- Non capisco come abbiano potuto non aiutare tuo zio.
- La guerra è guerra e quasi è mai pulita. Ora pensiamo a
cacciare gli spagnoli dall'isola e poi vedremo come tirare fuori mio zio Armando dalla prigione ...
Se ne sono andati prima che facesse giorno, con la loro giovinezza e il loro eroismo. Mio cugino Pepe Boix ha lasciato la revolver sotto il materasso. Quell'arma ha ucciso un uomo, uno la cui moglie starà piangendo, una donna che non ha niente a che vedere con tutti questi guerrieri, i loro odi e i loro dei. Chi si prenderà cura dei bambini che l'uomo ha lasciato orfani? La vedova ha dato inizio alla sua guerra personale, intima e silenziosa, una guerra senza fiori sulla tomba, senza discorsi o elogi dei posteri ... Povera vedova, quella spagnola! Gli uomini dovrebbero chiedere il permesso alle loro donne prima di perdere la vita, sarebbe un gesto galante.
I miei visitatori sono partiti e portando con se il segreto della mia morte. Quindi hanno inventato su di me l’esistenza di un amante . Vediamo ... chi mi sarebbe piaciuto avere come amante? Antonio Maceo, senza dubbio. L'idea mi diverte e giuro che ho sentito l’eco delle mie risate.
Non so chi ha martellato le mie tempie e mi ha massacrata. Non seppi di chi fosse la mano che lo fece. Ma anche nella mia incoscienza avrei riconosciuto la durezza della sua mano. Inoltre, aveva bisogno di me. Io e i suoi figli eravamo la sua ultima roccaforte, Cuba la sua ultima speranza. Ora merita di piangere sulla sua disgrazia, niente venne fuori con la stessa cura con cui l'aveva pianificato. Non tornerà mai più sull'isola.
2.11. DICEMBRE: Sofía va via con la luce
Sembra che ci sia una celebrazione. In lontananza si sentono rumori di bombe e fuochi d'artificio. Sento il freddo attraverso la nebbia dei vetro. Siamo a Dicembre. Qualche giorno fa le campane della Cattedrale suonavano a festa ed era mezzanotte. Un ragazzo passò intonando canti natalizi tenendo per mano sua madre. Lei lo chiamava Melico. Deve essere stata la vigilia di Natale. Oggi è il giorno del gran carnevale di fine anno. Non mi è mai piaciuto mescolarmi con la gente per vedere i pagliacci, la banda militare, la cimarrona44. Sono disgustata dalla folla, dai cattivi odori e dalle urla. E mi spaventano le maschere.
44 La cimarrona è una piccola banda di musicisti dilettanti, tipica del folclore dei cantoni e delle città del Costa Rica.
La cimarrona è caratterizzata da soli strumenti a fiato e percussioni. Ha il suo stile musicale che nella maggior parte dei casi è trasmesso in modo intangibile (è musica "a orecchio"). I Cimarrona nascono da vecchie bande municipali o filarmoniche che esistevano in alcune città del paese, ora scomparsi. Si chiamano Cimarrona in relazione al termine cimarrón, in riferimento ad alcuni animali selvatici chiamati così, come i gatti selvatici che fanno rumore quando passando sui tetti, o le mandrie di bovini selvatici.
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A Santiago, l'ultima sera dell'anno, riunivo la famiglia intorno al tavolo, un grande tavolo largo coperto da una tovaglia di filato tessuto da una delle mie nonne.
Di tutte quelle cene, oggi ne ricordo una. Ho la testa chinata. I miei occhi sono irritati, mi sento sola e molto impotente. Tutti parlano contemporaneamente e nessuno mi prende in considerazione. Armando è seduto di fronte a me. Fin dalla sua gioventù ho disegnato la mia età: dovevo avere sette anni, non di più. Mi guarda ma non voglio contraccambiare il suo sguardo. Sono risentita, ferita, arrabbiata. Catturo pezzi sparsi delle conversazioni, nulla si riferisce a me, niente che mi interessi. Vogliono che mangio il piatto principale della cena, ma non ne ho voglia. Voglio il dolce che mi invita, gentile, sotto una luce lattiginosa che racchiude lo spazio soavemente illuminato.
Poi alzo gli occhi e guardo la lampada opalina. Per me è come l'isola per il naufrago, la sua bellezza mi consola. Ho dimenticato la mia tristezza e i miei parenti. Le mie palpebre arrossate sono alleviate da quella luce pacata, rabbonita che sorge da un cilindro più largo che alto, raccolto in una curva gentile verso l'estremità superiore, da cui emerge la catena di bronzo che la sospende. Il suo colore caramellato è così bello, filtra discretamente la fiamma delle candele che ardono al suo interno, distribuendo la luce come una benedizione. Presenta disegni tracciati dalla scura linea della piombatura. Tra una sagoma e l'altra, i vetri colorati scoppiano di allegria. Il disegno forma un fiore, un tulipano a testa in giù, rosso acceso. Il cuore sporge delicatamente, scortato da due lunghe foglie verde acqua, che si separano e si uniscono alla foglia vicina. Il tulipano sorge, ascendendo, con il suo lungo gambo. In quel momento avrei voluto diventare piccola, piccola, impercettibile, per scappare dalla mia sedia e camminare lungo i sentieri illuminati.
Da quanto tempo osservo la lampada? Ho abbassato gli occhi verso il raggio di luce che cade sul tavolo e scopro, sbalordita, che proprio sotto il cerchio opalescente c'è un grande portafrutta in porcellana pieno di manghi che riceve carezze facendo esplodere la doratura della sua pelle. Sono manghi sul punto della maturazione, non presentano tonalità o macchie che rompono la purezza o l'uniformità della loro consistenza morbida e vellutata. Come vorrei allungare la mia mano e far scorrere le mie dita su quella pelle liscia e fresca! Ah, voglio quel frutto, voglio mangiarlo subito! Ma non oso. È pericoloso, è vietato mangiare il dessert in anticipo.
Una mano dalle lunghe dita si posa sul vaso di porcellana gettando la sua ombra come un grande ragno, e mi porge il mango che tanto desidero ... Seguo il tragitto del polso, le pieghe di una camicia, e mi scontro con il viso di mio Zio Armando che mi tenta con un sorriso che gli arriccia gli angoli della bocca. Lui è giovane ed è un bravo ragazzo. La luce evidenzia la rettitudine del suo naso, i suoi occhi hanno un bagliore malizioso.
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All'improvviso, un'esplosione di risate mi avverte del fatto che sono al centro dell'attenzione. Vedo il viso arrossito di mio padre, che presiede il tavolo. Sembra soddisfatto. È un po’ avvinazzato e mi guarda fisso. Vedo i piccoli denti bianchi di mia madre, la sua bocca si è trattenuta in un gesto di complicità. Mio padre ha posato una delle sue mani su quella di mia madre. La famiglia mi osserva sorridendo, aspettando la mia risposta.
- Sofia, figlia, perché non ringrazi tuo zio?
La voce di mio padre è, come sempre, imperativa. Timidamente, mormoro qualcosa che soddisfa la mia famiglia perché, nel momento in cui stringo il frutto, scoppiano gli applausi. Sono lusingata di essere al centro dell'attenzione. Apro la bocca in un morso teatrale, ma non posso assaporarlo perché il mondo si è dimenticato di me. I miei zii ritornano alla loro conversazione sulla guerra, e Armando, ignorandomi, interviene con entusiasmo. Sono stato un piccolo aneddoto senza importanza. La solitudine mi avvolge e mi schiaccia.
Non potevo sapere che, con quel semplice gesto, quando i miei denti affondarono nella pelle delicata, suggellai un patto. Mi chiedo se quello sia stato il momento in cui Armando Medero mi ha scelta con la stessa facilità con cui prese il frutto dalla fruttiera di porcellana.
La lampada è ancora accesa e posso fare una passeggiata attraverso i suoi vetri colorati, seguendo il percorso della piombatura, fino a immergermi nella calda tenerezza del suo splendore. Una piacevole calma mi scioglie. Vado sciogliendomi nella luce, dolce e pacifico ritorno all'origine. Niente mi trattiene. Lo specchio mi riflette e mi respinge. Affondo dolcemente nell'oscurità, con la sensualità di un sommozzatore che scende sul fondo del mare.