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El año del laberinto. Proposta di traduzione e commento.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

El año del laberinto. Proposta di traduzione e commento.

CANDIDATO

RELATORE

Michela Lettieri

Chiar.mo Prof. Alessandra Ghezzani

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Rosa Maria Garcia

Jimenez

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INTRODUZIONE

L'obiettivo di questa tesi è quello di fornire una proposta di traduzione letteraria dallo spagnolo all'italiano. Il lavoro è stato svolto sul libro “El año del Laberinto” di Tatiana Lobo, romanzo storico, ambientato nel Costa Rica di fine '800, nel pieno della Guerra d'indipendenza cubana. La scelta del libro non è stata casuale: si è volutamente scelto un romanzo storico che raccontasse eventi realmente accaduti, con lo scopo di analizzare come ciò influenza la narrazione e in particolar modo la traduzione.

La tesi si divide in tre capitoli: nel primo si introduce l’autrice, con qualche informazione sulla sua vita e con l’elenco delle sue opere, passando poi ad una introduzione del testo di partenza, nei suoi aspetti testuali. Nel secondo capitolo viene presentata una proposta di traduzione di alcuni capitoli del libro, esattamente quelli che raccontano l’accaduto dal punto di vista femminile. Nell'ultimo capitolo si commenta il lavoro traduttivo svolto, analizzando i problemi lessicali, morfosintattici e stilistici incontrati durante la traduzione, andando a vedere come essi sono stati risolti e indicando la strategia traduttiva utilizzata. Infine a completare l'opera troviamo la bibliografia con le opere citate.

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Sommario

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I ... 7

Tatiana Lobo Wiehoff: la vita e le opere letterarie ... 7

1.0. La vita e la produzione letteraria ... 7

1.1. Il ruolo delle donne nella colonia ... 12

1.2. Costumi delle donne coloniali ... 15

1.3. L’educazione femminile ... 16

CAPITOLO II ... 18

TRADUZIONE DE “EL AŇO DEL LABERINTO” ... 18

2.0. Gennaio: Nella stanza di sofia succede qualcosa ... 18

2.1. FEBBRAIO: Sofía torna indietro ... 25

2.2. MARZO: Lei aveva un vestito floreale ... 33

2.3. APRILE: Sofía vede passare un ragazzo yankee ... 35

2.4. MAGGIO: Sofía non trova i fiammiferi ... 44

2.5. GIUGNO: Il percorso di Sofía era l’acqua ... 48

2.6. LUGLIO: La mamma perde suo figlio ... 54

2.7. AGOSTO: Gli uomini lottano, le donne piangono ... 62

2.8. SETTEMBRE: Una mulatta che viene e che va ... 67

2.9. OTTOBRE: Il corpo di Sofía ... 74

2.10. NOVEMBRE: Sofía è testimone di due che parlano... 77

2.11. DICEMBRE: Sofía va via con la luce ... 83

2.12. GENNAIO: Cosa si può fare il primo giorno dell’anno ... 85

Nota dell’autore ... 87

CAPITOLO III ... 87

El año del Laberinto: analisi del romanzo ... 87

3.0. Introduzione a “El año del Laberinto” ... 87

3.1. La trama... 88

3.2. Una lettura approfondita di “El año del Laberinto” ... 89

3.3. Chiavi tematiche per l’interpretazione del romanzo ... 96

3.4. Il crimine ... 101

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3.6. Conclusioni ... 113

CAPITOLO IV ... 115

PROCESSO TRADUTTIVO ... 115

4.0. Dall’analisi alla produzione ... 115

4.1. Tipologia testuale ... 115

4.2. Dominante ... 117

4.3. Macrostrategia traduttiva ... 118

4.4. Il livello della parola: tecnicismi e influenze straniere ... 120

4.5. Linguaggio tecnico ... 120

4.6. Materiale lessicale straniero ... 122

4.7. Il registro ... 123

4.8. L’adattamento del testo sotto gli aspetti linguistico e culturale ... 126

4.9. Le teorie di Vinay & Darbelnet ... 127

4.10. La traduzione del linguaggio figurato ... 128

4.11. Le figure retoriche ... 128

4.12. Le espressioni idiomatiche ... 132

4.13. La struttura della frase: la sintassi ... 133

4.14. Paratassi versus ipotassi ... 133

4.15. Discorso diretto e discorso indiretto libero ... 135

4.16. Livello del testo: la coesione ... 137

4.17. Flusso delle informazioni ... 138

CAPITOLO V ... 140

TESTO OTIGINALE: “El año del Laberinto” di Tatiana Lobo ... 140

5.0. ENERO: Algo pasa en el cuarto de Sofía ... 140

5.1. FEBRERO: Sofía vuelve atrás ... 149

5.2. MARZO: Ella tenía un vestido de flores ... 157

5.3. ABRIL:Sofía ve pasar a un muchacho yanqui ... 159

5.4. MAYO: Sofía no encuentra los fósforos ... 166

5.5. JUNIO: El camino de Sofía era de agua ... 170

5.6. JULIO: La madre pierde a su hijo ... 176

5.7. AGOSTO: Los hombres luchan, las mujeres lloran. ... 183

5.8. SETIEMBRE: Una mulata que viene y se va ... 187

5.9. OCTUBRE: El cuerpo de Sofía ... 194

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6

5.11. DICIEMBRE: Y Sofía se va con luz ... 202

5.12. ENERO: ¿Qué se puede hacer el primer día del año? ... 204

CONCLUSIONI ... 207

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7

CAPITOLO I

Tatiana Lobo Wiehoff: la vita e le opere letterarie

1.0. La vita e la produzione letteraria

Tatiana Lobo Wiehoff nasce il 13 novembre 1939 a Puerto Montt, in Cile. Studia teatro presso l'Università del Cile e ceramiche alla Real Escuela de Cerámica di Madrid. Si trasferisce in Costa Rica dal 1966 pubblicando in questo paese tutte le sue opere letterarie, motivo per cui è considerata una scrittrice cilena-costaricana. Inizia a scrivere in un momento particolare della sua vita. All’età di quarant’anni perde il lavoro, rimanendo quindi disoccupata. L’autrice sostiene1 che ciò che la spinse a intraprendere la carriera di

scrittrice fu ovviamente la passione per la scrittura, ma ancor di più la consapevolezza di avere abbastanza esperienza di vita. Concepisce la scrittura come un modo per mantenere il legame con la società, ma soprattutto come un impegno per rivendicare il diritto di decidere per coloro che non hanno un potere politico. Per lei lo scopo principale di una scrittrice, così come quello di uno scrittore, è quello di dare un senso alle esperienze di vita e condividere le interpretazioni di queste esperienze con gli altri. La sua produzione letteraria comprende diversi generi, tra cui libri di narrativa, romanzi storici, cronache sul colonialismo, teatro, racconti e articoli di giornale. Le sue opere hanno attirato l’attenzione internazionale permettendole di vincere numerosi premi. È stata tre volte vincitrice del Premio Nazionale Aquileo J. Echeverría grazie alle opere Entre Dios y el Diablo (1993), El año del Laberinto

(2000), El corazón del Silencio (2004). Questo premio è il più alto riconoscimento

assegnato ogni anno dal Ministero della Gioventù, della Cultura e dello Sport, per la creazione di opere letterarie, storiche, artistiche e musicali. Il nome del premio è un omaggio al poeta costaricano Aquileo J. Echeverría. Nel 1995 con l’opera Asalto al Paraíso è vincitrice del premio Sor Juana Inés de la Cruz che riconosce l’eccellenza letteraria nelle donne di lingua spagnola appartenenti all’America Latina e ai Caraibi. Il nome del premio è un omaggio a Sor Juana Inés de la Cruz.

Tatiana Lobo ha vissuto in Cile, Germania, Spagna, Romania e Costa Rica, dove attualmente risiede. In questo paese ha lavorato con delle comunità indigene e ha trascorso alcuni anni nei Caraibi. Da queste esperienze, e dalle sue ricerche d'archivio, emergono le sue opere letterarie. Molti dei suoi scritti sono stati tradotti in francese, inglese e tedesco.

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La carriera letteraria di Tatiana Lobo ebbe inizio nel 1989 con la pubblicazione di Tiempo

de Claveles2, pubblicata dall’editoriale Costa Rica. Si tratta di una raccolta di undici

racconti per un totale di settantasei pagine in cui l’autrice dimostra, per la prima volta, la capacità di addentrarsi nel mondo interiore dei personaggi e la dimestichezza nell’utilizzare il linguaggio attraverso personaggi. Esplora temi che svilupperanno, con grande forza, la situazione delle culture indigene costaricane, insieme ad altri, come i contadini della Meseta.3

Nello stesso anno, ovvero nel 1989, pubblica l’opera teatrale El caballero del V

Centenario4. I fatti si svolgono a Cartago. La struttura è divisa in due atti accompagnati dal sottofondo di Allegro, Concerto in sol minore, composta da Antonio Vivaldi nel 1725. Con quella musica di sottofondo compare Don José, sindaco di Cartago; secondo la trama, Don José attende da quindici anni il riconoscimento ufficiale della Corona Spagnola che lo renderà Marchese dell’Ordine Militare di Calatrava. L’opera si svolge in attesa dell’arrivo e della presa di potere del nuovo governatore che, con l’accordo del Re, proibirà il commercio illegale e il contrabbando proveniente dall’Inghilterra. Dopo un presunto colpo di Stato da parte dei nobili di Cartago che vivevano di illeciti, Don José aiuta il governatore a scappare, convinto di ottenere con più rapidità il titolo e l’appartenenza all’Ordine della Cavalleria. Titolo che non arriverà perché l’opera finisce. Saranno poi gli altri, gli indigeni e gli schiavi, che gli assegneranno il titolo di “Caballero del V Centenario” e “Rey de los Chorizos”. L’etichetta latina “ Chorizorum Rex ” non viene chiarita in modo esplicito ma, in base agli eventi che si svolgono nell’opera, Don José sarebbe il re degli affari illeciti.5

Entre Dios y el Diablo. Mujeres de la colonia. Crónicas6 appare per la prima volta in una

edizione de Editorial de la Universidad de Costa Rica nel 1993. Questa raccolta di racconti, vincitrice del l premio Aquileo J. Echeverría, è composta da due testi introduttivi, undici cronache e la trascrizione di un decreto del vescovo Fray Nicolás del 1813. Il titolo del libro è composto da tre parti: “Entre Dios y el Diablo”, che si riferisce alla dimensione governativa giacché il governo della Chiesa aveva effettuato controlli sia nel campo religioso che in quello civile; “Mujeres de colonia”, che si riferisce ai personaggi predominanti delle storie; “Crónicas” è il termine che individua il genere narrativo a cui sono attribuite le storie. Il tema predominante in questi racconti è l’ingiustizia da parte delle

2 Tiempo de Claveles, Tatiana Lobo, Editorial Costa Rica, 1990.

3Revista Comunicación; Vol. 12 (23): Revista Comunicación (edición especial 2002) , 1659-3820 , 0379-3974 . 4 El caballero del V Centenario, Tatiana Lobo, Revista Escena, 1989.

5¿ De qué ficción o realidad se construye un Caballero del V Centenario? (a propósito de un texto dramático de

Tatiana Lobo), Leda Cavallini.

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autorità civili, nonché religiose, le cui principali vittime sono le donne. Accanto al tema dell’ingiustizia vengono affrontate questioni che riguardano l’autoritarismo e la corruzione delle autorità, siano esse civili o ecclesiastiche, l’adulterio, l’incesto, la violenza domestica e la schiavitù. L’insieme delle storie rappresentano una riscrittura di alcuni momenti della storia coloniale costaricana, da una prospettiva femminista che cerca di evidenziare il ruolo delle donne in una società coloniale del diciottesimo secolo7.

Asalto al Paraíso8 è il primo romanzo pubblicato dalla scrittrice cilena-costaricana.

Pubblicato per la prima volta nel 1992 da Ediciones Farben, fu ristampato nuovamente nel 2010 da Editorial Costa Rica. È un romanzo storico ambientato durante l’era coloniale del Costa Rica in cui il protagonista, un immigrato spagnolo di nome Pedro de la Baranda, si rifugia a Cartago per fuggire dall’inquisizione spagnola. Pedro Albarán, come sarà conosciuto, si innamora di una giovane indigena muta, mentre gli eventi della ribellione degli indigeni di Talamanca, guidati da Pablo Presbere nel 1709, si susseguono. Il romanzo è una visione creola della storia regionale; si occupa di questioni molto delicate come il femminismo, la messa in discussione delle pratiche colonialistiche, nonché dell’attenuazione delle culture native indigene o africane e dei problemi della regione, in mano agli interessi dei leader locali corrotti9.

Nel 1996 pubblica Calypso.10 In quest’opera Tatiana Lobo narra la fondazione e lo sviluppo

di una città costiera nei pressi del porto di Limón, in Costa Rica, insieme alla vita di Amanda, Eudora e Matilda Scarlet, tre generazioni di una stessa famiglia. La nascita della città si verifica con l’instaurarsi di una società commerciale tra Lorenzo Parima, uomo bianco stabilitosi sulla costa, e Alpheus Robinson, uomo negro discendente da immigrati anglofoni delle piccole Antille, meglio conosciuto come Plantintàh e marito di Amanda. Lorenzo è un uomo ambizioso e senza scrupoli. Così si appropria dell’attività nella sua interezza; successivamente la sua ossessione per Amanda lo porta ad assassinare Plantintàh. Durante il racconto, nasce in Lorenzo l’ossessione per tutte e tre le donne. Non riuscendo a soddisfare il suo desiderio sessuale con tutte e tre, sposa Eudora. Intanto lo sviluppo della città si realizza parallelamente al successo commerciale di Lorenzo, coinvolto in affari illegittimi. Matilda cresce come uno spirito libero insieme ad altri amici di giochi e di avventure marittime. Questi vengono coinvolti in una spedizione di droga presso cui troveranno la morte. Tutto è organizzato da Lorenzo che ordina di far sparire la merce e i

7 Relectura de la Historia en los relatos de entre Dios y el diablo, de Tatiana Lobo, Seley Ramírez Gätgens e Edwin

Salas Zamora.

8 Asalto al Paraíso, Tatiana Lobo, Farben Grupo Editorial Norma; 1. ed edition, 1992. 9 https://es.wikipedia.org/wiki/Asalto_al_Paraíso.

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possibili testimoni. Verso la fine del romanzo, le forze spirituali intervengono per provocare un maremoto e un’ondata gigantesca inonda la città, distruggendo le attività commerciali di Lorenzo. La città sopravvive e viene restaurata ma Lorenzo non vi farà mai ritorno. Una leggenda racconta che a volte, la notte, lo spirito di Matilda prende forma e danza sulle rovine di Lorenzo.11

Nel 2000 Tatiana Lobo pubblica El año del Laberinto,12 opera con la quale vince il premio J. Alquileo Echevarría. I fatti narrati partono dal Gennaio 1894 con l'omicidio di una donna, Sofia Medero di Medero, moglie di un esule e prominente uomo d'affari cubano, Armando Medero, a San Jose, Costa Rica. Armando sostiene economicamente la guerra di indipendenza del suo paese ed è importante evidenziare una delle varie strategie narrative utilizzate nel romanzo, in particolare l'omicidio di Sofia, che è il filo conduttore della trama. A narrare è la voce di Sofia, che funge da narratore durante la maggior parte dell'azione. Tuttavia, il romanzo è costruito mediante un'alternanza discorsiva tra Sofia e un narratore onnisciente che si occupa dei fatti più generali, lasciando che sia Sofia a raccontare gli eventi che riguardano la sua morte, cioè Sofia è un fantasma che racconta e, come fantasma, apprende cose intime, riguardanti la comunità, a cui non avrebbe avuto accesso se fosse stata ancora viva. Solo dopo la sua morte, Sofia inizia a conoscere sé stessa e tutto ciò che la circonda basando la sua identificazione sulle persone che passano sotto la sua finestra; in particolare le prostitute.

El Corazón del Silencio,13 pubblicato nel 2004, è il primo romanzo di Tatiana Lobo

ambientato fuori dall’America Latina. Narra il ritorno di Yolanda, un’espatriata cilena di mezza età, nella sua città natale, un paese a Sud del Cile che l’autrice nomina come Puerto Varas, sulle rive del lago Llanquihue. Il romanzo ruota attorno a un mistero: la scomparsa di Marcelo, cugino di Yolanda, durante la dittatura di Augusto Pinochet. Durante la sua breve visita, Yolanda si riunisce con il cugino che l’ha cresciuta, e va alla ricerca delle risposte sulla scomparsa di Marcelo, finendo in un’intricata rete di relazioni di potere nello Stato democratico, sovrapposto a un terreno modellato dalle politiche economiche della dittatura14.

10 Calypso, Tatiana Lobo, Farben Grupo Editorial Norma, 1996.

11 Resistencia Femenina y razón poscolonial: Hacia una lectura doble de Calypso, de Tatiana Lobo, Salvador

Mercado Rodriguez, University of Denver.

12 El año del Laberinto, Tatiana Lobo, Farben Grupo Editorial Norma, 2000. 13 El corazón del silencio, Tatiana Lobo W, San José Editorial Costa Rica, 2004.

14 Rondando el corazón del silencio de Tatiana Lobo, Revista Comunicación. Volumen 13, año 25, No. 2,

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Parientes en venta15 è una raccolta di cronache pubblicate nel 2010. In queste cronache

viene descritto il metodo di lavoro degli schiavi africani in Costa Rica. Il narratore è sempre interno poiché le storie vengono raccontate dalle vittime. Anche tra gli schiavi vi erano delle condizioni di vita differenti, a seconda del luogo in cui vivevano; possiamo affermare che la loro mole di lavoro e la vita dei loro padroni negli zuccherifici cubani o nelle piantagioni di cotone degli Stati Uniti non erano le stesse del Costa Rica, dove il cacao richiedeva uno sforzo minimo, motivo per cui la schiavitù veniva destinata principalmente al lavoro domestico. I Costaricani, i cui nomi risalgono al periodo coloniale, ignorano di avere geni africani. Quello che oggi è conosciuto come "hermanitico", ovvero parentela simbolica, potrebbe essere nato da uno schiavo fratellastro che, non essendo vincolato da legami di sangue alla famiglia del padrone, si sottrae al suo principale valore: il denaro.

Sempre nel 2010 pubblica un altro romanzo, Candelaria del Azar16. È il primo romanzo

urbano scritto da Tatiana Lobo e racconta la storia di Natividad Canda Mairena, un immigrato nicaraguense che vive a San José. Un giorno durante un tentativo di furto, viene attaccato da tre cani da guardia. La morte di Natividad Canda avviene sotto gli occhi della polizia, dei vigili del fuoco e dei cittadini. Tutti assistono inerti mentre il cane feroce lo divora. Questo evento così deplorevole racconta un fatto realmente accaduto il 10 Novembre del 2005. Ancora una volta Tatiana dedica il suo romanzo a un personaggio attraverso il quale è possibile capire la marginalità dei rifugiati nicaraguensi e di altri settori della popolazione che vivono in una spaventosa povertà, nutrendosi di criminalità e di violenza. Questo quinto romanzo rappresenta il proseguire di un lavoro che si concentra su quella parte della società tagliata fuori dalla storia ufficiale, ovvero gli indigeni, gli emarginati, gli afro-caraibici, le donne di diverse classi sociali o di diversa etnia.17

Le opere di Tatiana Lobo registrano in modo provocatorio le ansie causate dall’arrivo della globalizzazione in America Latina. Nello specifico il suo lavoro muove numerose critiche femministe e politicamente di sinistra riguardo alle ingiustizie derivanti dalla società maschilista. Lobo si unisce ad autori costaricani come Jacinta Escudos, Carlos Cortés e molti altri che hanno smantellato l’immagine e la retorica dello stato Americano del dopoguerra. Questi autori scrivono durante un momento di transizione, di crisi e di ridefinizione in termini politici e letterari. Tutti i romanzi di Lobo, sono stati pubblicati dopo la sconfitta elettorale sandinista in Nicaragua nel 1990, momento che segnò la fine della sinistra rivoluzionaria in America Latina. Senza alcuna riserva, sfidano le

15 Parientes en venta, Tatiana Lobo, Uruk editores, 2010. 16 Candelaria del azar, Tatiana Lobo, Uruk Editores, 2010.

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rappresentazioni ufficiali della storia sostenute dallo Stato e palesano un trascorso di sfruttamento e violenza contro le donne, gli afro-latino-americani, le popolazioni indigene e tutti gli altri emarginati. La sua produzione letteraria è un insieme di invenzione, realtà e immaginazione storica, che ha il compito di far emergere le oppressioni e le violenze subite dalle donne e dai negri durante il periodo coloniale nell'America centrale. Lobo condivide lo stesso interesse per le donne e per il recupero della memoria. Tuttavia, introduce nelle sue storie un cast di donne indigene, africane e meticce. Le sue immaginazioni storiche mettono in primo piano sia i problemi delle donne che quelli dei subalterni di genere. Come ha osservato Robert Young, si tratta di figure quasi completamente cancellate negli archivi del colonizzatore. I racconti narrati da Tatiana Lobo riportano alla storia la vita subalterna, ricreando un dialogo dai silenzi e dalle lacune dei testi precedenti. Durante questo processo, le sue storie decostruiscono le immagini, i miti, e gli ideali che sono stati importanti nella costituzione della storia nazionale e nelle identità fondate su quella storia.18

Di ulteriore importanza per l'interpretazione delle narrazioni di Lobo sono le note di Bachtin sull'ibridismo linguistico.19 Bachtin definisce l'ibridazione come una miscela di due linguaggi sociali entro i limiti di una singola enunciazione, un incontro, nell'arena di un'enunciazione, tra due diverse coscienze linguistiche, separate l'una dall'altra da un'epoca o dalla differenziazione sociale. Più avanti nello stesso saggio, osserva che il romanzo ibrido è un sistema artisticamente organizzato per mettere in contatto linguaggi diversi, un sistema che ha come obiettivo l'esaltazione di una lingua per mezzo di un'altra. La sua osservazione offre una chiave per comprendere i testi di Lobo, soprattutto perché Bachtin intuisce che il linguaggio è fondamentalmente radicato nella cultura. Le narrazioni postcoloniali di Lobo sono romanzi ibridi. A differenza di altri ibridi, come i testi coloniali, le sue opere non rappresentano un'immagine viva di un'altra lingua o di una cultura per mostrarne la sua inadeguatezza, le barbarie o la mancanza di sofisticazione.

1.1. Il ruolo delle donne nella colonia

Nella scala sociale dell’epoca coloniale le donne erano divise in donna d’élite, meticcia, indigena e schiava. A loro volta, all’interno di questi gruppi, c’erano diversi ruoli e

17 Candelaria del Azar entre la realidad y la ficción, Tulane University, EE.UU. Maureen Shea.

18 Writing Women in Central America: Gender and the Fictionalization of History, Ohio University Press; 1 edition,

2003.

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suddivisioni che hanno portato ad un insieme complesso e non riducibile a un singolo ruolo delle donne. C’era una grande diversità nella loro condizione, differenze legate al potere, alla ricchezza, all’accesso alla cultura e, soprattutto, al gruppo etnico di appartenenza. Per capire il ruolo delle donne in America dobbiamo guardare alla società spagnola dell’epoca. La Spagna del XVI secolo, vive le decadenza della mentalità medievale e l’ascesa dell’umanesimo, creatore di un nuovo ideale femminile. Le donne vengono relegate in casa, i poeti esaltano le donne nel ruolo di guardiane dell’onore familiare. Questi ideali, che includono sottomissione e raffinatezza, arrivano in America insieme all’ideale di clausura, di vita pia e di castità. Questo diventa il modello da seguire per tutte le donne nobili americane. Nei settori aristocratici, le donne delegavano le faccende domestiche alla schiavitù, principalmente a donne che assolvevano alle funzioni di ostetriche e domestiche. Nella Colonia e fino alla fine del 20 ° secolo, la casa era il centro della vita familiare, culturale e sociale. Per questo motivo, la società del tempo aveva una solida struttura familiare, con abitudini guidate da un forte senso cattolico. Le donne si sposavano, in media, a quattordici anni e venivano educate al matrimonio, secondo alcuni insegnamenti che prevedevano l’essere mogli fedeli e straordinarie casalinghe. Nella maggior parte dei casi, il matrimonio delle donne aristocratiche era considerato una forma di alleanza politica o economica, che aveva il compito di rafforzare la posizione sociale. Nel settore popolare, i genitori aspiravano a sposare le figlie con importanti creoli allo scopo di ascendere socialmente.

Alle donne aristocratiche non era permesso uscire da sole per strada, potevano farlo solo in compagnia del padre, della madre o del fratello. Inoltre, non potevano partecipare alla politica del tempo. Anche se il ruolo della donna è stato limitato alla vita familiare, ci sono state alcune donne che sono fuggite a questi canoni, come nel caso di Caterina de Erauso, la "suora-tenente", che travestita da uomo si arruolò nella milizia per combattere a favore del re di Spagna nei territori americani.

Possiamo analizzare quindi il ruolo delle donne coloniali americane, in base alla loro provenienza etnica e l’appartenenza alla casta.

- La donna dell'élite: la formazione dell'élite coloniale si ereditava (trasmissione patrilineare di onori, benefici, ecc.) o si otteneva dalle alleanze. Le alleanze matrimoniali rispondevano alle strategie familiari per rafforzare i legami di potere della famiglia. Attraverso il matrimonio ci si univa ad altre persone ai loro parenti e si rafforzavano i patrimoni, perché la sposa contribuiva con una nuova dote alla sua nuova famiglia. Molti spagnoli si sistemarono preparando un buon matrimonio; la dote era il capitale iniziale del suo sviluppo

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commerciale. A sua volta, la dote proteggeva anche il futuro della donna poiché quei beni erano nel suo nome. Questo era il ruolo cruciale svolto dalla donna d’élite. La sua missione era la conservazione delle tradizioni castigliane, la promozione della religiosità in casa e il consolidamento del modello di vita familiare. La famiglia era la fonte primaria delle regole della vita e aveva tre funzioni: forniva protezione, facilitava il trasferimento dei beni dagli adulti ai giovani e preparava questi ultimi alla vita, da qui la grossa importanza del ruolo della donna. Nella sfera privata, le donne erano casalinghe e considerando le dimensioni delle case e il numero di persone che vivevano lì, c'era un vero universo di relazioni umane. Le funzioni della donna nella casa erano: crescere i figli, gestire gli affari interni e assicurare il rispetto e l'insegnamento dei valori culturali e morali. Sulla donna ricadeva la responsabilità di mantenere l'onore della famiglia. Il matrimonio era l’evento chiave della sua vita e per questo veniva preparata da bambina. Doveva essere docile, rispettare l'autorità del marito e vivere confinata nella sua casa. Per avere successo in questo modello, l'educazione delle ragazze era affidata alle suore, che le educavano secondo uno schema domestico di sottomissione. Molte di queste donne decidevano di restare nei conventi, attratti dall'interesse di consacrarsi alla fede. Era un luogo in cui le donne potevano essere educate ma allo stesso tempo un'area isolata dal controllo sociale e dall’autorità maschile. Nei conventi potevano accedere a determinate conoscenze, come il latino e la giurisprudenza. Il ruolo pubblico della donna era quello di accompagnare il marito, svolgere attività di beneficenza e andare a messa. Quando restavano vedove, si occupavano degli affari e dell'amministrazione delle loro proprietà; se ci riuscivano con successo, avevano accesso al mondo maschile e ai rapporti con le istituzioni.

- La donna meticcia: aveva, chiaramente, un ruolo diverso rispetto alla donna d’élite. L’ideale di clausura non era molto rispettato poiché dovevano impegnarsi in lavori produttivi o in servizi che le portavano a uscire di casa: lavoravano nel commercio, ma anche come domestiche, cameriere, sarte, filatrici, arrotolavano sigari, lavoravano nei negozi alimentari, il che significava avere un maggior contatto con il mondo esterno, con la società. Sebbene il matrimonio costituisse un ideale nella vita donne, nel caso delle donne meticce non presentava lo stesso grado di complessità individuato nelle donne d’élite, poiché non c’erano in gioco grossi nomi, né tantomeno importanti discendenze. Per questa ragione, la donna meticcia non doveva preoccuparsi tanto di mantenere il suo onore. I suoi ideali erano principalmente la catechesi e la dedizione al lavoro.

- Le donne indigene: il ruolo delle donne indigene variava a seconda della loro posizione all’interno della società; c’erano differenze se era un donna d’élite indiana o se era

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un’indiana normale, senza alcuna distinzione all’interno della casta. Dopo l'arrivo degli spagnoli, furono incaricate di trasmettere le caratteristiche tradizionali della cultura indigena che riguardavano le faccende domestiche, il commercio, l'abbigliamento, ecc. Con l'imposizione della monogamia, contraria all’antica poligamia, la loro società fu demolita e molte donne furono abbandonate. A causa del duro lavoro aumentò il tasso di mortalità degli indiani aumentò e, per questo motivo, le loro donne, così come quelle abbandonate, hanno dovuto cercare lavoro. Venivano assunte principalmente come casalinghe e nelle case dei loro padroni acquistavano un grande potere, diventando fondamentali. Le donne indigene, con il tempo impararono ad usare la valuta e la lingua spagnola. Con la riduzione delle popolazioni indigene, le encomienda, il servizio personale, la schiavitù, ecc, i creoli ispanici imposero una nuova struttura, disintegrando l'organizzazione indigena, con la conseguente ispanizzazione di quest'ultima. Quindi, il ruolo della donna indigena nella colonia era determinato dai bisogni e dalle ambizioni del latino-creolo e della corona.20

- Le donne schiave negre: a causa del calo demografico degli indigeni, le schiave negre venivano portate in America e svolgevano funzioni di manodopera per l’agricoltura, servizi domestici e lavori nelle fattorie. Le schiave urbane erano principalmente ostetriche, panettieri e lavandaie. Erano di proprietà dei bianchi, facevano parte del patrimonio di famiglia. Erano considerate degli oggetti, una sorta di bene.

In conclusione, possiamo affermare che le donne nelle colonie non hanno esercitato un forte potere, al contrario, erano costrette a vivere alle spalle dei loro mariti, influenzandoli nelle loro decisioni. Sebbene vi erano tipi di donne diverse, c’era comunque un ruolo comune per tutte loro: essere la base della famiglia.21

1.2. Costumi delle donne coloniali

Dopo la rivoluzione industriale, l'industria tessile guadagnò una grande popolarità. Si verificò una maggiore produzione di tessuti, a prezzi accessibili. Nel periodo coloniale le parrucche furono abbandonate dalle donne, che iniziarono a raccogliere i capelli, adornandoli con qualche gioiello, nastri o pettini di metallo per contenere i riccioli. Questi pettini stavano diventando sempre più grandi. Su queste alte pettinature, venivano posizionati cappucci o copricapo. I loro abiti erano vaporosi, con ampie gonne, che

20 Medinaceli, Ximena; Mandieta, Pilar. De indias a doñas. Mujeres de la elite indígena en Cochabamba. Siglos XVI -

XVII. La Paz, ministerio de desarrollo humano, 1997.

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aumentavano di volume grazie all'uso della crinolina, una sottoveste sostenuta da archi metallici, posta sotto la gonna a vita alta. Le donne d’élite usavano un corsetto che le stringeva la vita. Le donne del villaggio indossavano semplicemente gonne lunghe, bluse dal colletto alto e come cappotto, uno scialle. Le famiglie più ricche e influenti imitavano le usanze e la moda europee, adattandole alle idiosincrasie locali; i vestiti erano uno dei modi di mostrare lo stato sociale di appartenenza. Fu così che le signore della colonia, appartenenti all'élite, in stile europeo, coprivano il corpo con una camicia estremamente ornata di pizzi, con maniche ampie e fluttuanti, trattenute da un corsetto che restringeva la vita. Su di esso veniva collocato il doppietto, una sorta di gilet, che arrivava con le maniche ai gomiti, con ampia scollatura e aderiva al corpo, evidenziandone le linee. Su questo era collocata la cotona di tessuto trasparente che univa la parte anteriore e quella posteriore con nastri annodati. Per rendere ancora più sontuoso l'abito, le donne indossavano collane di perle, spesso con il simbolo della croce. Sotto la gonna indossavano sottovesti, a volte più di una o due, con balze e pizzi sul fondo. L'ultimo indumento che si stagliava sulla gonna, era il grembiule, molto lavorato, generalmente abbinato con gli ornamenti delle maniche. Tutta la parte inferiore del vestito veniva poi sollevata dalla crinolina. Sopra la testa e le spalle indossavano un mantello o uno scialle. Le scarpe erano fatte di tessuto molto fine, come la seta, con fibbie e con dettagli in fili d'oro o d'argento. Le calze erano di seta e arrivavano fin sopra le ginocchia. Per sostenerle, usavano le leghe. I capelli con riccioli, passanti e trecce erano decorati con nastri, spille argentate, fiori freschi e pettini, che contenevano questa elaborata acconciatura, che a sua volta era sostenuta dal mantello.22

1.3. L’educazione femminile

L'era coloniale in America è un momento di grande importanza per le culture americane. Per diversi secoli, la società ha subito cambiamenti politici, sociali ed economici. Un ambito che ha richiesto molti cambiamenti è stato sicuramente quello educativo. Nel caso delle donne l’educazione ha abbracciato panorami sempre più ampi per la loro istruzione. Alla fine dell’era coloniale, la società avrebbe dovuto superare le “carenze” delle donne. Bisognava imparare a parlare delle virtù delle donne e non dei loro difetti. Un ideale molto importante è quello della castità, che la donna doveva mantenere per non perdere la sua

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dignità. Durante questo periodo sono state create cinque istituzioni per l’educazione delle donne: scuole amiche, conventi, scuole per ragazze, la casa delle beate e i collegi; erano tutte istituzioni che cercavano di migliorare l'educazione delle donne. La scuola amica nasce nella metà del XVI secolo, con lo scopo di educare le ragazze a svolgere lavori domestici e a seguire i valori cristiani. Anche se fino al diciottesimo secolo erano a pagamento. Queste scuole erano frequentate da donne di grande rispetto che si prendevano cura dell’educazione delle ragazze. Per verificare il loro livello, venivano effettuati dei controlli. L’ingresso avveniva all'età di quattro anni e venivano lasciate lì per circa dieci anni. Una volta uscite, speravano che la loro famiglia trovasse loro un marito così da formare una famiglia con i valori della fede cristiana. La scuola femminile era principalmente dedicata all’accoglienza di ragazze orfane; nasce con lo scopo di proteggerle dalla realtà umana che affrontano in questa fase. Tra le più grandi scuole c’erano il "Colegio Motres de Dios" e il "Colegio de

Nuestra Señora de Caridad". Quest’ultima fu istituita per le ragazze meticce, anche se alla

fine diventò spagnola. La sua ideologia era sempre umanista. Veniva insegnato alle ragazze a pregare, cantare, a leggere e a scrivere. L’intento di questa scuola era di creare mogli idonee, per questo motivo le ragazze vivevano isolate dalla società. Nel caso delle ragazze che avevano una famiglia, potevano ricevere visite solo nelle ore e nei giorni stabiliti. Ovviamente la visita avveniva attraverso le sbarre.

I conventi sono le istituzioni che hanno segnato maggiormente l’era coloniale. Il primo convento in America fu fondato in Messico grazie a Fray Juan de Zumarraga. È proprio nei conventi che avvengono i più grandi progressi educativi nell’educazione delle donne, anche se non esisteva un piano di studi stabilito. È grazie alla Compañia de Maria Nuestra Señora23 che vengono implementati nuovi metodi educativi. Questa istituzione, il convento, mira a creare un più alto livello culturale e un miglioramento dell’umanizzazione. Le donne venivano istruite per raggiungere l’auto-indipendenza. Naturalmente tutto era basato sul cristianesimo, ma attraverso i tradizionali metodi di insegnamento le donne apprendevano anche alcuni mestieri: pasticceria, fioraia e una qualche nozione commerciale. Un altro dei ruoli più importanti del convento era quello di proteggere le donne rimaste vedove, le donne indifese e le prostitute.

È possibile vedere come nell'era coloniale è avvenuto uno dei più grandi progressi per le donne; come l'istruzione è diventata più importante nel corso degli anni. Sono stati diversi i

23 L'Ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora (O.D.N.) fu fondato da San Juana Lestonnac nel 1607,

diventando il primo Istituto Religioso di carattere educativo per le donne. Attualmente questo ordine svolge il suo progetto educativo in molte parti del mondo, tra cui Spagna, Francia, Inghilterra, Messico, America Latina, Africa, Asia, Stati Uniti, Cile, ecc.

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metodi di insegnamento utilizzati ma alla fine hanno avuto tutti lo stesso scopo, ovvero quello di preparare le donne a formare una famiglia basata sui valori e sulla fede cristiana. Al loro interno, veniva insegnato a svolgere le faccende domestiche, a vivere la vita di tutti i giorni, in poche parole veniva insegnato loro ad essere "una moglie esemplare".24 Sebbene siano passati secoli dall'inizio dell'era coloniale ci sono molte somiglianze che accomunano la vita di quelle donne alla vita delle donne del 21° secolo. È vero che non esistono oggi istituzioni che si occupano di educare le donne a svolgere il ruolo di moglie perfetta ma è altrettanto vero che ora è un'educazione data dalle nostre famiglie. Un'educazione che si tramanda di generazione in generazione.

CAPITOLO II

TRADUZIONE DE “EL AŇO DEL LABERINTO”

2.0. Gennaio: Nella stanza di sofia succede qualcosa

Sofia Medero, moglie di Armando Medero, sentiva un dolore sordo alle tempie e le faceva male la gola. La sua camera da letto era completamente buia ma si rese conto con sorpresa che riusciva a vedere tutto grazie ad una luce lattiginosa, piacevole e, allo stesso tempo, crudele. Era disdegnata da se stessa e non sapeva perché, era turbata da una spiacevole sensazione di essere causa del suo stesso male. Eppure, lì non c’era nulla che avesse alterato la normale disposizione dei suoi mobili. Il grande armadio di lusso intagliato con tre grandi ante rifletteva negli specchi smussati la porcellana su cui Romeo sussurrava parole dolci all’orecchio di Giulietta. Rievocò alcuni versi del poeta José María Heredia, tradotti dal francese, che sua madre recitava interi:

L’inutile e terso specchio ha scosso A stento una tortora che i venti sferzano E la luna a volte va, quando nel cielo fluttua,

Lì per emulare il suo volto pallido, sbiadito.

Non c’era luna riflessa nello specchio, né vento o tortore. Non si rifletteva neppure l’immagine di Sofia. La finestra dalla quale contemplava le albe, segno di vigilia del nuovo giorno, a breve, permetterà alla luce diurna di entrare. C’e un chiaro orlo che scorge tra le frange dorate della mantovana di velluto, dietro la quale le tendine trasparenti permettono di

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osservare ciò che succede fuori senza esser visti, come attraverso il traliccio di un’imbracatura. È delicato e discreto questo gioco di luce che si fa strada lentamente, permettendo che i giochi proibiti della notte cessino e le buone maniere, le buone abitudini, l’educazione e la devozione religiosa si facciano carico delle persone che si sono abbandonate alla tentazione delle tenebre.

Cosa ha fatto ieri? di sera addormentò il più piccolo dei suoi figli e chiese a Maria, la cuoca, di badare ai più grandi mentre si preparavano per andare a dormire. Questo accadde perché Adela Valverde, la bambinaia, non era riuscita a guadagnarsi il rispetto dei bambini, nonostante fossero già sei mesi che era in casa. Quando calò il silenzio, Sofia si sedette nella sala da pranzo dove il marito la stava aspettando. Sulla tovaglia del tavolo, ripulita dalle briciole di pane, tolti già i piatti della cena, c’erano il foglio intestato e la penna lunga e secca dalla punta affilata.

- Lo sai già – disse lei, camuffando le palpitazioni del suo cuore – non firmerò.

- Io non posso tenere i miei beni ipotecati – rispose lui con malcelata collera -, tantomeno alla mia stessa donna.

- Perché non ci hai pensato prima? È stata tua l’idea.

Lui non rispose e Sofia non disse più niente. Da qualche tempo a questa parte aveva scoperto i vantaggi del silenzio. Chinò la testa affinché lui non la vedesse mordersi il labbro inferiore. Perché non si potevano chiudere le orecchie come si fa con gli occhi? Un grande errore della natura, indubbiamente; la natura non aveva pensato a questa eventualità. Lo stesso succedeva con il suo naso, impossibile non aspirare l’inconfondibile odore di sudore maschile dopo una giornata di lavoro. Quel redingote non poteva più aspettare, il giorno dopo sarebbe stato mandato in tintoria. Rassegnata ascoltava la litania di argomenti, il tono arrabbiato e la sua indignazione. Più e più volte lui ripeteva “tanto meno alla mia donna”. Sofia prese il lavoro a maglia e iniziò a tessere con il filo di cotone attorcigliato al dito indice, contando un punto dritto e un altro al rovescio. Il movimento ritmico delle sue mani richiamava il remare di un naufrago che cerca di raggiungere la riva. Grazie al lavoro a maglia riuscì a prendere le distanze da tutta quella insistenza. Vide sventolare sotto il suo naso la carta intestata e la penna impugnata come una lancia, ma rimase immobile, lì vi si rifugiava dall’andirivieni ritmico dei suoi ferri da maglia, galeotto legato alla cambusa25,

uno dritto, e l’altro al rovescio, i ferri immersi nella chiara trasparenza del mare, un gabbiano in volo con le ali spiegate sulla danza dei delfini … i secondi passavano e

25Deposito dei viveri a bordo delle navi.

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l’orologio della sala prendeva il ritmo, tic, tac, tic, tac, tic. Perfetto, lui si stancò. Armando Medero finì il suo bicchiere di cognac, prese il foglio, la penna e il calamaio, con un rude slancio allontanò la sedia viennese, si alzò goffamente e si diresse verso l’androne, vicino al quale aveva trasferito la sua camera da letto. Lei seguiva i suoi passi con attenzione, sapeva che stava passando dal soggiorno perché lo sentiva girare intorno al piano, lo vide controllare le finestre, aperte durante il giorno per asciugare l’umidità accumulata durante l’ultima stagione delle piogge. Poi sentì in lontananza il rumore di una porta che si chiudeva e immaginò il cassetto che conteneva il foglio che lei, seguendo l’indicazione dell’avvocato Ricardo Jiménez, si era rifiutata di firmare, scivolare sulla carta cerata. Poi lasciò il suo lavoro a maglia. Passò dalla stanza delle figlie e si ritirò nella sua. Chiuse la porta che collegava la sua stanza con il soggiorno e si fermò per qualche istante senza sapere cosa fare. Le succedeva negli ultimi anni, spesso non ricordava dove stesse andando o che intenzioni avesse. Erano piccolissime incertezze di breve durata, ma sufficientemente fastidiose da minare la sua sicurezza. Accese la lampada del comodino, sollevata dal fatto che non fosse buio. Si tolse la sottoveste e la blusa e sciolse le stringhe del corsetto. Si mise una camicia da notte di flanella chiusa al collo con del merletto bianco. Sciolse lo chignon, e i suoi scuri capelli, senza né forcine né pettini, ritornarono in libertà. Rovesciò la brocca di terracotta sul bacile posto su un tavolo di marmo e si lavò il viso e i denti, asciugandosi con un piccolo panno bianco appeso con cura ad una barra attaccata alla struttura in ferro battuto.

Verificò che le chiavi di casa fossero a portata di mano insieme al suo portamonete, al ritratto della madre defunta e ad un soprammobile di porcellana che ritraeva Romeo e Giulietta mentre si abbracciavano dolcemente, vestiti con variopinti veli settecenteschi. Poggiò la schiena sui cuscini, sui quali la Nostra Signora della Carità del Cobre proteggeva il suo sonno sospesa su una barca sul punto di naufragare, e sospirò contenta del fatto che la sua paura non l’aveva tradita; lui non si rese conto del tremore delle sue ginocchia. Stese le gambe nel deserto del suo enorme letto matrimoniale, e lesse qualche pagina di un romanzo che come titolo aveva il nome di una donna: Madame Bovary. Lui, Armando, suo marito, sempre curioso delle sue letture, la ribattezzò Madama Boba. “ Con un marito così buono, e lei gli ha rovinato la vita con i suoi rifiuti e adulteri”. Le parole traballavano sotto i suoi occhi. Esausta mise il libro sotto il cuscino, spense la luce e soddisfatta della sua capacità di resistenza si addormentò con il suono tranquillizzante di respiri che si avvertiva in casa. Quando si svegliò sentì il corpo irrigidito e teso, un dolore che non poteva essere definito. Qualcosa le era successo durante il sonno. Non fu esattamente un incubo, ma qualcosa di

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simile. Qualcosa di veramente sorprendente, ma l’esperienza era ormai cancellata. Sofia era stupefatta, mai nella sua vita si sentì così estranea a ciò che sentiva come se stessa. Inizialmente fu avvolta dall’oscurità. Di solito, quando andava via la luce della città, rimaneva accesa quella delle case, ma in quel momento sembrava che le due Compagnie si fossero messe d’accordo per un unico black out. Improvvisamente lo spazio si illuminò da un chiarore singolare che non sorgeva da nessun lato e sembrava emanare in ogni luogo, una luce densa e soave, profondamente oscura nella sua identità. Dove e quando aveva conosciuto quella luce così piacevole e profonda, quella luminescenza che penetrava nel profondo degli oggetti e che si univa ad un forte sentimento di piacere e di responsabilità? Quale tipo di candela poteva produrre una luce tanto incredibile? Che tipo di candela era quella che si rifiutava di affiorare la sua memoria? La sua camera da letto, così quotidiana, così familiare, vissuta per un così lungo soggiorno, anche nei suoi angoli più nascosti, dove non ci erano mai stati segreti, dove le discussioni e le lacrime erano parte dell’arredamento, ora appariva diversa, singolare, come una stanza strana in cui non era mai entrata.

La finestra, compagna fedele delle sue notti insonni, era aperta e un colpo di vento gonfiava le tende. Sentì dei colpi sul vetro, la voce non usciva dalla gola ma riusciva ad avvertire che qualcuno abbassava la finestra, anche se lei non ricordava di averla alzata prima di andare a letto. Prima che questo succedesse, Sofia non sapeva se stesse sognando, sentì il trotto dolce di un cavallo e un breve e confuso dialogo. Il vigilante bussò due volte, abbassò la finestra e i suoi passi si ritirarono. Riusciva ad immaginare l’andirivieni dell’uniforme blu, su e giù per la città, osservando i cornicioni per segnalare le tegole rotte, che rischiavano di cadere su un ignaro passante. Presto fuori sorgerà un debole bagliore, un delicato gioco del sole che attraversa le colline per cadere sull’incerta vetta delle montagne che racchiudono e schiacciano la città su tutti e quattro i lati e ostacolano la vista all’orizzonte. Le piaceva immaginare la presenza del mare per trovare un po’ di pace, quel mare che la accompagnò per diciassette anni e poi era sparito dalla sua vita.

Manca ancora un po’ di tempo prima dell’alba. Guardò verso il suo letto, osservò i suoi capelli stesi sul cuscino e i motivi dei merletti della sua camicia da notte. La striscia rossa che le avvolge il collo è nuova, e le ricorda un aneddoto che raccontò, non molto tempo prima, il generale Maceo quando venne l’ultima volta a cercare il denaro con cui Armando Medero contribuiva alla guerra di Cuba. Sofia trovò divertente quell’aneddoto: l’Infanta di Borbone, pronta a scendere dalla nave all’Avana, apparve, con sorpresa degli spagnoli, con

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un completo che aveva i colori dei ribelli mambí26, bianco e blu, con una fascia rossa al collo. Glielo fecero notare e lei rispose: “Cosa pretendono, che mi vesta di rosso e giallo come la bandiera della Spagna?”. Così si presentò al Palacio de los Capitanos Generales, vestita in modo provocatorio con i colori mambí, scendendo dal calesse sulle cui porte erano dipinti, in rosso e giallo, gli scudi reali. Suscitò stupore, scandalo e perché no? Anche ammirazione. Poi, durante le celebrazioni, l’Infanta dichiarò che nessuno sarebbe stato in grado di fermare la guerra di indipendenza Cubana. Quella che avvolge da un lato all’altro il collo di Sofia però non è una fascia scarlatta . Il suo corpo riposa rannicchiato nella coperta perché la notte è molto fredda. Si direbbe che dorma, appoggiata sul lato sinistro. Sofia c’è e non c’è tra le lenzuola di lino. Sul comodino, su cui ha lasciato le chiavi e il portamonete, insieme alla coppia dell’amore perfetto, sua madre la guarda imprigionata in una cornice d’argento. È un vecchio ritratto sbiadito dagli anni e dalla tecnica scadente di un fotografo incapace di somministrare correttamente gli acidi. La testa emerge da una profonda scollatura, da maniche inghiottite spuntano le spalle, coperte da una mussola chiara con piccoli ciuffi e rose pallide, ideale per i climi ardenti. La chioma, tanto abbondante quanto quella della figlia, raccolta in due generose onde attaccate alle tempie, sembra rimpiangere il mare che Sofia ha nascosto sotto le unghie, tra le dita dei piedi, in ogni parte del suo corpo dove il sale potrebbe rifugiarsi. Fuori, lo sa bene, attraverso la cavità nera del cielo il sole lavora duro e combatte per eliminare l’oscurità che circonda questa valle imprigionata e prigioniera. È più lenta un’alba di un tramonto, lo sa perché l’ha detto molte volte. La battaglia contro l’oscurità è più dura dell’impero delle ombre. C’è un istante, un secondo di confusione in cui non si sa se il sole nasce o muore. Poi l’orizzonte filtra un raggio di luce bianca sulla punta più alta delle montagne e non si sa se sia l’ultima traccia del tramonto o una nuova forma d’alba. L’aurora, confusa, ha un che di perverso. Così distanti le albe di Santiago di Cuba … un negro passa cantando mentre l’uomo che porta l’acqua urla svegliando tutta la città. Così distante il vociare delle donne che manovrano utensili in cucina. L’amido sussurra complotti discreti nei corridoi che si aprono sui cortili interni e su e giù per le strade. La morbidezza del tulle e la zanzariera, fatta scorrere per mano di Rosalia. Vociare di donne che avvertivano che il calore arriva e rimane, sale e rimane, bolle e rimane. Il riposino di un pomeriggio caldo e sudato sta per terminare mentre il tramonto porta poca brezza, e con essa, le parole degli uomini occupati in concili segreti. Parole che non dovrebbero ascoltare le bambine agli albori della pubertà. Lei però sapeva che si

26 Il termine mambises (mambí, al singolare) è usato per riferirsi ai combattenti indipendentisti domenicani, cubani e

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parlava di una guerra che stava per iniziare, tra le tazzine di un caffè più scuro di un complotto, tra i sorsi di rum infiammato come una conflagrazione e i sigari arrotolati sulle cosce di vergini cubane27, tra finestre senza vetri e sostegni blu, protette da balaustre di cedro.

Non si può più sentire la persistente goccia sul lato sinistro, che scorreva fino a raggiungere la grande pozza formatasi sul pavimento. Nella ciotola di terracotta l’acqua assume l’aspetto di una bevanda alle more, come se un gallo fosse stato massacrato lì per essere offerto agli Orica28: Obatalá, Yemayá, Ochún, Obba, Orula, Dadá, parole pervase da un oscuro significato, che arrivano all’orecchio come echi del passato. Non ci sono galli nell’acqua sudicia. Non c’è altro che una mostruosa colpa in quell’acqua tinta di rosso.

Il sole ha salvato la barriera delle montagne e lo specchio lancia un gioioso raggio di luce nella direzione in cui mi sono posizionata, ignorandomi completamente. È lo splendore che riflette dall’insegna metallica della farmacia di Alegre, un gioco di specchi che dialogano e si riflettono la luce l’un l’altro. Sono stata io ad aprire la tenda? Sotto l’insegna, il proprietario della farmacia ha appeso alcuni versi che conosco a memoria, non ho bisogno di starmene sul marciapiede per leggerli:

É, il Santo Iddio, Colossale Sublime, Fenomenale,

ai prezzi che quoto, per tre centesimi fomento un gran purgante di sale.

Non ho mai capito le intenzioni del farmacista. Vuole attrarre clienti e poi li minaccia con un purgante.

I bambini si svegliano. Sento le loro voci assonnate, i passi del piccolo Armando, il figlio maggiore aprire la porta che dava sulla strada. I loro rumori innocenti hanno una strana serietà ascoltati da qui. I passi di Maria, la mia cuoca, si sono fermati davanti alla mia porta. Due leggeri colpi mi avvertono della sua presenza e siccome non rispondo, insiste in modo

Cuba e Filippine.

27 A Cuba, la prima donna che entrò in una fabbrica di sigari nel 1878 era europea, ma fino al 1960 nelle manifatture

di sigari cubane non era permesso alle donne arrotolare sigari, un mestiere solo per uomini. Prima di allora, il lavoro delle donne era limitato alla selezione delle foglie. Alle donne non era permesso arrotolare sigari per motivi religiosi. Le donne spesso selezionavano le foglie appoggiandole sulle loro cosce, dando origine al famoso mito che i sigari venivano arrotolati sulle cosce di belle vergini cubane.

28 Gli orisha o oriscià, sono semidivinità appartenenti originariamente alla mitologia dei popoli dell’Africa

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impaziente. Deve essere davvero tardi per commettere l’indiscrezione di girare la maniglia e aprire cautamente la porta. Dalla sua prospettiva tutto è in penombra. Io si, posso vedere perfettamente la sua testa scura, i riccioli fitti racchiusi in uno chignon indomabile. Respira profondamente e la camicia bianca si stringe sulla prosperità dei suoi seni. I suoi occhi neri scrutano minuziosamente l’oscurità e sussurra, donna Sofia … donna Sofia … aspetta e sembra tornare indietro. Ma poi avanza in punta di piedi, il suo corpo da puledra acquista la leggerezza di una gazzella sulle sue scarpe indossate quotidianamente. Come previsto, si china sul mio corpo e la sua mano ruvida si posa delicatamente sulla manica bianca che sembra una grande farfalla notturna. Il sangue ha smesso di scorrere e coagula lentamente e appiccicoso sulla flanella della camicia da notte, macchiandole la mano. Sorpresa, la osserva, la tocca con l’altra, la porta al naso, si piega alla vita per guardarmi con attenzione e si rialza. Apre la bocca enormemente, nonostante ce l’abbia già grande di suo, ed un gemito strozzato accompagna il suo maldestro indietreggiare fino alla porta. Inciampa su qualcosa. Cerca di ritrovare l’equilibrio aggrappandosi al comodino e Romeo, accompagnato dalla sua inseparabile Giulietta, cade sul pavimento riducendosi in frantumi. Maria si piega, raccoglie i pezzi rotti e li ripone nella tasca del suo grembiule. È inconcepibile che tu abbia tanta cura in un momento come questo. Noi donne facciamo cose strane quando siamo offuscate. Sarà un modo di evocare la normalità? Esce dalla stanza senza voltarsi indietro, con la mano chiusa sui minuscoli detriti nella tasca mentre un gemito gutturale si fa strada nella sua gola, subito dopo aver oltrepassato la porta. La sento correre, in fretta, urlando così tanto da farmi drizzare i capelli se solo fossi stata cosciente. Le urla di Maria non mi allarmano, ma invece allarmarono tutti gli altri. C’e un frastuono di voci, passi e parole. La mia cuoca cerca di evitare che i bambini mi vedano, ma è troppo tardi. I bambini si avventano sul mio letto, e la bambinaia che li ha seguiti, lotta per fermarli. La piccola e tenera figura di Cecilia riesce a liberarsi dalle braccia che la imprigionano e si getta sul mio letto per scivolare nella pozza di sangue, cade, e Maria la prende in braccio e la porta via. Prendo nota di tutto con la freddezza di un notaio. Il terrore degli altri mi è alieno e la paura dei bambini non mi commuove. Armandino, spaventato, è rimasto dietro al gruppo, e poi esce, per cercare aiuto immagino. Con i suoi quindici anni è il secondo uomo di casa. Finalmente tutti vanno via e la porta si chiude. Ora i pianti e le urla mi giungono mute. Manca il più importante, mio marito. Perché ritarda così tanto? Perché non viene? Dovrebbe già aver udito le urla.

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2.1. FEBBRAIO: Sofía torna indietro

Cosa avrà fatto Maria? Io, qui, in questa stanza senza il mio corpo. Lo hanno portato via nascondendo, in un coperta guatemalteca, l’impronta lasciata sul letto. Sono rimasta sola, ubriaca di questo tempo che non finisce mai, trasformata in un pensiero ininterrotto, senza riposo. Mi manca il ticchettio dell’orologio che si è fermato perché scarico. È difficile abituarsi ad essere un presente mentre il tempo avanza nelle cose che mi circondano. Non corro alcun pericolo di cadere nella seduzione dell’immortalità; la sua noia mi spaventa. Se non posso andare avanti, a causa di questo strano stato, dovrò ritornare al momento in cui è iniziata la mia storia. Nessuno mi dice per quanto tempo resterò prigioniera in questa casa o se ci sarà una dissoluzione. Mi sostiene un po’ di energia e spero di non esaurirla prima di arrivare alla risposta. Dio non mi ha ancora fatto visita. La Nostra Signora della Carità del

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Cobre è rimasta come sempre, appesa alla parete, offrendosi ai naufraghi. Ritardo il momento di addentrarmi in sentieri già dimenticati e mi diverto a sbirciare dietro le tende. Negli ultimi giorni ho sentito spari, ombre che corrono e soldati impegnati nelle case dei vicini. Alegre ha chiuso la sua farmacia e ci sono poche persone che passano dalla via del Labirinto. La casa è sorvegliata. Di notte il poliziotto che resta di guardia davanti alla porta principale cerca rifugio sotto la grondaia della farmacia e sento rumori che mi sono familiari e che esistono dal periodo in cui l’ansia alimentava le mie paure notturne. La baia di Santiago di Cuba sembra il condotto intimo di un sesso di donna, che entra nella terra dell’isola fino a sfiorare la lanugine impenetrabile che ricopre la Sierra Maestra. Le strade del quartiere di San Tomas scendono fino all’Alameda, dove io e mia madre riposavamo sotto l’ombra fresca e piacevole di un albero, di cui non riesco a vedere la chioma. A pochi passi l’acqua lambisce il porto e le imbarcazioni non cessano di entrare ed uscire, scappando o cercando lo stretto ingresso del Castello del Morro29 controllato dall’insondabile orrore dei suoi archi. Roventi, le strade si aggrovigliano l’una con l’altra e attraverso le sbarre delle finestre e dalle porte socchiuse di legno rinforzato, gli occhi indiscreti osservano il passare dei pedoni, che temono la presenza inquisitoria dei soldati spagnoli, bramosi di penetrare nei segreti più intimi delle famiglie creole. Lungo la calle Providencia, dove vivono i Maceo, scendono e salgono i membri della loggia massonica; questo è considerato un luogo di incontro di neri e di bianchi che rompono le barriere del colore della pelle alla ricerca di un sogno libertario. Lì tramano questa guerra che non accenna a terminare. Prima che la guerra avesse inizio vedevo passare Antonio con la sua bianca mulatta, una vicina del mio stesso quartiere, con la quale si era finalmente sposato. Una bella coppia, diceva la gente. I francesi scappati da Haiti, i neri liberi, i creoli bianchi, e tutti coloro che erano stanchi di essere maltrattati in nome di un re mai visto, gioivano di quella signorilità e eleganza di due persone che si volevano bene.

Antonio era solito venire a casa mia a prendere il caffè con i miei zii. Si riunivano nel cortile interno, al fresco delle piantagioni e dei vasi, e all’ombra dell’androne riparato dalle tegole. Il mio sguardo risaliva l’impeccabile taglio dei pantaloni che Mariana, sua madre, marchiava con i carboni ardenti nel tessuto, dall’odore di menta fresca. Cercava di dissimulare il suo bianco sorriso dietro ai baffi che crescevano come i boschi della manigua. Era molto giovane e bello.

29Il Castello di San Pedro de la Roca, noto anche come Castillo del Morro, è un'antica fortezza che si trova nella città

di Santiago di Cuba, capoluogo dell'omonima provincia, nell'isola di Cuba. Si trova a circa 10 km a sud-ovest del centro, e domina la baia.

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Prima di diventare un Generale, aveva un difetto che a me a alle mie sorelle faceva ridere: balbettava. Le malelingue sostenevano che la colpa fosse della madre, autoritaria come un sergente spagnolo, che dirigeva la casa e i suoi figli come se fosse una caserma: “anche le pulci hanno la tosse”, mentre le sculacciate ricercavano le natiche. Cosa restava a quella povera donna? Come Mariana aveva servito volentieri quel brulichio di creature inquiete nella casetta di via Providencia, solo lei poteva saperlo. Trascorrevano tutto il giorno in giro per le strade scappando al mare. La madre aveva avuto figli già da una precedente unione e in tutto erano tredici. Quante volte i vicini l’hanno vista con la frusta in mano, correre dietro agli indomabili fino alla stessa riva del mare, e lì, senza pensarci su, prenderli per un orecchio per riportarli indietro, lasciando in riva al mare l’amo fatto alla buona e la lenza da pesca.

Antonio, astuto e paziente, al punto di ridurre il manifestarsi del suo balbettio, forzando la sua volontà e ottenendo una parlata lenta e tranquilla che gli conferisce un’aria di grande autorità. Però quando si arrabbia le sue parole gli escono come un cavallo zoppo in fuga. La stoica cura della pausa fece si che, vincendo la sua balbuzie, finì per sconfiggere se stesso, reprimendo la sua veemenza lasciata libera solo a letto con le donne. Ha la fama di donnaiolo. Quando qualcosa lo rende nervoso, quando la rabbia lo penetra profondamente, la pelle diventa paonazza e non una sola parola esce dalla sua bocca. Antonio non discute, scrive, manda lettere ma non parla. Si contiene e, in quello sforzo titanico per domare la sua lingua, appare di bronzo. Antonio Maceo irascibile produce una terribile impressione. Non posso dire con certezza che mi avesse mai presa tra le sue braccia, però ricordo che la sua altezza e quella dei miei zii mi obbligavano a piegare dolorosamente la testa all’indietro, attaccata alla gonnella di mia madre, sempre frettolosa, sempre impegnata a preparare la brocca di sapote battuto e un vassoio di biscotti che avrebbero occupato il centro del tavolo di marmo, bianco come i denti del mulatto. Il piatto si svuotava accompagnando il lento oscillare delle sedie a dondolo, in un’atmosfera rinfrescata dai venti costieri. L’intenzione delle parole veniva mascherata. Le cose venivano dette tra i denti, mormorate, borbottate, e lasciate a metà. Rosalia, affinché io e mia sorella non intralciassimo le conversazioni degli adulti, ci intratteneva conducendoci per mano verso il corridoio che si affacciava sulla strada, su una specie di balcone, per osservare il passare dei venditori di acqua con le loro brocche, il cieco negro che chiede l’elemosina, le signore vestite di mussola e le schiave vestite di cotone con il sombrero di guano mentre vendevano rotoli da due centesimi.

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Amavo guardare le donne negre francesi che offrivano polveri per il viso e tortine alla crema, tutto nella stessa cesta.

Mi sto appassionando ai personaggi di via Trinidad. Se voglio essere fedele al filo che mi ricondurrà alla Sofia che è stata portata via, e dalla quale sono così distante, devo cominciare dal principio. C’era una volta una palma solitaria, lunga e sottile, situata vicino ad una strada dove viveva un creolo soprannominato Soriano. Col tempo i mulattieri e i contrabbandieri che si davano appuntamento lì la ribattezzarono come la Palma di Soriano. Forse perché questo Soriano mise il suo pozzo a disposizione per dissetare i muli, o forse ebbe rapporti con i contrabbandieri, ma questo non lo sapremo mai. Con il passare del tempo e a causa del calore che tutto riduce per risparmiare respiro, una volta morto Soriano la palma rimase più sola che mai, sia perché i mulattieri furono presi dall’indolenza tipica degli abitanti delle Antille, sia perché i contrabbandieri concordarono di appropriarsi chiaramente di quel luogo, eliminando così sia il “la” che il “di”, passando quindi da “la palma di Soriano” a “Palma Soriano”. Anche la palma terminò i suoi giorni però il nome rimase e in quel punto nacque una città. Io nacqui molto vicino a questo posto, a La Perseverancia, terra di canneti, torchio e caffè, di proprietà di mio nonno. Il nome dice tutto, perseverare, perseverare, con sette modeste cavalcature da terra aspettando la fortuna … Fui battezzata nella parrocchia Nostra Signora del Rosario. Nel libro dei battesimi dei bianchi, volume numero 6, iscrizione numero 921, secondo quanto riporta l’indice, con data 15 Dicembre del 1860, nata il 6 Novembre dello stesso anno, appare una Sofia Teófila de los Dolores. Quella sono io, quello testimonia la mia esistenza. I miei padrini furono mio nonno materno e una zia. Sofia, figlia del Dio dei Dolori; Sofia, figlia del Dio dei Dolori; figlia, Sofia! Che dolore questa figlia mia Teófila … mia madre era solita giocare in questo modo con il mio nome, quando voleva evitare un duro rimprovero. La famiglia mi mise da parte il nome Teófila, e anche se non mi alleviarono i dolori mi lasciarono solo il nome Sofia, con il nobile scopo di darmi un bagaglio di saggezza. Poveretti! Poco è rimasto delle sue buone intenzioni. Mai sono venuta a conoscenza di quale sia stato lo scopo preciso della mia esistenza.

Non ricordo la mia nascita, quell’atto involontario del venire al mondo. Ricordo la parrocchia dove mi battezzarono perché ci entrai molte volte. C’era un altare tutto in marmo bianco e alcune belle e massicce panche di mogano, quel legno rosso e caldo che con il suo tocco morbido mi distraeva dalle preghiere in latino, interminabili e incomprensibili. Della

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tenuta di mio nonno ricordo chiaramente un generoso flamboyant30 di fiori rossi che le mie piccolissime mani cercavano di raggiungere, accontentandomi, poi, di quelli già appassiti caduti sul terreno. Tra schiavi, occupati nella raccolta della canna da zucchero e del caffè, e la servitù delle donne, che si occupavano della casa, erano in quindici. La prosperità della famiglia era in aumento e i tempi migliorarono quando morì mio nonno. Poi ci furono alcune discussioni familiari sull’eredità e mio padre decise di trasferirsi a Santiago di Cuba, nel quartiere di Santo Tomás, in via Trinidad, dove vivevano altri parenti stretti. Ma non andiamo avanti. Torniamo al mio battesimo. Dicono che non piansi quando mi bagnarono la testa perché l’acqua Santa passò tra i miei capelli neri e folti, senza toccarmi la cute. Rievoco questo fatto perché mia mamma per timore che rimanessi pagana, chiese che si ripetesse l’operazione. Il sacerdote, di fretta, non ci fece caso. In cambio, bagnai i pantaloni dello zio Armando, che all’epoca aveva vent’anni, quando insistette per prendermi in braccio, seduto accanto a mia madre, mentre mio padre guidava il calesse. Fecero una gran festa. Io ero la primogenita, nata dall’unione dei due vicini, e i miei nonni celebrarono il patto. Le due famiglie mescolarono il loro sangue molte volte, al punto che sarebbe impossibile distinguere le diverse radici. Il torchio smise di girare. Il canneto rimase vuoto, le piante di caffè allietavano il paesaggio con dei bellissimi fiori bianchi e frutti primaticci. La servitù fu invitata a partecipare ma a distanza. Sofia Teófila de los Dolores, fosti posta al centro di una tavola rivestita di pizzo, nuda proprio come la levatrice ti portò al mondo. Tutti furono rallegrati dal mio bianco splendore. Tra il vino rosato catalano, le banane fritte nel burro, i ventagli, i gombi31 e il caffè nero, c’erano le mie carni tenere, rosate e pallide come un appetitoso maialino da latte. In una specie di antropofagia simulata, tutti volevano mangiarmi di baci … incantati dall’impeccabile candidezza delle mie carni, gli schiavi Pablo e Rafael, congolesi, Lorenzo, africano della costa Carabal, Guadalupe e Rosalía, di origine incerta, avventuravano le loro dita nere nelle mie braccia. Furono comprati di contrabbando da mio nonno, perché già da allora gli inglesi pattugliavano l’isola per

30Delonix regia è una pianta della famiglia delle Fabaceae (note anche come Leguminose), originaria

del Madagascar. È conosciuta in molte parti del mondo, specialmente ai Tropici, come 'Flamboyant' ed in Italia anche come 'Albero di fuoco'. 'Flamboyant' è una parola francese che significa "fiammeggiante", per l'aspetto alla fioritura. 'Albero di fuoco', analogamente è in relazione alla pianta in fiore. Delonix è un termine derivato dal greco e

letteralmente si traduce con "unghia all'ingiù" con riferimento all'aspetto dei petali.

31Il gombo è una specie appartenente alle Malvacee ed affine alla specie Abelmoschus moschatus e agli ibischi. È

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