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La direttiva 2011/99 sull’ordine di protezione europeo

Una problematica specifica, riguardante la vittima di reato, si sostanzia nell’adozione di cautele appropriate finalizzate a proteggere tale soggetto dalle minacce di azioni criminali altrui. Può accadere in particolare che la vittima di un reato sia esposta al rischio di intimidazioni da parte dell’accusato sia allo scopo di ritorsione, sia al fine di indurla a ritirare le accuse o a non deporre in qualità di testimone. Bisogna del resto considerare come i soggetti passivi di reati, quali lo stalking, la violenza domestica o la violenza sessuale, siano esposti ad una elevata probabilità di reiterazione, andando incontro alla eventualità di essere di nuovo lesi dalla stessa condotta criminosa posta in essere dall’originario autore del reato89. E’

significativo a tal proposito l’orientamento della Corte di Strasburgo che anche di recente ha affermato che si pone in capo allo Stato un obbligo positivo di adottare misure preventive atte a proteggere un individuo la cui vita si trovi a rischio, ravvisandosi una violazione del diritto alla vita tutelato all’art. 2 della CEDU: si trattava di un caso in cui non si era provveduto a predisporre misure adeguate a tutela della vittima, che era stata poi uccisa, al fine di prevenire azioni, da parte

88Savy D., Il trattamento delle vittime dei reati nella nuova disciplina dell'Unione

Europea, Il Diritto dell’Unione Europea, 2013, fasc.3, pag. 613.

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Sechi P., Vittime di reato e processo penale: il contesto sovranazionale, op.cit., pag. 852.

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dell’aggressore, nei confronti dell’integrità fisica di una donna vittima di violenza domestica, pur essendosi la stessa rivolta più volte all’autorità giudiziaria90

. In tale ottica assume particolare rilievo la direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 Dicembre 2011 con cui l’Unione ha dato ulteriore esecuzione al percorso tracciato dalla “tabella di marcia” contenuta nella sopracitata Risoluzione del Consiglio del 10 Giugno del medesimo anno. L’EPO (European Protection Order) si inserisce tra gli strumenti tesi a realizzare la cooperazione giudiziaria in materia penale, con la finalità di istituire un meccanismo diretto ad assicurare il mutuo riconoscimento delle decisioni relative a misure di protezione nei confronti delle vittime o potenziali vittime di reato. Obiettivo primario della direttiva è la previsione di norme finalizzate a garantire che la protezione fornita dalla legge di uno Stato membro (c.d. Stato di emissione91) ad un soggetto, sia estesa ad un altro Stato membro (Stato di esecuzione92). Il nuovo strumento, pertanto, non ha comportato un vero e proprio irrobustimento dei diritti della vittima nel procedimento penale, ma mira ad evitare la “perdita di protezione” per coloro che siano ritenuti, negli Stati membri di provenienza, potenziali destinatari di comportamenti criminosi. Proprio al fine di precisare che l’ordine di protezione europeo non costituisce una specifica misura di protezione, ma attua il principio del mutuo riconoscimento, la direttiva precisa che lo stesso consiste in una “decisione adottata dall’autorità giudiziaria o

equivalente di uno Stato membro in relazione ad una misura di

90 V. Corte edu, Opuz c. Turchia, 9 giugno 2009, par. 146-149. Nel caso di specie, in

risposta alle ripetute richieste di protezione della vittima, la polizia giudiziaria e l’autorità giurisdizionale avevano semplicemente acquisito dichiarazioni da parte dell’aggressore e lo avevano scarcerato. Quest’ultimo aveva poi ucciso la vittima, nell’inerzia delle autorità che per due settimane non avevano adottato alcun provvedimento fatta eccezione per quelli sopracitati.

91 La direttiva 2011/99/UE chiarisce all’art. 2 n. 5, che si tratta dello Stato membro in

cui è stata adottata la misura di protezione, che costituisce la base dell’emissione dell’ordine di protezione europeo.

92 Sempre la direttiva 2001/99/UE definisce come “Stato di esecuzione lo Stato

membro al quale è stato trasmesso, affinché lo riconosca, un ordine di protezione europeo (v. art. 2 n. 6).

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protezione sulla cui base l’autorità giudiziaria o equivalente di un altro Stato membro prende misure appropriate secondo la propria legislazione interna al fine di continuare a proteggere la persona protetta”93

. La direttiva che, oltre a chiarire che oggetto della

medesima sono solo le misure di natura penale, lascia spazio agli Stati membri quanto alla designazione delle autorità competenti ad emettere e riconoscere un ordine di protezione europeo, prevedendo che le stesse siano coadiuvate anche da un’autorità centrale, con compiti di natura trasmissiva, informativa e di ricezione amministrativa. Con riguardo ai presupposti sostanziali per l’emissione di un ordine di protezione europeo, l’art. 5 della direttiva chiarisce che l’EPO può essere adottato “solo se nello Stato di emissione è stata

precedentemente adottata una misura di protezione che impone alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o delle seguenti restrizioni: a) divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o determinate zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta; b) divieto o regolamentazione dei contatti, in qualsiasi forma, con la persona protetta, anche per telefono, posta elettronica o ordinaria, fax o altro; c) divieto o regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito.”94 Si precisa inoltre sempre con riferimento alla

procedura di emissione che l’autorità competente a decidere sulla concessione dell’EPO deve procedere ad un’analisi che tenga conto altresì della durata dei periodi in cui la persona protetta intenda soggiornare nello Stato di esecuzione. Quanto al procedimento, la concessione di un EPO da parte dell’autorità procedente, cui è fatto obbligo di informare la persona beneficiaria di tale possibilità per il caso di trasferimento all'interno di altro Stato dell'Unione Europea95, nonché della facoltà di impugnare l'eventuale diniego della

93 Art 2., direttiva 2011/99/UE 94

Art. 5, direttiva 2011/99/UE

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concessione96, è subordinata all'esclusiva richiesta della persona protetta, previo esperimento di un contraddittorio, seppure limitato, con la persona che costituisce la fonte del pericolo. Si attribuisce in particolare il diritto al soggetto in questione di essere ascoltato e di contestare la misura, salvo che detti diritti non siano già stati esercitati proprio nel procedimento che ha portato all'adozione della misura di protezione97.Quanto alla fase del riconoscimento, lo Stato di esecuzione una volta ricevuto l’EPO, vi dà attuazione “senza indugio”, adottando “le misure che sarebbero previste dalla legislazione

nazionale in un caso analogo per garantire la protezione della persona protetta”98. Si aggiunge al contempo che la misura adottata dallo Stato di esecuzione deve corrispondere, nel maggior modo possibile, a quella adottata dallo Stato di emissione dell’EPO: differentemente la protezione potrà essere conseguita con un provvedimento diverso, a condizione che sia equivalente a quello disposto nello Stato di emissione. Quanto a motivi di non riconoscimento di un ordine di protezione europeo, la facoltà di rifiuto è prevista solo in presenza di ipotesi tassative,99 fra cui, ad esempio, l'incompletezza formale dell'ordine di protezione o il caso in cui la misura di protezione sia prevista dallo Stato d'origine con riferimento ad un comportamento che non costituisce reato secondo la legislazione dello Stato di esecuzione.100

96 Cfr. art. 6, par. 7. 97 Cfr. art. 6, par. 4. 98

V. art 9 direttiva 2011/99/UE

99 art. 10 della direttiva

100 Troglia M., L’ordine di protezione europeo dalla direttiva italiana alla recente

legislazione italiana di recepimento: alcune riflessioni, Cassazione Penale, 2015,

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