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Relazione tra modalità di risalita e cinetica di cristallizzazione nelle lave dell'Etna: un esempio di interpretazione cinetica della CSD

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1: BACKGROUND

1.1 CONTESTO GEODINAMICO E GEOCHIMICA DELLE LAVE

ETNEE

Il monte Etna si trova sulla costa orientale della Sicilia, zona molto peculiare da un punto di vista strutturale, al contatto fra tre importanti strutture: la litosfera oceanica del Mar Ionio, verso est, il margine della placca africana (plateau degli Iblei), verso sud e la zona di collisione tra le placche europea e africana, la catena appenninico – magrebide, a nord.

Secondo Doglioni et al., 1990, l’attività magmatica del monte Etna è collegata alle differenti velocità di "rollback" tra la crosta oceanica del Mar Ionio e la crosta continentale della Sicilia. Questo causerebbe un fenomeno di lacerazione verticale della slab stessa, slab tearing, creando un richiamo passivo di astenosfera dal profondo e così la produzione dei magmi etnei (Tonarini et al., 2001; Faccenna et al., 2007; Trua et al., 2003; Rosenbaum et al., 2008).

Figura 1.1 – Ambiente geodinamico del margine convergente tra la placca africana e quella europea e localizzazione del monte Etna; nel riquadro è rappresentato il processo di slab tearing nella placca subducente, con risalita passiva di materiale astenosferico attraverso una slab window di tipo verticale (Immagine da Armienti et al., 2004, modificata dopo Gvirtzman and Nur, 1999; Doglioni et al., 2001).

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L’inizio dell’attività vulcanica è stimato attorno a 500ka, in ambiente marino poco profondo (Condomines et al., 1992; Gillot et al., 1994). In seguito, essa diventa di tipo subaereo, dando origine a un plateau di basalti tholeiitici, oggigiorno completamente dislocato. L’attività continua poi con prodotti progressivamente più alcalini, principalmente alcali basalti, datati circa 220ka, ora esposti nella porzione orientale del vulcano (Armienti et al., 2004). Da circa 130ka l’attività si concentra in una serie di vulcani compositi localizzati in un cluster, dall’attuale valle del Bove fino alla sommità dell’edificio (Branca et al., 2004). Il continuo incremento dell’alcalinità e il costante grado di differenziazione delle lave sono la principale caratteristica dei trachibasalti eruttati fino ai nostri giorni. Dal 1971 l’attività è caratterizzata da alti contenuti in potassio e stronzio radiogenico, i valori più alti mai registrati.

I Prodotti dell’Etna possono essere distinti, su base geologia e vulcanologia, in cinque gruppi principali: (a) Basalti tholeiitici: rappresentano la porzione inferiore della successione vulcanica e affiorano alla base del vulcano; (b) Lave alcaline antiche: costituiscono la base dell’edificio vulcanico principale e variano da basalti a mugeariti. Molte di queste lave sono trachibasalti con abbondanti fenocristalli di plagioclasio e pirosseno, con minor olivina e Ti-magnetite; (c) Successione vulcanica della valle del Bove: questa successione è rappresentata da lave primitive, da hawaiiti fino a trachibasalti, con contenuti in fenocristalli molto variabili, da 5 a 40%; (d) Lave da bocche eccentriche: sono i prodotti di centinaia di coni sparsi di età diverse. Sono tipicamente lave primitive con paragenesi simile a quelle antiche (Plg>Cpx>Oli +-Ti-Mgt); (e) Lave storiche di eruzioni terminali e sub – terminali: sono la principale espressione della vigorosa attività del monte Etna, caratterizzate da significative differenze geochimiche e petrologiche interne.

Dopo l’eruzione del 1669 vi è un netto incremento dell’output rate di magma (Hughes et al., 1990) e i prodotti tipici sono trachibasalti, caratterizzati da una paragenesi di fenocristalli con plagioclasio>pirosseno>olivina. Queste lave poco evolute sono considerate la prova di input di nuovi "batch" di magma dal profondo, che provocano la contemporanea eruzione di lave più vecchie, ricche in fenocristalli di plagioclasio, le quali risiedevano a più alti livelli crostali, nell’apparato di alimentazione del vulcano. Dal 1971 il rapporto K/Na delle lave etnee aumenta sensibilmente entrando nel campo potassico (Armienti et al., 1994; Clocchiatti et al., 1988).

(3)

Le lave etnee appartengono alla serie “alcalibasalto-trachite”, caratterizzate dalla grande abbondanza di termini intermedi, come hawaiiti e mugeariti basiche, con rari termini estremi (Cristofolini et al., 1982). Rispetto alle hawaiiti classiche, la maggioranza delle lave etnee mostra tenori più bassi in TiO2 e più alti in CaO e Al2O3,

testimoniati dalla presenza di fenocristalli con contenuti in anortite compresi tra il 50% e 90% (labradorite e bytownite, Tanguy et al., 1997). Inoltre, nel diagramma TAS (“Total Alkali vs. Silica”, Le Maitre, 1989) le lave etnee cadono principalmente nel campo dei trachibasalti e trachiandesiti (fig. 1.2).

Figura 1.2 – TAS relativo alle rocce etnee; risulta evidente come dall’eruzione del 1971 la composizione delle lave è confinata al solo campo trachibasaltico (Immagine da Armienti et al., 2004).

(4)

1.2 PETROGENESI ED EVOLUZIONE DEI MAGMI ETNEI

I trachibasalti rappresentano la principale tipologia di materiale effusivo prodotto dal vulcano; la loro variabilità interna riflette i cambi di composizione dei liquidi primari e le condizioni P-T-H2O% durante la loro risalita. Le lave etnee sono ricche di prodotti

poco evoluti, caratterizzati da olivina ricca in Mg come prima fase sul liquidus. Le inclusioni magmatiche indicano che la maggior parte dell’olivina cristallizza ad una temperatura di circa 1300°C, con contenuti in acqua tipicamente intorno al 2-3% (Métrich e Clocchiatti, 1989; Kamenetsky e Clocchiatti, 1996; Métrich e Rutherford, 1998).

Per valutare le composizioni dei liquidi primari sono state prese in esame le lave con contenuti di Mg più alti, processate aggiungendo olivina fino a equilibrarle con la composizione della stessa nel mantello (Fo90). La variabilità così riscontrata, sia nei modelli sia nei campioni naturali, riflette probabilmente una variabilità nei fusi iniziali (Armienti et al., 2004). In più, la presenza d’inclusioni vetrose con affinità diverse, all’interno di olivine della stessa roccia (Clocchiatti et al., 1992), suggerisce una genesi di batch di magma per aggregazione di fusi generati a diverse profondità con differenti gradi di fusione (“aggregated melting”).

Calcoli computazionali basati sulla dipendenza dell’attività della silice da P e T e sull’assunzione che la temperatura dei fusi primari sia la stessa della sorgente che li ha generati, portano a stimare una T compresa tra 1250 e 1350 °C e una P compresa tra 1.5 e 1.8 GPa nella zona di produzione dei magmi etnei (Armienti et al., 2004); quest’ultime pressioni si riferiscono alla profondità dell’ultimo evento di equilibrazione.

(5)

Figura 1.3 – In questo grafico è rappresentato il rapporto CaO/Al2O3 in funzione del contenuto

in magnesio per i prodotti etnei. Sono inoltre rappresentati stati sei path di cristallizzazione, calcolati utilizzando il codice pMelts (Ghiorso et al., 2002). Diverse variazioni di questo rapporto rappresentano la cristallizzazione di olivina, plagioclasio, clinopirosseno o loro combinazioni: trend orizzontali significano variazione del solo contenuto in magnesio, quindi una cristallizzazione di olivina, mentre trend che implicano variazione del rapporto CaO/Al2O3, testimoniano la cristallizzazione di clinopirosseno e/o plagioclasio. Con il simbolo a

stella sono indicate le composizioni calcolate per i fusi primitivi dei magmi di M. Maletto e Paternò (Immagine da Armienti et al., 2004).

In figura 1.3 sono rappresentati diversi path di frazionamento costruiti attraverso calcoli effettuati con il codice Pmelts (Ghiorso et al., 2002) a diverse pressioni. Queste corrispondono a livelli di potenziale stazionamento ed evoluzione dei fusi etnei, sulla base di evidenze sismiche (Laigle e Hirn, 1999; Murru et al., 1999; Chiarabba et al., 2000; Patanè et al., 2003); in particolare esse rappresentato la Moho (20-25 km (Hirn et al., 1997), corrispondente ad una pressione di circa 0.8 GPa), e i livelli inferiore e superiore di una zona contraddistinta da alta velocità delle onde sismiche (12 km per la porzione inferiore, pari a circa 0.5 GPa, e 3-5Km per la porzione superiore,pari a 0.3 GPa).

Poiché la paragenesi delle lave etnee è dominata da fenocristalli di plagioclasio+clipirosseno+olivina+-spinello, un grafico Ca/Al vs Mg fornisce importanti informazioni sull’evoluzione del processo di cristallizzazione, a partire dai fusi primari fino ai trachibasalti più evoluti. Infatti, la cristallizzazione di olivina influenzerà fortemente il contenuto in Mg, lasciando invariato il rapporto Ca/Al; differentemente, la cristallizzazione di plagioclasio e di clinopirosseno augitico influenzerà anche il rapporto Ca/Al.

(6)

Le due stelle indicate nel grafico di figura 1.3, indicano le composizioni dei fusi primari calcolate per le lave primitive di M. Maletto e Paternò. Risulta evidente come a pressioni elevate (0.8 GPa) non vengano raggiunte composizioni trachibasaltiche in accordo con quelle osservate nei campioni reali; solo alcune lave basaltiche subafiriche mostrano una composizione che potrebbe essere stata generata a queste pressioni. A pressioni minori invece, la cristallizzazione di plagioclasio e clinopirosseno calcolata dal modello risulta in accordo con le misure sui campioni naturali; questa avviene a temperature comprese tra 1150 e 1100C° (fig. 1.4) con la differenza che nelle lave generate da una composizione tipo “Paternò mantle source” si ha un ritardo nell’apparizione del clinopirosseno sul liquidus, con una conseguente cristallizzazione di solo plagioclasio e olivina (Armienti et al., 1994). Questo può spiegare la presenza di un particolare tipo di lave chiamate “Cicirara”, la cui moda è dominata da cristalli di plagioclasio (Chester et al., 1985; Armienti et al., 1997).

Figura 1.4 – In questo grafico è rappresentata, per temperature decrescenti, la quantità cumulativa di solido frazionato calcolata con il codice pMELTS (Ghiorso et al., 2002), a P=0,3 e 0,5 GPa, per i fusi primari di Paternò e M. Maletto. Combinazioni di differenti composizioni iniziali e pressioni di stazionamento possono portare ad una dominanza della fase clinopirosseno (Cpx) o plagioclasio (Plg), nel solido frazionato (Immagine da Armienti et al., 2004).

In figura 1.4 si può notare come in un piccolo intervallo di temperatura si ha una massiccia cristallizzazione di clinopirosseno (>10 wt % per temperature comprese tra 1150 e1140 °C) che può spiegare la presenza di un corpo cumulitico, più o meno continuo, di materiale denso caratterizzato da alte velocità delle onde sismiche.

In figura 1.5 sono rappresentate le composizioni isotopiche di Sr e Nd per i prodotti vulcanici etnei. Le lave tholeiitiche sono caratterizzate dai valori più bassi della composizione isotopica dello Sr e da quelli più alti per il Nd; l’altro end-member è

(7)

rappresentato dai prodotti storici dell’attività sommitale, con i valori più alti per quanto riguarda la composizione isotopica dello Sr e i più bassi per quella del Nd.

Figura 1.5 – Composizione isotopica di Sr e Nd delle lave etnee. Il trend principale, indicato dalla linea continua più spessa, rappresenta la curva di mixing tra un mantello impoverito e fluidi di deidratazione della slab. Le linee più sottili rappresentano curve di mixing tra il trend principale e la sottostante crosta continentale. Le percentuali indicano la quantità di materiale arricchito, fluidi o di tipo crostale, contaminante la sorgente mantellica. Si noti come i campioni etnei si dispongano all’interno di un più ampio trend dove, ai due estremi, si hanno le rocce del plateau degli Iblei e quelle dell’arco eolico, rappresentanti rispettivamente prodotti più primitivi (alti valori di 143Nd/144Nd e bassi di 87Sr/86Sr) e più arricchiti (bassi valori di

143Nd/144Nd e alti di 87Sr/86Sr) (Immagine da Armienti et al., 2004).

Il trend principale, rappresentato in figura con una linea più spessa, è la curva di mixing tra un mantello impoverito e fluidi di deidratazione della slab in subduzione. Questo sistema binario di mixing spiega molto bene anche il trend che si osserva nella composizione isotopica del B (fig. 1.6), che è ben correlata con un incremento in elementi mobili (FME, fluid mobile elements). L’analisi della composizione isotopica del B mostra anche la presenza di un livello più superficiale di contaminazione, che porterebbe alla diminuzione nel contenuto di δ11B per interazione dei magmi etnei con il basamento sedimentario. Questo è ben visibile nelle lave tipo M. Maletto, le quali mostrano una composizione primitiva modificata dall’interazione con la sequenza

(8)

sedimentaria sotto il vulcano. La linea di mixing per questo processo è indicata in figura 1.5 dalle linee continue più sottili.

Figura 1.6 – questo grafico riporta i valori di δ11B in funzione del rapporto 87Sr/86Sr per le lave etnee. La maggior parte dei campioni, eccezion fatta per le lave di M. Maletto, cadono sul trend principale di fig. 5. Queste invece mostrano contaminazione con il basamento sedimentario con conseguente diminuzione dei valori di δ11B.

In generale, “alla scala della vita intera del vulcano”, si assiste ad un progressivo aumento dell’alcalinità delle lave, dovuto a una maggiore mobilitazione di fluidi derivati dalla slab ionica (Tonarini et al., 2001). Questo comporta un rapporto crescente FMEs/HFSEs (high field strong elements) e una correlazione positiva tra i rapporti isotopici di Sr e Nd, i quali evidenziano una sempre maggiore contaminazione crostale. Questi trend sono strettamente legati all’evoluzione dell’area etnea; il vulcano, situato sopra una slab window verticale (Gvirtzman e Nur, 1999; fig. 1.1), risente della progressiva evoluzione della stessa, con un aumento della quantità di fluidi che, rilasciati dalla slab ionica, vanno ad arricchire la sorgente mantellica. Tale processo avviene tramite la risalita passiva di materiale astenosferico attraverso la slab window, con conseguente fusione dello stesso per l’effetto combinato di depressurizzazione e presenza di fluidi. Le tholeiiti basali rappresentano la sorgente mantellica non contaminata (o quasi) dai fluidi derivati dal sistema subduttivo; infatti, esse mostrano un’impronta geochimica del tutto simile ai magmi mafici del plateau degli Iblei (Trua et al., 1998), eruttati nell’avanpaese africano, lontano dall’influenza dei processi di slab tearing.

(9)

CAPITOLO 2: GEOTERMOMETRI E GEOBAROMETRI

2.1

CENNI TEORICI

Quando si ricerca un geotermometro o geobarometro efficiente, l’obiettivo è quello di trovare un equilibrio chimico dove esista un’importante differenza tra l’entropia (

S

r), nel caso di un geotermometro, o il volume molare (

V

r), nel caso di un geobarometro, tra i prodotti e i reagenti della reazione.

Prendendo ad esempio la reazione:

opx liq liq

MgSiO

MgO

SiO

2

+

=

3 eq.2.1

dove liq=liquido, opx=orto pirosseno;

MgSiO

3opx è la componente enstatitica del pirosseno.

Per confrontare

S

e

V

si utilizzano le grandezze

S

, entropia parziale molare, e

V

, volume parziale molare che sono le quantità

S

e

V

divise per il numero di moli presenti. In questo esempio

S

r

=

S

opx

S

SiO

S

MgO

2 e

V

r

=

V

opx

V

SiO2

V

MgO.

Nei sistemi metamorfici esistono molti distinti equilibri chimici sui quali lavorare per ottenere informazione termobarometriche, mentre sono molto più limitati nei sistemi ignei. Questo è dovuto alla minor quantità di specie cristalline all’interno dei sistemi magmatici e alla presenza del magma stesso. Infatti, un liquido silicatico è molto comprimibile e non ha “costrain” stechiometrici; espandendosi, contraendosi e mescolandosi, esso può assorbire grandi cambiamenti di pressione, temperatura e composizione, senza dover precipitare nessuna nuova fase. Differentemente, nei sistemi metamorfici, caratterizzati da sole fase cristalline, quest’ultime hanno limitate capacità di espandersi o contrarsi, quindi nuove fasi si creano rapidamente, in risposta ai cambiamenti di

P

,

T

e composizione. Tutto questo si ripercuote su reazioni ignee con limitate variazione in

S

e

V

rispetto ai sistemi metamorfici, quindi una maggior difficoltà nell’individuare reazioni adatte alla geotermobarometria.

(10)

Consideriamo ora la costante di equilibrio per la reazione precedente (eq.2.1): liq MgO liq SiO opx en eq

a

a

a

K

=

2 eq.2.2

I termini

a

enopx,

a

SiOliq

2 e liq MgO

a

indicano, rispettivamente, l’attività della componente enstatitica nel pirosseno e della silice e del magnesio nel liquido.

La principale equazione utilizzata in petrologia, sulla quale si basano tutti i termobarometri, è la seguente:

0

ln

K

eq

G

r

RT

=

eq.2.3

dove

R

è la costante dei gas,

G

r0 è la variazione nell’energia libera di Gibbs per una reazione all’equilibrio,

K

eq è la costante di equilibrio per la reazione considerata. L’apice “0” accanto a

G

r indica l’energia libera di Gibbs per sostante pure a 1 bar (“standard state”), un’importante distinzione da

G

r che indica la variazione dell’energia libera di Gibbs tra prodotti e reagenti a

P

e

T

arbitrarie. In condizioni di equilibrio, per definizione, si ha che

G

r

=

0

.

La costante di equilibrio

K

eq è costante solo per

P

e

T

fissate; come conseguenza delle variazioni di

S

r e

V

r, essa può modificarsi sensibilmente. Un incremento di P stabilizza le fasi all’interno della reazione che hanno minori volumi molari parziali, facendo aumentare o diminuire la

K

eq di conseguenza. Allo stesso modo, in risposta ad un aumento di

T

, vengono favorite le fasi che hanno un’entropia molare parziale maggiore. L’equazione 2.3 fornisce quindi una base quantitativa sulla quale relazionare

eq

K

a

P

e

T

ed è alla base di tutti i geotermometri e geobarometri basati su modelli termodinamici teorici. Infatti, una determinata situazione di equilibrio raggiunta dal sistema, può essere derivata dall’analisi delle fasi cristalline presenti, in modo da

(11)

risalire, tramite l’equazione 2.3, alle condizioni

P

e

T

a cui è stato raggiunto tale equilibrio.

I termobarometri sono basati su relazioni termodinamiche, ma si aggiungono dei parametri empirici al fine di migliorare la precisione del modello. Per ottenere la forma dei termobarometri si prenda in considerazione la relazione che lega la costante di equilibrio

K

eq, che varia con

P

e

T

, con l’energia libera di Gibbs

G

r0 (eq.2.3); tale equazione, esplicitando

G

r0 e tenendo

V

r0 costante, può essere riscritta nella forma:

RT

V

P

P

R

S

RT

H

K

eq r r r 0 0 0 0

(

)

ln

=

+

eq.2.4

dove

H

r0

S

r0,

V

r0 sono rispettivamente le variazione (prodotti – reagenti) di entalpia, entropia e di volume molare all’equilibrio, alla pressione

P

e alla temperatura

T

.

Per le successive regressioni, vengono isolate le variabili di interesse (Putirka, 1999), che in questo caso sono

P

e

T

. Ricavando la variabile

P

(trascurando

P

0

) dall’equazione 2.4 otteniamo una relazione per un possibile barometro:

0 0 0 0 0

ln

)

(

r r r r r eq

V

H

V

S

T

V

K

RT

Kb

P

+

=

eq.2.5

mentre dall’equazione 2.5, isolando la variabile

T

, possiamo ricavare una relazione per un possibile termometro:

)

(

)

(

ln

)

(

1

0 0 0 0 0 1 r r r r r eq

V

P

H

S

V

P

H

K

R

K

T

+

+

+

=

− eq.2.6

Per ottenere l’equazioni 2.5 e 2.6 dalla 2.4, sono stati assunti

H

r0

S

r0,

V

r0

approssimativamente costanti all’interno dell’intervallo

P

T

di interesse. Nel il caso di

H

r0

S

r0, questa assunzione è equivalente a considerare la variazione fra i

(12)

prodotti e i reagenti della capacità termica a pressione costante trascurabile (

C

p

=

0

). Dove tale assunzione non può esser fatta, l’equazione 2.3 può essere integrata considerando

C

p costante, quindi

C

p

=

f

( )

T

. Nella stessa maniera, si possono considerare le variazioni del volume molare

V

r0

=

f

( )

T

,

P

. Tali equazioni sono state sviluppate in Putirka (1998).

Poiché sia i componenti liquidi che i minerali non presentano un comportamento ideale (

a

i

X

i) si avrà una dipendenza della costante di equilibrio, oltre che da

P

e

T

, anche dalla composizione. Per compensare la non idealità dei componenti vengono aggiunte alle equazioni di regressione dei parametri composizionali, direttamente collegati ai coefficienti di attività (Putirka et al., 1996; Putirka, 1999).

(13)

2.2

IL TERMOBAROMETRO LIQUIDO-CLINOPIROSSENO

DI PUTIRKA

Questo modello si basa su analisi di regressione condotte su esperimenti di fusione parziale, dove i clinopirosseni cristallizzano e crescono in un intervallo di

T

e

P

noto, all’interno di un range preciso di composizione del liquido. Vengono considerate le reazioni di equilibrio che coinvolgono i clinopirosseni, comuni fenocristalli nelle rocce vulcaniche, costituendo un termobarometro con ampia applicabilità. La reazione di formazione della componente jadeitica del clinopirosseno è accompagnata da un’importante variazione del volume molare, dando quindi importanti informazioni relative alla pressione a cui viene raggiunto l’equilibrio durante i processi ignei.

cpx liq liq liq

O

NaAlSi

SiO

AlO

NaO

0.5

+

1.5

+

2

2

2 6 eq.2.7

Per il termobarometro di Putirka et al., 2003 è stata quindi utilizzata la costante di equilibrio della reazione di cristallizzazione delle jadeite (eq.2.7) all’equilibrio:

2 2 5 . 1 5 . 0

(

)

)

(

liq liq liq cpx eq

SiO

AlO

NaO

Jd

liq

Jd

K

=

eq.2.8

Per la reazione 2.7 la variazione del volume molare, a

P 1

=

atm

, vale 23.5cm3/mol (Carmichel, 1977; Robie et al., 1978) e quindi questo equilibrio risulta molto sensibile alle variazione di pressione. In questo modo la reazione 2.7 risulta molto utile per stimare la P di cristallizzazione di un minerale molto comune, il clinopirosseno, che coinvolge componenti maggiori facilmente misurabili con una microsonda elettronica. Al contempo, la reazione 2.7 implica una variazione di entropia diversa da zero (Richet et al., 1993) per cui questo equilibrio risulta dipendente anche dalla temperatura. Per tale motivo, utilizzando la reazione di scambio cationico all’equilibrio fra componente jadeitica, diopsidica e hedembergitica, è possibile ottenere un termometro:

liq liq cpx liq liq cpx

FmO

CaO

O

NaAlSi

AlO

NaO

O

CaFmSi

2 6

+

0.5

+

1.5

2 6

+

+

eq.2.9

(14)

dove

Fm

=

FeO

+

MgO

;

CaFmSi

2

O

6

=

Ca

(

Fe

,

Mg

)

Si

2

O

6

Il calcolo dei componenti è stato effettuato in modo differente per i componenti del liquido e dei clinopirosseni. I primi sono stati trattati come frazioni cationiche degli ossidi di

Si

,

Ti

,

Al

,

Fe

,

Mn

,

Mg

,

Ca

,

Na

,

K

e

Cr

; le frazioni molari degli ossidi con più di un catione per formula (ad esempio

Al

2

O

3) sono stati divisi per il peso molecolare della singola unità cationica. L’acqua non è stata inclusa nel calcolo delle frazioni cationiche dei componenti liquidi. La composizione dei clinopirosseni invece, è stata calcolata tramite una procedura simile a quella di Lindsley, 1983; i cationi sono stati ricalcolati sulla base di 6 ossigeni (Klein, 2001), con IV

Al

=

2

Si

e VI

Al

=

Al

IV

Al

.

Se questa operazione è stata effettuata in modo corretto la somma dei cationi deve chiudere a ~ 4. Questo perché, ricordando la formula del clinopirosseno

XYZ

2

O

6, il numero di cationi sarà dato da

X

+

Y

+

2

Z

=

4

.

Di seguito viene riportata la procedura di calcolo utilizzata da Putirka et al., 2003:

1.

Jd

=

IV

Al

o

Na

, quale sia il minore;

2. Se rimane VI

Al

in eccesso dopo la formazione di

Jd

,

(

Ca

AlSiO

)

Al

Jd

CaTs

VI 6

=

VI

;

3. SeVI

Al

>

CaTs

, allora

CaTs

(

Ca

IV

Al

VI

AlSiO

6

) (

=

IV

Al

CaTs

)

/

2

; 4.

CrCaTs

(

CaCr

2

SiO

6

)

=

Cr

/

2

;

5.

CaFmSi

2

O

6

=

Ca

CaTi

CaTs

CrCaTs

; 6a.

Fm

2

Si

2

O

6

=

(

Fm

CaFmSi

2

O

6

)

/

2

;

(15)

Nel caso di pirosseni poveri in

Ca

:

6b. Se vi è una deficienza in

Ca

dopo aver formato si

CaTs

o

CaTi

,

6 2

O

CaFmSi

viene considerato uguale a zero e i si considerano i seguenti componenti:

a)

CaTs

=

Ca

;

b) VI

Al

rimanente viene utilizzato per formare

FmCaTs

=

VI

Al

CaTs

; c)

FmTi

IV

Al

VI

AlO

6

=

(

VI

Al

CaTs

FmCaTs

)

;

d)

EnFs

=

(

Fm

FmCaTs

FmTi

)

/

2

;

dove

EnFs

rappresenta il componente enstatite + ferrosilite,

CaTs

il componente Ca-Tschermack e

Js

il componente jadeite. In questo caso se il calcolo è stato svolto in modo corretto la somma dei componenti del pirosseno deve chiudere a ~ 1.

Per quanto riguarda il calcolo della

K

eq, le attività dei componenti sono considerati uguali alle quantità calcolate con la procedura normativa appena descritta. Di seguito vengono riportate in tabella le formule per il calcolo di pressione e temperatura.

(16)

Così descritto, il geotermobarometro di Putirka è applicabile solo alle coppie “nucleo pirosseno-roccia totale” o “bordo pirosseno-pasta di fondo”, in presenza quindi dell’evidenza petrografica dell’equilibrio.

Nei casi in cui esiste l’evidenza di una cristallizzazione lungo una cotettica (come nel caso delle lave dell’Etna), con rapporti ol-cpx-plg noti, è possibile ricostruire la composizione della roccia totale in ogni suo punto, in corrispondenza della composizione di un pirosseno assegnato. A questo punto, il geotermobarometro è applicabile a tutte le composizioni del pirosseno e può fornire dati termobarometrici correlati alla sua evoluzione composizionale. Il problema si risolve con le equazioni presenti nel lavoro (Armienti et al., 2012) che forniscono l’evoluzione di

P

e

T

(17)

2.3

ANALISI TERMOBAROMETRICHE

Per ogni campione sono stati selezionati i pirosseni di più grandi dimensioni, in modo che, analizzando la composizione loro nuclei, è stato possibile estrarre informazioni importanti su

P

e

T

di formazione dei primi cristalli di pirosseno. Osservando i vetrini al microscopio da petrografia sono stati individuati i pirosseni maggiormente adatti per l’analisi chimica al SEM, ovvero quelli di più grandi dimensioni con abito euedrale, senza evidenze di alterazione. Utilizzando le scansioni per l’analisi d’immagine (vedi cap.3) è stato possibile evidenziare graficamente, tramite il software per l’analisi d’immagine “ImageJ”, i cristalli in modo da avere una traccia tale da facilitare il loro successivo riconoscimento ad ingrandimenti maggiori al SEM. I pirosseni selezionati hanno dimensioni comprese tra circa 0,5mm e 2mm.

Figura 2.1 – (a) Scansione di un vetrino del campione “A3 b”; sono qui evidenziati i cristalli di pirosseno di dimensioni idonee per effettuare le analisi chimiche al SEM. Queste immagini sono state utilizzate come “mappe” per individuare velocemente i cristalli selezionati ad ingrandimenti molto maggiori. (b) Immagine al SEM di uno dei pirosseni analizzati.

Prima di procedere con le analisi chimiche al SEM, è stato tarato opportunamente lo spettro X, in modo da togliere il rumore di fondo e aumentare l’accuratezza dell’analisi per gli elementi di interesse. Ogni analisi è stata effettuata per un tempo di 100 lsec.

Nella pagina successiva, viene riportata una tabella con i risultati delle analisi chimiche condotte sui pirosseni.

a

(18)

Clinopirosseno SiO2 TiO2 Al2O3 Cr2O3 Fe2O3 FeO MnO MgO CaO Na2O K2O TOT A3 B 1 50,04 0,74 4,83 0,00 0,00 7,69 0,35 14,25 21,42 0,68 0,00 100,00 A3 B 1RIM 49,61 1,08 5,91 0,00 0,00 7,91 0,06 13,65 21,13 0,65 0,00 100,00 A3 B 2 49,33 1,00 6,07 0,00 0,00 7,96 0,19 13,56 21,25 0,63 0,00 99,99 A3 B 2RIM 49,16 1,02 6,53 0,00 0,00 7,37 0,09 13,78 21,53 0,52 0,00 100,00 A3 B 3 48,51 1,02 6,45 0,00 0,00 8,19 0,18 13,35 21,65 0,64 0,00 99,99 A3 B 3RIM 48,44 1,11 6,97 0,00 0,00 8,10 0,17 13,28 21,70 0,23 0,00 100,00 A4 A 1 49,23 0,65 6,56 0,00 0,00 5,95 0,35 14,30 22,64 0,33 0,00 100,00 A4 A 1RIM 49,45 0,98 5,93 0,00 0,00 7,11 0,00 13,77 22,34 0,41 0,00 100,00 A4 A 2 50,97 0,72 4,44 0,00 0,00 6,52 0,42 14,72 21,75 0,46 0,00 100,00 A4 A 2RIM 49,75 0,96 5,77 0,00 0,00 6,76 0,48 13,81 21,97 0,51 0,00 100,00 A4 A 3 50,11 0,83 5,37 0,00 0,00 6,91 0,22 14,38 21,69 0,49 0,00 100,00 A4 A 3RIM 49,63 0,80 5,79 0,00 0,00 6,93 0,22 14,46 21,63 0,54 0,00 100,00 A8 B 1 48,59 1,17 6,61 0,00 0,00 8,16 0,00 13,28 21,51 0,68 0,00 100,00 A12 E 1 50,60 0,79 5,23 0,00 0,00 7,53 0,00 14,10 21,22 0,53 0,00 100,00 A12 E 1RIM 49,36 0,87 6,09 0,00 0,00 7,79 0,15 13,72 21,34 0,69 0,00 100,00 A12 E 2 49,49 1,06 5,72 0,00 0,00 7,94 0,25 13,62 21,42 0,51 0,00 100,00 A12 E 2RIM 49,26 0,88 6,27 0,00 0,00 7,15 0,33 14,42 21,31 0,39 0,00 100,00 A12 E 3 50,48 0,78 5,11 0,00 0,00 7,58 0,09 14,17 21,29 0,50 0,00 100,00 A12 E 3RIM 48,73 1,19 6,56 0,00 0,00 8,30 0,22 13,29 21,30 0,40 0,00 100,00 B7 1 50,88 0,69 4,51 0,00 0,00 6,96 0,10 14,72 21,46 0,68 0,00 100,00 B7 1RIM 47,67 1,27 7,65 0,00 0,00 7,65 0,12 13,36 21,90 0,37 0,00 100,00 B7 2 48,42 1,12 7,45 0,00 0,00 6,51 0,00 13,91 21,90 0,70 0,00 100,00 B7 2RIM 49,37 1,03 6,21 0,00 0,00 7,51 0,13 13,72 21,54 0,48 0,00 100,00 C6 B 1 47,27 1,43 6,89 0,00 0,00 9,86 0,13 13,06 20,49 0,86 0,00 100,00 C6 B 1RIM 49,73 0,82 5,87 0,00 0,00 7,46 0,22 14,05 21,45 0,41 0,00 100,00 C6 B 2 49,97 0,94 6,12 0,00 0,00 7,12 0,27 14,11 20,65 0,81 0,00 100,00 C6 B 2RIM 48,53 1,01 7,21 0,00 0,00 7,68 0,11 13,22 21,63 0,61 0,00 100,00 C6 B 3 49,98 0,78 6,23 0,00 0,00 6,48 0,00 14,34 21,60 0,59 0,00 100,00 C6 B 3RIM 48,44 1,15 7,07 0,00 0,00 8,14 0,00 13,06 21,48 0,66 0,00 100,00 2ET11 1 49,07 0,68 6,30 0,00 0,00 5,75 0,38 15,51 21,46 0,85 0,00 100,00 2ET11 1RIM 48,24 1,27 7,11 0,00 0,00 7,60 0,42 13,23 21,63 0,50 0,00 100,00 2ET11 2 49,18 0,96 6,14 0,00 0,00 7,42 0,18 13,84 21,47 0,80 0,00 100,00 2ET11 2RIM 47,24 1,99 7,39 0,00 0,00 8,22 0,29 12,94 21,13 0,79 0,00 100,00 2ET11 3 50,36 0,53 5,59 0,00 0,00 5,55 0,26 15,60 21,31 0,81 0,00 100,00 2ET11 3RIM 48,91 0,82 6,31 0,00 0,00 6,43 0,34 15,14 21,20 0,85 0,00 100,00 2ET11 4 50,54 0,60 5,25 0,00 0,00 6,57 0,40 15,54 20,20 0,90 0,00 100,00 2ET11 4RIM 48,73 1,47 6,05 0,00 0,00 7,98 0,00 13,38 21,57 0,83 0,00 100,00 11ET11 1 49,57 0,63 5,84 0,00 0,00 6,10 0,39 15,83 20,71 0,92 0,00 100,00 11ET11 2 47,44 1,68 7,17 0,00 0,00 8,01 0,40 13,26 21,08 0,96 0,00 100,00 11ET11 3 49,81 0,76 5,69 0,00 0,00 6,45 0,41 15,24 20,73 0,91 0,00 100,00 11ET11 3RIM 49,20 0,81 6,46 0,00 0,00 6,87 0,08 14,53 21,13 0,90 0,00 100,00 Tabella 2.2 – In questa tabella sono riportate tutte le analisi chimiche condotte sui pirosseni. Ognuno di essi viene contraddistinto dal nome del campione di appartenenza e da un numero identificativo (vedi figura x). La sigla RIM caratterizza analisi condotte al bordo del cristallo.

(19)

La bontà delle analisi chimiche condotte sui pirosseni è stata valutata seguendo un controllo proposto da Papike et al., 1969; questo metodo si basa sulla somma delle moli di ossigeni che bilanciano stechiometricamente le cariche positive dei cationi nella formula dei pirosseni, la quale deve chiudere a 6.

I pirosseni hanno formula generale

XYZ

2

O

6 dove:

X

rappresenta

Na

+,

Ca

2+,

Mn

2+,

Fe

2+,

Mg

2+ e

Li

+ nel sito

M

1

; •

Y

rappresenta

Mn

2+,

Fe

2+,

Mg

2+,

Fe

3+,

Al

3+,

Cr

3+e

Ti

4+ nel sito

M

2

; •

Z

rappresenta

Si

4+ e

Al

3+ nei siti tetraedrici delle catene;

Il numero di moli di ogni catione deve essere controbilanciato da un congruo numero di moli di

O

2 in modo da ottenere una carica neutra. In dettaglio, ogni mole di catione tetravalente (

Si

4+ e

Al

3+) deve essere bilanciata da due moli di ossigeno, ogni mole di catione bivalente (

Ca

2+,

Mn

2+,

Fe

2+,

Mg

2+) da un egual numero di moli di ossigeno, e infine, il numero di moli di ossigeno necessarie a bilanciare le moli di cationi trivalenti (

Fe

3+,

Al

3+) è dato moltiplicando quest’ultime per un fattore pari a 3/2. La somma di tutte le moli di ossigeno necessarie a bilanciare le cariche positive dei cationi deve chiudere a 6, come si vede dalla formula generale dei pirosseni.

Per effettuare questo controllo è stato realizzato un foglio Excel che permette velocemente di effettuare il calcolo per un gran numero di analisi chimiche. Come valori di ingresso abbiamo appunto le analisi chimiche dei pirosseni espresse come percentuali in peso. Di seguito vengono schematicamente descritti i passaggi svolti dal programma:

I.Correzione del peso % di Alluminio:

7089

.

0

8261

.

0

%

ln

3 2 3 2

+





=

Si

O

peso

O

Al

( )

100

exp

100

)

(

%

)

(

%

2 3 3 2

=

Al

O

peso

misurato

teorico

peso

O

Al

(20)

II. Ricalcolo % in peso dei vari cationi considerando la nuova % in peso dell’alluminio

+

=

100

100

)

(

%

%

peso

corr

peso

misurato

Al

mis

Al

corr

III. Calcolo delle moli di ogni catione (considerando 100g di minerale):

PM

peso

moli

n

°

=

%

corr

IV. Ricalcolo a 4 delle moli di ogni catione, considerando la formula generale dei pirosseni: TOT cat

moli

n

moli

n

moli

n

°

°

=

°

4

4

V. Calcolo moli di ossigeno necessarie per bilanciare moli di ogni catione e controllo che il totale sia uguale a 6 (in tabella è rappresentato un esempio di calcolo).

N°moli catione Fattore moltiplicativo N° moli oss igeno

Si 1,79330017 2 3,58660034 Ti 0,033626641 2 0,067253283 Al 0,265413172 1,5 0,398119758 Fe 0,203658971 1 0,203658971 Mn 0 1 0 Mg 0,770828158 1 0,770828158 Ca 0,902362882 1 0,902362882 Na 0,030810006 0,5 0,015405003 K 0 0,5 0 Cr 0 1,5 0 Totale 5,944228395

(21)

In figura 2.2 è rappresentato il diagramma composizionale dei pirosseni. I pirosseni analizzati cadono nel campo composizionale relativo alla soluzione solida diopside-hedembergite; questa presenta piena miscibilità tra l’end member magnesiaco (diopside,

CaMgSi

2

O

6) e quello ferrico (hedembergite,

CaFeSi

2

O

6). Più in dettaglio, i pirosseni in esame cadono nel campo diopsidico, con rapporto magnesio-ferro circa 2:1. Nonostante vi sia una scarsa variabilità composizionale tra i vari campioni, è possibile osservare come i bordi dei cristalli (rim) mostrino tendenzialmente contenuti maggiori del catione

Fe

2+, in accordo con una cristallizzazione più tardiva.

Figura 2.2 – Diagramma composizionale dei pirosseni. Sono rappresentati i cristalli appartenenti ai vari campioni analizzati

(22)

Per ognuno dei campioni analizzati sono state gentilmente fornite dal Prof. M. Viccaro le analisi chimiche su roccia totale (tab. 2.3). Queste permettono di ottenere le coppie “pirosseno-roccia totale” necessarie per i calcoli geotermobarometrici.

TAS 2,00 4,00 6,00 8,00 10,00 12,00 40,00 45,00 50,00 55,00 60,00 65,00 SiO2 % T o ta l A lk a li %

Figura 2.3 – Diagramma TAS delle rocce analizzate; tutti i campioni rientrano nel campo dei trachi-basalti. Sullo sfondo il diagramma TAS per le rocce etnee.

Sample SiO2 TiO2 Al2O3 FeOtot MgO MnO CaO Na2O K2O P2O5 LOI TOT 2ET11 47,94 1,82 17,24 10,92 4,32 0,19 9,84 3,92 2,06 0,52 1,23 100,00 11ET11 47,78 1,85 17,08 11,11 4,42 0,19 9,84 3,90 2,07 0,52 1,25 100,00 a3b 47,96 1,84 17,19 10,87 4,39 0,21 9,87 3,93 2,04 0,49 1,21 100,00 a4a 47,29 1,89 16,97 11,30 4,49 0,22 10,14 3,90 2,05 0,50 1,26 100,00 a8b 47,56 1,90 17,07 11,32 4,16 0,22 9,88 3,95 2,17 0,52 1,26 100,00 a11a 48,24 1,83 17,31 10,72 4,21 0,21 9,50 4,07 2,18 0,54 1,19 100,00 a12c 48,26 1,85 17,26 10,76 4,23 0,21 9,41 4,09 2,20 0,53 1,20 100,00 a13b 48,57 1,86 17,03 10,64 4,41 0,21 9,29 4,09 2,19 0,53 1,18 100,00 b3 46,38 2,02 15,94 12,07 5,46 0,22 10,88 3,25 1,99 0,44 1,34 100,00 b4 47,60 1,84 17,63 10,88 4,21 0,21 9,97 3,88 2,07 0,49 1,21 100,00 b7 47,49 1,92 16,92 11,26 4,63 0,22 10,01 3,76 2,05 0,49 1,25 100,00 CSE (c5) 47,90 1,85 17,55 10,80 4,21 0,21 9,82 3,90 2,08 0,49 1,20 100,00 c6b 48,04 1,89 17,04 10,84 4,47 0,21 9,63 3,97 2,17 0,54 1,20 100,00 c7b 48,50 1,80 17,69 10,39 3,95 0,20 9,40 4,17 2,18 0,55 1,15 100,00 c7c 48,13 1,85 17,38 10,64 4,32 0,21 9,70 3,96 2,11 0,52 1,18 100,00

(23)

I dati sono stati elaborati utilizzando un foglio di calcolo Excel creato dal Prof. P. Armienti basato sul geotermometro di Putirka; esso permette di calcolare la pressione e la temperatura a cui la composizione dei pirosseni era in equilibrio con quella del fuso, basandosi sull’assunzione di una cristallizzazione lungo una cotettica.

(24)

CAPITOLO 3: CRYSTAL SIZE DISTRIBUTION: TEORIA E

LORO INTERPRETAZIONE

Negli studi petrologici risulta fondamentale la determinazione e la distribuzione delle fasi che compongono una roccia. Infatti, la frazione modale delle fasi così come la distribuzione dei cristalli in diverse classi dimensionali, sono legate intrinsecamente ai tassi di nucleazione e crescita dei cristalli, le cui variazioni sono controllate dai cambiamenti in temperatura, pressione e composizione del fuso (Brugger and Hammer, 2010; Armienti and Pareschi, 1993). La tessitura di una roccia è quindi la principale fonte di informazioni riguardo la storia di solidificazione di un magma. Di tutti i parametri considerabili, la taglia dei cristalli è sicuramente il più importante ed in particolare lo studio della loro distribuzione nello spazio. Un importante strumento di analisi sono le Crystal Size Distributions (CSDs), le quali rappresentano il numero di cristalli di una determinata taglia all’interno di un volume unitario. Lo studio di queste curve fornisce quindi indicazioni sulla cinetica di cristallizzazione di un magma durante i processi di trasporto, risalita ed eruzione (Marsh et al., 1988).

3.1 CAMPIONE RAPPRESENTATIVO

Poiché queste analisi vengono condotte su sezioni o campioni di dimensioni limitate, è necessario assicurarsi di star indagando un campione rappresentativo, in modo da non risentire di eventuali disomogeneità presenti alla scala del campionamento.

Nel caso di Size Distribution è necessario assicurarsi che l’area analizzata sia sufficiente a garantire che la particella di taglia maggiore abbia la corretta densità di frequenza. Secondo Armienti et al., 1994 l’area minima da analizzare dipende dal numero di particelle di taglia maggiore

n

, dalla risoluzione, cioè dall’intervallo tra le classi,

L

e naturalmente dalla taglia delle particelle, cristalli, di dimensioni maggiori

L

.

( )

( )

L

L

L

L

n

L

Area

=

2

min

eq.3.1

(25)

3.2 TEOREMA FONDAMENTALE DELLA STEREOLOGIA

Il Teorema fondamentale della Stereologia (Delesse, 1848) stabilisce l’equivalenza tra le frazioni in volume, in area, in linea e in punti di una fase

α

all’interno di un volume analizzato: α α α α

A

L

P

V

=

=

=

eq.3.2

Poiché nel caso specifico di questa tesi si è partiti dalla determinazione della frazione areale di una determinata fase, attraverso lo studio di sezioni sottili e immagini al SEM, considerata poi equivalente alla frazione volumetrica, verrà di seguito dimostrata tale equivalenza.

Prendiamo in esame una sezione quadrata di lato

L

, tagliata ad altezza

z

in un certo volume e sia

A

( )

z

l’area intercettata dalla fase

α

in quella determinata sezione. La frazione di

α

nella sezione sarà:

( ) ( )

2

L

z

A

z

A

α

=

eq.3.3 mentre il valore atteso di

A

α risulta:

( )

A

A

A

( ) ( )

z

f

z

dz

E

L

=

=

0 α α α eq.3.4

In quanto la sezione è presa casuale risulta che

( )

L

z

f

=

1

e quindi

( )

( )

dz

L

z

A

L

dz

z

A

A

L L

=

=

0 3 0 α α eq.3.5 Ma poiché

( )

(

)

0

z

V

dz

z

A

L

=

, ovvero il volume occupato dalla fase

α

, risulta dimostrata l’equivalenza tra la frazione in area e in volume della fase

α

.

(26)

α α

V

V

3

=

=

L

A

eq.3.6

I dati modali ottenuti dall’analisi delle sezioni sottili sono stati espressi come Crystal Size Distribution (CSD), definite come numero di cristalli di dimensione assegnata

L

, contenute nell’unità di volume. Il numero di cristalli per classe,

n

( )

L

, viene di solito rappresentato utilizzando diagrammi semilogaritmici in cui viene definito rispetto ad una dimensione caratteristica del cristallo di interesse (Marsh and Cashman, 1988). Viene comunemente utilizzato il diametro equivalente, ovvero il diametro di una sfera avente volume uguale al cristallo in esame. Come già accennato le CSD sono correlate alla storia di formazione della roccia in esame e, nel caso specifico di una lava, alla storia di raffreddamento e degassamento del magma di origine. Inoltre queste misure possono fornire importanti informazioni temporali se si conoscono le leggi di nucleazione e crescita dei cristalli.

(27)

3.3 RICOSTRUZIONE STEREOLOGICA DELLE CSD: IL

METODO DI SCHWART-SALTYKOV

Nel caso di distribuzioni spaziali di minerali e vescicole nelle rocce, si assume che gli oggetti di interesse siano assimilabili a particelle sferiche; ovviamente questa approssimazione implica rilevanti deviazioni dalla realtà nel caso di minerale fortemente elongati.

In figura è rappresentata una distribuzione planare di aree generata sezionato una distribuzione polidispersa di sfere; risulta evidente come aree uguali possono essere ottenute sezionando ad altezze diverse sfere di diverso diametro.

Nel caso di una distribuzione polidispersa di sfere, esistono diversi metodi per ricostruire una CSD nello spazio in base a informazioni planari (Russ, 1986).

5 . 1 A V

N

N

=

(Kirkpatrick, 1977); eq.3.7

f

N

N

A V 5 . 1

=

(Gray, 1970; Gray 1978; Kirkpatrick, 1978); eq.3.8

A A

d

N

of

fit

best

=

V

N

(De Hoff and Rhines, 1968); eq.3.9

dove:

-V

N

: numero di cristalli per unità di volume;

-A

N

: numero di cristalli per unità di area;

(28)

-A

d

: lunghezza media della proiezione ortogonale dei granuli intersecati su di una linea perpendicolare alla sezione analizzata;

In queste formule il contributo delle sfere più grandi alle aree più piccole viene ignorato; infatti le particelle più piccole possono essere generate su di una sezione sia dal taglio di sfere piccole, sia dal taglio di sfere anche molto più grandi, tagliate a distanze dal centro prossime al loro raggio.

La trattazione adottata in questa tesi viene originariamente proposta da Schwartz negli anni trenta ed è nota come metodo di Schwartz-Saltykov (De Hoff and Rhines, 1972). Il metodo si basa sulla considerazione che il diametro di una particella nel piano dipende dal punto in cui la sezione taglia la sfera stessa. E’ quindi possibile determinare un istogramma della frequenza con cui si ottiene un cerchio di date dimensioni, in base alla distribuzione delle sfere nel volume di riferimento.

Per una sezione di diametro

d

i misurata, consideriamo i valori

( )

i

j

p ,

: la probabilità che una sfera di diametro

D

J

>

d

i sia tagliata in modo da fornire una sezione di diametro

d

i;

( )

i

j

N

A

,

: il numero di sezioni di diametro

d

i per unità do area, ottenute da

sfere di diametro

D

j.

Il numero di sfere di diametro

d

i per unità di volume si ottiene dalla seguente relazione:

( )

( )

j A V

D

j

i

p

j

i

N

N

1

,

,

=

eq.3.10

Per calcolare

N

V è quindi necessario poter determinare il valore di

p ,

( )

i

j

.

Assumendo un intervallo

tra le classi, si possono generare

j

classi tagliando una sfera di diametro

D

j ad una distanza

l’una dall’altra. Se si considera la probabilità di tagliare una sezione con diametro compreso tra

d

i

=

i

e

d

( )i−1

=

( )

i

1

, con

(29)

j

i

<

0

, essa è direttamente proporzionale allo spessore della sezione

h

ed inversamente proporzionale al raggio della sfera

D

j

/

2

:

( )

2

2

,

( 1) j i i j

D

h

h

D

h

j

i

p

=

=

eq.3.11

In figura è rappresenta la sfera di diametro

D

j;

h

( )i1 e

h

i sono le distanze dal centro della sfera a cui corrispondono i diametri

d

( )i5 e

d

i.

D

j

2

h

( i 1 )

h

i

h

d

( i 1 )

d

i

Il metodo elaborato da Schwartz e Saltykov si basa sull’eliminazione del contributo delle sfere più grandi alla popolazione di quelle più piccole, tramite successive sottrazioni.

Osservando la figura si osserva che:

2 2

2

2





=

j i i

d

D

h

eq.3.12

(30)

e quindi 2 2

2

2

=

j

i

h

i eq.3.13

Da qui, riprendendo l’equazione 3.11, si ottiente:

( )

,

1

1

2

1



2







=

j

i

j

i

j

i

p

eq.3.14

In cui la probabilità viene espressa come funzione delle sole classi

i

e

j

.

Nel diagramma seguente sono riportati i valori di

p ,

( )

i

j

calcolati per un numero di classi

j

=

20

. Per

i

=

j

la probabilità è la più alta; infatti questo significa banalmente che il contributo maggiore alla classe

j

è quello della classe

j

stessa.

0 .0 5 0 .1 0 .1 5 0 .2 0 .2 5 0 .3 0 .3 5 0 .4 0 .4 5 0 .5 0 .5 5 0 .6 0 .6 5 0 .7 0 .7 5 0 .8 0 .8 5 0 .9 0 .9 5 1 0.0 0.1 0.2 0.3 0.4 i/j p ro b a b il it à

(31)

Riprendendo l’equazione 3.10, per sostituzione otteniamo:

( )

( )

( )

j A j A V

D

j

i

j

i

j

i

N

D

j

i

p

j

i

N

N

1

1

1

1

,

1

,

,

2 2









=

=

eq.3.15

Questa equazione permette di calcolare i valori

N

V

( )

i

per ognuna delle classi

j

a condizione che almeno un valore di

N

V

( )

i

sia noto; in questa trattazione viene assunto che la densità numerica della classe più grande sia uguale a:

( )

( )

j j A j V

D

D

N

D

N

=

eq.3.16

In questo modo è possibile sottrarre il contributo della classe

D

j alla classe di dimensioni immediatamente più piccole

D

( )j1 e successivamente a tutte le altre classi fino alla classe più piccola. Questo processo, denominato “unfolding”, se eseguito per ciascuna classe permette di calcolare la distribuzione spaziale di ciascuna classe di sfere. Considerando

j

classi, vengono dapprima misurati i valori di

N

A

( )

j

,

j

per ogni

classe, ovvero il contributo di ogni classe a se stessa, per poi aggiungere il contributo dalle classi più grandi, che vengo calcolati tramite l’equazione 3.15 partendo dalla classe più grande.

( )

j

N

( )

j

j

N

A

=

A

,

(

j

)

N

(

j

j

)

N

(

j

j

)

N

A

1

=

A

1

,

1

+

A

1

,

(

j

)

N

(

j

j

)

N

(

j

j

)

N

(

j

j

)

N

A

2

=

A

2

,

2

+

A

2

,

1

+

A

2

,

in generale:

( )

i

N

( )

i

j

N

n j A A

,

1

=

=

eq.3.17

(32)

3.4 ANALISI D’IMMAGINE SU PLAGIOCLASI

Sui vetrini dei campioni di lave etnee sono state condotte, tramite analisi d’immagine, misurazioni delle dimensioni dei cristalli di plagioclasio in modo da poter ricostruire le CSD, ottenendo preziose informazioni sulla storia di raffreddamento e cristallizzazione di queste lave.

I vetrini sono stati scannerizzati in modo da ottenere delle immagini con un’alta risoluzione, dalle quali, mediante l’utilizzo del programma “ImageJ”, è stato possibile ottenere le aree dei cristalli di plagioclasio. Prima della scansione si è provveduto alla colorazione dei vuoti. Questo è possibile attaccando la colla presente al loro interno, utilizzata per incollare il vetrino alla roccia, con dell’acetone ed in seguito, colorando il vetrino con un pennarello indelebile; a questo punto, l’inchiostro verrà assorbito dalla colla, mentre sarà rimosso con un solvente dal resto del campione. Le immagini scannerizzate dei campioni sono state rilevate con una risoluzione pari a 3600 pixel/pollice, equivalente a 141,73 pixel/cm. Di seguito è riportato l’elenco dei campioni per i quali è stato condotta l’analisi d’immagine sui plagioclasi (sono stati esclusi alcuni campioni troppo vetrosi dove risultava difficoltosa la misurazione delle aree dei plagioclasi).

Data evento Sigla campione

1. 12-13/01/11 11ET11 2. 12-13/01/11 2ET11 3. 11-12/05/11 A4a 4. 30/07/11 A8b 5. 18/03/12 B4 6. 23/02/13 CSE

Le immagini sono state scansionate sia a nicol paralleli che a nicol incrociato, in posizione di quasi completa estinzione, in modo da poter far risaltare in modo più evidente le varie fasi minerali. Di seguito sono riportate due scansioni, a nicol paralleli e incrociati, del campione 2ET11.

(33)

Figura 3.3 – (a) Immagine a nicol paralleli del campione 2ET11; sono visibili i plagioclasi (cristalli allungai chiari), i pirosseni (color bruno), i vuoti, colorati di azzurro o completamente bianchi laddove il colore non è penetrato e in nero la pasta di fondo; (b) stessa scansione a nicol incrociati con un angolo di estinzione di circa 15°-20°.

Le immagini cosi ottenute sono state poi processate con il programma “ImageJ”; dapprima sono stati evidenziati i vuoti, in modo da poterla sottrarre la loro area dall’area totale della sezione e ottenere cosi l’area della lava al netto delle bolle. Questo è stato possibile utilizzando una routine creata appositamente con “ImageJ” che permette di evidenziare le aree colorate in azzurro, tramite il riconoscimento dei toni di grigio equivalenti nelle tre bande di colore RGB (Red Green Blue).

Figura 3.4 – Immagine ridotta a 16 colori. Si noti la differenza con le immagini precedenti (3.1 (a) e (b)).

(34)

L’immagine è stata ridotta a 16 colori ed è stato utilizzato un filtro per “mediare” le varie tonalità in modo da ottenere superfici più estese caratterizzate da uno stesso colore.

Tramite il comando “Wand” è possibile selezionare aree contraddistinte dalla stessa tonalità di grigi nelle tre bande, in modo da ottenere un immagine come la seguente:

Figura 3.3 – (a) Aree precedentemente evidenziate in azzurro (b) sovrapposizione delle aree in (a) con immagine reale: è evidente come queste non rappresentino la totalità dei vuoti.

Risulta evidente come queste aree evidenziate non rappresentino tutte le aree occupate da bolle nell’immagine di partenza. Per aggiungere le aree che non sono state evidenziate di procede alla sogliatura dell’immagine di partenza selezionando tutti gli oggetti più chiari, ed eliminando così la pasta di fondo della roccia:

Figura 5.4 – sogliatura di tutti gli oggetti più chiari, cristalli e vuoti.

(35)

Utilizzando poi il comando “Binary Reconstruction” è possibile andare ad aggiungere alle bolle tutte le aree che, evidenziate dalla sogliatura, condividano dei punti in comune:

Figura 3.5 – Risultato del

comando “Binary

Reconstruction”: il programma

aggiunge all’immagine 3.3 (a) i

punti in comune con

l’immagine 3.4, di fatto i vuoti non colorati.

Le ulteriori bolle non ancora campionate vengono selezionate utilizzando filtri che selezionano le particelle in base a dimensione, “Aspect-Ratio” e “Circolarity”.

Figura 3.6 – totalità dei vuoti

Allo stesso modo, effettuando le opportune sogliature ed utilizzando i filtri sopra citati è possibile isolare i plagioclasi.

(36)

Figura 3.7 – (a) Aree occupate dalla fase plagioclasio (b) sovrapposizione delle aree in (a) con immagine reale: in rosso i contorni dei cristalli di plagioclasio.

Ricapitolando, i passaggi eseguiti per poter arrivare a misurare le aree occupate dai plagioclasi, sono i seguenti:

Preparazione del campione: vengono realizzate delle sezioni sottili dello spessore di poco superiore allo standard (30µm), quindi vengono messi in risalto i vuoti come descritto precedentemente;

Analisi di immagine tramite software “ImageJ”:

1. Eliminazione della pasta di fondo tramite sogliatura dei livelli di grigio dell’immagine;

2. Ricoscimento delle bolle (vuoti) attraverso un processo di “binarizzazione” dell’immagine (Segmentation) che permette di selezionare sulle tre bande RGB i livelli di grigio relativi alle bolle, assegnando poi a questi, nell’immagine binarizzata il valore di 1. Successivamente, applicando il filtro “Binary Reconstruction” è possibile identificare effettivamente la fase “bolle”;

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