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Linee generali della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

3 2 Un possibile attrito con le scelte dell’ordinamento

3.3 Linee generali della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Analizzando le diverse sentenze in cui la Corte di Strasburgo si è espressa circa l’applicazione dell’art.6 C.e.d.u., può essere rintracciato un filo conduttore nel pensiero dei giudici europei.

Il punto di partenza è sicuramente l’affermazione per cui “la Convenzione riconosce diritti che non devono essere teorici ed illusori,

ma concreti ed effettivi”125; in questo senso, sarà compito degli Stati

aderenti alla Convenzione porre in essere una disciplina che tenga conto della concretezza ed effettività di tali diritti. Il riconoscimento non deve essere solo formale, bensì è necessario un intervento diretto che vada a garantire il godimento dei diritti riconosciuti in capo ad ogni individuo, come ha stabilito la Corte di Strasburgo nel caso Artico c. Italia.

L’ art. 6, num. 3, lett. c), tuttavia, riconosce sì il diritto di difesa, ma non specifica le condizioni necessarie per un suo esercizio; queste

75 devono essere decise e stabilite da parte dell’ordinamento interno ad ogni Stato. Compito della Corte Europea, come ritenuto nella sentenza Sannino c. Italia, sarà valutare se la disciplina posta in essere sia conforme o meno alle esigenze del giusto processo, ed eventualmente intervenire per invitare lo Stato a rimediare.

Garantire i diritti riconosciuti dalla C.e.d.u., quindi, è dovere dello Stato, e ciò gli permette di intervenire sia attraverso la previsione di una disciplina adeguata, sia andando ad eliminare tutte quelle situazioni che potrebbero causare pregiudizi agli individui.

L’ art. 6, al centro delle questioni giurisprudenziali esaminate, riconosce il diritto ad una difesa che deve, quindi, essere adeguata ed effettiva, da esercitarsi personalmente o tramite un legale rappresentante. L’imputato può, perciò, scegliere se affidarsi ad un difensore di fiducia, ad uno d’ ufficio o difendersi personalmente; la scelta deve avvenire con coscienza e cognizione, come precisato nella sentenza Padalov c. Bulgaria. Tuttavia, il diritto di difendersi personalmente non è assoluto, in quanto può essere limitato nel caso in cui sussistano esigenze di giustizia, secondo quanto la Corte ha dichiarato nella sentenza Croissant c. Germania.

In ogni caso, alla luce delle opinioni espresse dalla Corte, gli Stati devono sempre concedere l’assistenza tecnica all’ imputato, altrimenti, ne risulterebbe compromessa l’effettività del diritto a questi riconosciuto; deve, quindi, essere sempre garantito il diritto a difendersi,

76 in ogni stato e grado del procedimento, e, in più, per evitare i pregiudizi derivanti da un’eventuale situazione di indigenza dell’imputato, ogni Stato ha l’obbligo di fornire il patrocinio gratuito a sue spese.

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Caso Pakelli c. Germania – 25 aprile 1983

La decisione che si vuole analizzare è di particolare importanza; fino a questo momento, infatti, la Corte Europea aveva ritenuto che la scelta tra autodifesa e difesa tecnica obbligatoria costituisse “un potere di scelta di cui erano titolari non gli imputati, ma i singoli ordinamenti, i quali dovevano considerarsi posti in condizione di decidere se l’accusato si difenderà da sé o se sarà rappresentato da un avvocato,

liberamente scelto, ovvero, se del caso, nominato d’ ufficio”126. Deve

escludersi, tuttavia, che “la discrezionalità delle autorità possa considerarsi completamente libera nella scelta tra le modalità di attuazione del diritto di difesa, dal momento che la presenza di un

126 E. Marzaduri, Sui contenuti del diritto di difesa nella Convenzione Europea dei

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difensore può talora risultare indispensabile per garantire

‘adeguatamente’ la posizione processuale dell’imputato”127

Con la sentenza in esame, “si è compiuta una radicale e, in buona sostanza, inaspettata inversione interpretativa della giurisprudenza

europea, concernente le modalità di esercizio del diritto di difesa”128.

Nel caso di specie, Pakelli, cittadino turco residente in Germania per un periodo di tempo limitato, avanzò ricorso davanti alla Corte Europea lamentando una violazione dell’articolo in questione, in quanto non gli era stato riconosciuto il diritto di essere assistito da un difensore d’ufficio a titolo gratuito, essendo indigente, nel giudizio di fronte alla Corte di Cassazione tedesca. Il ricorrente, inoltre, denunciò di non aver avuto la possibilità di difendersi personalmente in modo concreto, non comprendendo la lingua tedesca, contestando, dunque, l’avvenuta violazione della lettera e) del citato articolo. Il Governo tedesco ribatté ai motivi dedotti dal ricorrente precisando che, per il giudizio di fronte la Cassazione, l’ordinamento tedesco non prevede la presenza obbligatoria di un difensore e che, in ogni caso, non sussistevano i presupposti perché Pakelli potesse beneficiare del gratuito patrocinio.

La Corte Europea, chiamata a pronunciarsi, innanzitutto chiarì, nuovamente, quale fosse l’interpretazione da attribuire all’art. 6, comma

127 E. Marzaduri, op. cit. 128 E. Marzaduri, op. cit.

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3, lett. c)129, precisando che “un "accusé" qui ne veut se défendre lui-

même doit pouvoir recourir aux services d’un défenseur de son choix; s’il n’a pas les moyens d’en rémunérer un, la Convention lui reconnaît le droit à l’assistance gratuite d’un avocat d’office lorsque les intérêts de la justice l’exigent”130.

Alla luce di tale precisazione, Pakelli, nonostante l’ordinamento tedesco gli riconoscesse il diritto di comparire e difendersi personalmente di fronte alla Corte di Cassazione, aveva comunque il diritto di essere assistito da un difensore d’ufficio.

In seguito la Corte dichiarò che “il livello minimo di tutela del diritto di difesa dell’ imputato impedisce comunque alle autorità statali ogni forzata esclusione del diritto all’ assistenza tecnica”; indipendentemente, infatti, dalla normativa statale, dalla gravità delle accuse oggetto della causa, o dagli interessi di giustizia coinvolti nel procedimento, “deve essere sempre concessa all’imputato la difesa tecnica, anche se è prevista la possibilità di autodifendersi, perché altrimenti si comprometterebbe l’effettività del diritto di difesa nei suoi confronti”. In conclusione, la Corte ritenne fondati i motivi di ricorso del Pakelli e, in conseguenza di ciò, sussistente la violazione dell’art. 6, num. 3, lett. c) da parte dell’ordinamento tedesco.

Ogni Stato, quindi, deve guardarsi dall’imporre una scelta autoritaria riguardo l’esplicazione effettiva del diritto di difesa da parte

129 Vedere infra, 3.1

79 dell’imputato, ma, al contrario, deve far sì che questo sia posto nelle condizioni di poter lui stesso scegliere. Anche negli ordinamenti in cui è prevista sia l’obbligatorietà sia la possibilità dell’autodifesa da parte dell’imputato, deve essere, comunque, garantito il diritto ad essere assistiti da un difensore.

A questo punto è legittimo chiedersi se, alla luce di quanto stabilito dalla Corte, sia conforme alla C.e.d.u. la possibilità, per l’imputato, di rinunciare alla difesa tecnica e porre in essere una difesa personale. La Corte, però, non ha rintracciato nell’obbligatorietà della difesa tecnica quelle limitazioni presenti in caso di esclusione della difesa formale e, quindi, l’obbligo di autodifendersi; in quest’ultimo caso è sussistente una limitazione o diniego all’effettivo esercizio del diritto di difesa, problema non riscontrabile in tutti gli ordinamenti che prevedono la presenza obbligatoria di un difensore in funzione di garanzia, a tutela, quindi, dello svolgimento di un giusto ed equo processo.

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Caso Croissant c. Germania. – 25 novembre 1992

Altro episodio da prendere in considerazione, nelle molteplici sfaccettature del problema in analisi, concerne il caso Croissant c.

80 Germania, il quale si incentra sul problema del diritto di scegliere un avvocato e della nomina dei difensori d’ufficio.

Croissant era stato accusato di collaborazione con un’associazione terroristica. In giudizio, nominò inizialmente due difensori di fiducia, affidatigli, però, come difensori d’ ufficio; successivamente il Tribunale nominò un terzo avvocato d’ ufficio. Croissant contestò tale nomina, da una parte, ritenendola inutile, dall’altra, considerando che tale avvocato faceva parte della fazione politica opposta alla sua e, pertanto, di idee politiche contrastanti; allo stesso tempo, il terzo avvocato d’ufficio chiedeva di essere sollevato dall’incarico, in virtù di tale contrasto ideologico.

Il Tribunale di Stoccarda ribatté alle censure mosse da Croissant, dichiarando che la nomina di un terzo avvocato era stata ritenuta necessaria per la complessità della causa pendente e, di conseguenza, rispondeva ad esigenze di giustizia. In più, riteneva che il contrasto ideologico tra assistito e difensore non fosse un motivo fondato per sollevare dall’incarico l’avvocato.

Croissant venne condannato ad un periodo di reclusione, all’interdizione dall’ufficio di avvocato e al pagamento delle spese processuali. Il pagamento di tali spese venne contestato dall’imputato, in quanto, avendo il Tribunale nominato tre difensori di fiducia per esigenze di giustizia, queste rientravano nei casi per cui fosse previsto il patrocinio gratuito a spese dello Stato.

81 Dopo aver adito la Corte d’appello e la Corte Costituzionale tedesca, Croissant presentò ricorso alla Corte Europea per violazione dell’art. 6, num. 3, lett. c) C.e.d.u., in forza della condanna al pagamento delle spese processuali.

La Corte di Strasburgo, nell’esaminare la questione dichiarò che “il diritto invocato dal ricorrente, in virtù dell’art. 6, non ha carattere assoluto, in quanto la volontà di autodifendersi può essere prevaricata da interessi di giustizia”, sostenendo al contempo che la violazione lamentata da Croissant non fosse sussistente, poiché l’ordinamento tedesco prevede il pagamento delle spese processuali a carico dell’imputato, ogni qual volta questo sia condannato; tuttavia ha precisato che, dato che il pagamento è a carico dell’assistito, questo deve essere sentito dal Tribunale prima di procedere alla nomina.

A dire della Corte, il Tribunale aveva legittimamente nominato un terzo difensore d’ufficio, essendo sussistenti esigenze di giustizia.

In conclusione, la Corte dichiarò che il diritto ad avere un difensore di fiducia o autodifendersi non ha carattere assoluto, in quanto può essere legittimamente limitato da interessi di giustizia superiori. Nel caso di specie, la nomina era necessaria per rendere equo ed effettivo il diritto di difesa, essendo in presenza di un processo complesso, e la Corte ha ritenuto preminenti gli interessi di giustizia rispetto alla volontà dell’imputato.

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Caso Meftah e altri c. Francia – 26 luglio 2002

Nel caso in analisi sono presenti tre ricorsi alla Corte Europea per violazione dell’art. 6, comma 1 e comma 3, lett. c). I ricorrenti ritennero che fosse stato violato il loro diritto di difesa in quanto non avevano avuto comunicazione delle conclusioni dell’Avvocatura dello Stato durante il giudizio di fronte alla Corte di Cassazione e non gli era stato notificato l’avviso contenente la data e il luogo dell’udienza. In questo modo non avevano potuto ribattere, in alcun modo, alle conclusioni della controparte e non era stato garantito il contraddittorio tra le parti.

I ricorrenti, inoltre, lamentavano il fatto che la lett. c) dell’articolo in esame garantisce l’autodifesa anche in sede di giudizio di legittimità; in questo caso, non avendo ottenuto alcuna comunicazione, i ricorrenti avevano subìto una disparità di trattamento ingiustificata, per il solo fatto di aver scelto di non voler essere rappresentati da un avvocato, riscontrandosi pertanto una violazione del principio di uguaglianza.

Il Governo francese replicò dicendo che il diritto all’ autodifesa, riconosciuto dalla C.e.d.u., non investe il giudizio di fronte alla Cassazione e che, in aggiunta, le parti durante il giudizio di legittimità non sono più accusati, dal momento che la loro colpevolezza è stata dichiarata nelle sentenze di merito precedenti e oggetto del

83 procedimento sono le decisioni e non i soggetti su cui queste ricadono. A sostegno di ciò, il Governo ribatté ai motivi presentati dai ricorrenti, ribadendo come la Corte Europea avesse già precisato, in precedenza, che “in tutti gli stadi del giudizio il diritto di difendersi personalmente può essere diversamente regolato e modulato secondo il diritto interno,

in virtù delle esigenze di giustizia”131.

Non solo; seguendo l’argomentazione addotta dal Governo, pur essendo vero che il diritto all’autodifesa è dotato del carattere di eccezionalità e che il giudizio di legittimità rende assolutamente necessaria la presenza di un difensore, è altresì vero che, per il fatto che questo si svolge prevalentemente in forma scritta, la difesa tecnica non risulta obbligatoria. Così le parti, pur avendo più volte ricevuto il consiglio di nominare un difensore, avevano comunque scelto di difendersi personalmente.

La Corte Europea, in occasione della pronuncia, dichiarò che l’art. 6 della Convenzione si riferisce a tutti i diritti che sono riconducibili al principio del giusto processo e che il diritto in questione si applica anche al giudizio di fronte alla Corte di Cassazione, in quanto questo può avere ripercussioni sulla condanna in capo agli imputati e alla correzione di eventuali errori di diritto avutisi nei giudizi precedenti. Ai ricorrenti, in queste circostanze, non era stato garantito un equo processo, per il fatto che avevano scelto di autodifendersi e non avevano ricevuto alcuna

131 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Caso Croissant c. Germania, 25 novembre

84 comunicazione relativi al giudizio di cui erano protagonisti. La stessa Corte precisò che la mancata nomina di un difensore non doveva intendersi come una totale rinuncia al contraddittorio.

In conclusione, si ritenne fondata la violazione del richiamato art. 6, comma 1 per la mancata comunicazione della data e del luogo di udienza, dal momento che non aveva permesso ai ricorrenti di intervenire in loro difesa, ma non la si ritenne sussistente in relazione al fatto di non aver permesso agli accusati di intervenire personalmente o tramite avvocato di fiducia.

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Caso Artico c. Italia – 13 maggio 1980

Artico venne condannato a diciotto mesi di reclusione per truffa nel 1965; nel 1971 venne nuovamente condannato a cinque anni e undici mesi di reclusione per truffa aggravata. Presentò, quindi, appello per entrambe le condanne, ma la Corte d’ appello rigettò il ricorso. Successivamente avanzò ricorso per Cassazione, in quanto il procedimento in appello si era svolto in sua assenza; la Corte di Cassazione annullò il giudizio di secondo grado.

85 Di fronte alla Suprema Corte, Artico era inizialmente rappresentato da un difensore di fiducia, ma, in seguito, gli venne riconosciuto il diritto al patrocinio gratuito e la Corte nominò un difensore d’ ufficio. Quest’ultimo, tuttavia, in un primo momento non fu reperibile, in quanto non era a conoscenza della nomina poiché si trovava in vacanza, come lui stesso ha successivamente comunicato ad Artico; in un secondo momento consigliò al suo assistito di chiedere la sua sostituzione, essendo gravemente malato e non potendo, pertanto, effettuare un’attività difensiva adeguata ed effettiva.

Artico comunicò la vicenda alla Corte di Cassazione, che rimase inerme e non effettuò nessuna sostituzione, lasciando tutto nelle mani di Artico. Il ricorrente si rivolse anche al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Camera dei Deputati, lamentando i gravi pregiudizi subiti per la mancanza totale di assistenza difensiva e richiedendo la sostituzione del difensore d’ ufficio designatogli.

La Corte di Cassazione notificò la data dell’udienza all’avvocato d’ ufficio e lo informò della non avvenuta sostituzione; Artico chiese, a questo punto, il rinvio dell’udienza, ma la sua istanza venne rigettata.

Conclusosi il giudizio di legittimità, Artico fece ricorso alla Corte di Strasburgo, asserendo la violazione dell’art. 5, comma 1 della Convenzione (detenzione irregolare), ricorso che però fu dichiarato inammissibile, e per la violazione dell’art. 6, comma 3, lett. c) C.e.d.u. per non essere stato assistito da un difensore nel giudizio di fronte alla

86 Corte di Cassazione. Accogliendo tale ricorso, la Corte si trovò ad analizzare i documenti presentati dal ricorrente e chiese chiarimenti al Governo italiano, il quale ne contestò la veridicità.

La Corte Europea dichiarò che l’art. 6 riconosce in capo all’imputato il diritto ad una difesa adeguata, personale o tramite un legale e, a questo scopo, prevede che gli Stati, a certe condizioni, abbiano l’obbligo di fornire il gratuito patrocinio. La C.e.d.u., inoltre, introduce diritti che non devono essere teorici o illusori, ma concreti ed effettivi.

Nel caso in esame, il ricorrente non ha goduto di un’assistenza effettiva di fronte alla Corte di Cassazione, in quanto mancava di un legale di riferimento; anche se la responsabilità scaturente dalle inadempienze del difensore non può essere attribuita direttamente allo Stato; questo, in ogni caso, aveva l’obbligo di attivarsi per garantire al richiedente il godimento di un diritto a lui riconosciuto.

Lo Stato aveva tre possibilità di intervento in questa situazione: sostituire l’avvocato d’ ufficio, invitarlo a svolgere il proprio compito ed infine rimanere inattivo, come ha fatto. “La linea di condotta processuale che è stata seguita dallo Stato italiano è consistita, in pratica, nell’opporre eccezioni di ordine processuale, quasi che si trattasse di una

banale causa civile da vincere a base d espedienti avvocateschi”132

87 Alla luce di tutto ciò, la Corte Europea ha ritenuto fondati i motivi addotti dal ricorrente e ha dichiarato sussistente la violazione dell’art. 6, comma 3, lett. c) CEDU, condannando lo Stato italiano.

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Caso Sannino c. Italia – 27 aprile 2006

Sannino, condannato dal Tribunale di Napoli a due anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, chiese la restituzione nel termine a causa di irregolarità riguardanti le notificazioni durante il procedimento. Il ricorrente aveva inizialmente nominato un avvocato di fiducia, il quale però rinunciò al mandato; a questo punto il Tribunale nominò un difensore d’ufficio. Sannino dichiarò di non aver ricevuto mai alcuna comunicazione riguardante la rinuncia del suo difensore di fiducia e la nomina dell’avvocato d’ufficio, la quale risultava per di più nulla, poiché non era iscritto nell’apposita lista. Quest’ultimo non si presentò mai in udienza e fu continuamente sostituito da altri difensori, i quali, non conoscendo i fatti oggetto del procedimento, non si preoccuparono mai di chiedere il rinvio dell’udienza al giudice, per avere tempo sufficiente per preparare la linea difensiva. Inoltre, Sannino

88 non si presentò mai in udienza e fu, per questo, dichiarato contumace; a riguardo di ciò, il ricorrente si difese dichiarando che tali assenze non fossero riconducibili alla sua volontà, bensì al fatto che le diverse notificazioni avvenivano nei confronti di un soggetto non abilitato a riceverle.

Tuttavia, riguardo alle ripetute assenze, sorsero delle contraddizioni tra le dichiarazioni di Sannino e i verbali delle udienze, i quali dichiaravano che il ricorrente fosse presente, probabilmente per errori di trascrizione, che testimoniavano ancor di più la negligenza del Tribunale di Napoli.

Sannino, dopo aver richiesto la restituzione nel termine alla Corte d’appello e alla Corte di Cassazione, le quali rigettarono l’istanza, adì la Corte Europea, lamentando una violazione dell’art.6, num. 3, lett. c), per non aver visto garantito il suo diritto di difesa, e lett. d) dell’articolo medesimo, per il fatto che i diversi difensori d’ufficio non avevano mai citato in giudizio i testimoni a favore del ricorrente, e, quindi, violando il suo diritto di interrogare e far interrogare testimoni.

Il Governo replicò ai motivi addotti dal ricorrente, accusandolo della vaghezza e della infondatezza delle sue lamentele; dichiarò che “le autorità interne sono obbligate a sostituire un avvocato d'ufficio o ad invitarlo ad adempiere al proprio compito solo se esse vengono informate di lacune nella difesa dell'imputato. Nella fattispecie, il ricorrente non ha mai richiamato l'attenzione delle giurisdizioni

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competenti su tali lacune”133. Il Governo precisò che le autorità avevano

adempiuto ai loro obblighi nominando il difensore d’ ufficio e i suoi sostituti; costoro, pertanto, non chiedendo alcun rinvio, si erano mostrati negligenti, ma la responsabilità di tutto ciò non poteva essere attribuita alla Stato. Ritenne, inoltre, che l’imputato, pur essendo stato messo nelle condizioni di nominare un nuovo difensore di fiducia, tuttavia non l’aveva fatto.

Con riguardo alla lamentata violazione della lett. d), il Governo replicò che le convocazioni dei testimoni avrebbero potuto avvenire d’ufficio solo nel caso in cui il Tribunale le avesse ritenute strettamente necessarie, ed in questo caso non le erano.

La Corte, nel pronunciarsi, precisò che l’art.6, num. 3, lett. c) C.e.d.u. riconosce il diritto di difesa, senza specificare tuttavia le condizioni per l’esercizio di tale diritto; la disciplina di queste è, infatti, demandata agli Stati, sottolineando come “il compito della Corte