Il Nuovo Codice di rito venne approvato con il D.P.R. n. 447 del 22 settembre 1988, in attuazione della legge delega n. 81 del 1987.
Nella legge delega, il legislatore restò muto riguardo all’autodifesa esclusiva; difatti, nel codice attuale non troviamo alcun riferimento a questa e l’eccezione prevista all’art. 125 c.p.p. abr. è stata del tutto eliminata. Tale scelta è dovuta, in parte, anche alla giurisprudenza costituzionale, ostile avverso la possibilità di un’autodifesa esclusiva, ma che, tuttavia, “non mancò di sottolineare come non fosse vietato al difensore (…) di limitare la propria attività ai
fini del rispetto della scelta negativa del proprio difeso”60.
In ogni caso, “la convinzione che la problematica dell'autodifesa esclusiva avesse col tempo perso in gran parte la sua drammaticità ha indotto a trascurare la questione, convogliando l'interesse verso un riassetto della figura del difensore alla stregua della differente struttura del processo, che esalta il profilo pubblicistico accanto a quello
contrattualistico professionale della sua posizione”61.
L’assenza di qualsiasi riferimento all’autodifesa esclusiva risulta “sintomo di un atteggiamento assai diffuso, il quale sembra scorgere
60 M. Chiavario, La riforma del processo penale, 1990, pag. 112. 61 A. Presutti, op. cit.
36 nella problematica del rifiuto all’assistenza difensiva ordinaria soltanto il ricordo di una stagione particolarmente buia della nostra storia ed
un’arma tattica del terrorismo”62.
È bene precisare, a questo punto, che, pur non essendo presente alcun riferimento, la difesa materiale resta comunque tutelata e favorita all’interno del nuovo codice di rito. Tuttavia, nel nuovo codice la disciplina in oggetto non appare innovativa rispetto a quella del codice previgente, “se non per la generalizzazione dell’obbligo di nomina del
difensore d’ufficio in caso di mancanza del difensore di fiducia”63.
Nella legge delega e, di conseguenza, nel nuovo codice, è comunque presente una proiezione attiva dell’autodifesa, in particolare
con riguardo alla disciplina dell’interrogatorio64; deve essere segnalato
al riguardo l’art. 2 n.5 della l. n. 81/87, dove si impone una “disciplina delle modalità dell’interrogatorio in funzione della sua natura di strumento di difesa”. Non si deve intendere, con ciò, che debba essere impedito un utilizzo di tale istituto contra se, dal momento che la confessione rimane un elemento rilevante, ma non si deve escludere che dall’interrogatorio possano emergere elementi rilevanti per la linea difensiva dell’imputato o indagato e che, quindi, in esso vi sia un’esplicazione attiva dell’autodifesa della parte.
62 M. Chiavario, op.cit., pag.112. 63 M. Chiavario, op. cit., pag. 112. 64 Vedere infra 4.2.
37 Le dichiarazioni dell’imputato, in sede di interrogatorio, devono essere “frutto di una scelta libera, spontanea e cosciente
dell’interrogato”65; da ciò dipende l’introduzione di numerose cautele
nello svolgimento stesso dell’atto, quali, il divieto di utilizzare “metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o valutare i fatti” ex art. 64, comma 2 c.p.p., ovvero il diritto dell’interrogato di non rispondere e di essere preavvisato di tale sua facoltà, previsto al comma 3 dell’articolo sopracitato. Altro aspetto funzionale all’esplicazione dell’autodifesa è il fatto che l’indagato deve poter intervenire all’interrogatorio “libero nella persona”, “dove questa libertà sul piano fisico va intesa come
premessa e condizione della libertà sul piano morale”66. La disciplina
si completa con la contestazione del fatto attribuito all’interrogato “in forma chiara e precisa” e il dovere per l’autorità giudiziaria di rendergli noti gli elementi di prova esistenti contro di lui e comunicargliene le fonti, a cui segue l’invito ad “esporre quanto ritiene utile per la sua difesa”, previsto dall’art. 65, comma 2, c.p.p.
L’accento, quindi, è posto sulle “risorse in funzione
autodifensiva”67 proprie dell’atto dell’interrogatorio e ciò è dimostrato
anche dalla sua collocazione nel Codice, agli articoli 64 e 65, al Titolo
65 R. E. Kostoris, Commento al nuovo codice di procedura penale (a cura di M.
Chiavario), 1989, pag. 326.
66 R. E. Kostoris, op.cit. pag. 331. 67 M. Chiavario, op. cit., pag. 114.
38 IV del Libro I, e non al Titolo III del Libro III insieme agli altri mezzi di ricerca della prova.
Un altro profilo, sempre in connessione con l’esplicazione attiva dell’autodifesa, è quello del trattamento processuale dell’infermità mentale, riguardo a cui il legislatore delegante non ha dettato direttive specifiche, nonostante l’argomento sia apparso doverosamente come oggetto di una marcata attenzione.
“La specifica ratio di garanzia dell’autodifesa viene messa in evidenza, tra l’altro, con la sottolineatura della caratterizzazione che deve accompagnare l’infermità di mente perché questa dia luogo alle
peculiari risposte giudiziarie contestualmente previste”68: deve essere,
infatti, tale da impedire una partecipazione cosciente della parte e quindi, da compromettere l’autodifesa del soggetto, consentendo unicamente che venga posta in essere una difesa tecnica esclusiva.
Altra problematica che chiamava in causa l’autodifesa era quella della contumacia; di essa la prima legge delega, l. n. 108/74, si occupava indirettamente, limitandosi a stabilire, all’art. 2 n. 70, che il codice di rito dovesse contenere “la previsione di particolari garanzie nel rito della irreperibilità, con la precisazione rigorosa della procedura per la ricerca dell’imputato” e riconoscere “l’ammissibilità in sede di incidente di esecuzione, di una valutazione sul merito della procedura seguita, con
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eventuale restituzione in termini dell’imputato ai fini
dell’impugnazione”. La seconda legge delega, l. n. 81/87, mantenne inalterate tali direttive. Tuttavia, l’atteggiamento di fondo del legislatore risultava più chiaro dalle direttive n. 77 e 82; la prima imponeva “l’obbligo di sospendere o di rinviare il dibattimento quando risulti che l’imputato o il difensore sono nell’assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento”, la seconda conferiva al giudice “il potere- dovere di disporre che sia rinnovata la notificazione del decreto di citazione, quando risulta o deve ritenersi che l’imputato non ne abbia avuto conoscenza”. Il Codice ha dato attuazione a dette direttive attraverso la disciplina prevista agli articoli 485 e 486, poi abrogati con la l. n. 479/99, in modo caotico, rimescolandole ed integrandole con principi non direttamente ricavabili da esse, creando una rete normativa abbastanza complessa. Particolare attenzione assumeva la previsione di cui al comma 5 dell’art. 486, che disciplinava l’impedimento a comparire del difensore; la norma prevedeva, in via generale, l’applicazione della disciplina di cui al comma 3 e, quindi, la sospensione del procedimento con conseguente rinvio dell’udienza, e introduceva tre eccezioni, tra cui era ricompreso il caso in cui l’imputato chiedesse di procedere anche in assenza del difensore. A primo impatto, sembrerebbe che l’imputato si trovasse nella condizione di presenziare al procedimento senza la necessità di un assistente tecnico; tuttavia, questo pensiero viene contraddetto dal fatto che, in questo caso, il giudice sarebbe stato tenuto a nominare un difensore d’ufficio, in
40 sostituzione del difensore di fiducia impedito, e, di conseguenza, l’imputato sarebbe stato assistito da un soggetto tecnico, non potendo difendersi da solo.
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