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La tutela delle vittime di reato nell'Unione Europea

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

La tutela delle vittime di reato

nell’Unione Europea

Candidato

Relatore

Carlo Gasperini

Chiar.mo Prof. Simone Marinai

(2)

A Nonno Fosco, oggi sei qui con me, nel mio cuore. A mia Mamma, la guerriera

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INDICE

Introduzione 1

Capitolo I

L’evoluzione storica della tutela delle vittime di

reato

1.1 Le radici storiche della valorizzazione dei diritti fondamentali della vittima. 4 1.2 Il quadro internazionale: le fonti dell’Onu 6

1.3 Le ragioni di tutela della vittima in sede europea 10 1.4 Le fonti del Consiglio d’Europa 11 1.5 Le fonti dell’Unione Europea 13 1.6 La nozione di vittima negli atti internazionali 15 1.7 La cooperazione giudiziaria penale nell’UE, dal terzo

pilastro al Trattato di Lisbona 17 1.8 Il Consiglio europeo di Tampere del 1999 20 1.9 Il primo atto di armonizzazione della posizione della

vittima nell’UE: la decisione quadro 2001/220/GA 21 1.10 Segue: l’attuazione delle decisione quadro

2001/220/GAI 25

1.11 La giurisprudenza della Corte di Giustizia

dell’Unione Europea 27

1.12 La sentenza Cowan 27

1.13 I confini della nozione di vittima nella giurisprudenza

della Corte 29

1.14 La sentenza Pupino 31

1.15 La sentenza Dell’Orto: l’impossibilità di ricondurre

(4)

1.16 La giurisprudenza riguardante la posizione della

vittima nel processo 34

1.16.1 La sentenza Katz 36

1.16.2 La sentenza Gueye e Salomòn Sanchez 37

1.16.3 La sentenza “procedimento penale a carico di X” 39 1.17 Il Libro Verde sul risarcimento alle vittime di reati 40 1.18 La particolare disciplina della vittima di tratta: la

decisione quadro 2002/629/GAI e la direttiva

2011/36/UE 41

1.19 L’indennizzo delle vittime di reato: la direttiva

2004/80/CE 44

1.20 La protezione della vittima negli altri strumenti adottati nell’ambito della lotta alla criminalità

organizzata nell’Unione 47 1.21 La tabella di marcia di Budapest nel Giugno del 2011 49 1.22 La direttiva 2011/99 sull’ordine di protezione

europeo 50

1.23 Segue: l’attuazione in Italia della direttiva sull’ordine di protezione europeo 54 1.24 Il regolamento 606/2013/UE: il reciproco

riconoscimento delle misure di protezione in materia

(5)

Capitolo II

I diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime

di reato nella direttiva 2012/29/UE

2.1 Genesi e ratio della direttiva 2012/29/UE 61 2.2 I principi fondanti e gli obiettivi della direttiva 64

2.3 La vittima di reato nella direttiva 67

2.4 Il diritto all’informazione 68

2.4.1 Il diritto di comprendere e di essere compresi 70 2.4.2 Il diritto all’interpretazione e alla traduzione 71 2.5 Il sostegno alle vittime e i servizi di assistenza 75 2.6 La partecipazione della vittima al procedimento penale 78

2.7 Il diritto alla protezione 83

2.7.1 Le vittime con specifiche esigenze di protezione 87

2.8 La giustizia riparativa 91

2.8.1 L’apporto della direttiva 93

2.8.2 Esempi di giustizia riparativa nell’ordinamento italiano 98 2.9 Rilievi in margine alla politica criminale europea 103

(6)

Capitolo III

Le ricadute sull’ordinamento italiano

della normativa dell’Unione a tutela

delle vittime di reato

3.1 Il caso Forteto 109

3.1.1 L’obbligo di interpretazione conforme derivante dalla

direttiva 2012/29/UE 110 3.1.2 Le misure di protezione nel caso Forteto 112 3.2 La condanna dell’Italia per l’incompleta attuazione

della direttiva relativa all’indennizzo delle vittime di

reato 115

3.3 Il d.lgs. 212/2015: l’attuazione della

direttiva 2012/29/UE 121

3.4 Le valutazioni compiute dall’Esecutivo al momento

dell’adozione dello schema di decreto legislativo 122 3.4.1 Il parere reso dalla Commissione Giustizia

della Camera dei Deputati 123

3.5 Le direttrici del d.lgs. 212/2015 127

3.6 Scelte terminologiche in seno al d.lgs. 212/2015 129 3.7 Le modifiche all’art. 90 c.p.p.: l’accertamento della

minore età 131

3.8 Il diritto all’informazione: le novità introdotte

dall’art. 90 bis 132

3.9 Segue: l’art. 90 ter riguardante la comunicazione

dell’evasione e della scarcerazione alle persone offese 140 3.10 La comparsa dell’assistente linguistico della vittima

(7)

3.11 Le modifiche alle norme di attuazione del c.p.p. in tema

di proposizione o presentazione di denuncia o querela 145 3.12 La disciplina della prova dichiarativa della vittima

vulnerabile 147

3.13 Segue: la timidezza legislativa in tema di videoregistrazioni 152

3.14 Riflessioni conclusive sul d.lgs. 212/2015 154

Conclusioni 158 Bibliografia 160 Sentenze citate 170 Sitografia 171 Atti e documenti 174 Ringraziamenti 176

(8)

1

Introduzione

Oggetto del presente elaborato è lo studio della tutela e dello status della vittima di reato nell’Unione Europea: si pone l’attenzione in particolare, a tal riguardo, al crescente numero di strumenti che, nel corso della storia recente, si sono susseguiti per offrire alla vittima sia una collocazione all’interno dei vari sistemi processual-penalistici sia una tutela che coprisse, da un punto di vista cronologico, l’arco temporale che va dall’avvenimento del fatto criminoso fino addirittura alla fase successiva all’estinzione della pena da parte dell’autore del delitto. E’ del resto evidenziabile come, fino agli anni ’70 del secolo scorso, la posizione e le esigenze di tutela della vittima abbiano vissuto decenni di oblio, venendo solamente in tempi recenti a rappresentare un tema centrale nella discussione dottrinale, giuridica e criminologica, per lungo tempo concentrata pressoché esclusivamente sulle istanze garantistiche dell’imputato. Oggi invece, l’Europa, a gran voce reclama l’importanza di dare pari dignità alla vittima, sulla scia della valorizzazione culturale, sociale e politica della sua figura. Le motivazioni sottese alla scelta dello sviluppo del tema in argomento sono ravvisabili in distinte ragioni: un indubbio interesse personale nei confronti di un argomento che si premura di offrire strumenti e soluzioni a chi si trovi in una situazione di particolare difficoltà; l’ampio dibattito dottrinale, sia nazionale che sovranazionale, che germoglia a latere del ruolo, sempre meno ortodosso rispetto alla dottrina tradizionalistica, della vittima di reato all’interno del procedimento penale; il crescente numero, sia dei casi di vittimizzazione secondaria, sia di assenza di tutela nel caso di delitti prevedibili e evitabili, nel vissuto odierno; la convinzione personale che, la cooperazione giudiziaria in materia penale dell’Unione Europea, non possa che giovare e comportare benefici; la suggestione

(9)

2

di un cambiamento che ponga la vittima in una posizione centrale, praticamente e non solo teoricamente, nella struttura del processo penale nostrano. L’obiettivo di questa tesi di laurea è analizzare le tutele e le normative elaborate a livello europeo intorno alla figura della vittima, ponendo al contempo un occhio di riguardo all’ordinamento italiano, che, nonostante nell’ultimo ventennio abbia adottato una politica criminale più attenta alla prospettiva vittimologica, ha predisposto soluzioni che non sempre si sono rivelate completamente funzionali al raggiungimento degli obiettivi imposti dalle indicazioni sovranazionali. Si è ritenuto necessario, ai fini degli obiettivi sopra indicati, analizzare gli interventi dottrinali, con un’ottica volta da una parte a sottolineare gli aspetti concreti e pratici degli interventi posti a protezione delle vittime e dall’altra a evidenziare i miglioramenti sociologici, pratici e giuridici, che un approccio che ponga la vittima al centro del processo penale comporti. L’elaborato si compone di tre capitoli ordinati secondo un criterio cronologico e argomentativo: nel primo capitolo si analizza il contesto sovranazionale, terreno fertile su cui aderiscono i primi interventi europei, anch’essi oggetto d’esame, e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, foriera di interpretazioni e di indicazioni per il legislatore sovranazionale. Nel secondo capitolo viene esaminata nel dettaglio la direttiva 2012/29/UE che rappresenta una sorta di “rivoluzione copernicana” nell’ambito della tutela delle vittime, mirando a riconsiderare i gangli del processo penale, leggendone le dinamiche con gli occhi della vittima. La non troppo rosea situazione italiana è invece protagonista all’interno del terzo capitolo: si focalizza in primo luogo l’attenzione su un particolare caso giurisprudenziale, recentemente deciso dal Tribunale di Firenze, che seppur antecedente al decreto legislativo attuativo della sopra richiamata direttiva, ha messo in atto le indicazioni di quest’ultima in virtù dell’effetto di interpretazione conforme proprio delle norme di

(10)

3

diritto dell’Unione. Oggetto d’esame è in seguito il decreto legislativo 212/2015, attuativo della direttiva sopracitata, nonché una recente condanna, indicativa dell’approccio tipicamente nostrano alla materia, subita dal nostro Stato da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato.

(11)

4

Capitolo I

L’evoluzione storica della tutela delle vittime di

reato

1.1 Le radici storiche della valorizzazione dei diritti fondamentali

della vittima.

Il fenomeno di valorizzazione della vittima di reato, soggetto che ha visto perlopiù ricoprire il ruolo della comparsa all’interno del procedimento penale nel corso del tempo, è germogliato nella seconda metà del Novecento1. E’ possibile individuare più specificamente tre concause che hanno concorso alla progressiva centralizzazione della vittima all’interno del procedimento e delle politiche penali. La prima che possiamo individuare è l’espansione della massa dei destinatari dei comportamenti illeciti: una fetta rilevante di cittadini oggi detiene beni che si rendono appetibili per le criminalità, rendendosi così possibili vittime di reato. Ogni anno si stima del resto, solo nell’Unione Europea, circa 75 milioni di vittime dirette e più di 220 milioni di familiari coinvolti2. Tutto ciò ha delle conseguenze notevoli per il singolo e per la società, che si trovano a dover fronteggiare i costi occulti del reato, che comprendono da una parte i costi materiali, quali quelli connessi ai costi economici, della sanità e del sistema penale, e dall’altra dei costi immateriali quali la sofferenza, il dolore e la riduzione della qualità di vita3. In secondo luogo è rilevabile un progressivo affermarsi della vittima come soggetto portatore di diritti e

1Mazzilli E., La direttiva europea a tutela delle vittime di reato: i primi effetti

nell’ordinamento italiano, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, fasc. 3,

pag. 721.

2 Analisi effettuata da l’European Union International Crime Survey,

http://ec.europa.eu/italia/milano/attualita/vittime18-5-11_it.htm

3

Sechi P., Vittime di reato e processo penale: il contesto sovranazionale, Cassazione penale, 2017, fasc. 2, pag. 850.

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5

di interessi che intende far valere in sede processuale, partecipandovi attivamente. La terza causa infine si sostanzia nella tendenza del potere esecutivo e legislativo nell’affrontare in via prioritaria le conseguenze del fenomeno criminale a discapito delle sue cause4. L’insieme di questi tre elementi ha permesso che si determinasse un progressivo abbandono del ruolo marginale cui l’offeso, come precedentemente accennato, veniva spesso relegato. Come ha sostenuto David Garland: “As critics pointed out, the victim’s role in criminal justice was

routinely reduced to that of complaint and witness, rather than a party to the proceedings, and the injuries victims suffered typically went unacknowledged and uncompensated (…). Until recently, the system’s standards response to this criticism was that victim’s interest were subsumed within the public interest”5. L’approccio tenutosi nei

confronti della vittima si era del resto rivelato insoddisfacente, determinandosi così delle condizioni favorevoli affinché la vittima tornasse a ricoprire un ruolo centrale. Conseguentemente le autorità giudiziarie e gli operatori governativi hanno percepito la necessità di approcciarsi diversamente nei confronti delle vittime. In dottrina si è soliti rinvenire le origini di questa tendenza nel “movimento delle vittime”, nato negli Stati uniti negli anni ’706, ponendosi quest’ultimo

lo scopo di sensibilizzare i soggetti che operano nel settore criminale sul tema delle conseguenze dannose dei fenomeni criminali. Analizzando altresì il panorama europeo è meritevole di citazione il contributo del Consiglio d’Europa, in particolare del Comité europeén

pour les problèmes criminels, organo costituito al suo interno, che ha

intrapreso una politica incentrata fortemente sulle esigenze delle

4 Mazzilli E., La direttiva europea a tutela delle vittime di reato: i primi effetti

nell’ordinamento italiano, op. cit., pag. 722.

5

Garland D., The culture of control: crime and social order in contemporary society, New York, 2001, pag. 121.

6 Maguire M., The needs and rights of victims of crime, in Tonry M. (a cura di),

Crime and Justice, a review of research, University of Chicago Press, 1991, fasc. 14,

(13)

6

persone offese, ritenuta come coessenziale per lo svolgimento di un equo procedimento penale.

1.2 Il quadro internazionale: le fonti dell’Onu

Procedendo con ordine è doveroso rappresentare il quadro internazionale al cui interno le norme di diritto dell’Unione si inseriscono. La valorizzazione del ruolo della vittima di reato è considerata da tempo come esigenza fondamentale in ambito internazionale tanto da essere posta alla base di diverse Risoluzioni delle Nazioni Unite nonché di numerose Raccomandazioni e Convenzioni del Consiglio d'Europa.7 Si matura nel tempo un’inevitabile consapevolezza per cui l’attuazione di un giusto processo non può prescindere dall’attenzione alla vittima di reato e che la realizzazione della giustizia passi attraverso il rispetto della vittima stessa e delle sue aspettative: un intervento che si deve sostanziare in un’attività per “riequilibrare l’asse della tutela penale, ancora troppo

inclinato sul versante dell’illecito e del suo autore”8. L’Onu mostra

interesse per il tema della tutela della vittima a partire dal 1980 quando in occasione del VI Congresso mondiale sulla prevenzione del crimine e sul trattamento dei criminali inizia ad essere elaborata l’idea di un

corpus contenente i diritti della vittima. Tra le risoluzioni

dell’organizzazione internazionale si pone in primo luogo come documento basilare la Declaration of basic principles of justice for

victims of crime and abuse of power9 adottata dall’Assemblea

generale delle Nazioni Unite nel Novembre del 1985. La Dichiarazione si incarica di fornire una nozione ampia di vittima, includendovi non solo il diretto interessato ma anche i prossimi congiunti, e al tempo

7

Certosino D., Gender Violence and Victim Protection in De Libertate Trials, Cassazione Penale, 2016, fasc.10, pag. 3753.

8 Pisani M., Per le vittime di reato, Rivista italiana di diritto e procedura penale,

1989, fasc. 1, pag. 465.

9

(14)

7

stesso dell’abuso di potere, qualificandolo come violazione di una norma riconosciuta a livello internazionale. Il documento si pone come un avvenimento di portata storica dal momento che “pone la vittima al

livello dei diritti dell’uomo”10

. Nel 1997 altresì il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione N.R. 1997/33 sugli “Elementi di una responsabile prevenzione della

criminalità: standards e norme”11

che, prendendo atto del

sovraffollamento delle carceri e del critico stato del sistema di giustizia penale, affermava l’importanza di una prevenzione non repressiva del crimine riproponendosi al tempo stesso la necessità di una maggiore protezione e attenzione alla vittima, la quale non doveva peraltro essere colpevolizzata. All’interno della stessa si pone infatti l’accento sul trattamento che deve essere riservato alle vittime di reato, recita infatti così l’art. 21: “Victims of crime should be offered protection,

where necessary, and should be informed of possible ways to reduce the risks of future victimization, with due consideration for the right of the offenders. Due regard must should be given to means of avoiding the tendency to blame the victim, as well as to reparation by the offender”12

. L’anno successivo con la risoluzione N.R. 1998/23 sulla

“Cooperazione internazionale tesa alla riduzione del sovraffollamento delle prigioni ed alla promozione di pene alternative” approvata dal

Consiglio Economico e sociale delle Nazioni Unite si raccomandava agli Stati membri di ricorrere a forme di pena non custodiali e a soluzioni amichevoli dei conflitti di minore gravità, attraverso l’uso della mediazione, l’accettazione di forme di riparazione civilistiche o accordi di reintegrazione economica a favore della vittima o lavori espletati dal reo in favore della vittima stessa. Nel 1999 con la risoluzione N.R. 1999/26 sullo “Sviluppo ed attuazione di interventi di

10

Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti , Maggioli, 2014, pag. 46.

11

http://www.unodc.org/documents/commissions/CCPCJ/Crime_Resolutions/1990-1999/1997/ECOSOC/Resolution_1997-33.pdf

12

(15)

8

mediazione e giustizia ripartiva nell’ambito della giustizia penale”

approvata sempre dal Consiglio Economico e Sociale si riaffermava la necessità di promuovere la mediazione e altre forme di giustizia riparativa in specie misure, che sotto l’egida di un’autorità giudiziaria o un’altra competente, facilitassero l’incontro tra il reo e la vittima13

. È doveroso inoltre ricomprendere all’interno di tale quadro la “Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia, nuove sfide del

XXI secolo”, tenutasi tra il 10 e il 17 aprile 200014, del X Congresso dell’organizzazione stessa sulla Prevenzione del Crimine e il trattamento dei detenuti. Qui si sottolineava l'importanza dell'introduzione di programmi di assistenza alle vittime di reato, a livello nazionale, regionale, ed internazionale e si incoraggiavano le politiche di giustizia riparatrice. Successivamente, nel luglio del 2000, il Consiglio Economico e Sociale ha adottato la risoluzione n. 2000/14 sui “Principi base sull'uso dei programmi di giustizia riparativa in

materia criminale”15

dove vi si presentava uno schema preliminare di dichiarazione dei principi di utilizzo dei programmi di giustizia riparativa a cui dovevano attenersi gli Stati membri, le organizzazioni intergovernative e non governative, nonché gli organismi della rete delle Nazioni Unite che si occupano di prevenzione del crimine e dei programmi di giustizia penale. E’ doveroso altresì citare due ulteriori fonti: in primo luogo la risoluzione n. 55/59 sulla “Dichiarazione di

Vienna su criminalità organizzata e giustizia: nuove sfide nel XXI secolo”, approvata dall’Assemblea generale nel 4 dicembre del 2000,

con cui si affermava l’importanza della giustizia riparativa quale strumento tendente a ridurre la criminalità e a promuovere la ricomposizione tra vittime, rei e comunità, e in secondo luogo la

13 Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti, op.cit., pag.

47. 14http://www.unodc.org/documents/congress//Previous_Congresses/10th_Congress_2 000/010_ACONF.187.4.Rev.3_Vienna_Declaration_on_Crime_and_Justice.pdf 15 http://www.unodc.org/documents/commissions/CCPCJ/Crime_Resolutions/2000-2009/2000/ECOSOC/Resolution_2000-14.pdf

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9

risoluzione n. 2002/25 sui “Principi base circa l’applicazione di

programmi di giustizia”, con cui si incoraggiavano gli Stati membri a

sviluppare programmi in tal senso16. In un’ottica di lotta alla criminalità transnazionale in merito alla tratta di persone, con uno specifico occhio di riguardo alle vittime più deboli, quali donne e bambini, le Nazioni Unite hanno adottato, nel 2000, la Convenzione di Palermo, un trattato multilaterale entrato in vigore dal 2003.17

Quest’ultima si pone come testo di riferimento per contrastare la schiavitù in tutte le sue forme, giuridiche e di fatto, chiedendo sostanzialmente che gli Stati attivino le misure di protezione delle potenziali vittime di tratta, le quali, al momento del loro arrivo, debbono essere tempestivamente identificate. È obbligatorio per gli Stati istituire misure di protezione di incolumità fisica delle vittime, anche nei Paesi di origine; stabilire programmi di prevenzione e contrasto alla tratta; garantire la formazione per forze di polizia e magistrati; prevedere l'obbligo di indagare sulle potenziali situazioni di tratta che prescindano, comunque, dalle denunce delle vittime, ma che siano orientate da protocolli operativi autonomi.18 Nel 2009 il Consiglio Economico e Sociale adottando la risoluzione n. 2009/24 “International cooperation to prevent, combat and eliminate

kidnapping and to provide assistance to victims of kidnapping”19

poneva invece l’accento sulle vittime di sequestro, e, prendendo atto dell’incremento del numero dei sequestri, anche a causa del terrorismo, invitava gli Stati membri a continuare a promuovere “la cooperazione,

l'assistenza giudiziaria reciproca, la collaborazione tra le forze dell'ordine, lo scambio e l'analisi congiunta di informazioni, al fine di prevenire, combattere e eliminare il rapimento, anche negando ai

16 Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti, op.cit., pag.

47.

17

Parisi F., Il contrasto al traffico di esseri umani fra modelli normativi e risultati

applicativi, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2016, fasc. 4, pag. 1763.

18 Mancini D., Il cammino europeo nel contrasto alla tratta di persone, Rivista

italiana di diritto e procedura penale, 2010, fasc. 9, pag. 1114.

19

(17)

10

rapitori il beneficio del sostanziale concessioni”.20 Con riguardo alle vittime di violenza di genere, nel luglio del 2011 viene pubblicato il primo rapporto della United Nations Women (UN Women - United

Nations entity for gender equality and the empowerment of women),

neonata agenzia dell'ONU, con obiettivo di promuovere e velocizzare il processo di uguaglianza e il rafforzamento delle condizioni delle donne nel mondo.21 A queste sollecitazioni occorre aggiungere quella proveniente dal rapporto sulla violenza contro le donne, che il relatore speciale dell'ONU ha presentato all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 15 giugno 2012. In questo rapporto si fa esplicito riferimento alla situazione italiana, invitando le autorità competenti, fra le altre cose, a prevedere disposizioni mirate per la protezione delle donne vittime di violenza domestica22.

1.3 Le ragioni di tutela della vittima in sede europea

Di pari passo allo scenario internazionale, la politica europea ha recepito l’esigenza sociale di porre in risalto la condizione della vittima fornendole una maggiore tutela. Prima di analizzare i testi europei che concernono la protezione delle vittime, è necessario cogliere la ratio alla base di quest’ultimi: le ragioni generali a carattere politico-criminale e i principi che giustificano un tale intervento in materia. In merito alle ragioni generali di carattere politico criminale si rende evidente la necessità di “potenziare e armonizzare nei paesi

dell’Unione Europea gli strumenti di protezione delle vittime”23

: intervento che si rende necessario visto il sempre maggiore numero di

20 Punto 2, risoluzione n. 2009/24, Consiglio Economico e Sociale ONU.

21 Bertolino M., Violenza sessuale, atti di libidine violenti e reati contro la libertà

sessuale, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, fasc. 4, pag. 1710.

22

Manjoo R., Lett. d) del rapport, UN General Assembly, Report of the Special

Rappourter on Violence against Woman, its Causes and Consequences. Mission to Italy, A/HRC/20/16/ADD.2, 15 giugno 2012, pag. 22.

23

Venturoli M., La tutela delle vittime nelle fonti europee, Diritto penale contemporaneo, 2012, pag. 10.

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11

crimini commessi da soggetti provenienti da paesi diversi da quello di commissione del reato, quale connaturale conseguenza dell’abbattimento delle frontiere e della creazione di uno spazio unico. Quanto alle basi giuridiche di interventi di armonizzazione, essi devono individuarsi nei principi di libera circolazione delle persone e dell’eguaglianza dei cittadini nell’Unione Europea: la mancata previsione di una norma comune in materia di protezione di vittime potrebbe comportare un’inevitabile violazione dei principi appena suddetti. Infine la creazione del terzo pilastro e il riconoscimento della specifica competenza dell’Unione nella materia penale hanno legittimato una tutela delle vittime che non si limitasse all’ambito risarcitorio, ma si estendesse al diritto penale e sostanziale.

1.4 Le fonti del Consiglio d’Europa

La politica europea, come precedentemente accennato, ha posto in risalto la condizione della vittima e la necessità di una maggiore tutela della stessa attraverso un’assistenza materiale, giuridica e psicologica. Sono stati quindi adottati da parte del Consiglio d’Europa, dalla fine degli anni ’70 ad oggi, atti specifici con l’obiettivo di dare soprattutto delle risposte ai problemi della vittimizzazione secondaria, alla necessità di assistenza sociale e al diritto alla riparazione24. Nel 1977 con la risoluzione n. 27 sul “Risarcimento alle vittime di reati

violenti”25

, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,

si stabilivano le direttrici fondamentali in materia di risarcimento delle vittime raccomandando al tempo stesso agli Stati membri di prevedere un sistema di indennizzo statale per le vittime di reati intenzionali violenti, qualora l’indennizzo non potesse essere assicurato ad altro

24 Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti, op.cit., pag.

50.

25

https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlob Get&InstranetImage=595033&SecMode=1&DocId=659298&Usage=2

(19)

12

titolo. Nel 1983 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con la Raccomandazione n. (83)7 concernente “la partecipazione della

società alla politica criminale”26

prevedeva che tra gli obiettivi di

politica criminale rientrassero pure gli interessi e i bisogni delle vittime. Nel medesimo anno a Strasburgo con la Convenzione Europea sul “Risarcimento alle vittime dei reati violenti”,27 emanata dal

Consiglio d’Europa il 24 novembre, si manifestava la necessità di creare dei sistemi statali di risarcimento economico nei confronti delle vittime di reati violenti, ove soprattutto non si perveniva all’identificazione del reo o qualora quest’ultimo non avesse risorse per ottemperare il risarcimento. Nel 1985 il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa portò la sua attenzione sulle violenze commesse in ambito familiare: con la Raccomandazione n. (85) 428 esortava gli Stati membri ad adottare misure per prevenire la violenza in ambito familiare e prevedere strumenti di protezione nei confronti delle vittime. Nel medesimo anno il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con la Raccomandazione n. 1129

rappresentava una sorta di primo statuto della vittima nel processo, raccomandando al tempo stesso agli Stati membri una tutela della vittima che coprisse tutta la durata del procedimento, sia a livello legislativo che operativo. Con la Raccomandazione n. (87) 21 adottata dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa si affrontava il problema della vittimizzazione secondaria: non era considerata sufficiente la giustizia penale al riguardo della riparazione del pregiudizio e dei danni causati da reato. Si suggeriva quindi agli Stati membri di adottare misure che evitassero un’ulteriore vittimizzazione, stabilendo delle norme che proteggessero la vittima. Nel 1999 visto l’annoso problema del sovraffollamento

26 http://www.barobirlik.org.tr/dosyalar/duyurular/hsykkanunteklifi/recR(83)7e.pdf 27http://www.coe.int/en/web/conventions/fulllist/conventions/rms/090000168007975 3 28 https://polis.osce.org/node/4646 29 https://polis.osce.org/node/4651

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13

delle carceri, con la Raccomandazione n. 2230 approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, si prevedeva come misura alternativa alla detenzione la “mediazione vittima-deliquente o la

compensazione della vittima”. In tempi più recenti e più precisamente

nel 2006 con la raccomandazione n. 831 in tema di “Assistenza alle

vittime del crimine” adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio

d’Europa, si poneva l’obiettivo di promuovere e migliorare l’aiuto delle vittime, per facilitarne l’accesso alla giustizia e evitare ulteriori pregiudizi. Infine, anche con la Risoluzione dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa, adottata nel corso della XXVII Conferenza tenutasi in Armenia dal 12 al 13 ottobre 2006, si prendevano in considerazione nuovi modi per incrementare i profili assistenziali, di accesso alla giustizia e all’indennizzo a favore delle vittime, nonché nuovi modelli per evitare che le vittime di reati non si ritrovassero ad essere vittime anche delle procedure e delle lentezze amministrative.32

1.5 Le fonti dell’Unione Europea

L’Unione Europea è un’organizzazione che seppur costituita da Stati membri diversi per cultura, tradizione e ordinamenti, si pone come obiettivo la creazione di un mercato unico. L’ordinamento comunitario si pone dei principi fondamentali, quali la libertà di stabilimento, di prestazione dei servizi e di circolazione di mezzi, capitali e persone. Per far sì che si addivenga al raggiungimento dell’obiettivo del mercato unico e all’attuazione dei principi suddetti, si rende evidentemente necessaria la previsione di strumenti di coesione sociale. Diventa così rilevante in tale ambito la disciplina della tutela delle vittime di reati che, nelle intenzioni delle istituzioni comunitarie,

30 https://rm.coe.int/168070c8ad 31 https://victimsupport.eu/activeapp/wp-content/uploads/2012/09/Recommendation-Rec20068-of-the-Committee-of-Ministries_Council-of-Europe11.pdf 32

Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti, op.cit., pag. 52.

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14

deve essere assicurata anche nei casi di criminalità transfrontaliera33. Procedendo all’esame degli atti in cui si è posta come base la suddetta intenzione è rinvenibile in primo luogo la Risoluzione del Parlamento Europeo “sull’indennizzo alle vittime di atti di violenza”34, del 13 marzo del 1981, in cui si sottolineava la relazione tra tutela della vittima e libera circolazione in ambito comunitario nonché si chiedeva alla Commissione una proposta di direttiva che contenesse delle norme minime in materia di indennizzo pubblico alle vittime di reati violenti, senza che rilevasse la nazionalità di queste ultime quale condizione necessaria per beneficiare di detto indennizzo. Quasi dieci anni dopo, precisamente nel 1989, il Parlamento Europeo con la Risoluzione del 12 Settembre “sull’indennizzo alle vittime dei reati violenti”35 ribadiva la necessità di armonizzare le legislazioni nazionali in tema di indennizzo alle vittime e si giustificava l’obbligo del risarcimento statale non solo in forza di esigenze solidaristiche ma anche del principio di responsabilità degli Stati membri di far rispettare le leggi e mantenere la pace sociale. Nel marzo del 2001 è stata infine adottata la decisione quadro 2001/220/GAI “sulla posizione della vittima nel

procedimento penale”, di cui si parlerà ampiamente in seguito.

33 Ibidem. 34

http://eurlex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:JOC_1981_077_R_0068

35

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15

1.6 La nozione di vittima negli atti internazionali

I documenti basilari alla definizione della nozione di vittima sono la

Declaration of basic principles of justice for victims of crime and abuse of power, adottata dall’Assemblea generale delle N.U. e la

decisione quadro 2001/220/GAI dell’Unione Europea. Ai sensi degli artt.1 e 236 della Declaration of basic principles of justice for victims of

crime and abuse of power, vittima è chi individualmente o

collettivamente, ha subito un pregiudizio, ivi compreso un danno fisico o mentale, una sofferenza emotiva, una perdita economica o una effettiva menomazione dei suoi diritti fondamentali attraverso azioni od omissioni che concretano violazioni di leggi penali in vigore negli Stati membri, incluse quelle leggi che vietano gli abusi criminali di potere; il termine vittima include altresì, se del caso, i prossimi congiunti o le persone a carico della vittima diretta e coloro che hanno riportato un danno intervenendo in aiuto delle vittime in difficoltà o per prevenire la vittimizzazione. Una persona può esser del resto considerata vittima a prescindere che il perpetratore sia identificato, arrestato, perseguito o condannato e indipendentemente dalla relazione familiare tra il perpetratore e la vittima. Tale definizione comporta così un ampio e vasto insieme di soggetti lesi, andando a ricomprendere un universo più ampio rispetto a quello comprendente la sola vittima diretta. All’interno delle fonti internazionali è però ravvisabile la presenza di diversi significati per qualificare la vittima: una consuetudine in questo campo di studi dal momento che è frequente nel diritto internazionale premettere delle definizioni che si attaglino alla portata che si vuole dare al documento37. Una nozione diversa è individuabile all’interno dell’art. 1 della decisione quadro 2001/220/GAI, ai sensi del quale vittima è “la persona fisica che ha

subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche,

36 http://www.unodc.org/pdf/compendium/compendium_2006_part_03_02.pdf 37

Aimonetto M.G., La valorizzazione del ruolo della vittima in sede internazionale, Giurisprudenza Italiana, 2005, fasc.6, pag. 1343.

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16

danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro”.38

Si tratta di una definizione che, seppur influenzata dalle elaborazioni vittimologiche in ragione della valorizzazione delle conseguenze psichiche dell’illecito, risulta più ristretta rispetto a quella fornita dall’Onu nella risoluzione del 1985, in quanto da un lato non ricomprende le violazioni di beni a carattere collettivo e dall’altro lato il danno patito deve derivare direttamente dal reato, consentendo così il riferimento solo alle vittime dirette. Manca inoltre una definizione di vittima “particolarmente vulnerabile”, rinvenibile nella risoluzione del 1985, e tale assenza può ricondursi al fatto che sul concetto di vulnerabilità esistono posizioni differenti che si riflettono sulle scelte dei legislatori degli Stati membri. Infatti, in alcuni Paesi europei, come ad esempio l’Italia, il Regno Unito e la Francia, la vulnerabilità della vittima viene individuata da un punto di vista soggettivo, con riferimento alla fragilità fisica o mentale dell’offeso (ad esempio, minori ed infermi di mente); in altri Stati invece, come ad esempio la Spagna e i Paesi Bassi, vengono presi in considerazione i comportamenti atti a generare una situazione di fragilità nella vittima (per esempio, il terrorismo o la violenza domestica); in altri Stati ancora, quale ad esempio la Germania, al fine di assicurare la più ampia protezione si considera la vulnerabilità della vittima da un punto di vista tanto soggettivo quanto oggettivo (vale a dire muovendo dalle condotte che possono determinare la vulnerabilità).39

38http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2001:082:0001:0004:i

t:PDF

39

Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti, op.cit., pag. 53.

(24)

17

1.7 La cooperazione giudiziaria penale nell’UE, dal terzo pilastro al

Trattato di Lisbona

Per completare ancor più specificamente il quadro in cui si inseriscono le decisioni a tutela della vittima da reato, è necessario illustrare le basi giuridiche dell’Unione Europea che consentono di adottare le decisioni fondamentali volte, per l’appunto, a proteggere il danneggiato. Il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1 novembre 1993, ha modificato i precedenti trattati europei e ha creato un'Unione Europea fondata su tre pilastri: le Comunità europee, la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la cooperazione in materia di giustizia e affari interni (GAI). Quest’ultimo si poneva come fine ultimo la costruzione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in cui vi fosse collaborazione contro la criminalità a livello sovranazionale: con il progressivo abbattimento delle barriere, anche fisiche, e con la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali all'interno del territorio degli Stati membri, il territorio europeo prestava il fianco a problemi precedentemente affrontati su scala nazionale, quali, ad esempio, l'immigrazione, i rapporti con gli stranieri extracomunitari, l'asilo, la lotta alle frodi, al terrorismo ed al traffico di armi e stupefacenti; pertanto, al fine di fornire una risposta efficace a problemi che non erano più in grado di gestire individualmente, gli Stati membri ritenevano necessario conferire ufficialmente dimensione comunitaria all'analisi di tali fenomeni ed alla predisposizione di interventi correttivi. Il terzo pilastro si caratterizzò ben presto per la positività dei risultati prodotti sia a livello di produzione normativa che di attività operativa; in seno alla cooperazione giudiziaria in materia di giustizia e affari interni venne inoltre costituito l'Ufficio Europeo di Polizia (EUROPOL) per consentire un maggior coordinamento nello scambio di informazioni e nell'attuazione di interventi operativi da parte degli organi di polizia degli Stati membri. Consapevoli dell'evoluzione dell'integrazione

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europea, degli ampliamenti futuri e delle necessarie modifiche istituzionali, gli Stati membri inserirono una clausola di revisione del trattato: Il Trattato di Maastricht stabiliva infatti che, nel 1996, si sarebbe dovuta insediare una conferenza intergovernativa per attuare una nuova riforma dei Trattati; le previsioni furono rispettate e la Conferenza si aprì a Torino il 29 marzo 1996. I lavori della Conferenza terminarono nel giugno dell'anno successivo e, il 2 ottobre 1997, ad Amsterdam venne firmato per l’appunto il Trattato di Amsterdam. Vennero introdotte attraverso quest’ultimo delle rilevanti modifiche a livello strutturale infatti in materia di visti, asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia civile vi fu un travaso nel primo pilastro, con la conseguente applicazione, rispetto a tali settori, delle procedure decisionali comunitarie. Nel terzo pilastro residuavano, quindi, le competenze in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Con il Trattato di Amsterdam venne inoltre rafforzata la cooperazione tra Stati membri nei settori della cooperazione giudiziaria penale e di polizia definendo obiettivi e compiti precisi e creando un nuovo strumento giuridico analogo a una direttiva: per la prima volta infatti i trattati contenevano disposizioni generali che consentivano ad alcuni Stati membri, subordinatamente a certe condizioni, di fare ricorso alle istituzioni comuni al fine di organizzare una cooperazione rafforzata tra loro.40 L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1° dicembre 2009, introduce talune novità di particolare rilievo nell'ambito dell'Unione Europea.41 Il Trattato di Lisbona chiude ora il cerchio, “comunitarizzando” anche la parte residua del terzo pilastro, che dopo sedici anni (1993-2009) scompare. Le conseguenze sono rilevanti: le misure adottate dall’Unione in materia di cooperazione giudiziaria penale e di polizia

40http://eurlex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/?qid=1501755560146&uri=LEGISSM

:a11000 41

Castellaneta M., Le principali novità determinate dall'entrata in vigore

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sono ormai proposte in via prevalente dalla Commissione assumendo la forma di direttive o regolamenti e producendo gli effetti propri del diritto europeo (supremazia e efficacia diretta). Tali misure sono inoltre sottoposte alla giurisdizione ordinaria della Corte di Giustizia e, qualora non attuate, danno luogo a procedura di infrazione. Nell’area della giustizia e degli affari interni le competenze legislative dell'Unione subiscono un notevole ampliamento mentre resta integro il monopolio degli Stati membri sull'attuazione, riservata alle rispettive autorità e forze di polizia. Due dati ci danno conferma di quanto appenato illustrato: il primo è la collocazione del titolo V sullo “Spazio

di libertà, sicurezza e giustizia” nella terza parte del Trattato sul

funzionamento, accanto alle altre politiche comuni. Il secondo dato è l'inclusione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia tra le materie di competenza concorrente dell'Unione (art. 4 Tfue). Sopravvivono tuttavia diversi elementi di specialità sia pure in forma di eccezioni: in

primis, la giurisdizione della Corte di Giustizia incontra un limite nelle

operazioni di polizia (o assimilate) dirette al mantenimento dell'ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna: i giudici europei non possono esaminare la validità o la proporzionalità di tali operazioni (art. 276 Tfue). La deroga si riallaccia ad una clausola generale, la c.d. riserva di ordine pubblico, già prevista nei trattati preesistenti, in base alla quale la cooperazione europea non deve porsi come ostacolo all'esercizio delle responsabilità statali in materia di ordine pubblico e sicurezza interna (art. 72 Tfue). In secondo luogo, nonostante si rientri in una sfera di competenza concorrente (indi per cui la legislazione nazionale recede al momento in cui avanza quella europea), residuano ambiti specifici nei quali il trattato salvaguarda la competenza primaria o esclusiva statale quali quello dell’integrazione degli immigrati o quello della prevenzione della criminalità. In terzo luogo, sorgono due ipotesi di applicazione del c.d. freno di emergenza entrambi riguardanti la cooperazione in materia penale: si pone in capo

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a ciascun governo il potere di sospendere la procedura legislativa ordinaria quando questo ritenga che un progetto di direttiva «incida su

aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale» (artt.

82, par. 3, e 83, par. 3 Tfue). Infine, il voto all'unanimità in Consiglio va a prendere il posto della procedura di co-decisione in ambiti specifici di particolare rilievo. Alla previsione di freni d'emergenza o di delibere all'unanimità è inevitabilmente conseguito l'effetto di assegnare a ciascuno Stato membro un potere di veto. Per evitare il rischio di paralisi che ne consegue, il nuovo trattato agevola, in molti dei casi sopra menzionati, l'avvio di cooperazioni rafforzate, sempre che vi siano almeno nove Stati membri interessati. Si tratta di un correttivo di fondamentale importanza, che permette di superare le situazioni di impasse, ma che, tuttavia, presenta un inconveniente: rischia di accentuare l'asimmetria che già connota questa politica europea.42

1.8 Il Consiglio europeo di Tampere del 1999

Il 15 e 16 ottobre 1999, a Tampere, il Consiglio europeo tenne una riunione straordinaria sul tema della creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione Europea: vennero decise le priorità dell'Unione Europea nel settore della giustizia penale per i successivi cinque anni, partendo dalla considerazione secondo la quale la chiave di volta di questo settore dovesse essere il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie43. Più precisamente, le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999 affermarono il principio del mutuo riconoscimento come “il fondamento della cooperazione

giudiziaria”, dichiarando che “il rafforzamento del reciproco

42

Savino M., Il Trattato di Lisbona, Giornale di Diritto Amministrativo, 2010, fasc. 3, pag. 221.

43

Amalfitano C., L’azione dell’Unione Europea per la tutela delle vittime da reato, Il Diritto dell’Unione Europea, 2011, fasc.3, pag. 643.

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21

riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbero la cooperazione fra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli”44

. Si sottolineava inoltre la necessità di elaborare norme minime per la tutela delle vittime di reato e di creare programmi nazionali per finanziare iniziative sulla tutela delle vittime della criminalità, sul loro accesso alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento del danno: “tenendo presente la comunicazione della

Commissione, dovrebbero essere elaborate norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, in particolare sull'accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali. Dovrebbero inoltre essere creati programmi nazionali di finanziamento delle iniziative, sia statali che non governative, per l'assistenza alle vittime e la loro tutela.”45

1.9 Il primo atto di armonizzazione della posizione della vittima

nell’UE: la decisione quadro 2001/220/GAI

Recependo le direttive del Consiglio di Tampere di due anni prima ed esprimendo il rafforzamento, all’interno dell’Unione, di una politica criminale di valorizzazione delle vittime in concomitanza con l’evoluzione del terzo pilastro, il Consiglio dell’Unione Europea, il 15 Marzo 2001, adottò la decisione quadro 2001/220/GAI46, costituita da 19 articoli, considerata come una vera e propria pietra miliare nel panorama sovranazionale: essa affronta infatti in maniera globale il tema, non limitandosi al contesto processuale, ma preoccupandosi

44Punto 33 delle Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere ,15

e 16 ottobre 1999.

45

Punto 34 delle Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere ,15 e 16 ottobre 1999.

46

http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2001:082:0001:0004:it: PDF

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22

anche di ciò che accade precedentemente e successivamente il processo. Per prima cosa, la decisione si occupa di definire chi è la vittima di reato47. Per quanto riguarda più nello specifico il contenuto della decisione quadro sono essenzialmente tre i filoni rinvenibili al suo interno48. In primo luogo, essa si interessa della posizione della vittima nel procedimento penale attraverso il riconoscimento alla stessa di una serie di diritti che si rendano esercitabili nel corso dell’intero procedimento, sia nella fase antecedente, sia nel processo vero e proprio, sia nella fase successiva al processo: le viene riconosciuto il diritto a partecipare al procedimento penale e l’obbligo per gli Stati di garantire ad essa, durante il procedimento, un trattamento rispettoso della dignità personale49. Viene inoltre riconosciuto alla vittima il diritto ad essere sentita durante il procedimento e di fornire elementi di prova (art. 3), senza però prescrivere il riconoscimento in capo ad essa della qualifica di parte processuale: imporre agli Stati membri di fare assurgere la vittima alla qualificadi parte processuale avrebbe comportato un’ingerenza troppo forte in talune tradizioni processual-penalistiche nazionali, come ad esempio quella tedesca, ove la vittima mai può diventare parte processuale in senso stretto. Per consentire la più completa partecipazione processuale della vittima, la decisione quadro prevede inoltre l’adozione di misure atte a ridurre le difficoltà linguistiche di comunicazione e comprensione nelle fasi più importanti del procedimento. Si evidenzia, oltre al dovere di trattare con rispetto la vittima, una particolare attenzione nell’evitare i frequenti episodi di vittimizzazione secondaria stabilendosi: che ciascuno Stato membro limiti le audizioni delle vittime ai soli casi necessari per il procedimento penale (art. 3); che la testimonianza venga raccolta con

47

Argomento di cui si rimanda la trattazione al paragrafo 1.6 del presente elaborato.

48 Sechi P., Vittime di reato e processo penale: il contesto sovranazionale, op.cit.,

pag. 852.

49

Lorusso S., La persona offesa tra garanzie individuali e class actions, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2005, fasc. 9, pag. 1061.

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23

modalità protette ove ciò sia necessario per tutelare le vittime, specie quelle più vulnerabili, dalle conseguenze che possono derivare dalla loro audizione in udienza pubblica (art. 8); che i locali dove la vittima accede (uffici di polizia, locali dei servizi sociali ed ambienti giudiziari) siano strutturati secondo le esigenze di quest’ultima (art. 15); che le persone destinate ad intervenire nel procedimento o, più in generale, a venire in contatto con le vittime, specie le più deboli, abbiano un’adeguata formazione professionale (art. 14). La decisione quadro si occupa altresì della incolumità della vittima durante lo svolgimento del processo penale, prevedendo l’adozione, da parte degli Stati membri, di tutte le misure necessarie per preservare la sicurezza della vittima e dei suoi familiari qualora esista una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella sfera della vita privata (art. 8). Sempre al fine di consentire al meglio l’esercizio del diritto di accedere al processo, la vittima deve poter usufruire di un rimborso delle spese sostenute per la partecipazione (art. 7), e, in presenza dei requisiti, dell’assistenza legale gratuita o del gratuito patrocinio o di altre forme di assistenza (art. 6). Altro diritto fondamentale riconosciuto alla vittima è quello all’informazione (art. 4), il quale rappresenta un presupposto necessario per consentire ad essa l’esercizio del diritto alla partecipazione al procedimento penale. Al riguardo la decisione quadro stabilisce che la vittima, fin dal primo contatto con le autorità incaricate dell’applicazione della legge, abbia accesso alle informazioni rilevanti, che la stessa decisione quadro provvede ad individuare; durante il procedimento, poi, la vittima deve essere messa a conoscenza del seguito dato alla denuncia e deve essere informata dei fatti, che, in caso di esercizio dell’azione penale, le consentano di essere a conoscenza dello svolgimento del processo penale, sempreché ciò non sia pregiudizievole per il processo stesso (art. 4). Viene del resto riconosciuto alla vittima il diritto al risarcimento del danno

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subito, consistente nel diritto di ottenere in tempi ragionevoli una decisione relativa al risarcimento da parte dell'autore del reato nell’ambito del procedimento penale, nell’adozione di misure atte ad incoraggiare l’autore a risarcire adeguatamente la vittima e nella restituzione dei beni appartenenti alla vittima e sequestrati (art. 9). Alla vittima deve essere prestata un’adeguata assistenza in relazione a tutti i suoi possibili bisogni. Seppur non in maniera diffusa la decisione tratta il tema della mediazione: si prescrive agli Stati membri di promuovere la mediazione nell’ambito dei procedimenti ritenuti idonei a questo tipo di procedura. La mediazione consiste in un particolare modello di giustizia, alternativo a quello tradizionale, volto alla ricerca di una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato con la mediazione per l’appunto di una autorità competente. In terzo luogo infine la decisione affronta la questione dei diritti delle vittime residenti in un altro Stato membro: si vuole evitare che le differenze processuali tra i vari Stati membri costituiscano un ostacolo al principio di libera circolazione e dall’altra parte consentire ai cittadini dell’Unione che siano divenuti vittime di un reato in uno Stato membro diverso dal proprio, di seguire il processo ed ottenere il risarcimento del danno una volta ritornati in patria. Più nello specifico, gli Stati membri devono assicurare che la vittima di un reato in uno Stato membro diverso da quello di residenza possa sporgere denuncia dinanzi alle autorità competenti dello Stato di residenza, qualora non sia stata in grado di farlo nello Stato in cui è stato commesso il reato o, in caso di reato grave, qualora non abbia desiderato farlo (art. 11, comma 2). Lo Stato membro in cui la vittima risiede, quando non esercita la propria competenza, può trasmettere la denuncia senza indugio all’autorità competente nel territorio dello Stato in cui è stato commesso il reato, che procederà secondo il proprio diritto nazionale (art. 12, comma 2). Per contro, nel caso in cui la vittima abbia sporto denuncia nello Stato di commissione del reato, l’autorità competente dello Stato di

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residenza, deve poter decidere sulla possibilità di raccogliere quanto prima la deposizione della vittima, evitandole di dover ritornare nel luogo di commissione del fatto per rendere testimonianza (art. 12, comma 1).50

1.10 Segue: l’attuazione della decisione quadro 2001/220/GAI

La decisione quadro prescriveva agli Stati membri di emanare entro il 22 marzo 2002 le necessarie disposizioni attuative, di ordine legislativo, regolamentare e amministrativo; entro il 22 marzo 2004 la definizione delle garanzie in materia di comunicazione e di assistenza specifica alla vittima; entro il 22 marzo 2006 l’implementazione della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali e l’indicazione dei reati ritenuti idonei per questo tipo di misure, nonché la garanzia che eventuali raccordi raggiunti tra la vittima e l’autore del reato, nel corso della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali, vengano presi in considerazione. L’attuazione della decisione in questione è stata attentamente monitorata dalla Commissione europea, la quale in due distinte relazioni ha effettuato un bilancio in ordine agli adempimenti richiesti agli Stati membri dalla decisione. Il termine di un anno indicato per il recepimento della maggior parte delle previsioni della decisione quadro si presentava particolarmente esiguo, soprattutto in considerazione della circostanza che lo strumento in esame conteneva disposizioni incidenti su ampie parti della legislazione processuale penale; con la conseguenza che la sua attuazione richiedeva non solo l’introduzione di un determinato numero di norme nell’ordinamento, ma anche di un’attenta riflessione sull’intero sistema processuale

50 Del Tufo V., La vittima di fronte al reato nell’orizzonte europeo, in Fiandaca C. e

Visconti C. (a cura di), Punire, mediare, conciliare. Dalla giustizia penale

internazionale all’elaborazione dei conflitti individuali, Giappichelli, 2009, pag. 107

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penale.51 Nella prima relazione, che costituiva un resoconto della situazione relativa al recepimento al 25 marzo 2003, data la mancanza di contributi di alcuni Stati membri o la loro lacunosità, la Commissione ha dovuto ammettere di aver acquisito una visione solo superficiale circa l’attuazione della decisione quadro, tale tuttavia da consentirle di constatare il suo insoddisfacente stato di recepimento.52 Nel 2009 la Commissione ha elaborato un’ulteriore relazione, contenente l’esame della situazione in materia al 15 Febbraio 2008 nei 27 Stati membri53: sostanzialmente in tale documento si sottolinea il mancato raggiungimento dell’obiettivo di armonizzare la legislazione nel settore, stante la permanenza di ampie disparità tra le normative nazionali. Da parte dell’Italia, del resto, la normativa di attuazione è stata adottata solo nel 2010, quasi quindi dieci anni dopo l’emanazione della decisione: l’art. 53 della legge 4 giugno del 2010, n. 96 contiene i “Principi e criteri direttivi di attuazione della decisione quadro

2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001”.54

Alla decisione

quadro hanno fatto altresì seguito altri strumenti che, sebbene aventi ad oggetto temi specifici, contengono previsioni concernenti le vittime di reati.

51 Sechi P., Vittime di reato e processo penale: il contesto sovranazionale, op.cit.

pag. 852.

52

Commissione delle Comunità Europee, Relazione della commissione, COM(2004) 54, par. 3, pag 17.

53 Commissione delle Comunità Europee, Relazione della commissione, COM(2009)

551.

54

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1.11 La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Come è stato precedentemente sottolineato all’interno di questo elaborato, lo spazio giuridico europeo è stato il palcoscenico sul quale, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è innescato un processo di valorizzazione e riscoperta della vittima di reato. In questo contesto di valorizzazione della vittima come soggetto titolare di diritti nell’ambito del procedimento penale, hanno avuto un peso rilevante, oltre ai documenti normativi, le pronunce della Corte di Giustizia, le quali hanno contribuito a definire la nozione di vittima e i contorni dei suoi diritti nel procedimento. Non si può del resto fare a meno di sottolineare come molte disposizioni della direttiva 2012/29/UE, di cui si tratterà ampiamente in seguito, istituente norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, abbiano le proprie radici in importanti arresti giurisprudenziali.55

1.12 La sentenza Cowan

La prima delle pronunce da analizzare nell’ottica appena introdotta è rappresentata dalla c.d. sentenza Cowan del 2 febbraio del 198956 che ha per prima individuato la base giuridica di futuri testi normativi emanati dalla Comunità europea in materia di tutela della vittima di reato e in particolar modo in materia di risarcimento pubblico alle vittime. La pronuncia arriva a conclusione del ricorso pregiudiziale presentato da un cittadino britannico, il signor Cowan, il quale essendo rimasto vittima di un’aggressione all’uscita della metropolitana mentre si trovava a Parigi, presenta un’istanza di indennizzo alla Commission

d’indemnisation des victimes d’infraction del Tribunal de grande instance di Parigi, pretendendo di essere risarcito, ex art. 706 comma

55Gialuz M., La protezione della vittima tra Corte Edu e Corte di Giustizia, in

Luparia (a cura di), Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra

diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Cedam, 2015, pag. 19.

56

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28

3 del codice di procedura penale francese, non potendo del resto essere risarcito direttamente dal reo in quanto quest’ultimo era rimasto ignoto. Il procuratore del Tesoro non condivide però l’opinione del cittadino britannico, ritenendo che la vittima non possegga i requisiti previsti dall’art. 706 comma 15 del codice di procedura penale, in base al quale possono essere beneficiari dell’indennizzo solo le persone di cittadinanza francese o quelle di cittadinanza straniera che dimostrano di essere cittadine di uno Stato che ha concluso con la Francia un accordo di reciprocità per l’applicazione delle citate norme ovvero coloro che sono titolari del documento denominato tessera del residente. La Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale, dal momento che, secondo Cowan, la disposizione invocata dal procuratore del Tesoro andrebbe a contrastare con il divieto di discriminazione contenuto all’art. 7 del Trattato di Roma, ha rilevato un contrasto tra la suddetta disposizione del codice di procedura penale stabilente i criteri per accedere all’indennizzo pubblico e il divieto di discriminazione di cui all’art. 7 del trattato CEE. La Corte si esprimeva nel senso per cui l’art. 7 prevede che uno Stato membro, per quanto riguarda i soggetti cui il diritto comunitario riconosce la libertà di recarsi in detto Stato, in particolare quali destinatari di servizi, non può prevedere che venga subordinata la concessione di un indennizzo statale finalizzato alla riparazione del danno subito sul proprio territorio al possesso della tessera di residente ovvero della cittadinanza di uno Stato che abbia concluso un accordo di reciprocità. Alla luce di quanto affermato, gli interventi della Comunità europea volti ad armonizzare la tutela delle vittime in materia soprattutto dei sistemi di risarcimento pubblico, trovavano la propria base giuridica nel divieto di discriminazione sancito all’art. 7 del Trattato di Roma.57

57

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1.13 I confini della nozione di vittima nella giurisprudenza della

Corte

Nel decennio trascorso tra l’adozione della decisione quadro 220/2001/GAI e il suo superamento, ci sono stati molteplici interventi della Corte di Giustizia sul tema della vittima di reato. Si riconosceva espressamente del resto che la decisione quadro si limitava a fissare norme minime nella sola materia processuale, come sottolineato nella c.d. sentenza Gueye e Salmeròn Sànchez58 e residuava alle autorità nazionali un vasto potere discrezionale in merito alle concrete modalità di raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla decisione stessa, come si vedrà nella c.d. sentenza Katz59: si sono pertanto sollevati numerosi dubbi sulla compatibilità delle soluzioni normative nazionali con le indicazioni stabilite nelle fonti europee. In primo luogo la Corte si è trovata ad individuare precisamente il significato della locuzione “vittima di reato”: l’indicazione contenuta nell’art.1 della decisione quadro con cui ci si riferiva al pregiudizio mentale e alle sofferenze psichiche, a causa di atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale, avrebbe dovuto condurre ad eliminare la categoria delle persone giuridiche dal concetto di vittima. Nonostante tutto questo, la Corte di Giustizia, in numerosi casi tra cui anche la c.d. sentenza Dell’Orto60

, è stata chiamata in causa più volte su tale argomento, arrivando sempre ad escludere che la protezione accordata dalla decisione quadro, possa estendersi alle persone giuridiche le quali hanno subito un pregiudizio che sia stato causato direttamente da atti od omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro. La Corte di Giustizia si è peraltro espressa sulla posizione della persona giuridica rispetto alla decisione quadro 220/2001/GAI con riguardo all'obbligo di assicurare il risarcimento alla vittima di reato, qualora venga accertata la sua responsabilità per

58 CGUE, 15 Settembre 2011, Gueye e Salmeròn Sànchez, C 483/09 e C 1/10. 59

CGCE, 9 ottobre 2008, Katz, C-404/07.

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