioni di legittimità; il “rifiuto alla difesa” è stato considerato “un atteggiamento tutto politico di alcuni imputati, che di per sé non può assumere alcun rilievo formale rispetto al corso, alle forme, alle garanzie e all’attuazione anche coercitiva della giustizia

penale”58. Il rifiuto di difendersi e la volontà di autodifendersi sono

qualificabili come scelte, attive o negative, concernenti il modo di avvalersi di diritti inviolabili ed irrinunciabili; “né l’uno né l’altro tipo di scelta è pregiudicato dalla nomina obbligatoria del difensore d’ufficio, posto che questa non incide in nessun modo sulla partecipazione (o non partecipazione) dell’imputato al processo, non ne impegna la personalità, ed è in ogni caso preordinata alla completezza del contraddittorio processuale, nell’interesse dell’imputato stesso ed in modi che, pur non definiti da norme processuali vincolanti, non possono non tener conto delle scelte defensionali del vero titolare del diritto di

difesa, appunto l’imputato”59.

57 Ordinanza n.430/1979, pubblicata su G.U. n. 210 del 1 agosto 1979.

58 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/1980, punto n.9 del considerato in diritto. 59 Corte Costituzionale, Sentenza n. 188/1980, punto n.9 del considerato in diritto.

(40)

35

1.3 Il Codice di Procedura Penale del 1988

Il Nuovo Codice di rito venne approvato con il D.P.R. n. 447 del 22 settembre 1988, in attuazione della legge delega n. 81 del 1987.

Nella legge delega, il legislatore restò muto riguardo all’autodifesa esclusiva; difatti, nel codice attuale non troviamo alcun riferimento a questa e l’eccezione prevista all’art. 125 c.p.p. abr. è stata del tutto eliminata. Tale scelta è dovuta, in parte, anche alla giurisprudenza costituzionale, ostile avverso la possibilità di un’autodifesa esclusiva, ma che, tuttavia, “non mancò di sottolineare come non fosse vietato al difensore (…) di limitare la propria attività ai

fini del rispetto della scelta negativa del proprio difeso”60.

In ogni caso, “la convinzione che la problematica dell'autodifesa esclusiva avesse col tempo perso in gran parte la sua drammaticità ha indotto a trascurare la questione, convogliando l'interesse verso un riassetto della figura del difensore alla stregua della differente struttura del processo, che esalta il profilo pubblicistico accanto a quello

contrattualistico professionale della sua posizione”61.

L’assenza di qualsiasi riferimento all’autodifesa esclusiva risulta “sintomo di un atteggiamento assai diffuso, il quale sembra scorgere

60 M. Chiavario, La riforma del processo penale, 1990, pag. 112. 61 A. Presutti, op. cit.

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36 nella problematica del rifiuto all’assistenza difensiva ordinaria soltanto il ricordo di una stagione particolarmente buia della nostra storia ed

un’arma tattica del terrorismo”62.

È bene precisare, a questo punto, che, pur non essendo presente alcun riferimento, la difesa materiale resta comunque tutelata e favorita all’interno del nuovo codice di rito. Tuttavia, nel nuovo codice la disciplina in oggetto non appare innovativa rispetto a quella del codice previgente, “se non per la generalizzazione dell’obbligo di nomina del

difensore d’ufficio in caso di mancanza del difensore di fiducia”63.

Nella legge delega e, di conseguenza, nel nuovo codice, è comunque presente una proiezione attiva dell’autodifesa, in particolare

con riguardo alla disciplina dell’interrogatorio64; deve essere segnalato

al riguardo l’art. 2 n.5 della l. n. 81/87, dove si impone una “disciplina delle modalità dell’interrogatorio in funzione della sua natura di strumento di difesa”. Non si deve intendere, con ciò, che debba essere impedito un utilizzo di tale istituto contra se, dal momento che la confessione rimane un elemento rilevante, ma non si deve escludere che dall’interrogatorio possano emergere elementi rilevanti per la linea difensiva dell’imputato o indagato e che, quindi, in esso vi sia un’esplicazione attiva dell’autodifesa della parte.

62 M. Chiavario, op.cit., pag.112. 63 M. Chiavario, op. cit., pag. 112. 64 Vedere infra 4.2.

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37 Le dichiarazioni dell’imputato, in sede di interrogatorio, devono essere “frutto di una scelta libera, spontanea e cosciente

dell’interrogato”65; da ciò dipende l’introduzione di numerose cautele

nello svolgimento stesso dell’atto, quali, il divieto di utilizzare “metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o valutare i fatti” ex art. 64, comma 2 c.p.p., ovvero il diritto dell’interrogato di non rispondere e di essere preavvisato di tale sua facoltà, previsto al comma 3 dell’articolo sopracitato. Altro aspetto funzionale all’esplicazione dell’autodifesa è il fatto che l’indagato deve poter intervenire all’interrogatorio “libero nella persona”, “dove questa libertà sul piano fisico va intesa come

premessa e condizione della libertà sul piano morale”66. La disciplina

si completa con la contestazione del fatto attribuito all’interrogato “in forma chiara e precisa” e il dovere per l’autorità giudiziaria di rendergli noti gli elementi di prova esistenti contro di lui e comunicargliene le fonti, a cui segue l’invito ad “esporre quanto ritiene utile per la sua difesa”, previsto dall’art. 65, comma 2, c.p.p.

L’accento, quindi, è posto sulle “risorse in funzione

autodifensiva”67 proprie dell’atto dell’interrogatorio e ciò è dimostrato

anche dalla sua collocazione nel Codice, agli articoli 64 e 65, al Titolo

65 R. E. Kostoris, Commento al nuovo codice di procedura penale (a cura di M.

Chiavario), 1989, pag. 326.

66 R. E. Kostoris, op.cit. pag. 331. 67 M. Chiavario, op. cit., pag. 114.

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38 IV del Libro I, e non al Titolo III del Libro III insieme agli altri mezzi di ricerca della prova.

Un altro profilo, sempre in connessione con l’esplicazione attiva dell’autodifesa, è quello del trattamento processuale dell’infermità mentale, riguardo a cui il legislatore delegante non ha dettato direttive specifiche, nonostante l’argomento sia apparso doverosamente come oggetto di una marcata attenzione.

“La specifica ratio di garanzia dell’autodifesa viene messa in evidenza, tra l’altro, con la sottolineatura della caratterizzazione che deve accompagnare l’infermità di mente perché questa dia luogo alle

peculiari risposte giudiziarie contestualmente previste”68: deve essere,

infatti, tale da impedire una partecipazione cosciente della parte e quindi, da compromettere l’autodifesa del soggetto, consentendo unicamente che venga posta in essere una difesa tecnica esclusiva.

Altra problematica che chiamava in causa l’autodifesa era quella della contumacia; di essa la prima legge delega, l. n. 108/74, si occupava indirettamente, limitandosi a stabilire, all’art. 2 n. 70, che il codice di rito dovesse contenere “la previsione di particolari garanzie nel rito della irreperibilità, con la precisazione rigorosa della procedura per la ricerca dell’imputato” e riconoscere “l’ammissibilità in sede di incidente di esecuzione, di una valutazione sul merito della procedura seguita, con

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39

eventuale restituzione in termini dell’imputato ai fini

dell’impugnazione”. La seconda legge delega, l. n. 81/87, mantenne inalterate tali direttive. Tuttavia, l’atteggiamento di fondo del legislatore risultava più chiaro dalle direttive n. 77 e 82; la prima imponeva “l’obbligo di sospendere o di rinviare il dibattimento quando risulti che l’imputato o il difensore sono nell’assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento”, la seconda conferiva al giudice “il potere-dovere di disporre che sia rinnovata la notificazione del decreto di citazione, quando risulta o deve ritenersi che l’imputato non ne abbia avuto conoscenza”. Il Codice ha dato attuazione a dette direttive attraverso la disciplina prevista agli articoli 485 e 486, poi abrogati con la l. n. 479/99, in modo caotico, rimescolandole ed integrandole con principi non direttamente ricavabili da esse, creando una rete normativa abbastanza complessa. Particolare attenzione assumeva la previsione di cui al comma 5 dell’art. 486, che disciplinava l’impedimento a comparire del difensore; la norma prevedeva, in via generale, l’applicazione della disciplina di cui al comma 3 e, quindi, la sospensione del procedimento con conseguente rinvio dell’udienza, e introduceva tre eccezioni, tra cui era ricompreso il caso in cui l’imputato chiedesse di procedere anche in assenza del difensore. A primo impatto, sembrerebbe che l’imputato si trovasse nella condizione di presenziare al procedimento senza la necessità di un assistente tecnico; tuttavia, questo pensiero viene contraddetto dal fatto che, in questo caso, il giudice sarebbe stato tenuto a nominare un difensore d’ufficio, in

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40 sostituzione del difensore di fiducia impedito, e, di conseguenza, l’imputato sarebbe stato assistito da un soggetto tecnico, non potendo difendersi da solo.

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41

Capitolo 2: Il diritto alla difesa

tecnica

Sommario:

2.1 La difesa tecnica

2.2 Uno sguardo alla disciplina europea dell’assistenza tecnica

2.3 Il difensore di fiducia e il difensore d’ufficio

2.4 Il diritto all’effettività della difesa tecnica. Il patrocinio a spese dello Stato

2.5 La particolare condizione dell’imputato-avvocato: le prese di posizione della Corte di Cassazione

2.1 La difesa tecnica

Date l’obbligatorietà e l’irrinunciabilità della difesa tecnica, prevista, come analizzato in precedenza, a livello costituzionale, la parte, durante il corso del procedimento, è rappresentata in giudizio da un soggetto qualificato, quale, appunto, il difensore. Tale concetto viene ribadito dall’art. 96 c.p.p., il quale riconosce, a livello codicistico, il

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42 diritto dell’imputato a nominare un difensore di fiducia e, nel caso non eserciti tale volontà, il diritto all’assegnazione di un difensore d’ufficio, nominato in suo favore dall’autorità giudiziaria.

Il Codice vigente riconosce un ruolo più incisivo della funzione del difensore rispetto a quello precedente, in virtù delle nuove esigenze derivanti dall’introduzione di un processo concepito ed attuato sulla dialettica delle parti; “a tale necessità, di ordine logico e sistematico, risponde già l’eloquente collocazione del difensore in un titolo autonomo, a livello pari a quello assegnato agli altri soggetti processuali”69.

Nel caso di nomina del difensore da parte dell’indagato o imputato, alla base del rapporto di collaborazione che si crea è presente, senz’altro, la fiducia; “il legislatore ha indicato ed indica nella fiducia l’elemento qualificativo del rapporto che, almeno in linea prioritaria, lega il destinatario della difesa al suo difensore, ma omette di precisare (dandolo per implicito) che la decisione fiduciaria viene fondata su una

scelta: scelta la quale, per sua natura, non può che essere libera”70.

Al contrario, nel caso in cui il difensore venga nominato d’ufficio, è più difficile che si crei tale rapporto, dal momento che difficilmente tra esso e l’assistito si instaura una collaborazione, sia per il fatto che

69A. Cristiani, Difensore, in M. Chiavario (a cura di), Commento al nuovo codice

di procedura penale, 1989, pag. 452.

70 M. Pisani, La libera scelta del difensore dell’imputato, in Riv. It. Dir. Proc. Pen.,

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43 non è un soggetto scelto appositamente sia perché il difensore d’ufficio tende ad essere poco presente durante lo svolgimento del procedimento, come si può facilmente comprendere guardando all’esperienza pratica.

Il difensore dell’imputato si distingue da quello delle altre parti private, dal momento che nei suoi confronti sono previsti maggiori diritti e garanzie, che testimoniano, inoltre, il valore pubblicistico dell’istituto della difesa. Tale concetto è dimostrato dall’art. 99 c.p.p., attraverso il quale è riconosciuto un amplissimo potere al difensore, legittimato dal rapporto che intercorre con il proprio assistito; tale potere è determinato dall’estensione al difensore dei diritti e delle facoltà riconosciuti all’imputato e all’indagato, in virtù dell’equiparazione dell’art. 61 c.p.p., ad esclusione degli atti personali, quali, appunto, la richiesta di rimessione nel processo, le dichiarazioni orali, la richiesta di giudizio immediato ed abbreviato, la richiesta di applicazione della pena,

l’impugnazione e la rinuncia ad essa71.

Allo stesso tempo, il comma 2 dell’art. 99 c.p.p. testimonia la prevalenza dell’autodifesa rispetto alla difesa tecnica, dal momento che prevede la facoltà dell’imputato di “togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all’atto compiuto dal difensore”.

Funzione tipica e propria del difensore è quella di essere il centro dell’opposizione all’accusa; per questo, egli è dotato dei medesimi

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