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Aspetti ecografici delle neoformazioni intraoculari ed orbitali nel cane e nel gatto

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

ASPETTI ECOGRAFICI DELLE NEOFORMAZIONI

INTRAOCULARI ED ORBITALI NEL CANE E NEL GATTO

Candidato: Anna Lombardo

Relatore: Prof.ssa Simonetta Citi

Correlatore: Dott. Tommaso Mannucci

Controrelatore: Prof. Giovanni Barsotti

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INDICE

Riassunto/Abstract pag. 1

PARTE GENERALE

Introduzione pag. 2

CAPITOLO 1: ANATOMIA DELL’OCCHIO E DELL’ORBITA pag. 4

CAPITOLO 2: L’ECOGRAFIA OFTALMICA

2.1 Tecniche di diagnostica per immagini: l’ecografia oftalmica pag. 12

2.2 Preparazione del paziente e tecnica ecografica pag. 14

2.3 Anatomia ultrasonografica oculare pag. 19

2.4 L’uso del doppler pag. 25

CAPITOLO 3: NEOFORMAZIONI INTRAOCULARI

3.1 Lesioni non neoplastiche intraoculari pag. 26

3.2 Lesioni neoplastiche intraoculari pag. 29

Neoplasie dei tessuti oculari esterni e degli annessi pag. 30

Neoplasie del globo oculare pag. 32

3.3 L’ecografia delle neoformazioni intraoculari pag. 44

Aspetto ecografico delle lesioni non neoplastiche intraoculari pag. 44 Aspetto ecografico delle lesioni neoplastiche intraoculari pag. 47 Complicanze delle neoformazioni intraoculari: aspetto ecografico pag. 53

CAPITOLO 4: NEOFORMAZIONI ORBITALI

4.1 Masse occupanti spazio orbitali pag. 58

4.2 L’ecografia delle neoformazioni orbitali pag. 63

Aspetto ecografico delle lesioni non neoplastiche orbitali pag. 65

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ESPERIENZA PERSONALE

Introduzione pag. 73

CAPITOLO 5: MATERIALI E METODI pag. 74

CAPITOLO 6: RISULTATI pag. 76

CAPITOLO 7: DISCUSSIONI pag. 114

CAPITOLO 8: CONCLUSIONI pag. 126

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RIASSUNTO

Parole chiave: ecografia oftalmica, intraoculare, orbitale, neoformazioni, cane, gatto.

L’ecografia oftalmica è un valido ausilio alla visita oculistica poiché consente di valutare le strutture orbitali clinicamente non investigabili e di esplorare le strutture intraoculari soprattutto in caso di opacità dei mezzi diottrici come edema corneale, ifema, cataratta, degenerazione o emorragia vitreale. Lo scopo di tale studio è stato quello di valutare l’utilità dell’ecografia nella diagnosi delle neoformazioni intraoculari ed orbitali. La popolazione oggetto di studio è costituita da 29 soggetti di specie canina e felina suddivisi in due gruppi. Nella maggior parte dei casi il protocollo ha previsto una visita oculistica e un esame ecografico del bulbo oculare con sonda lineare da 12 MHz o con sonda microconvex da 7,5 MHz. Quando possibile è stato effettuato l’esame istologico o citologico post enucleazione. Sono stati esaminati un totale 20 globi oculari e 12 orbite. L’aspetto delle neoformazioni intraoculari, la loro localizzazione intraoculare e la presenza o meno di vascolarizzazione possono aiutarci a formulare la diagnosi più probabile e le possibili diagnosi differenziali. Riguardo le neoformazioni orbitali si nota che non c’è una costante corrispondenza tra localizzazione e sospetta diagnosi e che le neoformazioni possono localizzarsi in diverse sedi all’interno dell’orbita, tuttavia la localizzazione mediale potrebbe aiutarci a emettere una più coerente diagnosi differenziale.

ABSTRACT

Key words: ophthalmic ultrasound, intraocular, orbital, neoformations, dog, cat.

Ophthalmic ultrasound is a valid aid to the eye examination as it allows the evaluation of clinically undetectable orbital structures and the exploration of intraocular structures, especially in the case of dioptric media opacity such as corneal edema, hyphema, cataracts, degeneration or vitreous hemorrhage. The purpose of this study was to evaluate the usefulness of ultrasound in the diagnosis of intraocular and orbital neoformations. The study population consist of 29 subjects of canine and feline species divided into two groups. In most cases the protocol included an eye examination and an ultrasound examination of ocular with a 12 MHz linear transducer or a 7.5 MHz microconvex transducer. When possible, histological or cytological examination was performed after enucleation. A total of 20 ocular globes and 12 orbits were examined. The appearance of intraocular neoformations, their intraocular localization and the presence or absence of vasculature can help us to formulate the most probable diagnosis and possible differential diagnoses. Regarding the orbital neoformations, we note that there is no constant correspondence between localization and suspected diagnosis and that the neoformations can be located in different sites within the orbit, however medial localization can help us to issue a more consistent differential diagnosis.

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PARTE GENERALE

INTRODUZIONE

L’ecografia viene utilizzata sin dal 1956 per la diagnosi di malattie oculari nell'uomo, in veterinaria invece l’ecografia oftalmica è stata descritta per la prima volta nel 1968 (Matton e Nyland, 2015). I primi studi descrivevano l’uso della tecnica ultrasonografica A-mode in cui è necessaria la valutazione della durata e dell’ampiezza dei picchi. L'uso dell’ecografia bidimensionale B-mode, nella diagnosi di malattie oculari in veterinaria, è stato riportato in letteratura nel 1980 e da allora ha acquisito sempre maggiore valore diagnostico (Matton e Nyland, 2015). L’uso di tale tecnica ci rende capaci di visualizzare le strutture intraoculari studiandone forma, dimensioni, ecogenicità ed ecostruttura. L'ultrasonografia è un valido strumento diagnostico perché consente di valutare l’interno dell’occhio sopratutto quando opacità dei mezzi diottrici non permette l’esecuzione completa dell’esame oftalmologico (cataratta, edema corneale, ipopion, ifema, degenerazione vitreale, emorragia vitreale, ecc). Questa metodica è solitamente indicata in caso di: esoftalmo, dolore ad aprire la bocca, traumi, glaucoma, cecità acuta, sospetto distacco di retina o del corpo vitreo, resistenza alla retropulsione del globo.

L’ecografia permette quindi lo studio delle alterazioni sopracitate, la valutazione delle misure biometriche oculari, permette la visualizzazione di eventuali neoformazioni intraoculari e retrobulbari come ascessi, granulomi, cisti e/o formazioni neoplastiche, inoltre si rende utile anche nell’esplorazione dei tessuti molli retrobulbari, consentendo sia la valutazione ecografia di eventuali lesioni che l’esecuzione di ago aspirato sul tessuto patologico.

Sebbene l'ecografia sia un'eccellente modalità di “ocular imaging”, l'importanza di un esame oftalmologico accurato non può essere sottovalutata.

Tecniche avanzate di diagnostica per immagini quali Eco-color-doppler, l’ecografia con mezzo di contrasto, l’ultrasonografia oculare ad alta frequenza (20 MHz) e la biomicroscopia ultrasonografica (50-100 MHz), prima limitate all'ecografia oculare umana, di recente sono stati riportati in letteratura veterinaria (Matton e Nyland, 2015; Lisciando, 2014).

La radiografia, la tomografia computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica (MRN) sono altre modalità di diagnostica per immagini in grado di fornire informazioni

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dettagliate sull'occhio, l'orbita e i tessuti periorbitali (Matton e Nyland, 2015; Lisciando, 2014).

Il presente studio nasce dalla consapevolezza sempre maggiore dell’importanza dell’ecografia come esame complementare alla visita oculistica soprattutto nei casi clinici di sospetta massa occupante spazio intraoculare o orbitale.

Il lavoro è diviso in due sezioni: la parte generale riporta l’anatomia, le tecniche ecografiche e lo studio ultrasonografico delle principali neoformazioni bulbari ed orbitali; la parte sperimentale riporta la casistica clinica, presente presso l’Ospedale Didattico Veterinario Mario Modenato, di pazienti che sono stati sottoposti a visita oftalmologica ed esame ecografico e a cui sono stati diagnosticate masse occupanti spazio intraoculari o orbitali.

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CAPITOLO 1

ANATOMIA DELL’OCCHIO E DELL’ORBITA

L'occhio (organum visus) si sviluppa come escrescenza neuroectodermica del prosencefalo embrionale che entra in contatto con l'ectoderma superficiale ed è avvolto dal mesenchima mesodermico indotto dalla cresta neurale. L'occhio definitivo e i suoi annessi sono contenuti in un'orbita che è solo parzialmente ossea. Associati al bulbo oculare vi sono i muscoli extraoculari che lo muovono; la fascia periorbitale e il grasso che lo circondano e lo attutiscono; palpebre e congiuntive che lo proteggono e un apparato lacrimale che mantiene la sua superficie umida, fornisce la prima barriera all'infezione e aiuta a nutrire la cornea. Come conseguenza della sua duplice origine, l'occhio ha elementi neurali sia centrali che periferici.

Nel cane, il bulbo oculare è quasi sferico, c’è poca differenza tra i suoi diametri sagittali, trasversali e verticali. La dimensione del bulbo oculare varia tra le razze, ma il diametro è solitamente di circa 20-22 mm (Evans e De Lahunta, 2013). Inoltre tra le razze esistono notevoli differenze in relazione alla posizione degli occhi, la dimensione dell'orbita e la dimensione e la forma dell'apertura palpebrale.

Il bulbo oculare è costituito da tre strati: la tunica esterna fibrosa, la tunica centrale vascolare (uvea) e la tunica interna nervosa (retina) (Evans e De Lahunta, 2013) (Fig. 1.1).

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La tunica fibrosa è responsabile della forma dell'occhio, della protezione dall'ambiente esterno e della conduzione, con rifrazione dei raggi luminosi, attraverso la cornea. Inoltre, la sclera è il sito per l'inserimento dei muscoli extraoculari. La tunica fibrosa è composta da due parti: la sclera opaca, che racchiude approssimativamente i tre quarti posteriori del globo, e la cornea trasparente posta anteriormente. La giunzione della cornea e della sclera è designata come limbo corneale.

La sclera è costituita da una fitta rete di fibre di collagene ed elastiche e dai relativi

fibrociti. Essa varia in spessore ed è più spessa nella regione appena posteriore alla giunzione corneosclerale, dove riceve le inserzioni del muscolo retto e obliquo e contiene il plesso venoso sclerale.

La cornea normalmente trasparente contiene l'80% (± 2%) di acqua e lo spessore medio

è di circa 600 µm. Classicamente è descritta come costituita da strati: l'epitelio anteriore, la lamina basale anteriore (strato di Bowman), il substrato proprio, la lamina basale posteriore (membrana di Descemet) e l'epitelio posteriore (endotelio). La cornea è innervata da rami dei nervi ciliari che sorgono dal nervo oftalmico, un ramo del nervo trigemino. L'innervazione del nervo trigemino della cornea è essenziale per il mantenimento dell'omeostasi. La denervazione corneale provoca ulcere corneali, edema e perdita di tessuto stromale (cheratite neurotrofica), anche se la funzione palpebrale non viene compromessa (Evans e De Lahunta, 2013).

La tunica vascolare (tunica vasculosa bulbi) è la spessa tunica media dell’occhio ed è interposta tra la retina e la sclera. Viene comunemente definita come uvea o tratto uveale. La tunica vascolare comprende tre parti contigue che, in senso postero-anteriore, sono la coroide, il corpo ciliare e l'iride. Le sue funzioni sono numerose e includono la regolazione della quantità di luce che penetra nell'occhio attraverso la pupilla; la produzione dell'umor acqueo, che mantiene la pressione intraoculare e bagna le strutture del segmento anteriore; la sospensione del cristallino tramite la zonula ciliare; la regolazione del fuoco visivo attraverso il muscolo ciliare; la limitazione della quantità di luce diffusa all'interno dell'occhio (porzione pigmentata interna dell’uvea); l’aumento della fotostimolazione della retina sotto bassi livelli di luce (tapetum lucidum della coroide); il nutrimento alle strutture interne dell'occhio (corpo ciliare e coroide).

La coroide è uno strato vascolare pigmentato che continua anteriormente con il corpo

ciliare ed avvolge completamente l'emisfero posteriore del bulbo oculare, tranne che nella regione dell'area cribrosa (regione di passaggio del nervo ottico), dove è assente. La coroide è ulteriormente suddivisa in strati che, dall'esterno all’interno, sono la lamina

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sopracoroidea, la lamina vasculosa, il tapetum lucidum, la lamina coriocapillare e la lamina basale.

Il corpo ciliare (corpus ciliare) è posto tra l'iride e la coroide. Il corpo ciliare è costituito

da un anello ciliare e una corona ciliare. L'anello ciliare (orbicularis ciliaris) è la parte posteriore del corpo ciliare adiacente al margine anteriore della pars optica della retina e si continua con la coroide. La corona ciliare (corona ciliaris) è la porzione in rilievo del corpo ciliare, anteriore all'anello ciliare e adiacente all'iride. I processi ciliari sono sviluppati sulla corona ciliare. Come la coroide, il corpo ciliare è altamente vascolarizzato. Le arterie ciliari radiali si diramano direttamente dal margine posteriore del circolo arterioso principale dell’iride. Il corpo ciliare viene drenato dalle vene coroidali e vorticose. Gli epiteli pigmentati e non pigmentati delle pars ciliaris retinae producono l'umore acqueo. Il muscolo del corpo ciliare (C. ciliaris) è costituito da fibre muscolari liscie ed è situato nelle porzioni più esterne del corpo ciliare. Quando il muscolo ciliare si contrae inseguito a stimolazione parasimpatica, diminuisce la tensione sull’apparato zonulare che supporta la lente. In questo modo, la lente diventa più sferica a causa dell'elasticità intrinseca della sua capsula. L’aumento della sfericità della lente comporta una minore distanza focale, in questo modo gli oggetti vicini vengono messi a fuoco sulla retina, un processo definito accomodamento. La capacità accomodativa del cane è inferiore a quella dei primati, in cui il muscolo ciliare è molto più sviluppato. Il cristallino è tenuto in posizione da un delicato apparato sospensivo, la zonula ciliaris. Questa è composta da un apparato ben organizzato di fibre zonulari, strutture simili alle componenti del tessuto elastico. La zonula ciliare giace posteriormente all'iride e al corpo ciliare e separa la camera posteriore dal corpo vitreo. Le fibre zonulari sono in tensione quando il muscolo ciliare è rilassato.

L'iride fa parte della porzione anteriore della tunica vascolare ed è un diaframma circolare

sottile che poggia contro la superficie anteriore della lente. L'apertura centrale dell'iride, la pupilla, è circolare nel cane ed ellittica nel gatto. La sua dimensione è variabile e serve a regolare la quantità di luce che raggiunge la retina. La periferia dell'iride (margo ciliaris) si continua con il corpo ciliare e le trabecole dell'angolo iridocorneale. La superficie anteriore dell'iride è rivestita da uno strato discontinuo di fibrociti. Sono visibili ampi spazi intercellulari che sostengono la comunicazione tra la camera anteriore e lo stroma sottostante. Lo stroma irideo contiene fibroblasti, collagene, assoni mielinizzati e non mielinizzati, muscolatura liscia, melanociti e vasi sanguigni. La melanina è l'unico

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pigmento identificato nell'iride del cane. Nell’iride scura c'è un accumulo di melanociti all'interno dello stroma irideo (Evans e De Lahunta, 2013).

La tunica nervosa (tunica interna bulbi) consiste nella retina con il suo epitelio pigmentato. Esistono tre aree distinte della retina, che, da anteriore a posteriore, sono la pars iridica retinae, la pars ciliaris retinae e la pars optica retinae. Solo l'ultimo è fotosensibile (retina visiva). La pars iridica e pars ciliaris costituiscono insieme la retina non visiva, o cieca, (pars ceca retinae), che consiste in due strati di cellule epiteliali. La pars optica retinae è responsabile della trasduzione dell'energia fotonica in energia chimica e infine in energia elettrica trasmessa come un potenziale d'azione lungo il nervo ottico verso i centri visivi del cervello. La retina ottica è classicamente descritta come avente 10 strati. In termini generali, questi 10 strati rappresentano vari componenti di 4 strati cellulari: l’epitelio situato esternamente e 3 strati di cellule neuronali situati all’interno. La porzione di retina e tutte le strutture associate visibili con l'oftalmoscopio sono definite clinicamente come il fondo oculare (Evans e De Lahunta, 2013).

La parte mielinica intraoculare del nervo ottico forma il disco ottico (o papilla ottica). Esso è spesso depresso a livello centrale (coppa fisiologica), sebbene in alcuni cani sia continuo con la superficie della retina o leggermente elevato in altri. Nel cane misura tra 1 e 2 mm di diametro e si trova leggermente ventrolaterale al polo posteriore dell'occhio (Matton e Nyland, 2015).

Il cristallino dell'occhio è una struttura biconvessa elastica, trasparente, ricca di proteine, sospesa a contatto con la faccia posteriore dell'iride e la faccia anteriore del corpo vitreo (Fig.1.1). La lente è costituita da una capsula e una porzione interna costituita da fibre di collagene organizzate in strati; queste formano uno strato esterno (la corteccia) e il nucleo situato al centro. La sua funzione è di portare le immagini a fuoco sullo strato di fotorecettori della retina (Penninck e D’Anjou, 2015; Evans e De Lahunta, 2013). Misura circa 10 mm di diametro e 7 mm lungo l'asse ottico. È una struttura avascolare che riceve nutrimento dall’umore vitreo e uno acqueo (Matton e Nyland, 2015).

Le immagini sono focalizzate sulla retina mediante la rifrazione combinata della cornea, l’umor acqueo, della lente e del corpo vitreo. La lente in realtà altera solo leggermente il percorso dei raggi luminosi ma è l'unica struttura nell'occhio in grado di alterarne il potere rifrattivo, quindi è l'unico responsabile del cambiamento della messa a fuoco. La lunghezza focale della lente è alterata da cambiamenti nella sua forma determinati dall'azione del muscolo ciliare, della zonula ciliare e della capsula del cristallino (Evans e De Lahunta, 2013).

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Il bulbo oculare è diviso in tre camere: camera anteriore, posteriore e vitrea.

La camera anteriore è delimitata dalla cornea e dalla superficie anteriore dell’iride. Comunica con la camera posteriore attraverso la pupilla. Alla periferia della camera anteriore c'è l'angolo irido corneale che si trova subito periferico al limbo, dove l'epitelio corneale posteriore si ripercuote sulla faccia anteriore dell’iride.

La piccola camera posteriore è delimitata anteriormente dalla porzione posteriore dell'iride e posteriormente dalla capsula della lente anteriore; perifericamente è delimitato dalle zonule della lente a contatto con l'umor vitreo. L'umore acqueo è presente in entrambe le camere anteriori e posteriori. È un fluido chiaro, incolore che ricorda in composizione il liquido cerebrospinale (Matton e Nyland, 2015). L'umor acqueo è prodotto da un processo secretorio attivo dall'epitelio (pars ciliaris retinae) riccamente vascolarizzato del corpo ciliare. Normalmente l'umore acqueo è mantenuto ad una pressione intraoculare di circa 17-21 mm Hg nel cane. L'umore acqueo defluisce dal suo sito di produzione nella camera posteriore, attraverso pupilla, verso la camera anteriore e perifericamente a livello degli spazi intertrabecolari dell'angolo iridocorneale. Qui è riassorbito nel flusso sanguigno dal plesso angolare acquoso. Recentemente è stato descritto un percorso di drenaggio non convenzionale tramite la circolazione coroidale e sclerale.

La rete trabecolare e i canali di uscita dell’umore acqueo sono innervati da assoni simpatici, suggerendo un effetto nervoso sulle dinamiche di flusso. Il sistema trabecolare, all'interno dell'angolo iridocorneale, contiene fibre muscolari liscie e la contrazione può alterare la fuoriuscita dell’umore acqueo. L'occlusione della via di uscita primaria, sia a livello della pupilla che dell'angolo iridocorneale, determina un aumento della pressione intraoculare (glaucoma) che porta a neuropatia ottica, atrofia retinica e cecità (Evans e De Lahunta, 2013).

La camera vitrea è delimitata anteriormente dall’apparato zonulare del cristallino e dalla capsula posteriore del cristallino, posteriormente è delimitata dalla retina. È la più grande delle tre camere ed è occupata interamente dall'umor vitreo (detto anche corpo vitreo). L’umor vitreo è un fluido gelatinoso, composto da acqua (98%), mucopolisaccaridi e acido ialuronico. Inoltre, il corpo vitreo è rinforzato da una fine rete di fibre simil collagene (vitreina) (Fig. 1.1) (Matton e Nyland, 2015). La funzione primaria dell'occhio è di formare un'immagine definita focalizzata sulla retina. I componenti ottici che la luce deve attraversare per raggiungere la retina sono cornea, umor acqueo, lente e corpo vitreo;

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per una corretta formazione dell'immagine questi componenti devono rimanere trasparenti e mantenere precise relazioni tra loro.

L'orbita è la cavità conica che contiene il bulbo oculare e annessi oculari (Fig. 1.2). Il margine orbitale delinea la base del cono, che è diretta rostrolateralmente. L'asse dell'orbita, è una linea che passa dal centro della base all'apice al canale ottico ed è diretto obliquamente caudo-ventralmente (Evans e De Lahunta, 2013).

Figura 1.2 Illustrazione sagittale dell’orbita canina che mostra i muscoli extraorbitali, la

ghiandola lacrimale, la ghiandola salivare zigomatica e il legamento orbitale (modificato da Matton e Nyland, 2015).

L'orbita è delimitata da sei ossa: il frontale, sfenoide, palatino, zigomatico, mascellare e

il lacrimale. L'orbita ossea è incompleta nel cane e nel gatto; il margine dorsolaterale è

completato dal legamento orbitale, che copre la distanza dal processo zigomatico dell'osso frontale al processo frontale dell'osso zigomatico.

L'osso frontale forma la porzione dorsomediale dell'orbita; l'osso zigomatico forma la parte ventrolaterale (Matton e Nyland, 2015).

Nella maggior parte dei cani, l'osso lacrimale forma una piccola porzione del margine orbitale ventromediale, in alcune razze invece questo margine è definito dall’osso mascellare. Lo sfenoide costituisce la parte caudale della parete mediale e contiene il canale ottico. L’osso lacrimale costituisce una piccola porzione della parete mediale e rostroventrale e contiene la fossa per il sacco lacrimale.

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Negli esseri umani i margini orbitali sono interamente ossei, invece nel cane solo la parete mediale e parte del tetto dell'orbita sono ossei. Ricordiamo che la ghiandola salivare

zigomatica forma i due terzi laterali del pavimento dell'orbita e quando è affetta da

patologie può produrre manifestazioni oculari; inoltre il muscolo temporale circonda la faccia dorsolaterale dell’orbita (Fig. 1.2).

Struttura dell'orbita è la periorbita, che è il foglio fibroso conico che circonda il bulbo oculare e suoi relativi muscoli, nervi e vasi. Negli esseri umani, in cui l'orbita è interamente ossea, la periorbita e periostio dell'orbita sono un’unica cosa. Nel cane la periorbita e periostio orbitale sono distinti e separati.

Il corpo adiposo orbitale (corpus adiposum orbitae) ammortizza il contenuto dell'orbita

e, essendo facilmente deformabile, permette la rotazione e retrazione del bulbo oculare. Il grasso orbitale si trova sia nella periorbita (corpus adiposum intraperiorbitale) che tra la periorbita e le strutture circostanti (corpus adiposum extraperiorbitale) (Evans e De Lahunta, 2013). Il cuscinetto adiposo intraorbitale si trova sul polo posteriore dell'occhio, questo circonda il nervo ottico e giace tra esso e i muscoli extraoculari (Matton e Nyland, 2015).

I muscoli importanti per il funzionamento dell'apparato visivo costituiscono tre gruppi: i

muscoli intraoculari, i muscoli extraoculari, ed i muscoli palpebrali (Evans e De Lahunta, 2013).

I muscoli lisci intraoculari sono quelli che si trovano completamente internamente alla sclera e agiscono regolando il diametro pupillare e la forma della lente.

I muscoli extraoculari si inseriscono sulla sclera ed agiscono sostenendo la rotazione e retrazione del bulbo oculare. Questi sono sono muscoli striati: muscoli retto dorsale, mediale, ventrale e laterale; muscoli obliquo dorsale e ventrale; il muscolo retrattore del bulbo (Evans e De Lahunta, 2013).

I muscoli palpebrali comprendono una serie di muscoli della palpebra e della testa che regolano la forma e la posizione della fessura palpebrale.

L'arteria mascellare interna, una continuazione dell'arteria carotide esterna, fornisce la maggior parte del globo. L'arteria mascellare interna si ramifica nell'arteria oftalmica esterna, che a sua volta dà origine alle arterie ciliari posteriori corte e lunghe e alle arterie ciliari anteriori. Il drenaggio venoso avviene attraverso la vena oftalmica (Matton e

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Nyland, 2015). Il principale drenaggio della tunica vascolare dell'occhio è attraverso le vene vorticose. Le vene vorticose sono generalmente in numero di quattro e penetrano la sclera vicino all'equatore tra gli inserimenti dei quattro muscoli retti. I rami intraoculari delle vene vorticose, venule coroidali, si irradiano verso l'esterno dal punto di penetrazione sclerale. I rami anastomotici uniscono le vene vorticose con rami terminali delle vene ciliari e plesso venoso sclerale.

L'occhio e suoi annessi sono innervati dai nervi cranici II, III, IV, V, VI, e VII.

La dimensione e la forma della papilla ottica varia ampiamente tra i cani. Il nervo ottico è circondato da guaine esterne ed interne (la vaginale interna ed esterna), che sono continuazioni della dura madre, aracnoide e pia madre del SNC. Lo spazio intervaginale è continuo con lo spazio subaracnoideo e contiene liquido cerebrospinale. Questo spazio funge da canale di diffusione dell'infezione tra il bulbo oculare e il SNC, infatti la neurite ottica è una forma di encefalite.

Il nervo ottico segue un percorso sinusoidale dalla sua origine ventro-laterale del polo posteriore del bulbo oculare verso il canale ottico dell'osso sfenoide. Questo attraversa il canale ottico e a livello del chiasma ottico le fibre si scambiano con le fibre del nervo ottico controlaterale per poi intraprendere quel percorso che terminerà alla corteccia visiva (Evans e De Lahunta, 2013).

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CAPITOLO 2

L’ECOGRAFIA OFTALMICA

2.1 Tecniche di diagnostica per immagini: l’ecografia oftalmica

Negli ultimi 2 decenni, lo sviluppo di metodiche diagnostiche trasversali come l’ecografia (US), la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM) hanno notevolmente contribuito alla diagnosi di alterazioni oculari e orbitali. La radiologia è poco sensibile per il rilevamento di alterazioni patologiche nell'orbita o dei tessuti retrobulbari a causa della sovrapposizione delle porzioni ossee sovrastanti e l'incapacità di distinguere tra le varie strutture intraoculari o retrobulbari. L’ecografia è spesso considerata come metodo di imaging di prima scelta in oftalmologia veterinaria per valutare malattie oculari e dello spazio retrobulbare. Essa fornisce eccellenti informazioni sulla morfologia delle strutture oculari anche se offre informazioni limitate sui tessuti perioculari. TC e RM forniscono preziose informazioni sulla morfologia e topografia di entrambe le strutture oculari e perioculari, dando così un quadro più completo del processo patologico. La risonanza magnetica fornisce un'eccellente risoluzione di contrasto dei tessuti molli (senza esposizione alle radiazioni) e ha capacità di imaging multiplanare; mentre la TC è superiore per l'imaging delle strutture ossee e la mineralizzazione nei tessuti molli (Barr e Gaschen, 2011). Però a differenza di TC e RM, l’ecografia può essere effettuata su pazienti svegli e le apparecchiature ecografiche sono facilmente reperibili e meno costose (Penninck et al.,2001). È un metodo più rapido e più semplice per la visualizzazione delle strutture oculari e fornisce immagini ad alta risoluzione, permettendo uno studio dinamico. Sebbene la TC e RM siano molto utili in molte patologie orbitali e oculari, non danno scansioni in tempo reale, hanno una scarsa risoluzione spaziale e hanno un ruolo limitato nella valutazione del vitreo, retina e della coroide (De La Hoz Polo et al., 2016). Inoltre, sotto guida ultrasonografica, è possibile eseguire aghi aspirati e biopsie. Per ottimizzare la scelta della tecnica di imaging più adatta per l'esame dell'orbita, è necessario ottenere prima un'adeguata informazione clinica. La combinazione di storia clinica e l'esame obiettivo, insieme con i risultati di imaging, porta ad un elenco pertinente di diagnosi differenziali (Penninck et al., 2001).

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L’ecografia si basa sulla produzione di ultrasuoni, onde sonore ad alta frequenza, che vengono trasmesse nel corpo in modo ciclico e ondulatorio. Gli ultrasuoni sono prodotti dalle sonde ecografiche, che sono in grado di trasformare corrente elettrica in ultrasuoni e viceversa. Gli echi di ritorno sono trasdotti in impulso elettrico ed elaborati da un computer per produrre immagini ad alta risoluzione e in sezione di organi, tessuti e flusso sanguigno. Le informazioni visualizzate sono il risultato dell’interazione degli ultrasuoni con i tessuti in dipendenza dalla loro impedenza acustica (Matton e Nyland, 2015). I punti di passaggio tra tessuti con impedenza acustica diversa sono chiamati interfacce. Ogni volta che gli ultrasuoni incontrano un’interfaccia il fascio viene in parte riflesso e in parte propagato. La velocità del suono (velocità di propagazione) è influenzata dalle proprietà fisiche del tessuto, principalmente dalla sua resistenza alla compressione, che dipende dalla densità del tessuto e dalla sua elasticità (rigidità): più un tessuto è denso maggiore sarà il tempo impiegato per attraversarlo. La frequenza degli ultrasuoni influisce sul potere di penetrazione del fascio e sulla risoluzione delle immagini: aumentando la frequenza aumenterà la risoluzione e diminuirà il potere di penetrazione e viceversa (Matton e Nyland, 2015).

Per esaminare l’occhio possono essere utilizzati sia l’ecografia in A-mode che in B-mode. L’A-mode mostra picchi di ritorno a partire da una linea isoelettrica, i picchi permettono di apprezzare la distanza tra il trasduttore e la superficie riflettente e, per la loro altezza, l'intensità dell’eco (testimone dell'energia riflessa dall’interfaccia). Viene utilizzato principalmente per misurazioni oculari e per valutare la composizione interna delle lesioni.

Il B-mode è più comunemente usato al fine di produrre un'immagine bidimensionale dell'occhio che riflette a pieno l’anatomia oculare, permettendo di apprezzarne eventualmente la mobilità dei suoi costituenti (Chetboul, 2003; Moore e Lamb, 2007). Real-time B-mode è la modalità più accessibile e comunemente usato in medicina veterinaria ed è quella a cui faremo sempre riferimento nel presente studio poiché è la metodica da noi utilizzata.

Ricordiamo che l’uso del doppler in ecografia ci permette di rilevare la presenza del flusso ematico, nonché direzione, velocità e le caratteristiche del flusso all'interno dei vasi. Riusciamo così a differenziare i vasi sanguigni da strutture tubolari non vascolari (Matton e Nyland, 2015).

La cornea, la camera anteriore, l’iride, la camera posteriore e la lente raramente richiedono l’esame ecografico, perché possono essere adeguatamente valutate mediante

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l’esame oftalmologico. Tuttavia, qualsiasi condizione che provoca opacizzazione dei mezzi diottrici può oscurare la visualizzazione del segmento posteriore del globo (cataratta, edema corneale, ipopion, ifema, degenerazione vitreale, emorragia vitreale, ecc), rendendo l’ecografia oculare in B-mode un adiuvante indispensabile per escludere condizioni patologiche che interessano il segmento posteriore dell'occhio. L’ecografia permette inoltre la visualizzazione di eventuali neoformazioni intraoculari e retrobulbari come ascessi, granulomi, cisti e neoplasie. L’ecografia oftalmica si rende utile anche nell’esplorazione dei tessuti molli retrobulbari, consentendo sia la valutazione ecografia di eventuali lesioni che l’esecuzione di ago aspirato sul tessuto patologico (De La Hoz Polo et al., 2016; Chetboul, 2003; Gonzales et al., 2001).

È un metodo ben tollerato dalla maggior parte dei cani e gatti e inoltre può aiutare a distinguere lesioni nel segmento anteriore che possono apparire oftalmologicamente simili (ad esempio neoplasia uveale, cisti iride ciliare, iris bombè) ma che richiedono trattamenti diversi.

Le indicazioni cliniche più comuni per ecografia sono: variazione della grandezza, della forma o della posizione del globo (esoftalmo, enoftalmo, buftalmo, strabismo), perdite di trasparenza (cornea, cristallino, vitreo), studio di elementi o di strutture anomali (corpi estranei, tumori ecc.), traumi oculari (valutazione estensione), resistenza alla retropulzione del globo, dolore in apertura della bocca, glaucoma, cecità acuta, studio di elementi o di strutture anomali (corpi estranei, tumori eccetera), in previsione di una chirurgia endoculare, valutazione di misure biometriche (Penninck et al.,2001; Chetboul, 2003; Moore e Lamb, 2007).

2.2 Preparazione del paziente e tecnica ecografica

Obiettivo dell’ecografia è quello di identificare le varie strutture oculari in modo da valutarne forma, dimensione, posizione, ecogenicità ed ecostruttura, verificando quindi eventuali alterazioni presenti a livello intra od extrabulbare che giustifichino un trattamento specifico che preservi la funzione visiva.

Per far ciò, l’esame ecografico viene eseguito con soggetto sveglio, previa anestesia topica corneale che si effettua instillando alcune gocce di proparacaina oftalmica, tetracaina, o altro opportuno anestetico topico 5 minuti prima dell’esame ecografico. In soggetti che presentano particolare dolore, l'applicazione può essere ripetuto. È

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preferibile evitare la sedazione del paziente, in modo che la rotazione e retrazione dell'occhio sia minimizzata (Lisciandro, 2014; Penninck e D’Anjou, 2015).

Il paziente può essere posizionato in decubito sternale, seduto o in piedi e verrà contenuto da un assistente (contenimento classico in oftalmologia: una mano posta dietro la nuca, l'altra mano chiude il muso) (Chetboul, 2003; Lisciandro, 2014). Dopo l’anestesia topica corneale, le palpebre sono retratte manualmente e il trasduttore è posto delicatamente sulla superficie corneale in combinazione con gel lubrificante idrosolubile. Idealmente, dovrebbe essere usato un gel sterile, viscoso, a base acquosa, non tossico per l'occhio e le superfici oculari; è necessario mantenere uno strato di gel di spessore 3-10 mm tra la sonda e la cornea; in modo tale da una migliore visualizzazione dei campi vicini (cornea, camera anteriore, iride) ed un maggior confort per il paziente. La sonda deve essere collocata sulla superficie integra dell’occhio. Il gel deve essere delicatamente e completamente lavato dalle superfici oculari con collirio sterile o soluzione fisiologica subito dopo l’esame. L'esaminatore deve confrontare l'immagine ottenuta con quella raccolta sull’occhio controlaterale (Barr e Gaschen, 2011; Chetboul, 2003; Penninck e D’Anjou, 2015). Bisogna evitare di premere la sonda direttamente sulla cornea. È importante essere consapevoli della direzione dello sguardo del paziente poiché mantenendo la sonda ben orientata sarà possibile visualizzare correttamente le strutture oculari e perioculari (Lisciandro, 2014).

Le sonde ecografie usate per l’esame oftalmico sono generalmente sonde lineari la cui frequenza varia in base alle strutture che vogliamo analizzare. Sono preferibili trasduttori con frequenze che vanno da 7.5 MHz a 15 MHz. Trasduttori con minore frequenza sono più adatti per le strutture retrobulbari più profonde, in particolare nei pazienti di maggiori dimensioni. Ovviamente minore sarà la frequenza maggiore sarà la profondità che riusciamo ad investigare, a scapito del dettaglio dell’immagine. L’ultrasonografia ad alta risoluzione (HRUS) usa trasduttori con frequenze di circa 20 MHz e la biomicroscopia (UBM) usa traduttori con frequenze comprese tra 50 e 100 MHz al fine di ottenere un’immagine dettagliata della camera anteriore, cornea, iride e corpo ciliare (Matton e Nyland, 2015; Barr e Gaschen, 2011; Lisciando, 2014; Penninck e D’Anjou, 2015). Nei cani di grossa taglia, in particolare in pazienti dolicocefali, lo studio ecografico è spesso più difficile, perchè sono naturalmente enoftalmici e possono retrarre il globo più in profondità nell'orbita e quindi limitarne l’accesso, sopratutto quando si utilizza una sonda lineare. Gli occhi di razze mesocefali e brachicefali sono generalmente più facilmente accessibili (Penninck e D’Anjou, 2015).

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Il posizionamento del trasduttore sull'occhio è cruciale per ottenere un esame di alta qualità. Esistono diverse tecniche di esecuzione dell’esame ecografico:

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Tecnica trans-corneale: è il metodo più utilizzato, il trasduttore è posto direttamente

sulla cornea e permette di ottenere immagini migliori delle strutture oculari, sopratutto delle strutture vitreoretinali e retro bulbari (Fig. 2.1- 2.2). Questo ci permette un'accurata valutazione delle misure biometriche oculari. Va sottolineato che è necessaria estrema cura e attenzione quando si utilizza la tecnica corneale diretta per evitare che la cornea venga danneggiata (Matton e Nyland, 2015; Penninck et al.,2001).

Figura 2.1 Tecnica ecografica trans-corneale, scansione sagittale verticale (dorso- ventrale)

(modificato da Chetboul, 2003).

Figura 2.2 Tecnica ecografica trans-corneale, scansione sagittale orizzontale

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Tecnica trans- sclerale: l'estremità del trasduttore è posizionata di fronte alla sclera e

al di sopra della giunzione sclero-corneale, in modo che gli ultrasuoni evitino il cristallino e forniscano delle immagini migliori del vitreo e dell’orbita (Fig. 2.3) (Chetboul, 2003; Gonzales et al.,2001).

Figura 2.3 Tecnica ecografica trans-sclerale (modificato da Chetboul, 2003).

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Tecnica trans-palpebrale: il trasduttore è posizionato direttamente sulle palpebre

chiuse previa l'applicazione di un gel. Questa tecnica permette un'adeguata valutazione della camera vitrea, la retina, e le strutture orbitali profonde. La camera anteriore generalmente non può essere soddisfacentemente valutata con questa tecnica anche quando si utilizza un distanziatore. Seppur è più facile da eseguire, la qualità delle immagini è sicuramente inferiore rispetto al metodo trans-corneale. Rimane comunque il metodo migliore in caso di ulcere corneali profonde o altre lesioni, gravi traumi e chirurgia oculare recente al fine di prevenire la contaminazione dello spazio intraoculare (Matton e Nyland, 2015; Penninck et al., 2001).

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Tecnica temporale: il trasduttore è posto a livello della fossa temporale poco

caudalmente al legamento orbitale e diretto in senso postero-anteriore; permette di valutare meglio le strutture retrobulbari soprattutto nei cani mesocefali e dolicocefali. L’immagine prodotta è di qualità inferiore ma è opportuno prendere in considerazione questa scansione se la cornea è lesionata, o le palpebre sono estremamente ispessite o gonfie (Lisciandro, 2014; Penninck e D’Anjou, 2015).

Per eseguire una valutazione ecografia completa del bulbo oculare dovremmo esaminarlo effettuando scansioni su più piani, basculando e spostando la sonda dal basso all’alto, da mediale a laterale e viceversa (Penninck et al., 2001; Gonzales et al. 2001).

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Per ottenere immagini sul piano sagittale dell’occhio la sonda è posizionata in modo ortogonale alla superficie corneale. In questo caso ci sono due direzioni di esame, l'asse sagittale orizzontale e l’asse sagittale verticale (Chetboul, 2003).

Per ottenere la scansione sagittale verticale (o assiale dorso-ventrale) il trasduttore verrà posizionato verticalmente sulla cornea (Fig. 2.1), dividendo cosi il globo in metà mediale e metà laterale; la porzione inferiore corrisponderà alla sinistra del monitor e la porzione superiore corrisponderà a quella a destra dello schermo. Spostando il punto di contatto da un lato all’altro della cornea o basculando avremo la visualizzazione integrale del globo oculare.

Per ottenere la scansione sagittale orizzontale (o assiale temporo-nasale) il trasduttore verrà collocato orizzontalmente (Fig. 2.2), parallelamente al pavimento del bulbo oculare, in modo che la pozione oculare nasale (mediale) corrisponda alla sinistra del monitor e quella temporale (laterale) corrisponda alla destra del monitor. Basculando o spostando la sonda dall’alto al basso sulla cornea è possibile osservare in toto il bulbo oculare (Lisciandro, 2014; Chetboul, 2003; Gonzales et al. 2001).

Una terza scansione è quella laterale (meno comunemente utilizzata), la sonda è posta parallela all'iride sulla faccia laterale del globo a livello del limbo e verrà diretta dalla parte anteriore a quella posteriore per ottenere un’immagine completa (Lisciandro, 2014). La ghiandola salivare zigomatica, situata ventralmente al globo, può essere esaminata con la sonda posta ventro-lateralmente all’arcata zigomatica. Lo studio doppler può fornire informazioni sulla vascolarizzazione e misurazioni supplementari (Penninck e D’Anjou, 2015).

Dallo studio ecografico, inoltre, sono regolarmente ottenute le seguenti misure biometriche: la profondità antero-posteriore dell’occhio (inclusa la rima scleroretinica), la profondità antero-posteriore della camera anteriore, la profondità antero-posteriore e il diametro medio-laterale/ dorso-ventrale della lente (Barr e Gaschen, 2011).

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2.3 Anatomia ultrasonografica oculare

L’ecografia ha il compito di valutare in toto il globo oculare e le strutture orbitali, cioè i tessuti all'interno del cono periorbitale dell'area retrobulbare, compreso il nervo ottico, muscoli extraoculari, vasi, grasso, la superficie ossea orbitale e le ghiandole (ghiandola lacrimale e ghiandola salivare zigomatica).

Ricordiamo che le camere all'interno del globo oculare sono rappresentate dalla camera anteriore, la camera posteriore e il corpo vitreo e che la parete globo è costituita da tre strati: la tunica esterna fibrosa (cornea, sclera), la tunica vascolare centrale (l’uvea, che consiste anteriormente nell'iride e corpo ciliare e posteriormente nella coroide) e retina (tunica nervosa interna). Tra queste strutture si hanno i mezzi diottrici trasparenti quali umor acqueo, lente e corpo vitreo, che devono risultare anecogeni e omogenei in quanto presentano contenuto fluido (Penninck e D’Anjou, 2015; Penninck et al., 2001).

La conoscenza dettagliata dell'anatomia ecografica normale dell’occhio e dell'orbita è essenziale per identificare e caratterizzare le patologie oculari e orbitali (Fig. 2.4).

Figura 2.4: Immagine B-mode (A) e con annotazione (B) di un occhio canino destro (OD)

sano; uso della tecnica trans-corneale. La cornea non è ben visualizzata a causa del contatto diretto del trasduttore. Si visualizza la camera anteriore anecogena. Il corpo ciliare è visto come un'area iperecogenica di tessuto sulla periferia della lente. Il cristallino è delimitato da una linea

iperecogena anteriore (*) e una posteriore (**) e ha centro anecogeno. In questa immagine, l’iride è vista come un debole eco lineare sia a destra che a sinistra alla capsula anteriore della lente. Il disco ottico (Op) è un'area focale iperecogena nella porzione posteriore dell'occhio. Il

nervo ottico ipoecogeno (ON) è delimitato dal grasso retrobulbare iperecogeno (F) e dal muscolo extraoculare ipoecogeno (EOM). Notare l'aspetto a W dei tessuti retrobulbari, creato

ipoecogenicità del nervo ottivo e dai muscoli extraorbitali e dall’iperecogenicità del grasso (modificato da Matton e Nyland, 2015).

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Le strutture oculari vengono abitualmente valutate per dimensione, forma, posizione ed ecogenicità.

Il bulbo oculare è protetto dalle palpebre, che generalmente vengono adeguatamente valutate tramite ispezione e palpazione diretta. Tuttavia possono essere anche visualizzate ecograficamente.

Le palpebre possono essere studiate utilizzando attrezzature di altissima qualità, quali HRUS (high-resolution ultrasound, 20MHz) e UBM (ultrasound biomicroscopy, 50- 60 MHz), ma solitamente vengono investigate con sonde a bassa frequenza grazie all’ausilio di un distanziatore (a contenuto fluido) posizionato sulla palpebra. Le palpebre appariranno come un tessuto ad ecogenicità omogenea. Il contatto diretto del trasduttore sulla palpebra non ne permette la corretta visualizzazione in quanto i margini diventano indistinguibili a causa del riverbero.

La terza palpebra è vista come una struttura ecogena a ridosso della palpebra ventrale a livello del canto mediale dell’occhio (Matton e Nyland, 2015).

Con le tecniche ecografiche di routine la cornea viene visualizzata come una sottile linea convessa anteriormente, iperecogena che delimita anteriormente la camera anteriore. Per visualizzare la cornea può essere richiesto l’uso di un distanziatore. Idealmente, la sonda è posta direttamente sulla cornea poichè la scansione attraverso la palpebra produce spesso echi di riverbero che ne oscurano l’anatomia (Matton e Nyland, 2015; Gonzales et al., 2001). Utilizzando sonde ad alta risoluzione (HRUS o UBM), la cornea appare come due linee parallele iperecogene, separati da uno stroma corneale anecogeno. La linea esterna rappresenta l'epitelio corneale e la membrana basale, la linea interna rappresenta la membrana di Descemet e l'endotelio corneale.

La parte anteriore della sclera è visibile come una continuazione della cornea ma priva dello stroma anecogeno, risultando come struttura altamente riflettente rispetto alla cornea con aspetto iperecogeno e omogeneo (Penninck e D’Anjou, 2015; Barr e Gaschen, 2011; Lisciandro, 2014; Aubin et al., 2003; Bentley et al., 2003).

La camera anteriore è delineata dal margine posteriore della cornea, dall'iride e dalla capsula anteriore del cristallino, si presenta come una camera a contenuto anecogeno (Matton e Nyland, 2015; Barr e Gaschen, 2011). Questa dovrebbe essere sempre anecogena poiché è riempita con umor acqueo (una soluzione acellulare). La profondità della camera anteriore è solitamente di circa 4 mm ma varia con razza ed età. La camera anteriore può essere difficile da studiare per la sua comprimibilità, dimensione e posizione prossima alla superficie della sonda. Una migliore valutazione di questa

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struttura è fornita dall’UBM che ci permetterebbe di investigare, ad esempio, i processi ciliari, l’angolo irido-corneale o di indagare in modo più dettagliato la presenza di cisti o masse irido ciliari (Penninck e D’Anjou, 2015; Lisciandro, 2014).

La camera posteriore si presenta come un piccolo spazio triangolare anecogeno limitato dalla superficie posteriore dell’iride, dal corpo ciliare e dalle porzioni laterali del cristallino. Talvolta non è facilmente evidenziabile ecograficamente (Barr e Gaschen, 2011; Lisciandro, 2014).

L'iride è una struttura lineare iperecogena, disposta in continuità con il corpo ciliare e situato anteriormente alla lente. Lo spessore è omogeneo anche se può leggermente aumentare quando la pupilla è dilatata e ridursi quando la pupilla è ristretta. L’apertura centrale dell'iride, la pupilla, appare come un vuoto anecogeno. Spesso l’iride non è distinguibile dalle strutture adiacenti; tuttavia i margini dell’iride sono più spessi e mal definiti, mentre la capsula anteriore del cristallino appare come un’interfaccia iperecogena lineare a margini ben definiti. Per facilitarne lo studio è possibile fare uso di un distanziatore (Matton e Nyland, 2015; Penninck e D’Anjou, 2015; Lisciandro, 2014). Il corpo ciliare è la continuazione posteriore dell'iride, può essere visto come una struttura circonferenziale iperecogena, ma spesso non è visibile o comunque non facilmente distinguibile dall'iride. È una struttura altamente vascolare e nel punto d’incontro con la coroide forma l’ora serrata. Questa transizione non può essere visualizzata ecograficamentte. La lente è sostenuta dai legamenti sospensori (apparato zonulare di Zinn) che possono occasionalmente essere viste come striature che dal corpo ciliare si attaccano al profilo della lente. L'iride, il corpo ciliare e la zonula ciliare sono meglio studiate in sezione trasversale o obliqua (Penninck e D’Anjou, 2015; Barr e Gaschen, 2011; Lisciandro, 2014).

Ecograficamente la capsula anteriore e posteriore del cristallino appariranno come due linee iperecogene, regolari, rispettivamente con convessità e concavità anteriore, mentre l’interno della lente risulterà anecogeno. La superficie anteriore della lente è spesso vista in continuità con l’iride. La dimensione della lente varia con la specie e l’età e la posizione deve essere sempre centrale, sull'asse ottico. A causa dell'effetto specchio, quando gli ultrasuoni sono perpendicolari alla superficie della lente, si può osservare un'interfaccia iperecogena curvilinea anteriormente o posteriormente al cristallino stesso; ciò è dovuto alla differente impedenza acustica del fluido della camera anteriore e quella della superficie della lente. Inoltre spesso è difficile osservare il punto di incontro della capsula anteriore e posteriore a causa dell’artefatto che crea la superficie curvilinea della lente

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(ombre acustiche laterali).

In un animale giovane, un nucleo sano ha lo stesso aspetto della corteccia della lente. Con l'età (nei cani di solito a partire da 5- 6 anni) l’aumento di densità nucleare (sclerosi nucleare o cataratta) fa sì che il nucleo diventi più ecogeno. Anche in questo caso può essere consigliato l’uso di un distanziatore per una migliore visualizzazione della struttura (Matton e Nyland, 2015; Barr e Gaschen, 2011; Lisciandro, 2014; Penninck e D’Anjou, 2015).

Posteriormente alla lente si evidenzia la camera posteriore contenente il corpo vitreo anecogeno che si estende dalla zona del disco ottico all’ora serrata (Barr e Gaschen, 2011). Il vitreo è una massa gelatinosa acellulare composto principalmente da acqua e fibre di collagene per cui non dovrebbe essere presente nessuna struttura ecoriflettente al suo interno. Tuttavia, varie anomalie vitreali (ialosi asteroide, emorragie vitreali) possono essere ultrasonograficamente evidenti (Lisciandro, 2014).

Posteriormente al vitreo si evidenzia la parete posteriore dell'occhio, visibile come una sottile linea curva, regolare ed iperecogena. La parete posteriore dell'occhio è costituito da tre strati sottili apposti l’uno all’altro (retina, coroide e sclera) che non possono essere singolarmente distinti ecograficamente (Lisciandro, 2014; Matton e Nyland, 2015; Barr e Gaschen, 2011).

Il disco ottico si trova leggermente ventro-lateralmente sulla parete posteriore del globo. Si evidenzia come un’area focale iperecogena che di solito appare come una leggera depressione sulla superficie retinica (Barr e Gaschen, 2011; Matton e Nyland, 2015; Penninck e D’Anjou, 2015).

Lo spazio retrobulbare (cono periorbitale) può essere ben studiato ecograficamente; questo comprende i muscoli estrinseci, nervo ottico, arterie, vene e grasso periorbitale. Il nervo ottico origina a livello del disco ottico e prosegue in modo rettilineo o sinusoidale nell’aria retrobulbare; appare come struttura cuneiforme ipoecogena che contrasta con l’iperecogenicità del grasso retrobulbare. Talvolta l’area ipoecogena appare delimitata da due linee iperecogene, sottili, rettilinee o curviline e che si estendono verso l'orbita posteriore caudo-ventralmente, tuttavia può anche apparire priva di margini eco riflettenti ed inoltre potrebbe essere possibile identificare vasi su entrambi i lati del nervo ottico utilizzando il doppler (Lisciandro, 2014, Barr e Gaschen, 2011). Non si evidenziano differenze significative riguardo il diametro del nervo ottico comparando occhio sinistro e destro o soggetti di diverso sesso, peso ed età ma le misurazioni possono essere differenti comparando razze diverse (Matton e Nyland, 2015).

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Il grasso orbitale è iperecogeno e visibile tra i muscoli estrinseci e il nervo ottico e circonda la periorbita. Ha forma triangolare con la base delimitata anteriormente dalla parete posteriore del globo.

I muscoli extraoculari sono strutture lineari ipoecogene e omogenee, che si attaccano alle zone equatoriali e post-equatoriali del globo. Presentano una tessitura grossolana e sono tutti orientati a formare idealmente un cono con apice diretto verso l'orbita posteriore. I piani fasciali all'interno dei muscoli appaiono come echi lineari quando il fascio ultrasonico è orientato perpendicolarmente. La forma dei muscoli può cambiare con il movimento degli occhi a causa della contrazione o dell’allungamento. Posteriormente ai tessuti molli retrobulbari si evidenzia la parete ossea dell'orbita, che appare come una linea iperecogena associata ad ombra acustica posteriore; si evidenzia l’interruzione del canale ottico e del margine orbitale (Matton e Nyland, 2015; Penninck e D’Anjou, 2015; Barr e Gaschen, 2011).

Possiamo dire che l'aspetto generale dell’area retrobulbare è quello di una W, che rappresenta il nervo ottico (centralmente) ed i muscoli estrinseci ipoecogeni, circondati perifericamente dal grasso iperecogeno. Se invece il piano di scansione sagittale è fuori dall’asse ottico, l’aspetto retrobulbare assume forma di V poiché il nervo ottico non rientra nel piano dell’immagine (Matton e Nyland, 2015).

Talvolta viene visualizzata la ghiandola salivare zigomatica che si trova sotto il margine ventro-laterale dell'orbita e appare come una struttura leggermente ipoecogena rispetto al muscolo pterigoideo interno (Barr e Gaschen, 2011).

L’aspetto ecografico della ghiandola lacrimale non è stato descritto in letteratura veterinaria. È stato riportato invece l'aspetto ecografico del sistema lacrimale umano (Matton e Nyland, 2015).

Ricordiamo che la valutazione dell'occhio controlaterale è raccomandata allo scopo di confrontare le due strutture oculari, anche se deve essere sempre tenuta in considerazione la possibilità di un disturbo oculare bilaterale (Matton e Nyland, 2015; Lisciandro, 2014).

La tabella 2.1 riassume l’aspetto ecografico delle diverse strutture oculari in un paziente sano.

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Strutture Immagine ecografia

Si vedrà: Camera anteriore Anecogena Capsula anteriore e

posteriore del cristallino (lungo l'asse ottico)

Sottili linee iperecogene, curve e speculari (spesso non si riesce a vedere dove si incontrano perifericamente)

Vitreo Anecogeno

Parete posteriore dell'occhio

Sottile linea curva, regolare ed iperecogena priva di strutture iperecogene adiacenti

Cornea Struttura lineare, uniforme, moderatamente ecogenica che forma la parete anteriore dell’occhio; di solito non è visibile a meno che non si utilizzi uno spesso strato di gel o un distanziatore

Cono muscolare retrobulbare

Aree ipoecogene che circondano il nervo ottico e convergono nella parte posteriore dell'orbita formando un cono

Osso frontale Linea iperecogena posteriormente e ventromedialmente al globo oculare

Iride Struttura lineare iperecogena molto sottile, periferica e anteriore, spesso indistinguibile dalla superficie anteriore della lente

Nervo ottico Struttura lineare ipoecogena, rettilinea o sinusoidale, a partenza ventro-laterale dalla parete posteriore del globo con bordi lineari paralleli, circondata da grasso e cono muscolo extraoculare retrobulbare

Grasso orbitale Materiale iperecogeno attorno al nervo ottico ipoecogeno

Non dovremmo vedere:

Qualsiasi struttura ecogena all’interno della camera anteriore o vitreo;

Qualsiasi struttura anecogena orbitale (posteriormente al globo)

Tabella 2.1 Schematizzazione dell’aspetto ecografico delle strutture oculari in un soggetto sano

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2.4 L’uso del doppler

Sistemi come Color Doppler, il Doppler Pulsato e il Power Doppler, sono i sistemi usati per valutare la vascolarizzazione oculare e orbitale e ci danno indicazioni prognostiche in alcune patologie come glaucoma, infiammazione oculare, neoplasie intraoculari e orbitali (Gonzales et al., 2001). L’uso del doppler risulta fondamentale per confermare il distacco retinico (Ido et al., 2007; Shinar et al., 2011). Il sistema maggiormente usato è il Color Doppler che ci permette di avere una rappresentazione complessiva e simultanea dei flussi sanguigni presenti nell’area esaminata. La direzione del flusso viene indicata con il colore assunto dal vaso esaminato (blu se esso si allontana dalla sonda e rosso se si avvicina) mentre la velocità del flusso è rappresentata dall'intensità del colore (Faverzani et al., 2010).

Nello studio condotto da Novellas (2007), sono state riportate le misurazioni dell'indice di pulsatilità (IP) e di resistività (IR) a livello oculare nel cane e nel gatto. Utilizzando un approccio trans-sclerale e i sistemi Color Doppler e Doppler Pulsato è stata esaminata l'arteria ciliare lunga posteriore. I valori fisiologici di IR e IP nel cane sono rispettivamente di 0,76 e 1,68, mentre nel gatto rispettivamente di 0,72 e di 1,62. Aumenti della pressione intraoculare vanno ad alterare IR e ciò può essere determinato anche dall'eccessiva pressione esercitata con la sonda ecografica, cosa che si potrebbe limitare usando un approccio letterale, in corrispondenza del legamento orbitale (Novellas et al., 2007). Altri parametri valutabili sono la velocità di picco sistemica (PSV) e velocità telediastolica sia per vene che per le arterie. Vasi studiabili potrebbero essere l'arteria oftalmica esterna, vene oftalmiche esterne, arteria oftalmica interna, arterie e vene ciliari anteriori, arterie ciliari posteriori, arterie retiniche primarie e vene vortice (Matton e Nyland, 2015).

Inoltre nuove tecniche ecografiche che prevedono l’uso di mezzo di contrasto (CEUS) ci permettono di differenziare il distacco retinico/coroidale da un distacco vitreo e di differenziare coaguli o altre masse non vascolarizzate (cisti, ascessi, flemmoni, ecc.) da masse neoplastiche (vascolarizzate) circoscritte o infiltranti (Bertolotto et al., 2014; Sconfienza et al. 2010).

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CAPITOLO 3

NEOFORMAZIONI INTRAOCULARI

Le lesioni di massa del globo oculare possono essere classificate in: • Cisti

• Lesioni infiammatorie/infettive • Coaguli ematici

• Neoplasie

Le neoplasie oculari possono essere primarie o metastatiche e la maggior parte delle masse intraoculari non neoplastiche sono di origine fungina o emorragica (Matton e Nyland, 2015).

Possono essere presenti alterazioni oculari concomitanti come: emorragie vitreali, distacco di retina, glaucoma, lussazione del cristallino, ifema, degenerazione vitreale. Poiché l'ecografia B-mode non può determinare in modo affidabile le caratteristiche istologiche delle lesioni di massa, la conoscenza di alcune caratteristiche dei tumori e delle condizioni infiammatorie è fondamentale a sviluppare una corretta diagnosi differenziale.

3.1 Lesioni non neoplastiche intraoculari

Cisti uveali sono descritte sia nell’uomo che negli animali; sono frequentemente rilevate nei cani e possono derivare dell'epitelio pigmentato dell'iride o dall’epitelio del corpo ciliare. Le cisti possono essere congenite o acquisite, singole o multiple, unilaterali o bilaterali, pigmentate o non pigmentate e di dimensioni variabili; se si distaccano possono fluttuare nell'umore acqueo, raramente nel vitreo o possono aderire ai tessuti circostanti (Gelatt, 2014; Penninck e D’Anjou, 2015; Matton e Nyland, 2015).

Le cisti si riscontrano principalmente nel Golden Retriever, nel Labrador Retriever e nel Boston Terrier, ma sono state descritte anche in altre razze, tra cui gli alani (Gelatt, 2014; Matton e Nyland, 2015). Le cisti uveali sono di solito considerate benigne, tuttavia possono predisporre gli animali colpiti allo sviluppo di glaucoma (Deehr e Dubielzig, 1998; Gelatt, 2014; Matton e Nyland, 2015). Nello studio condotto da Deehr e Dubielzig (1998) istologicamente la maggior parte delle cisti iridociliari, rilevate nei Golden

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Retriever e che causavano glaucoma, apparivano di grandi dimensioni a pareti sottili rivestite da epitelio cubico e riempivano la maggior parte della camera posteriore. Talvolta si associava emorragia (31%), distacco della retina (38%), sinechia anteriore periferica (38%) e sinechia posteriore (46%) (Deehr e Dubielzig, 1998).

Parassiti intraoculari vivi o morti possono causare irritazione locale, uveite immunogenica, endoftalmite secondaria o formazione di cisti; tra questi in particolare riscontriamo la migrazione larve di Dirofilaria immitis, Toxocara canis, larve di mosche e Echinococcus sp. (Gelatt, 2014).

Il trattamento in caso di cisti è spesso conservativo e la corretta diagnosi è fondamentale per gestione del paziente e l'evitamento di interventi chirurgici non necessari (Matton e Nyland, 2015). Poiché la maggior parte delle cisti uveali sono benigne e generalmente non interferiscono con la visione, di solito non richiedono un trattamento specifico. Tuttavia, cisti uveali possono occludere la pupilla e compromettere la visione o possono ostacolare il drenaggio dell’angolo irido-corneale; in questo caso si può effettuare la rimozione chirurgica o si può ridurre il loro volume con ago-aspirazione o tecniche laser. Il trattamento precoce può impedire lo sviluppo di complicanze (Gelatt, 2014).

Infezione ed emorragia intraoculare possono presentarsi come lesioni diffuse distribuite in modo più o meno uniforme ma anche come lesioni di massa intraoculare in caso di lesioni infiammatorie croniche con formazione di granuloma o inseguito ad organizzazione dell’ematoma con formazione di coagulo (Matton e Nyland, 2015). L'endoftalmite di origine batterica o micotica è probabilmente la più comune condizione infiammatoria che produce lesioni ecograficamente identificabili. La blastomicosi è la più comune oculomicosi nel cane, raramente diagnosticata nel gatto. Quest’affezione è generalmente bilaterale accompagnata da segni sistemici generalizzati quali difficoltà respiratoria, tosse, anoressia, perdita di peso e febbre persistente; solitamente produce pan-uveite granulomatosa e la cecità è secondaria al distacco di retina. Può verificarsi un coinvolgimento retrobulbare simultaneo (Matton e Nyland, 2015; Bromel e Sykes; 2005). La diagnosi viene solitamente effettuata rilevando Blastomyces dermatitidis nei tessuti affetti mediante citologia o istopatologia. Il trattamento di scelta è l’Itraconazolo. La prognosi è fausta nei cani senza interessamento del sistema nervoso centrale e riservata nei gatti (Bromel e Sykes; 2005). Possono inoltre verificarsi infezioni oculari da Coccidioidomicosi, criptococcosi,

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associati a uveite infettiva (Matton e Nyland, 2015).

Le oculomicosi sono tipicamente di origine coroidale a differenza della maggior parte dei tumori intraoculari. Al contrario, l'infezione oculare batterica ematogena viene riportata più comunemente nel corpo ciliare (Matton e Nyland, 2015).

Gli infiltrati infiammatori si organizzano più rapidamente dell'emorragia e possono produrre membrane vitreali. La contrazione di queste membrane può portare al distacco della retina (Linek, 2004; Pearce et al., 2007).

Tra le cause infiammatorie/emorraggiche ricordiamo la penetrazione di corpi estranei come pallini d'arma da fuoco, frammenti metallici, schegge di legno, vetro, ossa, frammenti di denti, materiale vegetale; questi oltre che lesionare le strutture, veicolano agenti infettivi e possono comportare l’attivazione di un processo infiammatorio circostante.

Le cause di emorragia intraoculare possono essere molteplici tra cui traumi, neoplasie, anomalie della coagulazione, discrasia ematica, ipertensione, malattia vitreoretinica, neovascolarizzazione, arteria ialoide persistente, diabete mellito e glaucoma cronico. Il ruolo dell'ecografia è valutare il globo per individuare la causa dell'emorragia e per stabilire importanti pronostici come il distacco della retina o la lussazione della lente (Matton e Nyland, 2015). Nell’arco di alcuni giorni l’emorragia intraoculare tende ad organizzarsi e formare coaguli che possono simulare lesioni di massa di altra origine, specialmente all'inizio del decorso della malattia. (Gallhoefer et al., 2013; Matton e Nyland, 2015). Filamenti fibrosi chiamati membrane vitreali a volte si sviluppano secondariamente alla formazione di coaguli; questi possono retrarsi e causare distacco di retina da trazione. Piccole quantità di emorragia spesso si risolvono senza trattamento dopo alcune settimane, anche se le opacità (particelle vitreali) possono persistere per lunghi periodi (Zeiss e Dubielzig 2004; Matton e Nyland, 2015). Queste membrane sono spesso vicino al disco ottico e devono essere differenziate dal distacco della retina (Matton e Nyland, 2015).

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3.2 Lesioni neoplastiche intraoculari

Sebbene i tumori dell'occhio e dei suoi tessuti di sostegno (palpebre e orbita) negli animali domestici sono relativamente rari, assumono notevole importanza poiché causano alterazioni della funzionalità e dell’anatomia oculare. Questi possono infatti comportare perdita o compromissione della vista, disagio, alterazione della forma e direzione del globo, esoftalmo, ecc.; tali motivi portano il proprietario dell’animale a rivolgersi al proprio veterinario (Labelle e Labelle, 2013; Dubielzig, 2017).

Le neoplasie oculari possono essere suddivise in tre categorie: neoplasie della superficie oculare esterna e annessi, neoplasie intraoculari e neoplasie orbitali. L'impatto sull’alterazione della struttura e della funzionalità del globo, sulle opzioni terapeutiche e sulla prognosi per la vita e/o per il globo varia con il tipo e la posizione anatomica della neoplasia. Come in altri organi, i tumori possono essere primari, derivanti dal tessuto che colpiscono, o secondari (metastatici), derivanti da altre sedi. Le neoplasie oculari primarie sono più comuni delle neoplasie secondarie e hanno in genere un basso potenziale metastatico. In caso di neoplasie secondarie, le strutture intraoculari hanno più probabilità di essere affette rispetto ad altri siti anatomici oculari (Labelle e Labelle, 2013).

Un lavoro diagnostico completo per mezzo di tecniche di diagnostica per immagini, citologia e biopsia dovrebbe essere eseguito in tutti i casi sospetti. La biologia molecolare e l’immunoistochimica sono preziosi strumenti diagnostici per mostrare marcatori cellulari specifici e antigeni virali quando istopatologia convenzionale dà risultati poco chiari.

Indipendentemente dalla sua posizione anatomica, l'escissione di tutto il tessuto neoplastico è spesso curativa. Varie tecniche di blefaroplastica, orbitotomia, enucleazione vengono spesso utilizzate in caso di neoplasie oculari (Ribeiro et al., 2010).

Lo scopo di questo capitolo è trattare le neoformazioni intraoculari ma viene fatto cenno anche alle principali neoplasie dei tessuti oculari esterni e degli annessi (palpebre, congiuntiva, cornea/sclera, ghiandole annesse) poiché alcune di queste possono espandersi ed invadere la struttura oculare.

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Neoplasie dei tessuti oculari esterni e degli annessi

Le neoplasie della cute perioculare descritte in letteratura sono: l’istiocitoma cutaneo canino, il melanocitoma, l’iperplasia sebacea, adenomi e epiteliomi, papillomi squamosi e virali e altri. Queste neoplasie sono in genere benigne, tuttavia talvolta si richiede l’asportazione chirurgica (Labelle e Labelle, 2013).

Il 44 - 70% delle neoplasie palpebrali sono rappresentati da neoplasia delle ghiandole di Meibomio che istologicamente possono essere classificate come adenomi, epiteliomi e carcinomi, aventi tutti aspetto clinico simile. Appaiono come masse di vario colore con superficie liscia, talvolta possono esteriorizzarsi attraverso la congiuntiva palpebrale e dare emorragia se traumatizzate (Labelle e Labelle, 2013).

Neoplasie melanocitiche congiuntivali sono tumori rari nel cane e nel gatto. Appaiono

clinicamente come masse singole o multiple e di vario colore, da rosa a molto pigmentate (scure), poste sulla superficie palpebrale, bulbare o sulla congiuntiva della III palpebra. Melanocitomi benigni sono ben circoscritti e composti da cellule fortemente pigmentate ma la maggior parte delle neoplasie melanocitiche congiuntivali sono maligne. Queste masse invece sono scarsamente circoscritte, talvolta multifocali, con tendenza a diffondere all'interno dell'epitelio congiuntivale (Labelle e Labelle, 2013). Nel gatto si è rilevata spesso la loro presenza nella congiuntiva bulbare, estendendosi in profondità nell’orbita, nei tessuti connettivi adiacenti al globo e vicino alla sclera. I melanomi maligni sono poco pigmentati rispetto ai melanocitomi e alcuni possono essere amelanotici.

La prognosi per la vita e per il globo nel melanoma congiuntivale è riservata. Il tasso di metastasi è di circa 17% e recidive locali possono verificarsi anche dopo l’asportazione chirurgica. Una larga escissione chirurgica seguita da crioterapia e/o enucleazione sono i trattamenti di scelta (Labelle e Labelle, 2013; Dubielzig, 2017).

Il carcinoma a cellule squamose (SCC) nel cane e nel gatto è raro ma può invadere la congiuntiva, la nittitante e la cornea. L’aspetto clinico è variabile, questi tumori possono presentarsi come lesioni rosee multifocali ben strutturate, lesioni papilloma simili o lesioni diffuse, infiltranti e aggressive con distruzione del tessuto orbitale e/o penetrazione del globo. Talvolta tale neoplasia è associata a congiuntivite o cheratite cronica.

Nei gatti, il SCC congiuntivale può essere altamente invasivo nei confronti dei tessuti orbitali, in questo caso il trattamento di scelta è l’enucleazione.

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