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Sofía sente che la morte l’ha privata del riflesso della sua immagine davanti allo specchio e si chiede come sia possibile che, nella vita, sia stata privata del contatto tra il corpo e l’anima, provocando in lei un’insensibilità che si è appropriata dei suoi sentimenti fino a condurla nel limbo dell'indifferenza:
“È successo gradualmente, da una sottile tortura subita di anno in anno, da un periodo di tempo che ormai ignoro. Ora comprendo che era una tortura. Prima credevo che fossero le buone maniere che una donna doveva subire. Piccole proibizioni che si stavano accumulando senza che me ne accorgessi.” (Lobo, 2000: 246)
Sofía viene cresciuta in base ai principi di proibizioni e divieti relativi al comportamento corretto nei confronti della madre, degli adulti e degli uomini; gli altri obblighi riguardano il rapporto col suo corpo, crescendo nella convinzione che certe zone del suo corpo fossero tabù. Tra i brani del testo che ne danno conto, il seguente:
“Muerde la lengua, Sofía, no respondas a tu mamá,Teófila, no hables cuando los grandes hablan. No seas tan llorona, Sofía, ya estás muy grande, reza tus oraciones. No escuches lo que hablan las personas mayores,Teófila. Guarda tus botines nuevos para el domingo, entre semana se te puedenestropear. Quédate en cama cuando te viene el período, es peligroso moverse mucho. No te mires tanto en el espejo, la vanidad es pecado. No mires con tanto descaro a los muchachos, te pueden creer liviana. No te alces tanto el vestido cuando subes por las escaleras, ni corras tan aprisa, que se te ven las piernas.
Apriétate el corpiño, que lo tienes flojo y el busto se te puede deformar. No te pongas al sol, hija, se te manchará y oscurecerá la piel. Lávate la cara con agua de arroz, te dejará muy linda. Lávate el pelo con agua de lluvia, te lo dejará suave y hermoso. No montes a caballo como un hombre, hija, puede arruinarte. Apriétate la cintura para que se te haga fina. Arréglate la cabeza que te ves desordenada. Para tener los ojos brillantes, es bueno un poquito de limón. Para el cuidado de las manos, úntate con esta crema de almendras. No comas tanto que puedes engordar. Debes comer más, estás adelgazando. Siéntate con la espalda recta, pon las manos sobre el regazo, no dobles el cuello. Tienes la cintura breve, te has puesto bella, hija, eres muy hermosa, pero no te mires tanto al espejo, la modestia es el mejor adorno de una mujer. No saludes a un hombre, la primera;
espera a que lo haga él. No te pongas de pie para saludar a un hombre, él deberá hacerlo. Si vas por la calle, él es quien debe dejarte el paso. Si viene un hombre solo de visita, no te quedes con él en el salón. Si no hay nadie en casa, no lo recibas. No hables con hombres que no te hayan presentado. Y nunca, nunca, jamás, le digas a un hombre una galantería, ¿oyes? Ni provocarlo con miradas, ni parecer atrevida.” (Lobo, 2000: 246-247)
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La storia di Sofía mostra perfettamente i meccanismi culturali attraverso i quali le donne devono sacrificare la propria vocazione per costruirsi come soggetti. Non vengono solo private della propria immagine e della loro partecipazione come protagoniste nella società, ma anche delle decisioni sul proprio corpo e sulla loro sfera sessuale. Il corpo e la ragione vengono mutilate dalle sensazioni e dalle percezioni che potrebbero portare alla messa in discussione della loro invisibilità sociale e del corpo come proprietà dell’altro. Qualsiasi cenno di indipendenza viene punito perché rappresenta una forma di resistenza al potere patriarcale. Molto significativa è la presenza dello specchio. Quest’ultimo è fuori dalla portata di Sofía perché posto all’altezza degli occhi di suo padre. Lo strabismo, secondo Sigrid Weigel, rappresenta una realtà secondo cui le donne si trovano con un occhio fisso su una società nella quale non si riconoscono più a causa del rifiuto delle norme, dei ruoli e delle aspettative del ruolo richiesto dalla società, e l’altro occhio è invece libero e creativo, alla ricerca di una nuova immagine di donna i cui modelli, per ora, non esistono, ma che vengono costruiti dalla complicità tra lo scrittore ed il lettore52. Questo viene espresso dal fatto che Sofía rifiuta di
rispettare tutti gli insegnamenti ricevuti, imparando a mentire, proprio perché rifiuta di essere riflessa nello specchio della cultura patriarcale. Sofía intraprende un percorso che la condurrà fino all’insensibilità e alla creazione di una figura asessuata e che culmina però con il matrimonio:
“Ora capisco che, più che la mia bellezza, fu la mia sensualità a provocare la sua irritata
gelosia. I giocattoli non giocano. Ai giocattoli, quando irritano, gli viene smontato il meccanismo. Quello che poteva essere non è mai stato. Spensi il fuoco prima che le scintille incendiassero il mio letto. Se la mia sensualità lo spaventava, la mia insensibilità lo rassicurava.” (Lobo, 200: 255)
La trama di questa storia ha una dialettica conflittuale in cui l'allegoria dello "specchio" gioca un doppio ruolo in un duplice carattere:
“Il sole ha salvato la barriera delle montagne e lo specchio lancia un gioioso raggio di luce nella direzione in cui mi sono posizionata, ignorandomi completamente. È lo splendore che riflette dall’insegna metallica della farmacia di Alegre, un gioco di specchi che dialogano e si riflettono la luce l’un l’altro."(25)
Un altro aspetto molto importante è la presenza di Maria che rappresenta l'alter ego di Sofía. È Maria colei che, libera dalla schiavitù, nel suo processo di emancipazione personale riesce a liberare Sofía dai suoi legami aristocratici. Se interpretiamo Maria come la controparte del
52 Ver Sigrid Weigel, “La mirada bizca: sobre la historia de la escritura de las mujeres, Estética Feminista. Icaria,
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personaggio di Sofía, non è un'esagerazione dire che la sua realizzazione avviene attraverso Maria. È necessario ricordare che il processo di emancipazione di Maria inizia con la morte di Sofía. Quindi, la liberazione di Maria può essere intesa come la liberazione di Sofía. Infatti, una volta soddisfatta la richiesta di partenza di Maria da via del Laberinto, anche Sofía trova la sua via d'uscita. Nel sottocapitolo che segue inti, Sofía trova la risposta che le permette di andarsene. Lei, la narratrice dice addio con le seguenti parole:
"Vado sciogliendomi nella luce, dolce e pacifico ritorno all'origine. Niente mi trattiene Lo specchio mi riflette e mi respinge. Niente mi tiene. Lo specchio mi riflette e mi respinge”. (326)
Il gioco di liberazione verso la sua realizzazione come soggetto in questo racconto non tradisce la corporeità di Sofía, se non nel suo "alter ego", Maria, nella sua complicità femminile all'interno di uno spazio socio-culturale i cui valori morali sono da sempre carnevaleschi. Ogni individuo esprime il suo stato sociale. Nel testo il salto qualitativo viene raggiunto. Sofía Medero di Medero, esule cubana a San José, e residente in via del Labirinto, porta ora nel suo nome e nella sua biografia i segni di quel labirinto da cui non uscirà più: suo marito, Armando Medero, è suo zio perché è il fratello di suo padre. L’appartenenza alla sua famiglia, o meglio agli uomini della sua famiglia agli occhi di Sofía costituisce il risultato di un patto con lo zio Armando, che lei stessa ha sigillato, con la benedizione di suo padre.
Un elemento naturale di grande importanza è il mare. Sofía nasce a Santiago di Cuba; la presenza del mare l’accompagna fino all’età di diciassette anni, e rappresenta l’elemento che riesce a tranquillizzarla nei suoi momenti di crisi; è quell’elemento che le permette di ritornare alle origini. Il mare rappresenta non solo quello specchio in cui vedeva la sua immagine riflessa con piacere, ma anche quella espropriazione sensuale, non del tutto persa. La sensualità tenuta nascosta, quell'energia repressa viene svelata durante le visite che il generale Maceo, capo del gruppo cospiratore cubano in Costa Rica, faceva al marito. Sofía vive come se fosse invisibile al mondo e sebbene la coppia fosse stata invitata a condividere la vita sociale delle famiglie costaricane, Medero rifiutava ogni uscita pubblica. Le visite del generale mulatto rappresentano l’unica distrazione di Sofía; questi incontri le provocano una sorta di rivolta a livello fisico. In quelle occasioni, un elemento importante era il pianoforte. Durante le visite, infatti, Sofía era solita suonare Habaneras e il Valzer creolo, che la riportavano, con nostalgia, alla sua vita a Cuba.
Un aspetto di particolare interesse è l’atteggiamento sororale di Sofía nei confronti delle altre donne. Insegna a leggere a Maria, che considera la sua amica e cameriera fidata. Fu lei che rimase a prendersi cura dei bambini, quando Sofía lasciò la casa di famiglia. L’amore per Maria, che ora conduce la vita da prostituta, fa sì che Sofía possa continuare a proteggerla
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anche da morta; e quando la sera si rifugia nella sua casa, è Sofía che, a sua insaputa, la sostiene e gioisce con lei quando alla fine di un rapporto riceve il pagamento, giacché solitamente viene ripagata a suon di botte. Una simile empatia la sentiva nei confronti di Maria Eufemia Cabrales, moglie di Antonio Maceo, che dopo aver perso il marito, perse anche i suoi due figli. L’atteggiamento sororale era presente in lei già da bambina; ricorda quando la schiava negra eseguiva rituali nella sua stanza o quando l’aveva portata nel quartiere dei liberti, dove un uomo negro le parlava nella lingua che era proibita, effettuando una strana cerimonia. Sofía che era l’oggetto di questi rituali aveva avuto paura, ma non disse mai nulla perché sapeva che erano attività ritenute illegali che avrebbero portato Rosalia a punizioni severe. Tuttavia, questo atteggiamento di empatia nel rapporto con le donne subisce una battuta d’arresto quando la madre le annuncia che lo zio desidera sposarla e chiede il suo consenso tenendole le mani. La madre le dice che non vuole violare la sua volontà, ma allo stesso tempo cerca di convincerla elencandole tutti i benefici di questo matrimonio:
“...era un uomo buono e un gran lavoratore; che la differenza di età era un punto a favore per me, perché l'esperienza della vita è la cosa più importante che un uomo possa offrire ad una donna; che dovevo pensare che eravamo in un paese straniero, che avremmo continuato a viaggiare, che nessuno sapeva cosa poteva accadere, che l'unica cosa certa era la famiglia e che saremmo dovuti rimanere insieme. Che mio zio, proprio perché mio zio, mi avrebbe protetta e lei e mio padre sarebbero sempre stati lì al mio fianco, per proteggermi. Mi chiese di pensarci bene, che fossi ragionevole, che nessuno mi avrebbe costretta ma che Il buon senso avrebbe dovuto prevalere. Armando amava me e io, col tempo, avrei imparato ad amare lui.”
(Lobo, 2000: 176).
La madre è colei che ha il compito di trasmettere la condizione di subordinazione femminile, di convincerla dei benefici del matrimonio e della presunta felicità, anche se l’esempio della madre, e delle altre donne, non rispecchiavano i presunti benefici promessi. Sofía si sente tradita dalla madre ma non può esprimerlo esplicitamente: quando era solo una bambina le era stata limitata qualsiasi libertà a causa dell’imposizione di tanti divieti che le impedivano di ricreare la sua immagine, privandola della sua immagine riflessa nello specchio, e ora continuava a privarla della possibilità di fare le sue scelte. Sofía provava un senso di fastidio quando la madre cercava di mostrarle la sua vicinanza prendendola per mano ma, allo stesso tempo, i lineamenti di questa anziana madre le ricordavano quelli di un’altra donna che aveva attirato la sua attenzione: la donna dall’aspetto più triste che lei avesse mai visto, con gli occhi grigi come il colorito della sua pelle e gli abiti che indossava, con un atteggiamento di distacco dalla vita. Aveva qualcosa di familiare, era una donna che la spaventava cosi come spaventa
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uno specchio che riflette un’immagine sgradevole. Questo ricordo la riconcilia con la madre. Recupera questo rapporto di solidarietà con lei perché comprende che sua madre, così come le altre donne, non può sfuggire a quel destino imposto dalla società. Un aspetto molto importante su cui riflette Sofía è il cambiamento del corpo durante le gravidanze. Da morta, pensa al rischio di morte legato ad ognuna delle sue undici gravidanze. Sostiene che non esiste una legge che possa segnalare il marito come responsabile di questo crimine. Perché effettivamente è un crimine imporre alle donne una volontà che non rispetta la loro, non potendo quindi esercitare la capacità di decidere sul proprio corpo. Come segnala Gayle Rubin53, è nella sfera della riproduzione che risiede l’oppressione delle donne. La morte la rende di nuovo padrona del suo corpo, ora lo conosce nella sua totalità e nessuno potrà più negarglielo.