DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E
FORME DEL SAPERE
CORSO DI LAUREA IN STORIA E
CIVILT
À
TESI DI LAUREA
Biografie gappiste. Riflessioni sulla narrazione
e sulla legittimazione della violenza resistenziale
CANDIDATO
RELATORE
Gabriele Aggradevole Prof. Gianluca Fulvetti
CORRELATORE
Prof. Luca Baldissara
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Indice
Elenco sigle e abbreviazioni 5
Introduzione 6
1. Il gappismo 1.1Quando nascono i GAP 8
1.2Le finalità del PCI 12
1.3La derivazione dai FTP e il terrorismo urbano 13 1.4Il retroterra della guerra civile spagnola 15
1.5Le caratteristiche dei GAP 17
1.6L’attesismo all’interno del CLN e il problema delle rappresaglie 20
1.6.a Via Rasella 22
1.6.b Il delitto Gentile 28
1.7 Fasi cronologiche dell’attività dei GAP nel corso della Resistenza 32
1.7.a L’avvio 32
1.7.b Lo sviluppo 34
1.7.c La crisi e le cadute 37
1.7.d La nascita delle SAP 40
1.7.e Faticosa ripresa e nuovo oblio 41
1.7.f Gappismo di massa, specificità emiliana 44
2. Biografie 2.1Ilio Barontini 47 2.2Giovanni Pesce 57 2.3Rosario Bentivegna 67 2.4Mario Fiorentini 77 2.5Franco Calamandrei 84 2.6Renato Romagnoli 90 2.7Bruno Fanciullacci 100 2.8Giacomo Buranello 109
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3. Riflessioni sulla violenza
3.1La scelta 120
3.2La violenza 124
3.2.a Generazione 124
3.2.b Contesto 126
3.2.c Classe 127
3.2.d Il racconto e la giustificazione della violenza nelle opere dei gappisti 130
3.2.e Considerazioni 136
Conclusione 142
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Elenco sigle e abbreviazioni
ANPI: Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. CIA: Central Intelligence Agency.
CLN: Comitato di liberazione nazionale.
CTLN: Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. CTV: Corpo Truppe Volontarie.
CUMER: Comando Unico Militare Emilia-Romagna. CVL: Corpo Volontari della Libertà.
EPLJ: Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. FTP: Francs-tireurs et partisans.
GAP: Gruppi di azione patriottica. GUF: Gruppi universitari fascisti
GUM: Gruppo di Unificazione Marxista.
MVSN: Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. NATO: Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. OSS: Office of Strategic Services.
OVRA: Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo.
PCd’I: Partito Comunista d’Italia. PCI: Partito Comunista Italiano. Pd’A: Partito d’Azione.
PLI: Partito Liberale Italiano. PNF: Partito Nazionale Fascista PRI: Partito Repubblicano Italiano. PS: Pubblica Sicurezza.
PSI: Partito Socialista Italiano.
PSIUP: Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. RSI: Repubblica Sociale Italiana.
RSS: Reparto Servizi Speciali. SAP: Squadre di azione patriottica. SS: Schutzstaffeln.
UPI: Ufficio Politico Investigativo.
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Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro è lo sviluppo di una riflessione sulla tematica della violenza dispiegatasi nel corso della Resistenza italiana, tra settembre 1943 e maggio 1945, limitatamente al solo campo partigiano. Per far questo, mi sono avvalso, come supporto irrinunciabile, di alcuni testi di autori, quali Luigi Borgomaneri, Manlio Calegari, Claudio Pavone e Santo Peli, che hanno scritto a proposito di tale questione. Dopodiché, ho stilato una serie di biografie, i cui soggetti sono stati portatori di armi e di morte nel suddetto periodo, e, in molti casi, hanno elaborato testimonianze a posteriori a riguardo.
Nel primo capitolo, ho descritto sotto vari aspetti il fenomeno del gappismo, riconoscendo nella guerriglia urbana, per la frequenza con cui sono state compiute uccisioni mirate, ad
personam, a sangue freddo e per la condizione di isolamento che ha
privato i combattenti di un quanto mai utile sostegno morale e psicologico, una delle forme più dure e drastiche di lotta. Ne ho, dunque, delineato le principali caratteristiche, le finalità che hanno portato alla sua nascita, le problematiche organizzative ed etiche che sono state affrontate, le azioni più significative e discusse, e, attraverso l’enunciazione delle sue fasi cronologiche e dei suoi momenti più sintomatici, il modo in cui il gappismo si sia andato a inserire nella, ben più ampia, storia resistenziale.
Il secondo capitolo è dedicato alla ricostruzione di alcuni profili biografici, finalizzata a formulare un ragionamento sulla significatività degli ambienti familiari e sociali, come pure di certi incontri, esperienze e trascorsi, per l’assunzione di determinate scelte in direzione antifascista e antitedesca, e per la maturazione di una disponibilità individuale all’utilizzo della violenza. Nella selezione delle figure di cui ricomporre il background, ho cercato di ricomprendere più situazioni e opzioni possibili, includendo persone di estrazione sociale sia proletaria che borghese, operai e
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studenti, con età diverse e differenti gradi di politicizzazione. Allo stesso modo, delineando i loro percorsi e le zone in cui sono andati ad operare, ho tentato di andare a toccare le principali città dell’Italia centro-settentrionale in cui la vicenda gappista si è manifestata, così da avere un quadro sufficientemente esauriente anche a livello geografico: ciò è valso per Torino e Milano tramite Giovanni Pesce, per Genova con Giacomo Buranello, per Firenze con Bruno Fanciullacci, per Roma con Rosario Bentivegna, Mario Fiorentini e Franco Calamandrei, per Bologna e l’Emilia-Romagna attraverso le esperienze di Renato Romagnoli e Ilio Barontini.
Nel terzo capitolo, partendo dalla specificità di questi ritratti personali, ho riportato la questione su un piano più generale, allo scopo di produrre una serie di considerazioni riguardanti il tema della violenza ed il modo in cui, su tale argomento, i protagonisti, che di essa hanno fatto impiego in prima persona in ambito resistenziale, si sono espressi.
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Capitolo 1. Il gappismo
1.1 Quando nascono i GAP
Il primo documento in cui si parla in modo esplicito dei Gruppi di azione patriottica è una lettera che Antonio Roasio1, rientrato nel
gennaio 1943 in Italia dalla Francia come uno dei tre responsabili del centro interno del Partito comunista e stabilitosi a Bologna con l’incarico di dirigere le organizzazioni clandestine dell’Emilia, del Veneto e della Toscana, invia alle organizzazioni regionali del partito alla fine di aprile:
Perciò verso la fine dell’aprile 1943 venni incaricato dal centro di preparare una lettera da inviare a tutte le nostre organizzazioni in cui si poneva la necessità di attrezzare i militanti alla lotta armata a mezzo dell’organizzazione di Gruppi di azione patriottica, GAP, capaci di condurre azioni di sabotaggio delle attrezzature militari e contro i massimi dirigenti del partito fascista. […] La struttura organizzativa dei gruppi armati doveva essere semplice, di gruppi di tre combattenti, i più audaci; bisognava che si procurassero le armi e incominciassero a prendere pratica con azioni dapprima più facili fino a quelle contro i dirigenti del regime. L’organizzazione militare doveva essere separata da quella del partito, tra i combattenti si doveva instaurare una disciplina rigida e solida, gli uomini dovevano essere preparati a tutti i rischi e quindi dotati di un alto spirito di sacrificio. La struttura dei GAP rifletteva grosso modo quella dei FTP in Francia, di cui facevano già parte numerosi nostri compagni. Nella circolare non si parlava ancora di organizzare un movimento partigiano che dovesse agire in montagna, anche se questa forma di lotta non veniva scartata2.
Nell’immediato, la missiva di Roasio non produce effetti, «la lotta armata rimase un desiderio»3, eccezion fatta per la creazione di piccoli nuclei partigiani in Friuli.
1 Antonio Roasio (1902-1986). Fu socialista, poi comunista. Frequentò la
scuola leninista in Unione Sovietica. Fu in Spagna nel 1936. Rientrato in Italia nel gennaio 1943, entrò a far parte del Comando generale delle brigate Garibaldi. Nel 1944 divenne responsabile del Triumvirato Insurrezionale della Toscana fino alla liberazione di Firenze, in AA. VV., Enciclopedia dell’antifascismo e della
Resistenza (d’ora in poi Ear), vol. V, La Pietra, Milano 1987, pp. 206-207.
2 Antonio Roasio, Figlio della classe operaia, Vangelista, Milano 1977, p. 206.
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È il cambiamento di scenario, provocato l’8 settembre 1943 dall’annuncio dell’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile, firmato cinque giorni prima, tra Regno d’Italia e anglo-americani, a porre l’esigenza di organizzare concretamente una resistenza armata. La cessazione delle ostilità, comunicata da Pietro Badoglio4, nominato nuovo presidente del Consiglio dal re Vittorio Emanuele III5 in seguito alla destituzione e all’arresto di Benito Mussolini6, avvenuti tra 24 e 25 luglio 19437, lascia l’Italia nel caos. A creare ancora maggior confusione nella popolazione e, soprattutto, nell’esercito italiano, rimasto privo di ordini, è la decisione presa dal re, da Badoglio e dagli altri membri del governo di abbandonare Roma e fuggire a Brindisi, già in mano alle truppe alleate. Nel frattempo, le truppe tedesche occupano l’Italia centro-settentrionale e il 23 settembre Mussolini, liberato il 12 dello stesso mese da paracadutisti tedeschi dalla prigione sul Gran Sasso dove era stato recluso, annuncia la costituzione di un nuovo Stato
4Pietro Badoglio (1871-1956). Fu militare e politico. Capo di Stato Maggiore
dal 1925, condusse la campagna in Etiopia nel 1935-1936, si dimise nel 1940. Destituito Mussolini, fu incaricato di formare il governo per trattare l’uscita dalla Seconda guerra mondiale e l’armistizio con gli Alleati. Il 22 aprile 1944 costituì un secondo governo a Salerno. In seguito alla liberazione di Roma nel giugno 1944, si ritirò dalla scena, in Dizionario Biografico degli Italiani (d’ora in poi
DBI), ad nomen, consultato il 26-06-2019.
5 Vittorio Emanuele III (1869-1947). Fu re d’Italia dal 1900 al 9 maggio
1946, quando abdicò in favore del figlio Umberto II. Inoltre, nel 1936 assunse il titolo di imperatore d’Etiopia e nel 1939 di re d’Albania, in Wikipedia, ad
nomen, consultato il 26-06-2019.
6Benito Mussolini (1883-1945). Fu esponente del Partito Socialista Italiano e
direttore del quotidiano «Avanti!». Nel 1919 fondò il movimento politico dei Fasci italiani di combattimento, poi divenuto Partito Nazionale Fascista nel 1921. In seguito alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922, venne incaricato dal re di dar vita a un nuovo governo, instaurando in pochi anni un regime dittatoriale. Deposto dal suo incarico ed arrestato nel luglio 1943, fu liberato dai tedeschi e posto a capo della neonata Repubblica Sociale Italiana. In seguito alla definitiva sconfitta nazifascista, tentò la fuga, ma fu catturato e ucciso dai partigiani, in
DBI, ad nomen, consultato il 26-06-2019.
7Nella seduta del Gran Consiglio del fascismo, tenutasi nella notte tra 24 e
25 luglio 1943, fu messo in votazione e approvato un ordine del giorno che proponeva la restituzione dell’alto comando militare, incarico affidato a Mussolini sin dall’entrata in guerra, al re. Ciò ebbe il significato di una sconfessione della dirigenza di Mussolini, che fu sostituito a capo del governo da Badoglio ed arrestato.
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fascista repubblicano, la Repubblica Sociale Italiana, avente capitale a Salò8.
Dal canto loro, all’indomani del «colpo di Stato monarchico che creò un nuovo campo di azione, che ci diede la possibilità di intervenire»9, gli esponenti dei partiti antifascisti aderiscono ad un comitato di coordinamento delle opposizioni, chiamato Comitato centrale delle opposizioni, al fine di esercitare una pressione sul governo Badoglio, atta a richiedere lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista e delle istituzioni del regime, l’inizio di trattative immediate per ottenere un armistizio, la liberazione dei detenuti e dei confinati politici, il ripristino delle libertà civili e politiche. Per Giorgio Amendola10, rappresentante del PCI nel
Comitato centrale delle opposizioni, essenziale è il rilascio di detenuti e confinati politici, ossia la riacquisizione di «un patrimonio prezioso di cui il partito aveva assoluto bisogno per dare una organizzazione e una direzione all’afflusso crescente di nuove adesioni»11:
Il chiodo fisso era la liberazione dei carcerati e dei confinati politici. Le altre rivendicazioni (arresto dei gerarchi fascisti, ricostituzione dei partiti democratici, libertà di stampa) erano il contorno di quella che a me sembrava la condizione essenziale […] E del resto, per la libertà di stampa e per la ricostituzione dei partiti, il governo aveva già opposto una negativa, utilizzando l’argomento di non allarmare i tedeschi e di non dare pretesti per intervenire. […] Io avevo la coscienza che potevamo disporre di poco tempo per liberare i compagni, riorganizzare il partito, formare i suoi organi di direzione ed essere pronti per il momento della rottura. Bisognava perciò premere su Badoglio […]12.
8 Alberto Mario Banti, L’età contemporanea. Dalla Grande Guerra a oggi, Laterza, Bari 2009, p. 238.
9 Giorgio Amendola, Lettere a Milano. 1939-1945, Editori Riuniti, Roma
1973, p. 113.
10Giorgio Amendola (1907-1980). Aderì al PCI nel 1929. Dopo il confino
nell’isola di Ponza, espatriò in Francia e poi raggiunse Tunisi. Soggiornò a Marsiglia presso il centro esteri del PCI. Rientrò in Italia e a Roma rappresentò il partito nel CLN. Nel maggio 1944 fu a Milano nel Comando generale delle brigate Garibaldi. Nel dopoguerra, fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Ferruccio Parri e Alcide De Gasperi, e a lungo deputato, in Franco Giannantoni e Ibio Paolucci, Giovanni Pesce “Visone” un comunista che ha
fatto l’Italia, Arterigere-EsseZeta, Varese 2005, p. 36. 11Amendola, Lettere a Milano, cit., p.131. 12Ibid., p. 129.
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Il ritorno in libertà dei principali dirigenti comunisti porta ad una riunione plenaria del partito, tenutasi a Roma a fine agosto, in cui viene decisa la costituzione di una direzione, che è divisa in due gruppi, aventi sede a Roma e a Milano, per via della probabilità, poi disattesa, di uno sbarco alleato a nord della capitale al momento dell’armistizio: il gruppo di Milano, a quel punto, avrebbe avuto la funzione di dirigere la lotta nel territorio occupato dai tedeschi, mentre a quello di Roma sarebbe spettata la direzione dell’azione del partito nella zona liberata. In realtà, lo sbarco alleato avviene il 9 settembre a Salerno, e l’auspicata liberazione di Roma non si realizza in tempi tanto brevi.
Nello stesso giorno, il Comitato centrale delle opposizioni assume la denominazione di Comitato di Liberazione Nazionale, composto dai rappresentanti del Partito d’Azione, della Democrazia cristiana, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, del Partito Repubblicano Italiano, del Partito Liberale Italiano, del Partito democratico del lavoro e del Partito Comunista Italiano, unitisi allo scopo di opporsi all’occupazione nazista e di riempire il vuoto di potere determinatosi dopo la fuga del re.
È nel contesto appena delineato che, a Milano, il PCI, prima in una riunione tenuta il 20 settembre 1943 in via Lulli 30 nell’abitazione dei coniugi Morini, poi in una seconda svoltasi pochi giorni dopo in viale Monza 23 presso la famiglia Mazzola, costituisce il Comando generale delle brigate Garibaldi, di cui Luigi Longo13 è comandante e Pietro Secchia14 commissario
13Luigi Longo (1900-1980). Fu dirigente comunista di primo piano. Nella
guerra civile spagnola fu ispettore generale delle Brigate Internazionali. Dopo la sconfitta, venne arrestato in Francia e internato nei campi del Vernet d’Ariège. Passato in Italia, fu confinato nell’isola di Ventotene. Nel corso della Resistenza, fu comandante delle brigate Garibaldi e vice comandante del Corpo Volontari della Libertà. Fu segretario generale del PCI dal 1964 al 1972, in AA.VV., Ear, vol. III, La Pietra, Milano 1976, pp. 406-409.
14Pietro Secchia (1903-1972). Fu un importante dirigente comunista. Fin da
giovane fu impegnato nella lotta politica e più volte arrestato. Fu condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a 17 anni e 9 mesi. Amnistiato nel 1936, fu confinato a Ponza e a Ventotene. Liberato il 19 agosto 1943, alla costituzione del Comando generale delle brigate Garibaldi ne divenne commissario politico. Dopo la Liberazione, fu membro del Comitato Centrale del PCI e vicesegretario del partito dal 1948 al 1954, in AA. VV., Ear, vol. V, cit., pp. 454-464.
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politico, e, in concomitanza, istituisce i Gruppi di azione patriottica15.
1.2 Le finalità del PCI
I Gap sono «nuclei partigiani creati per la guerriglia urbana»16. Essi rappresentano la struttura operativa cui il PCI si affida per far detonare la lotta armata in città, in attesa che si consolidino le brigate Garibaldi17, la cui gestazione è necessariamente più lunga,
in quanto si tratta di aggregare, disciplinare e coordinare il crescente flusso verso la montagna di uomini, tra cui soldati sbandati e giovani renitenti alla leva imposta dalla neonata RSI. Alle iniziative gappiste è, quindi, demandato il compito di «scendere immediatamente sul terreno della lotta armata»18, così da dimostrare che il dominio dell’occupante tedesco e fascista sulle città non è affatto incontrastato, e da evidenziarne la precarietà. Gli esempi concreti di lotta da parte di questa avanguardia coraggiosa e disposta al sacrificio devono servire, nelle intenzioni del Partito comunista, a «trasformare la presente passività delle masse in una combattività dispiegata»19. Le masse, specialmente la classe operaia del nord, sono ritenute in possesso di un grande potenziale di lotta da attivare. Le azioni si svolgono dentro la città, sotto gli occhi di una popolazione che, suo malgrado, viene coinvolta ed investita da misure di ritorsione e di prevenzione, quali l’aumento
15 Francesco Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in
Lombardia. Lezioni tenute nella Sala dei Congressi della Provincia di Milano (febbraio-aprile 1965), Labor, Milano 1965, pp. 65-66.
16 Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della
Resistenza, vol. II, Luoghi, formazioni, protagonisti, Einaudi, Torino 2001, p.
209.
17Le brigate Garibaldi furono formazioni armate, organizzate dal PCI, aventi
il compito di essere il nerbo dell’esercito partigiano, attestato soprattutto sulle montagne. Le prime bande sorsero in Friuli e in Piemonte. Dal punto di vista della struttura, una brigata era formata da 4-5 distaccamenti, a loro volta articolati in 4-5 squadre ciascuno. Il comandante di brigata doveva curare la preparazione militare della formazione e la realizzazione delle operazioni; il commissario si doveva occupare della preparazione politica della brigata, del morale degli uomini, della disciplina e dei rapporti con la popolazione.
18 Santo Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004, p. 250.
19 Santo Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza, Einaudi, Torino 2014, p. 17.
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delle ore di coprifuoco o il divieto di circolazione in bicicletta, che è il mezzo più utilizzato dai gappisti, oppure, nei casi più estremi e drammatici, le rappresaglie. In questo senso, il gappismo può essere visto come «guerra partigiana messa in scena davanti a un pubblico di massa»20.
Così parla Remo Scappini21, allora inviato dal PCI a Torino in qualità di ispettore:
[…] la massa ha bisogno di guida e di organizzazione, ma soprattutto essa ha bisogno di esempi. […] Queste masse però sono passive, manca l’atmosfera di “guerra”, di lotta contro i tedeschi e fascisti. Ed è questa atmosfera che bisogna creare con l’esempio dell’azione22.
La creazione di un’atmosfera di guerra è contraria al clima di normalità che la «sapiente regia tedesca»23 è interessata a mantenere nei principali centri urbani, di modo da poterne sfruttare, con il minor dispendio possibile di forze, le risorse industriali e la forza lavoro. Ai GAP spetta il compito di far percepire alla popolazione la brutalità dell’occupazione, e ciò è possibile attraverso azioni di guerriglia che costringano i tedeschi a mostrare «il vero volto dell’occupazione»24.
1.3 La derivazione dai FTP e il terrorismo
urbano
I Gruppi di azione patriottica sono mutuati dai gruppi di
Francs-tireurs et partisans francesi, di cui riproducono struttura
20 Peli, La Resistenza in Italia, cit., p. 255.
21 Remo Scappini (1908-1994). Si iscrisse alla Federazione giovanile
comunista nel 1923. Nel 1928 fu nominato viceresponsabile del PCI per la Toscana. Espatriato a Parigi per sfuggire all’arresto della polizia, fu inviato a studiare alla scuola leninista a Mosca fino alla fine del 1932. Arrestato durante un viaggio in Italia, rimase in carcere fino all’ottobre 1942. Durante la Resistenza, il partito lo inviò prima a Torino e poi a Genova. Nel giugno 1944 fu nominato responsabile del Triumvirato insurrezionale della Liguria. Fu membro e, in seguito, presidente del CLN della Liguria, in Donne e Uomini della
Resistenza, ad nomen, consultato il 26-06-2019.
22 Remo Scappini (Giovanni), Considerazioni sulla situazione generale del
Piemonte con particolare riferimento a Torino del 30-09-1943, in Pietro Secchia,
Il Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945. Ricordi, documenti inediti e testimonianze, Feltrinelli, Milano 1973, p. 120.
23Peli, Storie di Gap, cit., p. 20. 24Ibid., p. 23.
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organizzativa e tecniche del terrorismo urbano. Decisivo per la creazione dei GAP è quel nucleo ristretto di militanti e dirigenti comunisti che, forte dell’esperienza della concreta organizzazione della lotta armata di città, compiuta tra l’autunno del 1942 e i primi mesi del 1943 nella Francia meridionale, soprattutto a Lione e a Marsiglia, importa in Italia la conoscenza acquisita.
Così si esprime Giorgio Amendola:
L’esperienza di lotta armata vissuta a Marsiglia fu molto importante per gli sviluppi futuri della guerra partigiana in Italia. […] quando si trattò di iniziare a Roma la lotta armata, io mi ricordai delle lezioni marsigliesi di Ilio [Barontini25, N.d.A.] e cercai di metterle a profitto26.
Parimenti, Francesco Scotti27:
A Parigi, Marsiglia, Lione, Tolosa, Nizza, Grenoble, Bordeaux e in tante altre città francesi, gli invasori tedeschi e i loro collaboratori da tempo ormai venivano colpiti con ogni mezzo e in ogni luogo dai Francs tireurs et partisans. Molti antifascisti italiani si onoravano di militare nelle file dei FTP. Fu quella per noi un’esperienza preziosa28.
Come detto, i gappisti combattono secondo le modalità classiche del terrorismo, ovvero sia con uccisioni mirate ed esemplari di singoli individui, quali quadri militari, spie e altre figure ritenute pericolose, sia con attentati dinamitardi contro sedi, installazioni e luoghi di svago del nemico nazifascista. Per il contesto in cui è sorto e per gli obiettivi per cui si è battuto, il terrorismo resistenziale esula nettamente dal significato che il termine ha assunto, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, di «violenze
25 Ilio Barontini (1890-1951). Fu consigliere comunale e segretario della
sezione comunista di Livorno. Perseguitato dal regime fascista, nel 1931 espatriò in Francia. Fu inviato in Russia e, nel 1936, in Spagna, dove fu commissario politico del battaglione Garibaldi, divenendone comandante nella battaglia di Guadalajara. Fu combattente in Etiopia e organizzatore dei FTP in Francia. Ispettore e istruttore itinerante del PCI nel corso della Resistenza, nel 1944 divenne comandante del CUMER, in AA. VV., Ear, vol. I, La Pietra, Milano 1968, p. 251.
26Amendola, Lettere a Milano, cit., pp. 61-62.
27Francesco Scotti (1910-1973). Fu studente di medicina a Milano. Arrestato,
restò in carcere dall’ottobre 1931 al settembre 1934. Espatriò in Francia, combatté nella guerra civile spagnola e nelle file dei FTP. Nel corso della Resistenza, diresse le formazioni garibaldine prima in Lombardia e poi in Piemonte, in Giannantoni e Paolucci, Giovanni Pesce “Visone” un comunista
che ha fatto l’Italia, cit., p. 65.
28Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX
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intimidatorie contro alte personalità del mondo economico, politico e statale in generale, e di attentati dinamitardi contro la popolazione civile, circondando così di una valenza criminale e sinistra vocaboli che nella storia dei movimenti di liberazione dei vari paesi hanno avuto e sono stati usati in un’accezione affatto diversa»29. Il terrorismo urbano, proprio dei GAP, è «la punta estrema della reazione armata al nazifascismo, con motivazioni e implicazioni lontane tanto da quelle degli attentatori ottocenteschi quanto da quelle dei terroristi degli anni settanta e ottanta del Novecento»30. Esso rappresenta «una tappa obbligata per chiunque intenda creare le condizioni favorevoli alla nascita e allo sviluppo di una lotta armata di massa. Se si sceglie di non delegare la liberazione a forze esterne, l’asimmetria di quelle in campo e il soffocamento delle libertà democratiche non consentono alternative valide»31.
Nell’importare in Italia la pratica del terrorismo urbano, il PCI opera una scelta ritenuta necessaria, per quanto dolorosa, nella convinzione che:
Il terrore instaurato dal nemico poteva essere spezzato soltanto col terrorismo partigiano, unito a una decisa azione di massa. Se il terrorismo individuale e isolato poteva come tale essere facilmente battuto, di fatto neppure l’azione di massa da sola poteva bastare: per battere il terrore nemico occorreva sostenere e rafforzare l’azione delle masse con la lotta armata. Quella dei G.A.P. era la forma più valida di lotta armata che si potesse portare nel cuore delle città occupate32.
1.4 Il retroterra della guerra civile spagnola
Oltre alla militanza nei FTP, un altro rilevante background di cui possono giovarsi uomini quali, ad esempio, Ilio Barontini, Ateo Garemi33, Francesco Scotti ed Egisto Rubini34, che giocano un
29 Luigi Borgomaneri, Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945), Unicopli, Milano 2015, p. 58.
30 Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 493.
31Borgomaneri, Li chiamavano terroristi, cit., p. 57. 32AA. VV., Ear, vol. II, La Pietra, Milano 1971, p. 475.
33Ateo Garemi (1921-1943). Emigrato in Francia con la famiglia, combatté
in Spagna e nei FTP. Fu organizzatore e primo comandante dei GAP di Torino. Arrestato in seguito a una delazione, venne fucilato insieme a Dario Cagno il 21 dicembre 1943, in Peli, Storie di Gap, cit., p. 32.
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ruolo di primo piano nell’organizzazione iniziale e nello sviluppo dei nuclei gappisti nell’Italia settentrionale, è la guerra combattuta in Spagna tra 1936 e 1939.
La ribellione dei reparti dell’esercito di stanza in Marocco nei confronti del governo repubblicano di Spagna, iniziata il 17 luglio 1936, alla cui guida si erge ben presto il generale Francisco
Franco35, rappresenta il casus belli. All’immediata
internazionalizzazione del conflitto contribuisce il sostegno militare di Germania ed Italia ai militari golpisti, cui l’Unione Sovietica risponde con l’invio di materiale bellico e consiglieri militari. Il 29 settembre il Comintern36 autorizza la formazione delle Brigate internazionali, unità militari composte da battaglioni di gruppi di volontari di diverse nazionalità, ed il 22 ottobre Francisco Largo Caballero, primo ministro del governo repubblicano spagnolo, a sua volta ne approva la costituzione.
Di lì a pochi giorni, in seguito all’accordo politico tra PCd’I, PSI e PRI, nasce il battaglione italiano, intitolato a Garibaldi, decisione «funzionale alla volontà di trovare un consenso diffuso e trasversale tra le diverse correnti politiche che convivevano al suo interno. Fu nel nome di Garibaldi e della tradizione risorgimentale italiana che i partiti antifascisti invocarono la loro unità e impostarono la campagna di reclutamento»37.
Il momento topico per i volontari antifascisti italiani è rappresentato dalla battaglia di Guadalajara, che ha luogo tra 8 e 23 marzo 1937. In questo scontro, in cui i sostenitori della repubblica riescono a contrastare vittoriosamente l’offensiva franchista verso
34Egisto Rubini (1906-1944). Muratore, emigrato in Francia per sfuggire alle
persecuzioni fasciste, fu volontario in Spagna e comandante dei FTP. Rientrato in Italia, organizzò i GAP milanesi. Fu arrestato il 19 febbraio 1944 e si suicidò in carcere per timore di non resistere ancora alle torture cui era già stato sottoposto, in Ivi.
35Francisco Franco Bahamonde (1892-1975). Generale che, con la vittoria
nella guerra civile del 1936-1939, instaurò in Spagna una dittatura militare, durata fino alla sua morte, in Giannantoni e Paolucci, Giovanni Pesce “Visone”
un comunista che ha fatto l’Italia, cit., p. 261.
36 La Terza Internazionale, nota anche con il nome di Comintern
(Internazionale Comunista), fu l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, attiva dal 1919 al 1943.
37Leonardo Pompeo D’Alessandro, Guadalajara 1937. I volontari italiani fascisti e antifascisti nella guerra di Spagna, Carocci, Roma 2017, p. 95.
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Madrid, si combattono, per la prima volta, italiani fascisti e antifascisti, i primi facenti parte del Corpo Truppe Volontarie38, i secondi del battaglione Garibaldi, inserito all’interno della XII Brigata. L’importanza che tale battaglia assume, più per i suoi risvolti politici che militari, è ben evidenziata dall’enfasi retorica di Luigi Longo:
La vittoria dei garibaldini rappresentò un prezioso investimento sul piano dell’esperienza politica e della capacità di combattimento degli antifascisti. […] Comprendemmo allora che i fascisti potevano essere battuti in ogni campo e su tutti i piani; comprendemmo che lo slancio combattivo, la certezza degli ideali e la fantasia politica organizzativa, potevano ben compensare la disparità dei mezzi di lotta a disposizione. Traemmo da quell’evento nuova fiducia nelle nostre possibilità, nuovo stimolo a non cessare mai la lotta, a prepararci anche per la prospettiva della riscossa definitiva contro il fascismo39.
Malgrado gli esiti del conflitto, conclusosi con la sconfitta delle forze repubblicane e l’instaurazione di un regime dittatoriale da parte di Franco, esso va a costituire un significativo bagaglio esperienziale per i suoi partecipanti:
Se è vero che in terra spagnola il fascismo fece la prova generale della successiva aggressione all’Europa è altrettanto vero che in Spagna si formarono, si temprarono i valorosi combattenti della Resistenza italiana ed europea. […] Ed è proprio in virtù degli antifascisti italiani delle Brigate Internazionali che la Resistenza italiana potè contare, fin dall’inizio, su molti uomini politicamente e militarmente preparati, pronti cioè ad affrontare con mezzi di fortuna un nemico bene organizzato40.
1.5 Le caratteristiche dei GAP
Come affermato da Francesco Scotti, i GAP sono un’organizzazione strutturata su nuclei base composti da tre a cinque elementi:
Tre-quattro uomini e un capo squadra costituivano un GAP; tre o più gruppi un distaccamento GAP, con un comandante e un commissario politico. Solo i componenti della stessa squadra erano
38 Nel febbraio 1937, in sostituzione della Missione militare italiana in
Spagna che aveva gestito l’intervento fino a quel momento, fu costituito il CTV, un corpo di spedizione composto da 4 divisioni, al comando del generale Mario Roatta.
39Il saluto di chiusura dell’on. le Luigi Longo, in AA.VV., Guadalajara e Ilio Barontini, Debatte, Livorno 1977, pp. 48.
40 Giovanni Pesce, Senza tregua. La guerra dei GAP, Feltrinelli, Milano
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in contatto tra di loro, quasi sempre senza conoscere il nome vero dei compagni di gruppo, ma soltanto quello di battaglia. Il capo squadra era collegato con il comandante e il commissario di distaccamento41.
I GAP dipendono esclusivamente dal PCI. Mentre le brigate Garibaldi sono aperte a combattenti di ogni opinione e credo politico, nei Gruppi di azione patriottica vengono reclutati esclusivamente i comunisti. I candidati ad entrare nei GAP vanno trovati, contattati con cautela e vagliati per quel che riguarda motivazioni ed affidabilità. Combattere in pieno giorno in città, laddove il controllo nazifascista è più capillare ed asfissiante, richiede coraggio, prontezza di riflessi, freddezza, capacità di dominare la paura e stretta disciplina, ma soprattutto una tenuta nervosa tanto forte da sopportare il logoramento che la condizione di clandestinità e di isolamento comporta:
[…] non a caso vedremo quanto spesso il gappista che ha compiuto un’azione non resista a tornare sul luogo a tendere l’orecchio, al bar, in tram, per strada, per sentire i commenti che la sua azione ha suscitato; e quante volte, e quanti rischi o drammi abbia comportato l’incoercibile bisogno di narrare le proprie imprese: è la mancata socializzazione della propria vita a costituire uno dei massimi problemi del gappismo, e una ragione intima della sua scarsa durata42.
Sono leggerezze di questo tipo che, spesso, comportano fatali cadute ed arresti a catena tra le file dei gappisti. Ed è contro tali devianze di condotta che si scaglia Giovanni Pesce43, in quel
momento comandante gappista a Milano, nel luglio 1944:
Per la salvaguardia di ogni membro e per la salvaguardia dell’organizzazione, ogni gappista deve evitare di tenere relazioni superflue e di dare luogo a sospetti sulla sua attività. […] Se si pensa di essere seguiti non andare all’appuntamento: è meglio perdere un appuntamento che fare arrestare dei compagni. […] Risulta che dopo aver fatta l’azione i GAP che hanno partecipato, vanno a vedere sul luogo come è riuscita l’azione, si deve categoricamente proibire questo stato di cose. Dopo l’azione i
41Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX
anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in Lombardia, cit., p. 71.
42Peli, Storie di Gap, cit., p. 41.
43Giovanni Pesce (1918-2007). Ancora bambino, emigrò in Francia con la
famiglia. Combatté nella guerra civile spagnola, rientrò in Italia nel 1940, fu arrestato ed inviato al confino a Ventotene. Liberato dopo il 25 luglio 1943, entrò a far parte dei GAP, prima a Torino e poi a Milano, in DBI, ad nomen, consultato il 26-06-2019.
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GAP devono tornare nelle proprie case e non uscire per nessun motivo. […] Deve cessare che ogni giorno alcuni GAP vanno al caffè a giocare a carte, o divertirsi al cinema o ritrovi44.
Il primo passo per entrare in clandestinità consiste nel lasciare il lavoro e le certezze minime che esso comporta, quali permessi di circolazione e tessere annonarie. Un simile atto, di per sé molto arduo, risulta ancor più difficoltoso per chi abbia una famiglia a carico. Tuttavia, anche tra i giovani privi di moglie e figli, «chi per validi motivi familiari, chi per il timore di non saper resistere alle torture in caso di arresto o per altre buone ragioni, molti preferivano andare a combattere in montagna piuttosto che fare la guerriglia in città»45. Questo in quanto il centro urbano «non è il microcosmo della banda, dove la condivisione del pericolo lo fa sembrare minore o pare renderlo più affrontabile. […] In città, c’è soltanto la claustrofobica consapevolezza di ritrovarsi da solo in mezzo a una realtà insidiosa e a un nemico che può celarsi ovunque»46. Per questi motivi, il reclutamento gappista risulta sempre problematico. L’esiguità del bacino da cui attingere «gli arditi della guerra di liberazione, i soldati senza divisa, i più audaci, i più rapidi e pronti»47, connesso all’urgenza dell’azione immediata a tutti costi, porta, in molti casi, al venir meno di una selezione meditata e rigorosa, con il rischio di prendere in considerazione anche candidature di aspiranti gappisti che, in seguito, si sarebbero rivelati inaffidabili o non all’altezza del compito assegnato loro.
44Giovanni Pesce (Visone), Il comandante dei GAP di Milano, Visone, ai
comandanti e commissari dei distaccamenti GAP del 17-07-1944, in Gabriella Nisticò (a cura di), Le Brigate Garibaldi nella Resistenza. Documenti, vol. II,
Giugno-novembre 1944, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 139-140.
45Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX
anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in Lombardia, cit., p. 69. 46 Borgomaneri, Li chiamavano terroristi, cit., pp. 54-55.
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1.6 L’attesismo all’interno del CLN e il
problema delle rappresaglie
Oltre al CLN centrale, insediato a Roma, si costituiscono organismi con la medesima struttura nelle principali città dell’Italia occupata. I Comitati di Liberazione Nazionale rappresentano «un punto di intersezione di partiti portatori di progetti e ipotesi politiche molto diseguali»48, in cui si trovano a dover convivere «le esasperazioni massimalistiche [volte alla rottura di ogni rapporto con il governo Badoglio e la monarchia, N.d.A.] di Nenni49 e la cautela conservatrice di Bonomi50 e di De Gasperi»51. La volontà e la convinzione di unire le energie, in vista del comune obiettivo della liberazione, collide e fa sempre i conti con la prospettiva di un futuro scontro politico «dove il peso specifico conquistato sul campo, nella lotta armata, sarà decisivo»52. In questo senso, Scappini sostiene di:
[…] condurre immediatamente una lotta spietata contro i tedeschi e fascisti, spingere la classe operaia, i soldati, i contadini e il resto della popolazione sul terreno dell’azione energica e decisa sulla base delle direttive del partito e sul terreno della politica del
48Peli, La Resistenza in Italia, cit., p. 42.
49 Pietro Nenni (1891-1980). Giornalista repubblicano, poi socialista dal
1921. Espatriò in Francia e fu commissario politico delle Brigate Internazionali in Spagna. Confinato dal fascismo a Ponza, nell’agosto 1943 fu tra i promotori dell’unificazione del Partito Socialista Italiano con il Movimento di Unità Proletaria, dando vita al PSIUP. Nel dopoguerra fu vicepresidente del Consiglio dei ministri, in DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
50Ivanoe Bonomi (1873-1951). Fin dal 1893 si iscrisse al Partito socialista,
da cui venne espulso. Nel 1912 fondò il Partito Socialista Riformista Italiano. Fu Presidente del Consiglio tra 1921 e 1922. Con l’instaurazione della dittatura fascista si ritirò a vita privata. Nel settembre 1943 divenne presidente del CLN. In seguito alla caduta del secondo governo Badoglio, ottenne il 9 giugno 1944 l’incarico di formare un nuovo governo, che rimase in carica fino al 26 novembre. Un nuovo governo Bonomi durò dal 10 dicembre 1944 al 19 giugno 1945. Nel 1948 venne eletto primo presidente del Senato della Repubblica, in
DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
51Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 182. Alcide De Gasperi (1881-1954).
Nel 1919 aderì al Partito Popolare Italiano. Dopo un iniziale sostegno a Mussolini, fu arrestato nel 1927. Nel 1929 fu assunto dalla Biblioteca Vaticana. Nel 1943 entrò a far parte del CLN, in rappresentanza della Democrazia Cristiana, di cui fu tra i fondatori. Divenne presidente del Consiglio dal dicembre 1945 al 31 maggio 1947 in un governo di unità nazionale con ministri comunisti e socialisti. In seguito alla rottura con i partiti di sinistra, fu presidente del Consiglio fino al 1953 in collaborazione con le forze centriste per una politica moderata e filo-alleata, in DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
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Comitato di liberazione nazionale. Solo in tal modo le nostre organizzazioni si rafforzeranno, i nostri compagni si tempreranno ed eleveranno la loro capacità e qualità di combattenti rivoluzionari, facendo del nostro partito il fattore predominante nella lotta per la liberazione dell’Italia da tutti i nemici stranieri e nostrani, assicurando al partito e alla classe operaia un ruolo decisivo nel futuro riordinamento politico e sociale del paese53.
È proprio l’insistenza sulla necessità dell’attacco subitaneo ad evidenziare la specificità della posizione comunista nel panorama dell’antifascismo italiano, in relazione ai tempi e alle forme della guerra di Liberazione. Se il PCI, fin da principio, opta per una prospettiva di resistenza basata sull’esempio jugoslavo, con la guerra per bande che prefigura una lotta di popolo, Ferruccio Parri54, principale esponente del Pd’A, almeno inizialmente, propende per una concezione più tradizionale, ossia per la creazione di un esercito incentrato su quadri militari professionali.
Inoltre, fin dalle prime azioni gappiste, in seno al CLN emergono titubanze e critiche rispetto all’approccio adottato dal PCI, con democristiani e liberali che, più di tutti, si dicono contrari allo scatenamento del terrorismo urbano, per via di remore morali, riguardanti la liceità dal punto di vista etico di simili azioni, e del timore di rappresaglie, soprattutto tedesche, ai danni della popolazione:
La posizione politica del Comitato militare è sempre la stessa: “attendere”, nel frattempo lottare contro i fascisti, non disturbare i tedeschi per non provocare reazione e repressione. […] La loro posizione è sempre quella di “attendere” ora che “i tedeschi ci lasciano lavorare un po’ tranquilli”, colpire solo i fascisti e le spie. A questo punto il cristiano-sociale ha posto in discussione la questione della coscienza: è legittimo uccidere? […] Il Comitato militare del CLN è su una falsa posizione politica che va sempre più rafforzandosi, i loro membri – eccetto i nostri – amano la quiete e la notorietà acquisita con le chiacchiere, ed è per ciò che minacciano fuochi e fulmini contro i comunisti perturbatori della quiete. […] Bisogna dare degli esempi e marciare diritti alla meta;
53 Remo Scappini (Giovanni), Considerazioni sulla situazione generale del
Piemonte con particolare riferimento a Torino del 30-09-1943, in Secchia, Il
Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione 1943-1945, cit., p. 122. 54 Ferruccio Parri (1890-1981). Antifascista, fu insegnante e giornalista.
Arrestato, scontò carcere e confino. Aderì al movimento Giustizia e Libertà, poi nel 1942 al Partito d’Azione. Rappresentò il Pd’A nel Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Fu, con Luigi Longo, vicepresidente del Corpo Volontari della Libertà. Fu presidente del Consiglio da giugno a novembre 1945, in DBI,
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sarà questo l’unico modo per far decidere in un modo o nell’altro questi attendisti: o se la squaglieranno, lasciando il campo libero o saranno spinti ad agire con noi55.
Dal punto di vista comunista, è l’occupazione nazifascista la causa delle barbarie, essendo tale potere «terroristico per norma comportamentale»56. È necessario colpire quanto prima l’invasore
tedesco, al fine di «superare quel complesso di inferiorità che all’inizio, di fronte a lui, avevano ancora persino alcuni patrioti»57.
Le rappresaglie, conseguenti alle azioni gappiste, sono viste come costi ineliminabili della lotta. Rinunciare a combattere per evitare la reazione nemica, significherebbe sprofondare nel tanto disdegnato attesismo:
Accettare il ricatto delle rappresaglie voleva dire rinunciare in partenza alla lotta. Bisognava reagire alle rappresaglie naziste rispondendo colpo su colpo, senza fermarsi di fronte alla minaccia del nemico. Questa era la linea che avevamo coerentemente seguito fin dall’inizio dell’occupazione tedesca in Francia e poi in Italia58.
1.6.a Via Rasella
Le azioni gappiste che più acuiscono i rapporti tra i partiti antifascisti all’interno del CLN sono due. La prima è l’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, giorno nel quale ricorre l’anniversario della fondazione del movimento politico dei Fasci italiani di combattimento, compiuto a Roma ai danni dell’XI compagnia del III battaglione del SS Polizeiregiment «Bozen», che costa la vita a 33 soldati altoatesini e a 2 civili italiani, Antonio Chiaretti e Piero Zuccheretti, quest’ultimo ancora bambino.
Il contesto è quello successivo allo sbarco di Anzio del 22 gennaio 1944, operazione militare alleata realizzata al fine di creare una testa di ponte oltre lo schieramento tedesco sulla linea
55 Remo Scappini (Giovanni), Relazione di Giovanni del 10-10-1943, in
Giampiero Carocci e Gaetano Grassi (a cura di), Le Brigate Garibaldi nella
Resistenza. Documenti, vol. I, Agosto 1943-maggio 1944, Feltrinelli, Milano
1979, pp. 105-106.
56Collotti, Sandri e Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. II, cit.,
p. 212.
57Scotti, La nascita delle formazioni, in Comitato per le celebrazioni del XX
anniversario della Resistenza (a cura di), La resistenza in Lombardia, cit., p. 70.
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Gustav59, così da aggirarla, costringere gli avversari a distogliere truppe dal fronte di Cassino ed accelerare la liberazione di Roma.
La prospettiva di un’imminente insurrezione porta ad
un’intensificazione delle attività di guerriglia nella capitale:
Nello stesso tempo giunsero […] inviti pressanti ad intervenire con tutte le forze nella lotta. […] il comando alleato chiedeva che le «bande» di Roma entrassero in azione al più presto60.
L’arenarsi dell’offensiva alleata ha come conseguenza l’incremento dell’azione repressiva nazista, la quale, facilitata dal fatto che la mobilitazione dei giorni precedenti aveva causato il venir meno di molte cautele, comporta numerosi arresti tra le file gappiste, tra cui quelli del comandante Antonello Trombadori61 e degli artificieri Giorgio Labò e Gian Franco Mattei, con i quali cade anche la santabarbara62 di via Giulia. La drammaticità della situazione induce i GAP a «intensificare la lotta anche per reagire alla depressione, alla fame, alla paura, alla delusione che era seguita alla grande speranza del 22 gennaio»63.
L’iniziativa di via Rasella è inizialmente pensata come un’azione di riserva, per il fatto che la principale doveva essere quella contro il corteo fascista che, riunitosi al teatro Adriano, si sarebbe poi diretto verso la sede del fascio, posta in via Veneto. Quando, all’ultimo momento, su ordine dei tedeschi, l’adunanza fascista viene spostata al palazzo delle Corporazioni in via Veneto, «fortezza inespugnabile»64, con l’intento di scongiurare il ripetersi
59 La linea Gustav fu la linea fortificata difensiva approntata in Italia con
disposizione di Adolf Hitler del 4 ottobre 1943. Sfruttando il tratto più corto della penisola italiana e gli ostacoli naturali costituiti dalle montagne appenniniche, si estendeva dalla foce del fiume Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona in Abruzzo.
60Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 269.
61Antonello Trombadori (1917-1993). Giornalista, fu arrestato nel 1941 per
aver organizzato dei moti all’università di Roma contro la guerra e condannato al confino. Durante la Resistenza, a Roma fu comandante dei GAP centrali. Arrestato il 2 febbraio 1944, fu imprigionato prima a via Tasso e poi a Regina Coeli. Ricoverato in infermeria, riuscì a scampare all’eccidio delle Fosse Ardeatine, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
62Struttura per la custodia di materiale esplosivo. 63Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 276.
64Mario Fiorentini, Sette mesi di guerriglia urbana. La Resistenza dei GAP a Roma, a cura di Massimo Sestili, Odradek, Roma 2015, p. 108.
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di un assalto gappista nel centro della città, come quello avvenuto il 10 marzo 1944 contro la parata di fascisti repubblicani che procedeva per via Tomacelli, via Rasella diviene progetto preminente. Ideatore dell’attacco è il gappista Mario Fiorentini65. Alla sua prima proposta di agire in via Quattro Fontane, viene preferita via Rasella perché «era stretta come un budello e quindi più appropriata per un agguato. Inoltre, aspetto non secondario, era una via poco transitata e quindi il rischio di colpire altre persone era minore»66. Il secondo piano elaborato da Fiorentini prevede l’utilizzo di due cassette a capovolgimento piene di esplosivo. Il fatto che la strumentazione non sia pronta per la data del 23 marzo, in unione all’idea di dover dare un segnale forte in quel giorno simbolico per il fascismo, porta al terzo, e definitivo, progetto:
[…] un partigiano, vestito da spazzino, avrebbe aspettato la colonna tedesca con un carrettino da immondezzaio carico di tritolo (a sua volta posto dentro una scatola di ghisa), in via Rasella. Dopo l’esplosione della mina piazzata nel carrettino un’altra squadra di GAP sarebbe saltata fuori da via del Boccaccio a completare l’opera di annientamento del reparto, lanciando sui poliziotti delle SS bombe da mortaio Brixia, modificate in bombe a mano67.
Il gappista scelto per portare il carretto all’altezza di palazzo Tittoni è Rosario Bentivegna68. L’azione riesce in pieno. Addirittura, l’effetto dell’esplosione del tritolo viene aggravata dalla deflagrazione delle granate a mano che i soldati del «Bozen»
tengono agganciate al cinturone della divisa.
65 Mario Fiorentini. Nato a Roma nel 1918, cominciò la sua attività
antifascista collaborando sia con Giustizia e Libertà che con il PCI. Fu membro dei GAP centrali. Dopo la liberazione di Roma, fu aviolanciato dietro le linee tedesche in Emilia-Romagna ed operò come ufficiale di collegamento dell’Office
of Strategic Services, ossia il servizio segreto statunitense operante nella Seconda
guerra mondiale. Nel dopoguerra, iniziò gli studi liceali e universitari, divenendo professore universitario di matematica, in Donne e Uomini della Resistenza, ad
nomen, consultato il 27-06-2019. 66Ibid., p. 106.
67 Rosario Bentivegna, Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista, Einaudi, Torino 2011, p.143.
68 Rosario Bentivegna (1922-2012). Studente di medicina, fu membro dei
GAP centrali e uno degli autori dell’azione di via Rasella. Nel settembre 1944 fu inviato a combattere in Jugoslavia. Rientrato in Italia, fu redattore de «L’Unità», prima di esercitare la professione di medico, in Donne e Uomini della
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La reazione tedesca è immediata e si concretizza nella strage delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944. Sono 335 le persone che, prelevate dalle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli, vengono trucidate: si tratta di partigiani e sostenitori della resistenza di vari schieramenti, ma anche di ebrei e di individui rastrellati dopo i fatti di via Rasella. L’annuncio della rappresaglia viene dato soltanto successivamente alla sua esecuzione. Sui giornali romani, il 25 marzo appare il comunicato dell’agenzia Stefani69, emanato la sera precedente dal comando tedesco:
Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata trentadue uomini [il trentatreesimo è Vinzenz Haller, che muore in un secondo momento, N.d.A.] della polizia sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi a incitamento anglo-americano. Il comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il comando tedesco perciò ha ordinato che per ogni tedesco assassinato dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito70.
Al contrario di quanto affermato da tesi strumentalizzanti, che hanno contribuito alla creazione di luoghi comuni ancora molto sedimentati71, da parte tedesca non pervengono comunicazioni radio o manifesti affissi ai muri, che intimano gli organizzatori dell’attentato a presentarsi per essere fucilati al posto degli ostaggi ed evitare la strage. Il fine della rappresaglia messa in atto dai nazisti non è punire gli assalitori di via Rasella, ma quello di restaurare pubblicamente il potere che la prova di forza gappista ha messo in discussione. Si tratta di mandare un messaggio alla popolazione per «spezzare, terrorizzando e punendo la città, l’esile
69Agenzia stampa ufficiale del regime fascista.
70Rosario Bentivegna, Achtung Banditen! Prima e dopo via Rasella, Mursia,
Milano 2004, pp. 205-206.
71Cfr. Rosario Bentivegna, Via Rasella. La storia mistificata. Carteggio con Bruno Vespa, Manifestolibri, Roma 2006.
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filo che poteva esistere fra la resistenza attiva, l’illegalità diffusa, la non adesione passiva»72.
La notizia delle proporzioni assunte dall’ormai avvenuta rappresaglia nazista coglie impreparati i gappisti e rappresenta per essi un duro fardello da portare. Rosario Bentivegna, con lucidità ed onestà, sostiene che:
Tante volte, da quei giorni in poi, ci siamo domandati – o ci è stato chiesto – che cosa avremmo fatto se il nemico avesse accettato le nostre vite in cambio di quelle dei nostri compagni che giacevano nelle loro carceri. È troppo facile – o troppo difficile, rispondere a posteriori. È probabile che di fronte alla sconvolgente minaccia di quel delitto qualcuno di noi, o forse tutti, avremmo preferito morire al posto dei Martiri delle Ardeatine. È veramente difficile dire «dopo» se ci saremmo spontaneamente presentati ove ce ne fosse stata offerta «prima» l’opportunità. La morte di centinaia di uomini, legati a noi da vincoli di lotta e per i quali eravamo pronti a morire, o di innocenti, colpevoli solo di essere ebrei, o carabinieri, o che avevano avuto la sventura di trovarsi in carcere quel giorno, avrebbe potuto provocare in alcuni, in molti, forse in tutti noi, uno sconvolgimento della coscienza tale da farci perdere di vista il giusto comportamento. Oggi noi sappiamo che era nostro dovere non presentarci a un bando del nemico che ci avesse offerto la vita degli ostaggi in cambio della nostra […]73.
Alla conclusione cui giunge Bentivegna fa eco Giorgio Amendola:
[…] noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti. Noi costituivamo un reparto dell’esercito combattente, anzi facevamo parte del comando di questo esercito, e non potevamo abbandonare la lotta e passare al nemico con tutte le nostre conoscenze della rete organizzativa. Avevamo solo un dovere: continuare la lotta74.
Se il nesso tra azione partigiana e strage tedesca appare evidente, esso però non deve essere considerato come un qualcosa di automatico ed obbligato: prima e dopo via Rasella, infatti, non tutti gli attacchi gappisti sono stati seguiti da rappresaglie75, così
come non tutte le azioni di coercizione nazista sono state precedute
72 Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999, p. 454.
73Bentivegna, Achtung Banditen! , cit., pp. 204-205. 74Amendola, Lettere a Milano, cit., pp. 294-295.
75 Si pensi, ad esempio, alla bomba posta da Rosario Bentivegna il 18
dicembre 1943 all’uscita del cinema Barberini, oppure all’ordigno esplosivo lanciato da Mario Fiorentini contro il carcere di Regina Coeli il 26 dicembre.
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da atti di guerriglia. L’azione del 23 marzo non rappresenta certo il primo attentato partigiano realizzato contro l’occupante germanico, ma, data la sua entità, i tedeschi non possono fingere di ignorarlo. Se, in questo caso, la rappresaglia da compiere non è mai messa in discussione, il rapporto di 10 a 1, alterato per eccesso, tra prigionieri da trucidare e tedeschi uccisi, non costituisce, invece, una prassi consolidata, «non è il risultato della ineluttabile matematica di una ferrea legge di guerra»76, bensì è l’esito di un articolato processo di decisione in seno alla catena di comando tedesca.
Le parole di Giorgio Amendola sono utili per mostrare lo sbandamento che la strage delle Fosse Ardeatine genera all’interno del CLN:
Il pomeriggio del 26, nella riunione della Giunta militare del CLN, io chiesi che il CLN approvasse l’azione di via Rasella e proclamasse il suo sdegno per la vigliacca rappresaglia, invitando i patrioti a continuare con maggiore decisione la lotta. Spataro [esponente della Democrazia cristiana, N.d.A.] si oppose all’accoglimento di questa richiesta, e anzi propose che si votasse un ordine del giorno che separasse le responsabilità del CLN, affermando che l’azione si era svolta a sua insaputa. Nacque un’aspra discussione. Io contestai le affermazioni di Spataro. La direttiva di colpire il nemico con ogni mezzo e dovunque era stata data più volte dal CLN. Noi non avevamo fatto altro che eseguire queste direttive. Spettava poi ad ogni formazione scegliere gli obiettivi e preparare il piano delle operazioni, e queste dovevano essere circondate, per necessità cospirativa, dal massimo silenzio. […] Quello che dovevamo fare era constatare se l’azione rientrava o no nelle linee indicate dalla giunta e nessuno poteva affermare che l’azione di via Rasella fosse fuori dalla linea del CLN77.
Alla fine, pur senza l’ottenimento del comunicato di sostegno richiesto da Amendola, grazie al sostegno del Partito d’Azione, del Partito Liberale Italiano e del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, rispettivamente incarnati nelle figure di Riccardo Bauer78, Manlio Brosio79, «che disse di comprendere il travaglio di
76Portelli, L’ordine è già stato eseguito, cit., p. 210. 77Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 295.
78Riccardo Bauer (1896-1982). Antifascista, aderì al movimento Giustizia e
Libertà, fondato a Parigi nell’agosto 1929 da Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti. Arrestato, trascorse molti anni tra il carcere e il confino a Ventotene. Liberato nel 1943, entrò a far parte del Partito d’Azione e fu tra gli
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chi aveva assunto la responsabilità di quell’azione per le conseguenze che aveva determinato, e di volere rispettare questo travaglio e non aggravarlo con critiche inopportune»80, e di Alessandro Pertini81, per quanto scottato dal fatto di non essere stato informato del piano di riserva82, viene respinta la proposta di Giuseppe Spataro83 di far uscire un comunicato di dissociazione.
1.6.b Il delitto Gentile
La seconda azione gappista che porta ad un elevato inasprimento delle relazioni interne alla coalizione antifascista riunita, in questo caso, nel Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, è quella condotta il 15 aprile 1944 a Firenze a discapito del filosofo Giovanni Gentile, reo di aver posto il suo prestigio di intellettuale al servizio della politica della RSI. Ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini, formatosi nel 1922 dopo la marcia su Roma, membro del Gran Consiglio del fascismo dal 1923 al 1929, dopo anni trascorsi senza più giocare un ruolo attivo nella vita politica del Paese, Gentile aderisce alla Repubblica Sociale Italiana divenendo, nel novembre 1943, presidente dell’Accademia d’Italia84. La sua scelta di campo risulta quanto mai netta in un discorso tenuto all’Accademia, nell’ambito di una
organizzatori della Resistenza romana, in DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
79Manlio Brosio (1897-1980). Avvocato, nella Resistenza divenne membro
della giunta militare del CLN come delegato del PLI. Nel dopoguerra intraprese la carriera di diplomatico. Fu segretario generale della NATO dal 1964 al 1971, in DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
80Amendola, Lettere a Milano, cit., p. 296.
81Alessandro Pertini (1896-1990). Avvocato socialista, espatriò in Francia
nel 1926. Rientrato in Italia, fu arrestato e costretto al carcere e al confino. Tornato libero nel 1943, entrò fece parte della giunta militare del CLN. Fu arrestato e trasferito nel carcere romano di Regina Coeli, da cui evase nel 1944. Nel 1978 fu eletto presidente della Repubblica italiana, in DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
82Per l’attacco al corteo fascista riunito al teatro Adriano, poi venuto meno,
era stata concordata, infatti, un’azione armata combinata tra una squadra socialista e i GAP.
83Giuseppe Spataro (1897-1979). Impegnato in politica fin da giovane, aderì
al Partito Popolare Italiano. Durante la Resistenza entrò a far parte, in qualità di delegato della Democrazia Cristiana, della giunta militare del CLN. Nel dopoguerra rivestì importanti incarichi di governo, in DBI, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
84 Istituzione culturale italiana, operante tra 1929 e 1944, che fu diretta
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commemorazione di Giambattista Vico, il 19 marzo 1944, quando parla di un’Italia «subito ritrovata attraverso Mussolini e aiutata a rialzarsi dal Condottiero della grande Germania»85.
L’assassinio di Gentile nasce e si realizza nell’ambiente
comunista di Firenze, che vede Giuseppe Rossi86 quale
responsabile del PCI fiorentino e Luigi Gaiani87 in veste di delegato toscano del Comando generale delle Brigate Garibaldi. I gappisti della città dipendono politicamente dal primo e militarmente dal secondo88. Viene scartata l’iniziale proposta di eliminare l’intellettuale mentre transita con la macchina nei pressi dello stadio Berta di Campo di Marte: ciò avrebbe avuto un chiaro valore simbolico, per il fatto che avrebbe rappresentato la vendetta partigiana per la fucilazione di cinque giovani renitenti alla leva, avvenuta il 22 marzo nel medesimo luogo.
Considerati i rischi e le possibili incognite di un simile attacco, Gaiani propende per un’azione ben più prudente:
Fu deciso di eliminare Gentile quando tornava a casa per l’ora di pranzo, verso le 13,00, in un’ora morta, con il traffico inesistente. Gli si sarebbe sparato in due a colpo sicuro, davanti al cancello della sua villa, quando l’auto era ferma. Questo avrebbe agevolato molto l’esecuzione, così Fanciullacci decise che era arrivato il momento di utilizzare quell’azione come palestra per me [Giuseppe Martini, N.d.A.] e Ignesti, che avevamo alle spalle solo un’esecuzione. […] Mentre aspettavamo, Ignesti mi disse che era stato riconosciuto da uno che passava, ma secondo me è più probabile che non abbia retto alla tensione dopo mezz’ora che si aspettava. Paura o meno, mi disse che non voleva mettere in pericolo l’azione e che era meglio se si toglieva di lì. Io gli risposi che si facesse dare il cambio da Bruno, così prese la bicicletta e
85«Il Nuovo Giornale» del 20-03-1944, in Carlo Francovich, La Resistenza a Firenze, La nuova Italia, Firenze 1962, p. 185.
86 Giuseppe Rossi (1904-1948). Comunista, dopo aver scontato 6 anni in
seguito alla condanna del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, fu responsabile del PCI a Firenze durante la Resistenza, in Wikipedia, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
87 Luigi Gaiani (1910-2003). In gioventù aderì al movimento Giustizia e
Libertà, poi al Partito comunista. Incorse in vari arresti. Fu uno dei primi organizzatori dei GAP a Bologna. A Firenze divenne delegato del Comando generale delle Brigate Garibaldi. Fu senatore della Repubblica italiana dal 1958 al 1968, in Donne e Uomini della Resistenza, ad nomen, consultato il 27-06-2019.
88 Paolo Paoletti, Il delitto Gentile. Esecutori e mandanti. Novità, mistificazioni e luoghi comuni, Le Lettere, Firenze 2005, p. 8.