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La condanna dell’Italia per l’incompleta attuazione della direttiva

Le ricadute sull’ordinamento italiano della normativa dell’Unione a tutela delle vittime d

3.2 La condanna dell’Italia per l’incompleta attuazione della direttiva

relativa all’indennizzo delle vittime di reato

La sopra citata direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, è finalizzata a facilitare l’ottenimento di un indennizzo per i cittadini dell’Unione che, vittime di un reato intenzionale e violento in uno Stato membro diverso da quello di residenza, non siano riusciti ad ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi non possiede le risorse necessarie oppure non può essere identificato o perseguito. La Corte di giustizia dell’Unione, nel novembre 2007, ha in un primo momento accertato la mancata adozione, da parte dello Stato italiano, di qualsivoglia misura di attuazione della direttiva entro i termini dalla stessa previsti275. A tale prima condanna ha fatto seguito l’adozione del già sopra citato decreto legislativo n. 204 del 6 novembre 2007, che ha tuttavia rappresentato una trasposizione solamente parziale della direttiva 2004/80/CE. Il decreto legislativo traspone infatti correttamente la direttiva nella parte in cui dispone l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, andando ad individuare le autorità competenti per l’assistenza e la decisione, creando un punto centrale di contatto presso

274 Mazzilli E., La direttiva europea a tutela delle vittime di reato: i primi effetti

nell'ordinamento italiano, op.cit., pag. 721.

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il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile. Tuttavia, né il decreto legislativo, né alcuna norma di legge precedente o successiva istituiscono un comprensivo sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reato. Alcune leggi precedenti, che trovano applicazione anche in ipotesi transnazionali e sono a tal riguardo richiamate dal decreto legislativo, dispongono effettivamente l’indennizzo delle vittime di alcuni specifici reati (quali quelli di stampo mafioso o terroristico), ma si tratta soltanto di una piccola parte dei “reati intenzionali violenti” rispetto ai quali i meccanismi di indennizzo e di cooperazione previsti dalla direttiva 2004/80 dovrebbero operare. Se quindi lo Stato italiano da una parte ha sostanzialmente predisposto un meccanismo di cooperazione che permette ai cittadini dell’Unione residenti in uno Stato membro diverso dall’Italia di accedere al sistema nazionale d’indennizzo, dall’altra ha omesso di rendere applicabile tale sistema alle fattispecie di reato non specifiche. La Commissione è quindi inevitabilmente tornata a interessarsi della questione, avviando una nuova procedura d’infrazione nei confronti dello Stato italiano e chiedendo l’estensione del sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di reato qualificabile, ai sensi dell’ordinamento interno, come intenzionale e violento.276 Lo scorso 11 ottobre 2016, invero, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea277

ha dichiarato l’Italia inadempiente in ordine all’obbligo previsto all’art. 12, par. 2, della sopracitata direttiva 2004/80/CE del Consiglio, relativa all’indennizzo delle vittime di reato. La vicenda nasce da una lettera di diffida278 inviata da parte della Commissione all’Italia nel 2011, nella quale si contestava la mancanza di un sistema generale di indennizzo per le vittime di reati

276 Chiovini F., Incompleta trasposizione della direttiva sull’indennizzo delle vittime

di reato: la responsabilità dello Stato italiano all’attenzione dei tribunali nazionali e, ancora una volta, della Corte di giustizia, Eurojus, 2015, pag. 1.

277 CGUE, Grande Sezione, sentenza 11/10/2016, C-601/114.

278 Dopo una serie di iniziali scambi, la Commissione trasmetteva all’Italia, il 25

novembre 2011, una lettera di diffida che invitava l’Italia a conformarsi alle prescrizioni di cui all’art. 12, par. 2, direttiva 2012/29/UE.

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violenti. A tale diffida aveva fatto seguito nel 2012 la predisposizione da parte del nostro Stato di un progetto di una serie di interventi legislativi volti alla creazione di un sistema che rendesse possibili tali indennizzi. Purtuttavia la Commissione, dal momento che non era stata fornita alcuna indicazione in merito al calendario legislativo con cui tale indicazioni sarebbero state adottate, aveva avviato il procedimento precontenzioso. In seguito a tale evento, l’anno successivo, l’Italia aveva informato la Commissione del fatto che era stata sollevata una questione pregiudiziale, da parte del Tribunale di Firenze, presso la Corte di Giustizia, proprio in merito all’interpretazione dell’art. 12 direttiva 2004/80/CE, proponendo quindi di sospendere la controversia nell’attesa della decisione279

. Investita della questione, nel 2014, la Corte di Giustizia si dichiarava manifestamente incompetente280 e la Commissione europea procedeva a depositare ricorso per inadempimento, volto a far dichiarare inadempiente rispetto alle prescrizioni della direttiva 2004/80/CE. La Commissione europea dal canto suo riteneva che l’art. 12, par. 2, direttiva 2004/80/CE, individuasse un preciso obbligo in capo agli Stati membri, non residuando per questi alcun margine di discrezionalità circa l’ambito di applicazione dell’indennizzo. Quest’ultimo dovrebbe peraltro esser riconosciuto ogniqualvolta un soggetto subisse un reato intenzionale violento, in base al diritto penale di ogni Stato membro. Nonostante nella direttiva manchi una definizione puntuale di “reati intenzionali violenti”, non sorgerebbe comunque la possibilità per gli Stati di escludere talune fattispecie dall’applicazione della normativa. La Commissione riteneva invece che l’Italia, avrebbe previsto l’accesso all’indennizzo esclusivamente alle vittime di reati

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A ciò faceva seguito, il 18 ottobre del 2013, un parere motivato della Commissione, che invitava l’Italia a conformarsi alla direttiva entro i due mesi successivi, mentre la Repubblica italiana ribadiva, nel dicembre del 2013, l’opportunità di attendere il pronunciamento della Corte di Giustizia.

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individuate specificatamente da leggi speciali, andando così ad escludere quelle vittime di reati intenzionali violenti che non rientrino nelle leggi speciali stesse, quali ad esempio, le vittime di stupro. A fronte di tali contestazioni, l’Italia sosteneva, in via preliminare, l’irricevibilità del ricorso depositato dalla Commissione, dal momento che non sarebbe stato in linea con le prime contestazioni mosse al nostro Paese nel 2013, avendone ampliato l’oggetto, mentre, in via subordinata e nel merito, richiamava la base giuridica della direttiva 2004/80/CE, individuandola nell’art. 308 CE. Sulla scorta di tale disposizione, infatti, l’Unione Europea non sarebbe competente a legiferare, tanto sotto il profilo processuale, quanto sostanziale, in ordine alla repressione dei reati di violenza comune previsti nei vari Stati membri, così come circa le loro conseguenze sotto il profilo civile. Il nostro Paese riteneva inoltre di aver adempiuto a tutti gli obblighi previsti dalla direttiva, evidenziando altresì la presenza di molteplici normative speciali che garantiscono, a favore della vittima, la possibilità di ricevere un indennizzo. L’Italia sosteneva inoltre che gli Stati membri potrebbero persino individuare le fattispecie concretamente indennizzabili, grazie al potere discrezionale di cui quest’ultimi godono in merito all’individuazione dei singoli reati intenzionali violenti. In ultimo luogo il nostro Stato riteneva che l’interpretazione della commissione in merito all’art. 12, par. 2, qualora accolta, avrebbe comportato la violazione del principio di proporzionalità, dal momento che avrebbe così attribuito all’Unione Europea la competenza ad adottare misure riguardanti questioni particolarmente interne. La Corte di Giustizia nella sentenza dell’ottobre 2016, C-601/14, ha dichiarato in primo luogo la ricevibilità del ricorso presentato dalla Commissione europea, ritenendo che essa in realtà non avesse ampliato l’oggetto della contestazione originaria, dal momento che, dalla lettura degli atti, si

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rendeva evidente che con il richiamo ad alcuni specifici reati si intendeva illustrare “le conseguenze concrete del fatto, non

contestato dalla Repubblica italiana, che tutti i reati intenzionali violenti non erano coperti dal sistema di indennizzo in vigore in Italia”281

, con la conseguenza che le singole fattispecie individuate venivano indicate solo a titolo di esempio. In merito poi all’eccezione relativa all’art. 308 CE, la Corte di Giustizia, richiamando la giurisprudenza costante, in base alla quale “in

mancanza di una disposizione del TFUE che lo autorizzi espressamente, uno Stato membro non può utilmente eccepire l’illegittimità di una direttiva, di cui sia destinatario, come argomento difensivo contro un ricorso per inadempimento basato sulla mancata esecuzione di tale direttiva. Una soluzione diversa potrebbe valere solo se l’atto fosse inficiato da vizi particolarmente gravi ed evidenti, al punto da potersi considerare un atto inesistente”282, ha ritenuto che l’Italia aveva di fatto inutilmente eccepito l’invalidità dell’art. 12, par. 2, direttiva 2012/29/UE. Avendo poi riguardo all’argomento, in base al quale, il legislatore dell’Unione Europea aveva abbandonato, nel corso della procedura legislativa, il fine iniziale di stabilire norme precise in materia di indennizzo delle vittime di reato, la Corte di Giustizia, tenendo anche conto del sistema in cui si inserisce, ha richiamato gli obiettivi della medesima, ovvero la volontà di abolire gli ostacoli alla libera circolazione delle persone. La Corte ha inoltre aggiunto che la lettera della disposizione oggetto del ricorso non consentirebbe una limitazione dell’applicazione del sistema di indennizzo ad una sola parte di reati violenti. In relazione a tali ultimi profili succitati, la direttiva comporta che gli Stati membri devono assicurare “che, se

un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l’indennizzo risiede

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CGUE, Grande Sezione, sentenza 11/10/2016, C-601/114.

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abitualmente, gli Stati membri assicurano che il richiedente abbia diritto a presentare la domanda presso un’autorità o qualsiasi altro organismo dello Stato membro di residenza”283, precisando altresì che le disposizioni in tema di accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano “sulla base dei sistemi degli Stati

membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori”.284 Conseguentemente dunque la Corte di Giustizia ritiene che l’art. 12, par. 2, della direttiva, deve essere interpretato “nel senso che esso mira a

garantire al cittadino dell’Unione il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio di uno Stato membro nel quale si trova, nell’ambito dell’esercizio del proprio diritto alla libera circolazione, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio”. Si sottolinea

in ultimo luogo che la medesima disposizione pone in capo agli Stati membri l’obbligo di adottare un sistema nazionale che garantisca l’indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio, mentre con riferimento all’Italia non tutti i reati intenzionali violenti sarebbero coperti da un sistema di indennizzo, con la conseguenza che, secondo la Corte di Giustizia, il nostro Paese non ha pienamente attuato l’art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80/CE, dovendo così essere dichiarata la fondatezza del ricorso della Commissione.285

283 Ibidem. 284 Ibidem.

285 Troglia M., La Corte di Giustizia dell’Unione Europea dichiara l’Italia

inadempiente in relazione al sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, Diritto penale contemporaneo, 2016, pag. 5.

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