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LUGLIO: La mamma perde suo figlio

La Jarroelata, affinato l'istinto grazie ai tanti anni trascorsi ad affannarsi nel mondo della strada in cerca di cibo, nonostante la deficienza visiva, percepì il muoversi delle ombre sulla porta della signora Freer. Chiuse nel suo pugno le chiavi della casa dei Medero e iniziò a correre a Nord del Labirinto.

Svoltò alla sua destra e continuò camminando stretta alle pareti, ascoltando il rumore degli stivali sul selciato. Tornò a ripetere lo stesso movimento nell'angolo successivo, ma questa volta svoltò a sinistra, sboccando nuovamente sulla strada del Labirinto. Questo suo stratagemma venne favorito dalla presenza di un socio del club degli alcolisti anonimi che, vedendo i poliziotti che correvano nella sua direzione, si gettò tra le loro braccia implorando compassione. Nel lasso di tempo speso a liberarsi dell’ubriacone, la Jarroelata era avanzata a nord della città. Era inutile seguire le sue tracce. I poliziotti tornarono indietro e l'ubriaco continuò a biascicare parole barcollando, ignaro dell'aiuto inestimabile che aveva dato a una povera donna in fuga.

Buona conoscitrice della città e dei suoi bassifondi, la Jarroelata si diresse verso il ponte sul fiume Torres, dove normalmente i senzatetto passavano la notte durante la stagione secca. Il ponte diveniva la sede estiva di accattonaggio. Con l’arrivo delle piogge, si trasferivano in altri punti della città, a causa delle costanti minacce di inondazione. Quando il livello delle acque aumentava, i barattoli e gli stracci venivano spazzati via dalla corrente, completamente priva di sensibilità sociale. La storia del ponte mostrava, tra le sue pagine deplorevoli, nomi di vecchie prostitute e illustri vagabondi rapiti dal fiume durante l'incoscienza del sonno e dell'alcol. Non c'era posto più sicuro, ora che le piogge erano al loro culmine. Nessuno avrebbe creduto che qualcuno potesse passare la notte lì.

Raggiunse la fine della strada, mimetizzandosi con il muro, con i cani, con le ombre. Arrivò al ponte. Un timido bagliore le indicò la presenza umana. Qualcuno stava rischiando la sua vita. Scese da un lato, facendo attenzione a mettere il piede tra le erbacce per non scivolare giù lungo il pendio, ripido e gremito. La luce proveniva da una specie di grotta attraversata dallo stesso fiume, sotto il ponte, in una delle sue piene più violente. Unico posto sicuro grazie al livello attuale delle acque. Una figura inqualificabile era impegnata nell’accendere un fuoco primitivo, tre pietre poste fra le fiamme, reggevano una pentola. Riconobbe la Verruga, un

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ottantaduenne con una resistenza di ferro alla miseria e un'anima testarda che si rifiutava di abbandonare il corpo.

La vecchia alzò lo sguardo sentendo il rumore dei piedi scivolare giù per il pendio e si mise in guardia, tenendo tra le mani il bastone con cui stava mescolando il contenuto della pentola. Per la Jarroelata, quel posto aveva l'aspetto di un rifugio dalle avversità.

- “ Sono io, Verruga, la Jarroelata”.

- " Cosa sei venuta a fare, lurida troia? Non ho abbastanza zuppa anche per te”. - “ Non vengo per ostacolarti, vecchia pazza. Sono solo venuta a trovarti”.

- “ A quest’ora e inseguita dalla polizia? A chi vuoi darla a bere? Quello che stai facendo è scappare. Non ti servirà a nulla. Non c'è nessuno che possa salvarsi, ci lasceranno marcire tutte ... Non sei la prima a presentarsi qui e finora le ho spaventate tutte. È meglio che tu te ne vada ...”

Raccolse un tronco ardente, brandendolo come una scimitarra. La mancanza del tronco scompensò l'equilibrio delle pietre e la pentola si rovesciò. Un paio di patate caddero nelle braci e il liquido versato estinse una parte del fuoco.

Un rosario di atrocità uscì dalla sua bocca, sottile e rugosa come il culo di una gallina. La Jarroelata, coraggiosamente, si avvicinò e mise in salvo le patate, bruciandosi le dita. Poi prese la pentola e la riempì con l'acqua dal fiume. Per completare il suo lavoro con diplomazia si accovacciò e soffiò come un mantice finché le fiamme non si rianimarono. La Verruga osservava ciò che stava facendo, brontolando. Gettò il tizzone per alimentare il fuoco e si sedette con aria offesa.

- "Non puoi restare qui, Jarroelata," disse con gentilezza, "perché potrebbero arrivare gli sbirri e portare via anche me.

- “E chi vi prenderà, siete così vecchia ... Neanche gli avvoltoi si avvicinerebbero al tuo corpo, con una pelle mangiata dalle tarme come la tua!”

- “Senti chi parla” - la Verruga risentita -. “Oh, che carina, hai ancora dei clienti ... Sei più magra di un verme, da dove ti afferreranno, boh?”

- “Per quello, donna, per quello. Non afferreranno me per mancanza di carne, ma neanche te, per l’età. Siamo entrambe in pensione”.

La Verruga pensò che la cosa avesse la sua logica. Poi assaggiò le patate per vedere se erano pronte:

- Che hai combinato? Il Petillas ti ha buttato fuori inutilmente?

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Decise di confessare la verità.

- Il Petillas mi ha abbandonata. Ecco perché sto cercando un posto sicuro. - Che gratitudine, cazzo. Gli lasciasti bei soldi quando eri un bel vedere. - "Esatto," sospirò la Jarroelata.

- Beh, entra in casa mia e vai in cucina. Ti offro un tetto per passare la notte. Ma della mia zuppa, niente! Hai sentito?

- Tranquilla, non ho fame. Hai un po’ di Guaro42?

- Santo cielo! Che razza di richieste. Ho smesso perché il mio stomaco si stava avvilendo ... Ora mi prendo cura della mia salute, non ho più la stessa resistenza.

La Verruga abbassò la testa, come se stesse pensando a qualcosa di profondo e molto importante:

- Ti offro una patata, così puoi consolarti.

La Jarroelata declinò l'offerta e la ringraziò calorosamente. Immaginava un verme carbonizzato e l’idea non era appetibile. Aveva ancora sullo stomaco quello che le aveva dato la Motetes. Una volta risolto il problema dell'alloggio, si avvolse nello scialle. La corsa e lo spavento l'avevano sfinita. I movimenti della Verruga vicino alla pentola, mentre sorseggiava la zuppa, masticando le patate con le gengive sdentate, erano rassicuranti. Cullata dal mormorio del fiume, si addormentò pensando che se il fiume l'avesse presa, sarebbe stato meglio, non poteva vivere scappando.

Quando si svegliò, la Verruga era si era volatilizzata con la pentola. Le ceneri spente erano una triste attestazione della sua assenza. La vecchia, senza dubbio, svanì intimidita. La Jarroelata si pentì di aver rifiutato la patata, ora una tremenda fame la assaliva. A casa del Patillas si staranno facendo colazione con il gallo cucinato nella cipolla, l’aglio, e il burro. E una tazza di caffè caldo e aromatico. Forse il Petillas aveva già calmato la sua rabbia, forse La Motetes aveva interceduto per lei.

Le guardie la sorpresero in un brutto momento. Forse avrebbe dovuto cercare di entrare in casa durante il giorno. Se ci fosse riuscita, in questo momento sarebbe stata in pace e al sicuro. La Motetes le disse che nella dispensa c'erano riso, fagioli, mais, lardo e qualche vasetto di cose gustose che provenivano da lontano, alcuni deliziosi filetti di pesce e anche cacao e zucchero. L'epidemia dei ratti aveva sicuramente raggiunto la casa del Labirinto, ma qualcosa si sarebbe fermato. La Motetes gli aveva detto che c'erano anche molte riviste di moda e altre cose carine

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con le quali ci si poteva intrattenere. Ma lei, la Jarroelata, non aveva la benché minima intenzione di entrare in una stanza dove avevano ammazzato una donna. E lei le aveva proposto di restare in cucina. Le era stato vietato di accendere il fuoco, e su questo la Motetes aveva insistito tanto. Era importante che non si vedesse il fumo uscire. Che cucinasse su un fornello con un liquido maleodorante in una bottiglia, l'ultima moda dei ricchi che potevano permettersi lussi simili. La Jarroelata si era ripromessa di non usare cose moderne che non conosceva.

Di buon umore, scese giù fino al fiume; c’era il sole, e l'acqua scorreva placidamente.

Si chinò per sciacquarsi il viso e la chiave della casa dei Medero si immerse con leggerezza nella corrente. Il fondo, sulla riva, non era molto profondo e la Jarroelata brancolava tra le pietre nella speranza di recuperare la piccola struttura metallica. Si bagnò la manica del vestito fino al gomito e dovette arrendersi. Nello sforzo per tentare di recuperare le chiavi perse le monete rimanenti della Chicha Tigrilla.

- “Sarà meglio”. Si consolò. “Forse è il defunto che non vuole ricevermi”.

Si gettò lo scialle nero sopra la testa. Meglio camminare per le strade durante il giorno. Salì gattonando, raggiunse il ponte e camminò in direzione del sole. Girò così tante volte per Goicoechea che finì per raggiungere San Pedro del Mojón e da lì seguì la linea del treno di ritorno verso ovest, inciampando, costantemente, sulle traversine ferroviarie. Un acquazzone improvviso la inzuppò dalla testa ai piedi. Poi il sole si alzò di nuovo e la asciugò. Poi di nuovo la pioggia, una pioggerellina intermittente e mite, bagnava ogni suo passo. La Jarroelata non aveva un centimetro del suo corpo che non fosse bagnato. Le gambe rabbrividivano. Ma non aveva altra scelta che forzarli a funzionare. Il frastornante rumore delle carrozze che fischiavano e gettavano fumo gli causavano una nausea terribile. Poiché non aveva niente nello stomaco, versò un liquido verde acido che le cauterizzava il palato e le bruciava la lingua. Ora avrebbe dovuto confessare alla Motetes di aver perso la chiave. La credevano al sicuro, rinchiusa nella casa del fantasma. Non immaginavano che fosse ancora in giro per le strade. La Motetes avrebbe capito che la colpa di ciò che era successo con la chiave non era da attribuire a lei; era colpa della Verruga che l’aveva lasciata da sola, perché, in sua compagnia, non avrebbe perso tempo a lavarsi la faccia. Le sarebbe venuto in mente qualcos’altro, come parlare, per esempio. Infine, la colpa era di Martín Camacho per averla messa in pericolo come si fa con le cose inutili. Riponendo la fiducia sulla saggezza e bontà della Motetes, arrivò,

42 Il Guaro è un”'aguardiente” di canna da zucchero che di solito viene consumato mescolato con limone (Guaro

acido). Il governo ha creato un marchio di Guaro chiamato Cacique con lo scopo di combattere la produzione

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infine, con le prime luci del mattino, davanti alla casa del Patillas. Stette tanto tempo ferma nello stesso posto in cui si trovava la Motetes, da quando ancora si chiamava Maria. La Jarroelata vide, davanti a lei, la grossa anfora col prezioso elemento. E la sua brocca scrostata, che la aspettava con amore. E un piatto di riso e fagioli dentro la cucina. La completa beatitudine, il paradiso terrestre. Cos’altro avrebbe potuto chiedere alla vita? Bussò alla porta con tre colpetti discreti. Nessuno si affacciò. Colpì con maggiore audacia. Pensava ai calci del Petillas ma anche alle mammelle materne, recipiente pieno, forma rotonda e profonda con al suo interno la consolazione, pronta e preparata affinché lei potesse succhiarla dalla sua brocca tanto colpita come lei stessa. Non si avvertivano rumori. Né il pianto del bambino della Garza. Né tantomeno voci di uomini. La casa sembrava vuota. Con estrema dissimulazione, scivolò attraverso la sterpaglia che avvolgeva i lati della casa. Se la porta posteriore era chiusa, qualche finestra sarebbe stata aperta. Ciò che era socchiusa era precisamente la porta posteriore. Guardò attraverso la fessura e vide la Machetes e la Motetes girate di spalle, ferme davanti alla porta che dava sulla strada, aguzzando l’udito. Infatti le più disgraziate l’avevano vista e non volevano aprirla. La Garza non si vedeva. Era probabilmente in una delle stanze. Cabronas!, gridò. La sua voce scatenò il pianto del bambino della Garza. E se Martín Camacho non rispose in modo scortese fu perché non era in casa. La Machetes si immobilizzò ma la Motetes la invitò a entrare, richiamandola alla tranquillità per evitare scandali. Apparve la Garza, mentre tranquillizzava suo figlio. Vedendola emise un lieve gemito di sorpresa. La Jarroelata raccontò in fretta la sua avventura, mentre la Motetes le portava vestiti asciutti affinché si cambiasse. Mentre si vestiva, raccontò l'incidente avuto con la chiave.

- Jarroelata - la Motetes cominciò a parlare a voce bassa.

È un peccato per la chiave. Non ne ho altre - improvvisamente venne fuori la voce, fuggita e senza freno, affilata e acuta. Quella chiave valeva per me più della mia stessa vita, e io te la prestai per farti un favore, e tu l'hai persa, Jarroelata, l'hai persa!

- Ingrata, sconsiderata, non ti aiuterò mai più!

E Maria Motetes entrò nella sua stanza e la sentirono singhiozzare.

- mossa sbagliata, Jarroelata, mossa sbagliata. Perdere la chiave a la Motetes che ti ha sempre difesa. Faresti meglio ad andare, prima che il Patillas torni indietro e ti prenda a spintonate, le consigliò la Garza.

- "Ora vai," disse la Machetes.

La Jarroelata non riusciva a credere a quello che stava sentendo. La nobile Motetes le stava voltando le spalle e le altre la restituivano alla strada.

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- "Almeno dammi un po’ di guaro e una fetta di pane", chiese per guadagnare tempo.

Cercò la brocca senza trovarla. Sul tavolo c'era una tovaglia allegra e pulita, con una figura di porcellana rattoppata sulla parte superiore, come si vedeva dalle cuciture bianche che la attraversavano. Le sedie erano posizionate vicino al tavolo e non contro la parete, dalla quale pendevano le pale d'altare che Martín recuperò dopo il ritorno alla normalità.

- "Guaro non ce n’è," disse la Garza, "ma ti porterò del mais appena cotto”.

- " Ora questa è una casa decente," chiarì la Machetes, vedendo il suo sguardo sorpreso.

- “La Motetes è la signora. Io la zia che viene dal campo. Il piccolo è della Motetes e la Garza è la bambinaia”.

In effetti, la Jarroelata si accorse che le tre erano molto ben curate, con le trecce e le camicette abbottonate.

- Quindi il bordello di Camacho è diventato una casa decente - La Jarroelata scoppiò in una risata isterica.

- “ E a chi credono di ingannare? Loro sono pazze, tutte e tre. Come se la casa del Patillas non fosse così conosciuta ... anche io potrei essere un parente che ...”

- "Un'altra zia che viene dal campo", gridò la Machetes, spingendola verso la porta. di uscita.

- “ Vattene subito, prima che ti veda Martin e ti spezzi la spina dorsale”.

La Jarroelata guardò supplichevole la Garza, che gli porse un fascio di foglie di banano che contenevano i gusci di mais, ma la Garza scosse la testa in un gesto senza speranza.

Camminò senza meta finché la notte la inghiottì. Arrivò alla stazione, mangiò la pannocchia e andò, dritta e a capo scoperto, nelle strade più centrali. Nessuno osò fermarla.

Aveva un chiodo fisso in testa. Una furia spaventosa le pervadeva il sangue intorpidendo il suo ventre. Cercò di ridere: le stesse figlie di puttane pensavano che con i santi, il centrino e la porcellana rotta sarebbero diventate signore. Ah! Le risate si trasformarono in lacrime di rabbia.

Trovò consolazione nella sua inquietudine, scoprì che la rabbia e il risentimento ubriacavano meglio dell'alcol. Prese la via del Laberinto e si fermò davanti alla casa dei Medero. Che il fantasma mi aiuti, disse. Sollevò la sottoveste e mostrò la gamba in modo provocante, ma andò via la luce. Il blackout durò alcuni secondi, poi la sua gamba squallida e nuda rimase esposta al bagliore del lampione. Attese un po’. Dal portale della signora Freer, uscì la stessa coppia di poliziotti e lei finse di scappare. La catturarono, lei urlò molti insulti, diede morsi e graffi per

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apparire credibile. Quando sentì il colpo sui suoi reni, rimase immobile. Nel tragitto fino al penitenziario confessò che lavorava nella casa di Martin Camacho, che era scappata a cercare un pezzo di pane, perché i clienti non venivano più. Che la sifilide aveva consumato le tre donne che vivevano lì. Diede l'indirizzo, fingendo di volere la sua libertà in cambio della denuncia, ma sapeva che non l'avrebbero ascoltata. Descrisse la Garza, la Motetes e la Machetes. Sì, le tre sono state contagiate, sebbene non si noti.

Le donne rinchiuse nella prigione la salutarono con gesti di benvenuto e la informarono rapidamente sui dettagli della vita quotidiana, delle norme e dei requisiti per ottenere qualche favoritismo. La Jarroelata era stupita dalla capacità delle detenute di organizzare la loro esistenza. Una volta venuta a conoscenza dei dettagli, iniziò ad attendere: le tre che le avevano rifiutato asilo sarebbero presto state arrestate.

Quando la polizia arrivò alla porta della casa di Martín Camacho, lui era appena tornato. Non sapendo della visita della Jarroelata, perché glielo nascosero, contemplava, sorpreso, il blitz. A niente servirono le camicette chiuse fino al collo, le trecce, le proteste, la coppia di innamorati in porcellana sui fiori della tovaglia, le grida inutili della Garza e le imprecazioni della Machetes. Da parte sua, la Motetes se ne stava silenziosa. E il Patillas si coprì la bocca con la mano in modo da non lasciarsi sfuggire interiezioni compromettenti. Poco abituato ad esplorare le sue emozioni, Martin sapeva che la sola idea di tornare a dormire da solo, senza il corpo confortante di chi gli aveva fatto da madre e da nonna, lo spaventava. Uno shock confuso e irrisolto lo spingeva contro la parete, come se volesse sprofondarci. Una vaga sensazione di ingiustizia lo paralizzò nel momento in cui uno dei due poliziotti mise il bambino tra le sue braccia, dicendo:

“Padre, ecco tuo figlio”.

Il bambino, contrariamente al solito, trovò motivo di gran divertimento in quel movimento insolito. Aprì gli occhi e succhiò il pollice con fare appetitoso. La Garza, spaventata perché il bimbo non riconosceva sua madre per giocare con i bottoni dell’uniforme, ammutolì. Quando portarono via le donne e Martin rimase solo, sfogò la sua rabbia contro il bimbo. Lo gettò sul letto dove aveva conosciuto il sonno generoso tra i seni della Motetes e poi si sedette di fronte al tavolo appoggiando la testa sulla tovaglia fiorita. I suoi baffi interrogavano Romeo, che lo ignorava, perso nel dolce sorriso di Giulietta. Martín Camacho rifletté: mai, fino ad allora, avevano disturbato le donne di casa sua. El Patillas conosceva il suo destino. Dopo una campagna di profilassi venerea, le donne sarebbero finite con le mani impigliate in fili di cotone o con una barra di metallo rovente tra le gambe. Adesso era peggio, sarebbero scomparse completamente. Che male fanno le donne il cui lavoro è rallegrare la vita degli

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uomini? E che questi paghino per divertirsi un po’, Non è giusto? E non era altrettanto giusto che lui, Martín Camacho, ricevesse una commissione in cambio di protezione sotto il suo tetto? Dalla camera da letto proveniva un silenzio assordante. Entrò in punta di piedi, spaventato che fosse successo qualcosa al piccolo della Garza. La creatura, stanca, dormiva tranquillamente. Si grattò il mento, quel fastidio richiedeva una soluzione immediata. Gli premeva capire come far arrivare il bambino a sua madre. Se le cose fossero finite nella relegazione, era meglio che i due morissero insieme. In quelle terre lontane, nel migliore dei casi, i relegati si sarebbero ammalati di qualsiasi cosa, divorati da zanzare enormi e pelose. Angolo remoto dell'universo popolato da criminali fuggiaschi che Martín Camacho non ebbe mai il piacere di conoscere.