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3 2 Un possibile attrito con le scelte dell’ordinamento

Capitolo 4: Gli spazi dell’autodifesa nel processo penale italiano

4.7 Il diritto dell’imputato a partecipare alle udienze del procedimento a proprio carico

4.7.1 La partecipazione a distanza

Il Codice consente di “superare l’unità di luogo nel quale si deve

svolgere il dibattimento”217 attraverso le previsioni dell’istituto della

partecipazione a distanza e dell’esame a distanza

La partecipazione a distanza è disciplinata dall’art 146 bis disp.

att. del Codice ed è stata recentemente riformato dalla l. n. 103/2017218.

La partecipazione a distanza viene attuata attraverso la “tele- conferenza” o videoconferenza, tramite, quindi, un collegamento

217 P. Tonini, op. cit., pag.739.

218 Nell’impianto originario del codice, la partecipazione dell’imputato al

dibattimento era prevista esclusivamente in quanto presenza fisica; con la l. n. 356/1992 è stato introdotto l’art. 147 bis disp. att., che circoscriveva l’applicazione dell’esame a distanza per i collaboratori di giustizia per tutelarne l’incolumità personale e per gli imputati di reato connesso. Successivamente, accanto a tale istituto, venne introdotto quello della partecipazione a distanza dell’imputato al suo processo, con la legge n. 11/1998; l’istituto era stato inizialmente introdotto con il limite temporale di efficacia fissato al 31 dicembre 2000.

161 audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo di detenzione, il quale permette, per un verso, che possano essere esercitati i diritti fondamentali dell’imputato, per un altro, che le parti siano nelle condizioni di valutare l’attendibilità delle prove che vengono assunte.

La teleconferenza persegue, quindi, due obiettivi: permettere all’imputato di vedere e sentire ciò che avviene in aula e, perciò, di esercitare il suo diritto di difesa; consentire il compimento di specifiche attività processuali di soggetti che non possono essere fisicamente presenti in aula.

Precedentemente alla riforma, a seguito della legge n. 11/1998, l’istituto era limitato a tre ipotesi. La prima riguardava procedimenti per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso, terroristico o assimilato, previsti dagli artt. 51, comma 3 bis e 407, comma 2, lett a) n. 4 c.p.p., nei confronti di imputato che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione; dovevano, però, sussistere gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o si doveva essere in presenza di dibattimenti

particolarmente complessi. La seconda ipotesi ammetteva

l’applicazione della partecipazione a distanza nei confronti di imputati sottoposti al regime di sorveglianza speciale, ex art. 41 bis, comma 2 ord. pen., nonché rispetto ad un soggetto che dovesse essere sentito in qualità di testimone, che si trovasse in stato di detenzione.

Le rationes sottese a tale disciplina erano essenzialmente due; “da un lato, vi era un'esigenza lato sensu di economicità processuale:

162 nell'ambito di complessi procedimenti per reati di criminalità organizzata si volevano ridurre i tempi, i costi ed i rischi connessi alla necessità di disporre la traduzione di soggetti detenuti in altre località, specie nei casi in cui a carico del medesimo soggetto fossero pendenti più processi in differenti sedi giudiziarie. Da un altro lato, vi era l'esigenza di non vanificare il regime speciale di isolamento previsto dall'articolo 41 bis ord. penit. Infatti la traduzione dei detenuti avrebbe potuto agevolare i contatti tra appartenenti a organizzazioni criminali

mafiose, nel corso o in occasione dello svolgimento dei dibattimenti”219.

La partecipazione a distanza era, ed è, realizzata tramite un collegamento audiovisivo tra l’aula e il luogo di detenzione dell’imputato, tale da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto. Inoltre, viene sempre consentito al difensore o ad un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l’imputato e a questi era assicurata, in aggiunta, la consultazione riservata tramite strumenti tecnici idonei. Per garantire la regolarità, un ausiliario del giudice è presente nel luogo in cui si trovava l’imputato.

Le garanzie difensive dell’imputato sono assicurate mediante la contestuale, reciproca ed effettiva visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi: “la contestualità esclude ogni sorta di differimento

219 C. Conti, Partecipazione e presenza dell’imputato nel processo penale:

questione terminologica o interessi contrapposti da bilanciare?, in Dir. Pen. e Processo, 2000, fasc. 1, pag. 76.

163 temporale nel collegamento; la reciprocità garantisce il coinvolgimento nel collegamento di tutte le persone presenti nei due luoghi; infine, l’effettività mira ad escludere qualsiasi incertezza o difficoltà che possa incidere sulla capacità di percezione da parte di ciascun fruitore del

collegamento stesso”220. Tali criteri hanno lo scopo di garantire

all’imputato un “realismo partecipativo” e consentire un adattamento automatico dello svolgimento del progresso all’introduzione di nuove tecnologie.

Parte della dottrina ha ritenuto insufficienti i criteri posti dalla legge, in quanto questi avrebbero precluso l’esercizio dell’autodifesa da parte dell’imputato e si sarebbero posti in contraddizione con il principio di oralità del procedimento penale; “d'altra parte però il processo non è solo una serie di atti tra loro connessi. Nel compimento di questi atti, si alternano una serie di persone che devono agire e parlare al momento

giusto”221. Risulta, quindi, rilevante il nesso logico che intercorre tra i

diversi atti e la loro sequenza temporale. Il processo a distanza è, per questi motivi ontologicamente differente dal procedimento ordinario e quindi, anche “la migliore ripresa televisiva non potrà mai sostituire

perfettamente la presenza del dichiarante”222.

220 P. Tonini, op. cit., pag. 741.

221 R. A. Ruggiero, La sentenza sulle videoconferenze tra tutela del diritto di difesa

ed esigenze di “durata ragionevole” del processo penale, in Cass. Pen., 2000,

fasc. 4,pag. 829.

222 Illuminati, Libro VII - Giudizio, in AA.VV, Profili del nuovo codice di

164 Ritenuto l’art. 146 bis disp. att. in violazione dell’art. 24, comma 2 Cost., in quanto la partecipazione a distanza dell’imputato non avrebbe consentito all’imputato di avere ampia ed effettiva conoscenza degli avvenimenti in aula e, quindi di reagirvi prontamente, ovvero il collegamento audiovisivo avrebbe precluso un immediato collegamento tra difensore ed assistito, e in contrasto con gli artt. 3, 10 e 27 Cost., si adì la Corte Costituzionale.

Quest’ultima sembra aver effettuato una scissione terminologica dei concetti di presenza e partecipazione: “presenza” ha un significato materiale, dal momento che si è presenti al dibattimento se si è lì fisicamente; la “partecipazione” deve intendersi nel suo significato figurato: un soggetto prende parte se interviene attivamente in un determinato contesto. La Consulta dichiarò, quindi, che “la premessa secondo cui solo la presenza fisica nel luogo del processo potrebbe assicurare l’effettività del diritto di difesa non è (…) fondata. Ciò che occorre, sul piano costituzionale, è che sia garantita l’effettiva partecipazione personale e consapevole dell’imputato al dibattimento, e dunque che i mezzi tecnici, nel caso della partecipazione a distanza,

siano del tutto idonei a realizzare quella partecipazione”223. “In altre

parole, la legittimità della partecipazione a distanza non inerisce l' an (e cioè la astratta configurabilità ontologica della stessa), bensì il quomodo

165 (ossia la predisposizione di strumenti tecnici che assicurino una

partecipazione piena ed effettiva)”224.

Il problema si sarebbe potuto porre, semmai, circa l’idoneità dei sistemi tecnici finalizzati ad ottenere quel tipo di partecipazione, che furono, però, definiti dalla Corte come portatori di un “esauriente sistema di risultati”.

La questione di legittimità verteva, essenzialmente, sul bilanciamento di due esigenze, in questo caso, contrapposte; “l’esigenza di una pronta definizione dei procedimenti penali in nome e nell'interesse di una insopprimibile necessità di difesa sociale nei confronti della criminalità organizzata e (…) l’esigenza di garantire una difesa che, per lunga tradizione, implicava una presenza personale

diretta dell'imputato alla celebrazione del dibattimento”225.

Il giudice costituzionale argomentò, in modo singolare, l’infondatezza della questione in ordine alla violazione del diritto di difesa, entrando nel merito dello svolgimento e stabilendo che “nessun effetto distorsivo possa, nella specie, ritenersi direttamente riconducibile alle disposizioni oggetto di impugnativa”; ciò “si desume con chiarezza dalla circostanza che la normativa in esame, lungi dal limitarsi a delineare i mezzi processuali o tecnici attraverso i quali realizzare gli obiettivi perseguiti, ha tracciato un esauriente sistema di ‘risultati’ che

224 C. Conti, op. cit.

225 A. Giarda, Videoconferenze ed “effettività partecipativa” dell’imputato, in

166 si presenta in linea con il livello minimo di garanzie che devono cautelare il diritto dell'imputato di ‘partecipare’, e quindi difendersi, per

tutto l'arco del dibattimento”226. Fondamentale è il fatto che il

collegamento tra il luogo di custodia e l’aula sia realizzato in modo da rendere “effettiva”, e, dunque, non virtuale, bensì “concreta”, la possibilità di percepire gli avvenimenti e comunicare con il proprio difensore. Le modalità introdotte, offerte dalla tecnica alla realizzazione di un “realismo partecipativo”, non possono non ritenersi “del tutto in linea con gli strumenti che l'ordinamento deve necessariamente mettere a disposizione per consentire un adeguato esercizio del diritto di difesa

nella fase del dibattimento”227.

La Corte realizzò, con la decisione in esame, un’ulteriore scissione in quanto pose su un diverso piano la struttura della norma insieme alla configurazione del diritto rispetto alle modalità pratiche con cui la norma può svolgersi in concreto e il diritto esercitato.

Si può ritenere, in conclusione, che “la Consulta non ha effettuato un’operazione di bilanciamento d’interessi - come avrebbe potuto fare e come in tante altre occasioni ha fatto, proprio con riferimento alla presenza fisica dell’imputato in udienza - tra diritto di difesa ed esigenze di efficienza della macchina giudiziaria (espresse dai parametri indicati dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 146 bis disp. att. c.p.p.),

226 Corte Costituzionale, Sentenza n. 342/1999. 227 Corte Costituzionale, Sentenza n. 342/1999.

167 aprendo il varco a potenziali, futuri ampliamenti della deroga al diritto

dell’imputato di essere fisicamente presente al ‘suo’ processo”228.

La deminutio capitis, apportata al diritto di difesa, in virtù di esigenze di pubblica sicurezza ed ordine pubblico, difatti, è facilmente comprensibile ed accettabile; al contrario l’esigenza di speditezza del processo e di economia processuale, non hanno natura tale da poter prevalere su un diritto costituzionale, quale la difesa. In altre parole, “le esigenze dell'amministrazione della giustizia non possono ricadere

sull'imputato, presunto innocente, attenuandone le garanzie

processuali”229.

Sembra, quindi, difficile ritenere che la disciplina in questione si presenti come garantistica nei confronti del diritto di difesa. In primo luogo, l’imputato si trova ad essere estromesso dall’aula di udienza e, di conseguenza, la sua percezione degli avvenimenti risulta, senza dubbio, attenuata. In secondo luogo, l’aspetto meno accettabile della disciplina riguarda il rapporto tra imputato e difensore, poiché al difensore spetta una “scelta drastica”: presenziare fisicamente nell’aula dibattimentale ovvero trovarsi a distanza insieme al suo assistito. Se decide di stare accanto “fisicamente” al proprio assistito, anch’egli soffrirà delle limitazioni che il collegamento audiovisivo reca all'esercizio dei diritti difensivi, mentre se sceglie di presenziare in udienza, ne risulterà

228 S. Lorusso, Dibattimento a distanza vs autodifesa?, in Dir. Pen. Cont. (riv.

trim.) , 2017, fasc. 4,

168 compromesso il diritto dell’imputato all’assistenza tecnica. La possibilità di consultarsi riservatamente, concessa dalla legge, non potrà mai “surrogare quel rapporto privo di intermediazioni che si realizza

quando l'imputato siede ‘a fianco del proprio difensore’”230.

Si potrebbe obiettare che l’imputato, a questo punto, possa nominare due difensori di fiducia o avvalersi del sostituto, ma non tutti gli imputati possono sopportare tale spesa e tra sostituto e difensore si porrebbero i medesimi problemi sussistenti tra imputato e suo assistente legale.

Parte della dottrina ha ritenuto pienamente condivisibile la decisione della Consulta “che in qualche misura ha forse scelto ‘la strada, in nome di un pragmatismo ragionevole, di far convogliare alcune regole fondamentali del processo nell'alveo di un accettabile

compromesso funzionale’”231.

Sulla questione della partecipazione a distanza, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si espresse ritenendo che il sistema introdotto nell’ordinamento italiano non si poneva, in alcun modo, in contrasto con il principio del giusto processo delineato all’interno della C.e.d.u. e che spettasse alla Corte Costituzionale “assicurarsi che la sua applicazione in ogni fattispecie persegua uno scopo legittimo e che le sue modalità di

230 C. Conti, op. cit. 231 A. Giarda, op. cit.

169 svolgimento siano compatibili con le esigenze di rispetto dei diritti di

difesa, come stabiliti dall’art. 6 della Convenzione”232.

La Riforma Orlando è intervenuta in maniera incisiva in ordine alla disciplina delineata per la partecipazione a distanza, ampliando il suo ambito di applicazione e, quindi, le ipotesi in cui il giudice debba o possa disporla. La radicale modifica apportata dalla riforma alla disciplina in questione “ne ha destrutturato completamente la fisionomia, trasformandolo, da misura estrema di tutela della collettività e di protezione delle fonti vulnerabili, in modalità tipica attraverso la quale l'imputato detenuto per alcuni reati partecipa al proprio processo”233.

Il nuovo comma 1 dell’art. 146 bis disp. att. non presenta più le condizioni di gravi ragioni di ordine pubblico o sicurezza e di difficoltà del dibattimento, comportando, di conseguenza, l’applicazione dell’istituto nei confronti degli imputati, in stato di detenzione, per i delitti di cui all’art 51, comma 3 bis e art. 407, comma 2, lett a), n.4 c.p.p., in ogni circostanza. La disciplina in questione si applica, non solo ai processi per il quale il detenuto risulti imputato, bensì anche relativamente a procedimenti, penali e civili, in cui lo stesso debba essere esaminato come testimone. L’introduzione di quest’ultimo inciso, in primo luogo, “non appare coerente con il contenuto dell’art. 146 bis

232 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Caso M. V. c. Italia 5 ottobre 2006. 233 A. de Caro, La partecipazione al dibattimento a distanza, in Dir. Pen. e

170 disp. att. c.p.p., disciplinando lo stesso la partecipazione, in qualità di imputato, al dibattimento; viceversa, la previsione de qua si sarebbe meglio attagliata alla fattispecie di cui all’art. 147 bis disp. att., dedicata

all’esame (a distanza)”234. In secondo luogo, “la partecipazione a

distanza, da eccezione legata alla sussistenza di determinati parametri, diviene la regola per tutti i processi cui è sottoposta la persona che sia

detenuta per uno dei gravi reati ivi richiamati”235 e non è più necessario

un provvedimento del giudice né una richiesta delle parti in tal senso per la sua disposizione, dal momento che la nuova norma dispone un automatismo, attivabile in presenza dello status detentionis dell’interessato.

L’istituto della partecipazione a distanza, in queste ipotesi, “da eccezione legata alla sussistenza di determinati parametri diviene la regola per tutti i processi cui è sottoposta la persona che sia detenuta per

uno dei gravi reati ivi richiamati”236.

Il comma 1 bis è stato completamente riformato: mentre il precedente riguardava le ipotesi relative ad imputati sottoposti al regime di sorveglianza speciale ex art. 41 bis, comma 2 ord. pen., prevedendo in qualsiasi circostanza lo svolgimento la partecipazione a distanza, ora si riferisce ai soggetti sottoposti a programmi o misure di protezione e

234 M. Tarzia, Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie

al codice di procedura penale, in A. Conz, L. Levita, La riforma della giustizia penale, 2017, pag. 195.

235 S. Lorusso, op. cit.

236 G. Spangher, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in

171 prescrive che essi partecipino a distanza ai procedimenti per cui sono imputati. Con questa disposizione, il legislatore ha inteso “superare le statuizioni dei giudici costituzionali che si erano espressi nel senso della infondatezza della questione relativa alla censura mossa agli artt. 146 bis e 147 bis disp. att., nella parte in cui l’istituto della partecipazione a distanza (…) non è applicabile anche all’imputato collaboratore di giustizia sottoposto a speciale programma di protezione (…) che non si

trovi in stato di detenzione”237.

Le ipotesi ricomprese all’interno dei commi 1 e 1 bis portano ad una applicazione obbligatoria della partecipazione a distanza; “il carattere doveroso del collegamento in videoconferenza, in queste situazioni, parrebbe ricavabile pure dall’art. 146 bis comma 2 disp. att., il quale prescrive che la decisione di disporre la partecipazione a distanza non vada adottata con un decreto motivato, ma debba semplicemente essere ‘comunicata’ alle autorità competenti, alle parti e ai difensori”238.

Alla disciplina delineata dai commi 1 e 1 bis i legislatore ha posto un’eccezione al comma 1 ter, il quale prevede che, al di fuori della ipotesi in cui l’imputato sia sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis ord. pen., il giudice possa disporre, se lo ritiene necessario, la presenza fisica in udienza.

237 M. Tarzia, op. cit., pag. 195.

238 M. Daniele, La partecipazione a distanza allargata, penalecontemporaneo.it,

172 L’esclusione della discrezionalità, in riferimento alle ipotesi in cui il soggetto sia sottoposto al regime di sorveglianza speciale di cui all’art. 41 bis ord. pen., porta ad una contraddizione: difatti, in questo caso, si danno per presupposti i “gravi motivi di sicurezza e di ordine pubblico”, i quali, però, non necessariamente si traducono in una specifica situazione di pericolo tale da giustificare l’impiego della videoconferenza.

Inoltre, particolarmente ardua si rivela la scelta del significato da attribuire alla “necessità” della presenza dell’imputato: “intendendolo in un senso più restrittivo, esso potrebbe essere ritenuto integrato esclusivamente quando non fossero disponibili apparecchiature capaci di garantire la ‘contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene

detto’, così come richiesto dall’art. 146 bis comma 3 disp. att.”239.

Un’interpretazione più estesa, al contrario, consentirebbe di ritenere necessaria la presenza in assenza dei pericoli per la sicurezza o per l’efficienza postulati dal comma 1 quater e, allo stesso tempo, non porterebbe ad un’irragionevole disparità di trattamento, la quale potrebbe discendere dall’interpretazione restrittiva, se si considera che la compressione del diritto di difesa verrebbe a dipendere dalle risorse tecniche ed economiche di ciascun ufficio.

173 Per un certo verso, in questo caso, quella che precedentemente era la regola, è divenuta l’eccezione. Anche questo comma si inserisce nell’ottica di un ampliamento dell’applicazione della partecipazione a distanza: “in primo luogo, la clausola relativa alla ritenuta necessità della presenza dell’imputato è del tutto elastica ed ingenera, pertanto, il rischio di soluzioni diversificate e annesse (ingiuste) sperequazioni; in secondo luogo, la suddetta clausola costituisce, comunque, un limite per il giudicante intenzionato a procedere al dibattimento con le modalità ordinarie in quanto richiede, allo stesso tempo, un onere motivazionale

circa la necessità della presenza personale dell’imputato all’udienza”240.

Infine, la riforma ha introdotto il comma 1 quater, che lascia al giudice uno spazio discrezionale, prevedendo che questo, al di fuori del casi dei commi precedenti, possa disporre la partecipazione a distanza quando sussistono ragioni di sicurezza e ordine pubblico o per dibattimenti particolarmente complessi, al fine di accelerare il procedimento, ovvero nei casi in cui si debba assumere la testimonianza di un soggetto detenuto a qualsiasi titolo. Quindi, “ne esce corroborata la tendenza dell’istituto a divenire un ordinario regime di partecipazione

alle udienze dei soggetti che si trovano in stato di detenzione”241.

La riforma ha interessato altresì il comma 2, il quale, in precedenza, prevedeva che la videoconferenza fosse disposta, anche d’ufficio, dal Presidente del tribunale o della Corte d’Assise con decreto

240 M. Tarzia, op. cit., pag. 196. 241 M. Tarzia, op. cit., pag. 196.

174 motivato, emesso durante la fase degli atti preliminari, ovvero dal giudice con ordinanza in dibattimento; il provvedimento doveva, poi, essere comunicato alle parti e ai loro difensori almeno dieci giorni prima dell’udienza. La riforma ha omesso qualsiasi riferimento alla forma che debba assumere il provvedimento relativamente alle ipotesi del comma 1 e 1 bis, prevedendo esclusivamente che il giudice debba dare comunicazione della disposizione della videoconferenza alle parti e ai difensori. Sarebbero possibili due soluzioni: il giudice potrebbe emettere un provvedimento a forma libera ex art. 125 c.p.p., ovvero un decreto motivato, come per le ipotesi di cui al comma 1 quater.

Tuttavia, “la mancanza di un provvedimento decisorio è, però,

oggettivamente criticabile”242, dal momento che, comunque, i

presupposti legali all’applicazione della misura devono essere in un qualche modo passibili di accertamento ed eventualmente censurati o dialetticamente discussi dalle parti. “Il fatto che la legge prevede l'obbligatorietà del video collegamento non oblitera il dovere del giudice di controllare la sussistenza, nel caso concreto, dei requisiti legali e di

renderlo noto attraverso una decisione”243. La modifica lascia perplessi