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Analisi economico-finanziaria e della concorrenza nel settore delle spedizioni: il caso Savino Del Bene S.p.A.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA MANAGEMENT & CONTROLLO

TESI DI LAUREA

Analisi economico-finanziaria e della concorrenza nel settore

delle spedizioni: il caso Savino Del Bene S.p.A.

ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017

Candidato: Relatore:

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INDICE

INTRODUZIONE

Capitolo 1. L’ORIGINE DI SERVIZI LOGISTICI

1.1 Modelli produttivi e logistica………...……….. 6

1.2 Evoluzione del concetto di logistica………..11

1.3 L’outsourcing logistico……….…13

1.4 Sostenibilità ambientale………...15

1.5 Gli operatori logistici………17

Capitolo 2. DIMENSIONI E POTENZIALITA’ DEL MERCATO 2.1 Logistica e sistema economico……….…25

2.2 Criticità del sistema logistico italiano………..28

2.3 Potenzialità di sviluppo del mercato logistico………..………35

2.4 Vantaggi e criticità dell’outsourcing………40

2.5 Il ruolo dell’information and Comunication Technology……….43

2.6 Il peso dei costi logistici sul sistema produttivo.………...45

Capitolo 3. IL SETTORE DELLE SPEDIZIONI 3.1 Ruolo degli spedizionieri nel sistema economico……….47

3.2 Modalità di spedizione……….50

3.3 I servizi offerti dagli spedizionieri………52

3.4 Il valore per il cliente………....58

Capitolo 4. IL CASO DELLA SAVINO DEL BENE S.P.A. Premessa………..60

4.1 Le origini………..60

4.2 Il mercato azionario………..…61

4.3 La composizione societaria………..62

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4.5 Le dimensioni economiche………..64

4.6 I servizi offerti………..70

4.7 L’organizzazione per mercati verticali……….75

4.8 L’attività di spedizione……….81

4.9 I servizi a valore aggiunto………84

4.10 Fattori di rischio connessi al settore di riferimento………...…86

4.11 Fattori chiave di competitività e di vulnerabilità………..………88

4.12 Prospettive strategiche……….91

4.13 Analisi dei principali indici di competitività………94

CONCLUSIONI

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INTRODUZIONE

Il lavoro oggetto della tesi si fonda sull’osservazione dei fenomeni evolutivi che hanno coinvolto in questi ultimi anni le attività logistiche, uscite dall’alveo delle funzioni aziendali per alimentare la formazione progressiva di un settore a sé stante, con proprie opportunità imprenditoriali e logiche competitive. L’evoluzione dei modelli di produzione ha infatti determinato l’emergere di imprese specializzate nell’organizzazione e gestione di un sistema integrato di soluzioni logistiche a supporto delle organizzazioni industriali e commerciali. Il business della logistica rappresenta per molti operatori già esistenti nei settori tradizionali del trasporto, del magazzinaggio, della spedizione ecc., una trasformazione per affrontare l’intensa competizione. Questi soggetti, partendo da competenze di base specifiche e consolidate, possono proporsi con un ruolo più ampio decidendo di allargare la gamma dei servizi offerti, proponendo soluzioni “a valore aggiunto”. I vari attori, pur rimanendo fortemente dissimili sotto il punto di vista del core business di partenza, tendono a presentarsi sul mercato con funzioni analoghe mantenendo profili strutturali e modalità operative diverse tra loro: “l’industria” dei servizi logistici, quindi, non assume una configurazione omogenea per la diversità degli operatori specializzati in relazione alle funzioni, ai gruppi di clienti serviti ed alle tecnologie impiegate. Nonostante la frammentazione formale delle attività, si sta assistendo ad un processo di convergenza verso un’offerta completa di servizi logistici, ad opera di alcuni provider che intendono organizzare e gestire i flussi fisici ed informativi tra i nodi della rete produttivo-logistica, ovvero tra fornitori, produttori, distributori e consumatori. Le opportunità provenienti dalla disaggregazione della produzione e dal fenomeno dell’outsourcing della logistica attribuiscono crescente rilevanza a tali operatori e si è pertanto ritenuto che l’argomento fosse meritevole di un’approfondimento in relazione alle origini, agli ambiti competitivi e alle prospettive che potrebbero aprirsi. La maggior parte dei contributi in tema di logistica si sono concentrati soprattutto sui processi di outsourcing nell’ottica dell’impresa cedente, tralasciando l’analisi delle problematiche e dei meccanismi

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di funzionamento di questo settore. L’interesse di ricerca per l’argomento trattato prende dunque spunto dai seguenti elementi:

- Il crescente significato assunto dall’outsourcing logistico a livello strategico nell’ambito delle scelte imprenditoriali

- La forte dinamicità del settore dei servizi logistici, che determina continue e rapide riconfigurazioni del ruolo degli attori che vi operano

- Gli elevati tassi di sviluppo di tale mercato, attuali e potenziali

Il lavoro è stato strutturato in 4 parti. Per comprendere il fenomeno della nascita, dello sviluppo e dell’affermazione degli operatori logistici nell’attuale scenario competitivo si è innanzitutto dovuto ricostruire le radici, che affondano nella produzione e nella logistica. Questo ha permesso una lettura d’insieme in ottica storico-evolutiva delle determinanti che influiscono sugli assetti competitivi. Si è proceduto poi all’analisi delle caratteristiche strutturali degli operatori logistici e delle linee strategiche da essi adottate. Nel secondo capitolo si è inteso inquadrare il ruolo del settore all’interno del sistema economico, cercando di chiarirne le dimensioni e le potenzialità di crescita, osservando inoltre alcune criticità che caratterizzano la struttura del nostro Paese. Nel terzo capitolo si è approfondito il settore delle spedizioni, con particolare riferimento alle cosiddette Global forwarding company, poiché ritenute rappresentative dell’evoluzione verso servizi logistici più sofisticati. Da qui si è preso spunto per presentare il caso della Savino del Bene S.p.a., azienda nata a Firenze nei primi anni del 1900 come casa di spedizioni ed oggi divenuta un operatore logistico globale, tra i più importanti del mondo. Il percorso sviluppato ha voluto favorire la comprensione delle specificità operative dei cosiddetti “fornitori di servizi logistici” e, quindi, delle risorse e competenze manageriali che questi possono garantire, al fine di superare la connotazione meramente tattica e speculativa delle scelte di terziarizzazione verso una gestione strategica in grado di elevare gli standard prestazionali nel confronto competitivo.

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CAPITOLO 1 – LE ORIGINI DEI SERVIZI LOGISTICI 1.1 Modelli produttivi e logistica

La logistica nasce come indispensabile momento di supporto al ciclo produttivo, dall’acquisizione delle materie prime alla collocazione del prodotto sul mercato.

Fig.1 – La catena logistica

L’evoluzione dei modelli di gestione delle attività produttive ha determinato l’emergere di nuove tipologie organizzative dai confini più evanescenti, caratterizzate cioè da soggetti giuridicamente indipendenti, ma strettamente correlati sul piano economico, che supportano la realizzazione di configurazioni reticolari complesse. Il network consente di scavalcare i confini proprietari e superare l’inaffidabilità del mercato, favorendo pertanto condivisione e scambio di conoscenza. In ambienti complessi, tendenzialmente iper-competitivi1, il

confronto, dunque, coivolge in misura sempre maggiore non le singole imprese ma l’intera “supply chain”, al cui interno le relazioni non sono solo di natura logistica e commerciale ma, prevalentemente, di mutuo scambio di conoscenze, competenze e servizi (Gallinaro, Grando, Massaroni, 2001). L’analisi dei modelli produttivi non rientra tra gli obiettivi di approfondimento del presente lavoro, tuttavia, l’evoluzione storica e la sintesi delle loro caratteristiche consente di comprendere gli elementi principali che hanno contribuito alla nascita e all’affermazione degli operatori logistici nell’ambiente competitivo. I principali modelli della produzione industriale sono essenzialemente sintetizzabili in (Cozzolino, 2009):

a) produzione di massa b) automazione flessibile

c) produzione snella d) produzione modulare

1 L’ipercompetizione è un ambiente caratterizzato da azioni competitive intense e veloci, in cui i

concorrenti devono muoversi rapidamente per costruire i propri vantaggi e per intaccare quelli degli avversari (D’Aveni, 1995)

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1.1.1 La produzione di massa

La produzione di massa è il modello produttivo più adatto ad un ambiente caratterizzato da domanda indifferenziata ed in rapida crescita, uniformità dei mercati geografici di riferimento, tecnologia proprietaria. Questo paradigma nasce negli Stati uniti nei primissimi anni del ‘900 e raggiunge il suo culmine negli anni ‘20. Le condizioni alla base del suo sviluppo sono da ricondurre alla necessità di rendere accessibile una determinata tipologia di prodotto ad un vasto pubblico (si pensi ad esempio all’automobile). L’obiettivo principale risiede nella riduzione dei costi di produzione, offrendo alti volumi di poche varianti di prodotto. Ciò che caratterizza questa modalità di produzione è una sostanziale rigidità, relativa alle attrezzature, alla pianificazione della produzione, alle procedure organizzative del lavoro. Tutto ciò si traduce in una ricerca continua di efficienza, perseguita attraverso la divisione del lavoro, la specializazione delle macchine, la standardizzazione dei processi produttivi, dei prodotti, dei materiali e dei componenti. Per poter pianificare con certezza la produzione è necessario disporre di componenti intercambiabili nei tempi, nel luogo e nelle quantità esatte: la mancanza di fornitori efficienti, in grado di assolvere a tale compito, conduce i produttori ad assumere un controllo totale delle fonti di approvvigionamento, realizzando un’integrazione verticale ascendente delle attività produttive2. Gli

immensi investimenti (specialmente in macchinari) con un mercato in crescita, consente il conseguimento di economie di scala e, quindi, di elevate barriere all’entrata per i potenziali concorrenti. L’affidamento di attività a terzi risulta quindi sporadico: l’eventuale ricorso all’esterno è guidato da una logica di scambio tradizionale, con un approccio di forte conflittualità basato sul prezzo.

1.1.2 L’automazione flessibile

In un ambiente caratterizzato da

2 Con l’espressione “integrazione verticale” s’intende l’estensione dei cicli di una singola impresa

a fasi adiacenti del processo produttivo di un dato bene o servizio, in modo tale che il prodotto finito di una fase costituisca la materia prima dell’operazione sucessiva. Viceversa si parla di “disintegrazione verticale”. L’integrazione può essere “ascendente”, ovvero verso le fasi a monte rispetto all’impresa considerata (materiali o semilavorati) oppure “discendente” ovvero verso le fasi a valle (mercati prodotti finali)

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- intensificarsi della concorrenza internazionale e globalizzazione dei mercati - rallentamento del tasso di crescita della domanda e crescente varietà richiesta

ma anche creata dall’impresa

- flessibilità dell’offerta, ovvero capacità delle imprese di andare incontro alle mutevoli esigenze del mercato

- sviluppo delle tecnologie,

si pongono le basi per una crisi del modello di produzione di massa. A tale crisi, il mondo occidentale risponde con l’automazione flessibile, che consiste in tecnologie avanzate di automazione industriale ed informatiche (quindi hardware e software), che permettono all’impresa di conciliare l’efficienza con la flessibilità: le macchine possono lavorare pezzi diversi con costi e tempi di riattrezzaggio ridotti. La flessibilità di questo modello produttivo, quindi, è incorporata nelle macchine, che restano pertanto il fulcro della fabbrica, come nella produzione di massa, puntando però alle economie di scopo3. In questo contesto iniziano a

diffondersi progressivamente politiche di decentramento economico (ossia parcellizzazione della produzione), con ampio ricorso alla sub-fornitura o al terzismo. L’offerta delle grandi imprese della produzione di massa, infatti, viene completata con quella proveniente da piccoli produttori, garantendo al sistema i necessari margini di flessibilità. Il mondo occidentale tenta dunque di valicare i limiti della produzione di massa con il ricorso ad un adeguamento, ad un’innovazione incrementale, ritenendo che l’automazione flessibile ed il contestuale ricorso al contributo di terzi possano assicurare adeguati livelli di elasticità e flessibilità.

1.1.3 La produzione snella

La risposta orientale ai limiti della produzione di massa, invece, è la produzione snella (lean production), un modello produttivo radicalmente innovativo. Questa, a differenza dell’automazione flessibile che fa prevalentemente leva sulle risorse

3 Il termine “economie di scopo” fa riferimento al risparmio derivanrte dalla produzione congiunta

di prodotti diversi o dal perseguimento di obiettivi diversi con i medesimi fattori produttivi. Lo stesso concetto è anche tradotto con l’epressione “economie di gamma”

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hard, si focalizza sulle capacità di natura organizzativa e gestionale: “la flessibilità cessa di essere una caratteristica propria del mezzo tecnico per coinvolgere aspetti quali il prodotto, l’organizzazione e la programmazione della produzione, i rapporti con le altre imprese” (Silvestrelli, 2003). Questo nuovo modello produttivo nasce in Giappone negli anni ‘60, mentre approderà negli Stati Uniti e in Europa negli anni ‘80. Ciò che caratterizza il successo della produzione snella risiede nel conciliare efficienza e flessibilità nel modo di produrre, non solo attraverso fattori tecnici e tecnologici, ma principalmente organizzativo-gestionali. Si impiegano squadre di dipendenti polifunzionali ad ogni livello dell’organizzazione e si procede verso una responsabilizzazione crescente di tutti i lavoratori relativamente ai propri risultati. Tuttavia, il cambiamento più significativo concerne gli obiettivi della produzione: mentre la produzione di massa puntava ad ottenere un prodotto che fosse sufficientemente buono, la produzione snella fissa l’obiettivo della perfezione, ovvero costi più bassi, zero difetti, zero scorte e varietà crescente di prodotti. Qualità e tempo diventano le fonti essenziali del vantaggio di differenziazione e determinano la nascita di nuove prassi manageriali, tra cui il Total Quality management. La modalità di gestione della produzione che permette la riduzione delle scorte è il Just in time, con la quale si abbattono i tempi di attraversamento del processo produttivo (lead time) e i tempi di risposta al mercato (time to market). L’obiettivo è quello di assicurare la corretta acquisizione, movimentazione e gestione dei materiali al fine di garantire il costante e tempestivo rifornimento alla produzione. La forte diminuzione delle scorte necessita del coinvolgimento attivo del fornitore: inizialmente si richiede prossimità geografica ma in seguito si apre anche ad ubicazioni spaziali più distanti, grazie all’ausilio di operatori di trasporto specializzati e successivamente di operatori logistici globali. La gestione dei processi diventa più complessa da affrontare per una singola impresa che, quindi, è sempre più indotta a sfruttare il know-how di altre organizzazioni.

1.1.4 La produzione modulare

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- una domanda globalizzata

- mercati instabili a causa dell’accellerazione dei cicli di vita dei prodotti e dalla proliferazione di nuovi modelli

- diffusione delle applicazioni dell’ICT e dell’E-commerce,

il modello produttivo più adatto risulta essere quello modulare. La modularità di un sistema consiste nella possibilità di procedere alla scomposizione dello stesso in elementi componenti (moduli) senza che ne venga meno l’integrità. Tali sub-sistemi rispondono singolarmente ad un criterio di indipendenza, poiché ciascuno di essi possiede alcune parti che possono essere modificate senza che ciò implichi cambiamenti negli altri moduli; tuttavia, nel loro insieme, rispondono ad un criterio di interdipendenza, affinché siano tra loro congruenti e garantiscano la performance complessiva del sistema. Nonostante agli occhi del consumatore finale il produttore si palesi come un’entità unica, siamo in realtà di fronte ad un’organizzazione a struttura reticolare, in cui ciascuna impresa modulista rappresenta un “nodo” della rete, capace di scambiare con l’impresa produttrice beni e servizi, ma anche la conoscenza che gli deriva dall’elevata specializzazione raggiunta, ossia dalle competenze di base sulle quali si è focalizzata. Nel contesto modulare, i fornitori hanno il compito di guidare l’impresa cliente nell’area tecnologica che meglio conoscono, consentendogli di ridurre le spese d’investimento e liberare risorse da destinare all’allestimento di altre attività produttive. I vantaggi del network modulare risiedono, dunque, “non solo nella maggiore efficienza, flessibilità ed innovatività, ma anche nella possibilità di variare la configurazione in modo da poter gestire qualsiasi opportunità di business provenga dal mercato” (Massaroni, 2002). La produzione modulare consente di raggiungere elevati livelli di efficienza pur riuscendo a personalizzare l’offerta; gli elementi che incidono sul valore per il cliente, comunque, sono gli stessi perseguiti dalla produzione snella, ossia flessibilità e qualità elevate, costi e tempi ridotti, con l’aggiunta di alti livelli di servizio (Cozzolino, 2009).

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1.2 Evoluzione del concetto di logistica

Fig. 2 – Catena del valore di Porter

Nonostante la logistica sia da tempo considerata una delle attività generatrici di valore per un’azienda4, soltanto nel recente passato le organizazioni

imprenditoriali hanno iniziato a riconoscerte l’impatto strategico che questa può avere per la realizzazione di un vantaggio competitivo durevole nel tempo. Il concetto stesso di logistica, si è progressivamente arricchito di significato assumendo una maggiore centralità nelle scelte d’impresa. Per comprendere tale evoluzione è opportuno identificare le principali concezioni di logistica:

- Logistica parcellizzata - Logistica integrata - Supply chain

Il fondamentale elemento di differenziazione tra le diverse interpretazioni è riconducibile all’obiettivo logistico, che si allinea con la strategia aziendale: - Efficienza funzionale, ossia minimizzazione dei costi da parte di ciascuna

componente dedicata ad una attività logistica

- Efficienza aziendale, ossia miglior trade-off tra costo totale logistico e livello di servizio, che si raggiunge quando le componenti dedicate all’attività logistica minimzzano il costo totale, a fronte di un livello predefinito di servizio

4 Le attività generatrici di valore si possono distinguere in attività primarie e di supporto, ad

ognuna di esse è possibile attribuire specifici costi e ricavi. Le attività primarie: sono quelle impegnate nella creazione fisica del prodotto, nella sua vendita e trasferimento al compratore, nell’assistenza post-vendita. Tra queste vi sono anche la logistica in entrata e quella in uscita. Logistica in entrata: riguarda il ricevimento, il magazzinaggio e la distribuzione degli input. Essa include le attività di gestione dei depositi, di gestione dei materiali, di controllo delle scorte. Logistica in uscita: riguarda la raccolta, il magazzinaggio e la distribuzione fisica dei prodotti al compratore. Essa include le attività di magazzinaggio dei prodotti finiti, di gestione dei materiali, di gestione dei vettori di consegna.Le attività di supporto: sono quelle che sostengono le attività primarie fornendo input, tecnologie, risorse umane di sostegno a tutta l’azienda.

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- Efficienza collettiva, riconducibile al perseguimento dell’eccellenza logistica, che si ottiene erogando un servizio a livelli più elevati e con costi inferiori rispetto alla concorrenza

1.2.1 Logistica parcellizzata

Nella logistica parcellizzata i compiti logistici sono assegnati alla responsabilità di diverse funzioni (tipicamente funzione approvvigionamento, funzione produzione, funzione distribuzione) senza che vi sia alcun legame tra di esse nella gestione. Ciascuna funzione, pertanto, persegue i propri fini, cercando di raggiungere i livelli di efficienza più elevati nell’ambito delle attività da essa presidiate. L’obiettivo del sistema logistico in questo caso è definito “efficienza funzionale”: ogni componente del sistema deve minimizzare il costo della propria attività. Con riferimento ad una logistica parcellizzata, l’impresa detiene prevalentemente al suo interno lo svolgimento delle attività logistiche. Al più essa si rivolge all’esterno per un supporto in relazione all’attività di trasporto in entrata e in uscita.

1.2.2 Logistica integrata

La logistica integrata presuppone consapevolezza riguardo la maggiore rilevanza economica e strategica del costo logistico totale. Si assiste quindi al “superamento di una logica miope che punta alla massimizzazione dei risultati delle singole aree gestionali, a vantaggio di una visione globale che sottende uno sforzo complessivo ed integrato verso l’obiettivo del miglior trade-off tra costo e servizio logistico” (Luceri, 1995). L’aggettivo “integrata” vuol significare che tutte le componenti della struttura logistica mirano a rendere minimo il costo totale logistico, a fronte di un livello predefinito di servizio: l’orientamento, quindi, è verso l’efficienza complessiva aziendale. Questa fase del percorso evolutivo segna un radicale cambiamento perché comporta la trasformazione della logistica da insieme di attività operative a sistema interfunzionale, che si pone come mezzo per il raggiungimento di livelli prestazionali più elevati. Il concetto di logistica integrata è sintetizzato nella definizione proposta dal Council of Logistics Management nel 1986, secondo cui essa “rappresenta il processo per mezzo del quale pianificare,

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attuare e controllare il flusso delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, e dei relativi flussi d informazioni, dal luogo di origine al luogo di consumo, in modo da renderlo il più possibile efficiente e conforme alle esigenze dei clienti”

1.2.3 Supply chain

L’ultimo stadio del processo evolutivo è caratterizzato dalla comprensione da parte delle aziende che il miglioramento nella gestione dei flussi all’interno della catena logistica non può prescindere dal fattivo coinvolgimento degli attori esterni: il concetto di supply chain presuppone, dunque, la consapevolezza di un’integrazione che si estende al di fuori dei confini tradizionali dell’impresa produttrice, in una prospettiva definita “end-to-end” del processo logistico, ovvero che coinvolga i fornitori a monte e i clienti a valle, eventualmente fino al consumatore finale. L’obiettivo perseguito dal sistema logistico della supply chain è orientato all’efficienza collettiva, ovvero dell’intera catena di fornitura e ciò permette di realizzare performance eccellenti, ossia livelli di servizio più elevati e minori costi rispetto alla concorrenza (Cozzolino, 2009). La struttura di una supply chain assume quindi una forma reticolare, in cui le organizzazioni si trovano a cooperare verso il controllo, la gestione e il miglioramento del flusso dei materiali e delle informazioni, dai fornitori agli utenti finali. Ogni singola azienda, in altri termini, integra i propri processi di business con le altre entità organizzative per fornire prodotti, servizi e informazioni in grado di creare valore per il consumatore.

Fig. 3 – Supply Chain

1.3 L’outsourcing logistico

La crescente importanza riconosciuta alla logistica si è accompagnata alla propensione ad esternalizzare le attività di trasporto, affidando a terzi un compito che non rientra nel core business aziendale, allo scopo di minimizzare i costi ed

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assicurare maggiore flessibilità alla struttura produttiva. Tradizionalmente, quindi, l’opzione di outsourcing si è sostanziata in una scelta di efficienza, inerente attività a corollario del core business. Sono sempre più numerosi, tuttavia, i casi di realtà aziendali che hanno spinto i processi di deverticalizzazione ben oltre la semplice attività di natura trasportistica. La frammentazione delle filiere produttive in tante cellule specializzate in grado di operare in autonomia sul mercato, infatti, ha creato delle opportunità di business e stimolato la direzione delle imprese di trasporto e di spedizione a prendere in considerazione strategie di sviluppo dimensionale incentrate sull’ingresso in nuovi segmenti di attività, al confine tra il service management e il manufacturing. Tali imprese, attente a cogliere le opportunità di mercato, hanno mirato a conquistare il ruolo di interlocutori privilegiati nei confronti dell’industria e della distribuzione commerciale, per la gestione integrata di operazioni, di supporto alle attività di produzione. Nonostante la componente trasportistica rappresenti sempre un fattore essenziale per dare avvio ai vari progetti di terziarizzazione, negli ultimi anni sembra iniziata, in relazione alla logistica, una tendenza volta a superare una visione di pura convenienza economica per acquisire, invece, una dimensione strategica. Spesse volte l’impresa ricerca il supporto di terze parti anche per attività di movimentazione merci, stoccaggio, magazzinaggio. Vengono talvolta compresi anche servizi a valore aggiunto quali, ad esempio, scomposizione e consolidamento carichi5,

assemblaggio o montaggio, ultime lavorazioni, etichettatura, pesatura, controllo qualità, confezionamento, custodia, ecc. Tale esigenza nasce dalla sempre maggiore difficoltà nel raggiungere standard di qualità ed efficienza logistici per mezzo delle sole capacità interne all’impresa. L’estrema strategicità che la logistica assume in alcuni contesti, esorta a sfruttare le maggiori competenze di un terzo specializzato al fine di governare in maniera eccellente flussi complessi e incostanti, e garantire alti livelli di servizio ai clienti. Assumono inoltre valore crescente le attività di tipo informativo: informazioni sui livelli di stock e sulle date

5 Combinazione di merci da spedire appartenenti a due o più clienti ovvero a diverse categorie

merceologiche in un unico container, allo scopo di creare una soluzione di trasporto più economica.

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di consegna, servizi di “tracking e tracing”(operazioni di identificazione delle merci e/o dei mezzi e loro tracciabilità informativa lungo il percorso in tempo reale), servizi di gestione dell’ordine, servizi di controllo per la rilevazione, l’elaborazione ed il reporting delle prestazioni logistiche, servizi di identificazione in radio frequenza (Rfid), ecc. Un ulteriore elemento di grande attualità e che sta assumendo una notevole rilevanza è il servizio di reverse logistics. La logistica inversa si occupa della gestione dei flussi fisici ed informativi che legano le attività di recupero dei prodotti (prodotti difettosi, da riutilizzare e scarti) lungo la catena di fornitura e che fanno riferimento a raccolta, trasporto, ricezione, smistamento. Le potenziali destinazioni di un ritorno possono essere il ricollocamento sul mercato, prima o dopo le attività di rilavorazione (riutilizzo, riparazione, riciclaggio), o lo smaltimento presso discariche dedicate (Russo, Borghesi) . I driver nella gestione dei ritorni sono in genere di tipo normativo, di responsabilità sociale e, soprattutto, economico.

1.4 Sostenibilità ambientale

Il tema dei consumi energetici e del tasso di inquinamento atmosferico provocato dai trasporti, in particolare quelli stradali, è al centro delle politiche europee poiché responsabili di un impatto estremamente pesante sull’ambiente, destinato ad aumentare nell’immediato futuro. Persistendo gli attuali trend, nel decennio 2020-2030 saranno responsabili del 50% di tutte le emissioni di CO2, di cui il 40% sarà

generato dal trasporto delle merci (Freight Leaders Council, 2016). Organizzare al meglio la distribuzione delle merci comporta benefici diretti e immediatamente tangibili per l’impresa, ma anche importanti vantaggi per la tutela ambientale. L’impatto connesso all’utilizzo non ottimizzato dei vettori6 per il trasporto delle

merci è stato riconosciuto come un importante forma di inquinamento, atmosferico ed acustico, e di consumo di risorse. In Italia, la ripartizione percentuale del traffico merci interno tra le differenti opzioni modali vede il trasporto su gomma in posizione di leadrship assoluta con percentuali di gran lunga superiori rispetto a

6 Con il termine “vettore” si identifica una compagnia navale, aerea o società di trasporto terrestre,

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quelle raggiunte in altri Paesi europei. La quantità di merci trasportata via camion si attesta stabilmente oltre i 2/3 del totale (Uniontrasporti, 2008) e il trend di sviluppo del traffico su strada contuinua ad accrescere il divario rispetto alle altre modalità di trasporto, che oltre ad essere più economiche sulle medie-lunghe distanze potrebbero portare vantaggi considerevloi alla collettività in termini di minori emissioni di inquinanti, riduzione del tasso di incidentalità, decongestionamento urbano, ecc. L’indice di percorrenza a vuoto, indicatore di inefficienza del trasporto, in Italia è pari al 20% contro valori che in europa variano dal 10 al 15%. Proprio nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale può essere osservata l’attività di reverse logistics che, in linea generale, identifica quei processi di pianificazione, implementazione e controllo di prodotti finiti che seguono un processo inverso di distribuzione, dal consumatore fino al produttore oppure tra soggetti intermedi della catena di distribuzione. Le motivazioni principali che portano alla generazione dei flussi di ritorno sono dunque:

- normative: le direttive legate alla gestione dei prodotti in garanzia o esauriti o dei relativi componenti sono stringenti in alcuni Paesi e mettono le imprese di fronte ad un cambiamento epocale

- economiche: nel mercato odierno l’obsolescenza dei prodotti è rapida e la consolidata concezione del prodotto fisico come parte del servizio offerto al cliente rende necessario il riutilizzo dei materiali che lo compongono;

- ambientali: le attività di recupero e smaltimento dei prodotti in fase di ritorno riducono l’impatto ambientale generato dai flussi inversi e contribuiscono a una maggiore razionalizzazione delle risorse economiche.

In sintesi, i principali prodotti che risalgono la catena logistica sono: • i ritorni di produzione:

₋ scarti di produzione (materiali obsoleti che non hanno più valore commerciale e che sono rimasti in magazzino oppure materiali che, se opportunamente trattati, potrebbero essere re-inseriti nel ciclo produttivo) ₋ prodotti difettosi, non conformi ai requisiti di qualità, da cui possono essere

recuperate le materie prime, oppure che possono essere rilavorati e venduti ad una qualità inferiore;

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• i ritorni commerciali:

₋ ritorni di prodotto venduti con opzione di recesso dall’acquisto (modalità che ha assunto valore consistente con l’affermarsi delle vendite online); ₋ spedizioni errate (prodotti rifiutati dal cliente poiché inviati troppo presto o

troppo tardi, oppure perché contiene non conforme alle specifiche);

₋ prodotti ritirati a seguito di piani di sostituzione (prodotto restituito al fornitore al termine di un periodo concordato, come nel caso di leasing); • i ritiri dal mercato (ritorni determinati da una strategia aziendale volta a

risolvere problematiche del prodotto);

• i ritorni in garanzia (impegno dell’azienda a ritirare il prodotto dal punto di consumo qualora questo non rispetti le prestazioni di funzionalità concordate); • i ritorni di servizio (ritiro degli strumenti di supporto della distribuzione come

i pallet o le cassette a sponde abbattibili per prodotti agroalimentari);

• gli end-of-life products o prodotti di fine gamma (il prodotto ha raggiunto il punto di fine vita, ha esaurito la sua utilità o il suo valore, ma i suoi componenti e materiali possono essere riutilizzati in altri prodotti).

Per implementare un servizio di questo tipo ma allo stesso tempo contenere i costi ed offrire prestazioni convenienti anche sul piano dell’affidabilità dei tempi, l’operatore logistico deve essere in grado di organizzare il trasporto in modo che, alla consegna di un’unità di carico al terminale di interscambio da parte del vettore, corrisponda il ritiro di un’altra unità. L’organizzazione della Reverse Logistics consiste, in definitiva, nel raccogliere gli imballaggi e i prodotti dismessi da una molteplicità di punti origine (potenzialmente da ogni singolo consumatore), di concentrarli in piattaforme di selezione per poi avviarli, a seconda dei casi, al riutilizzo diretto, alla riparazione, al riciclaggio o allo smaltimento.

1.5 Gli operatori logistici

La crescente diffusione di modelli produttivi fondati sulla terziarizzazione e l’elevata strategicità assunta dalla logistica offrono un terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di soggetti economici che fanno della fornitura di servizi logistici il proprio business. Questi operatori stanno assumendo un’importanza sempre

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maggiore e tendono ad acquisire un ruolo di “regia” dei sistemi reticolari, creati a seguito della terziarizzazione. Nonostante il termine “operatore logistico” non assuma nella pratica e nella letteratura un significato univoco, possiamo identificare con questa espressione un’impresa che acquisisce la responsabilità del

coordinamento di parti più o meno ampie del processo logistico, sostituendosi all’industria e alla distribuzione nell’organizzarle e nell’attuarle. Bisogna

considerare che soltanto in alcuni casi l’operatore logistico nasce già come tale: spesso, invece, è un soggetto che in origine gestiva tendenzialmente una singola attività del processo (tipicamente il trasporto o lo stoccaggio) e che ha arricchito la propria gamma di servizi offerti, ampliando il proprio core business. Gli operatori tradizionali sono (Cozzolino, 2009):

- Le imprese di autotrasporto: si avvalgono della modalità di trasporto su gomma e sono caratterizzate da elevata capillarità sul territorio

- Operatori del trasporto ferroviario: offrono un servizio di trasporto merci su rotaia, adatto alla movimentazione su lunghe tratte di grandi quantità di prodotti - Compagnie di navigazione di linea: sfruttano le vie d’acqua per un’offerta

molto economica di merci voluminose e pesanti su lunghe tratte

- Compagnie di trasporto aereo: trattano merci di alto valore per lunghe tratte e tempi brevissimi, a costi molto elevati

- Corrieri: svolgono attività di trasporto di collettame (cioè di merce di diverso tipo trasportata per conto di clienti differenti), con un unico veicolo, generalmente su territorio nazionale

- Corrieri espressi: la loro attività nasce con l’obiettivo di trasportare in tempi strettissimi corrispondenza, documenti o pacchi di piccole dimensioni ed elevato valore a livello nazionale ed internazionale

- Imprese di trasporto intermodale: offrono diverse modalità di trasporto del carico fino al punto di destinazione

- Spedizionieri: svolgono funzione di intermediazione, organizzando il carico e la spedizione in nome proprio e per conto terzi

- Imprese di magazzinaggio: strutture di natura pubblica o privata che offrono servizi di transito (ad esempio, piattaforme logistiche, centri servizi logistici,

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centri intermodali, ecc.) oppure di stoccaggio (ad esempio, magazzini generali, centri di distribuzione, ecc.)

- Imprese terminaliste: detengono la gestione operativa di terminal portuali - Interporti: sono complessi di strutture e servizi integrati finalizzati allo scambio

di merci tra le diverse modalità di trasporto

Questi attori “tradizionali”, possono essere definiti veri e propri “operatori logistici” solo nel momento in cui decidano di superare l’orientamento di base, sviluppando in altre discipline logistiche capacità e competenze paragonabili a quelle del proprio business di partenza, che consentano di offrire servizi ulteriori, articolati in soluzioni più complesse. Gli operatori logistici, a differenza di quelli tradizionali, gestiscono in maniera integrata e coordinano le attività e le informazioni connesse alla movimentazione fisica delle merci e al loro stoccaggio (Faraci, Garraffo, 2002). Mentre per gli attori logistici tradizionali i fattori di competitività risiedono esclusivamente nelle economie di scala o nella capillarità della presenza sul territorio, gli operatori di logistica integrata si differenziano per un superiore livello di sofisticazione delle attività svolte che prevede anche la personalizzazione rispetto alle specifiche necessità dei clienti. A livello internazionale, il concetto di operatore logistico è inquadrato dall’appellativo di Third Party Logistics Provider (3PL o TPL), per sottolineare il ruolo di “parte terza” assunta all’interno del processo. Un 3PL provider è un operatore che si focalizza sulla gestione e l’esecuzione del trasporto e del magazzinaggio con una forte customizzazione dell’offerta, sviluppando al contempo un’ampia gamma di servizi logistici e proponendosi all’impresa cliente come interlocutore di lungo periodo. In questo senso, i 3PL investono fortemente in Information & Comunication Technologies per offrire il necessario supporto informatico ai propri clienti, cui si propongono come singola interfaccia nei confronti di una molteplicità di altri operatori di servizi logistici. I 3PL, quindi, oltre ad essere esecutori operativi di compiti logistici più o meno ampi, sono soprattutto dei coordinatori che integrano le proprie risorse, competenze e tecnologie con quelle di altri operatori complementari, al fine di offrire al cliente soluzioni complete di supply chain, capaci anche di risolvere specifiche problematiche attraverso un’opportuna

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attività di consulenza. Queste capacità si inseriscono in una visione strategico-organizzativa di governo del canale logistico.

1.5.1 Direttrici di sviluppo dell’offerta

Come detto, sempre più operatori, in ottica di integrazione delle attività logistiche lungo la filiera, ampliano la loro offerta anche su aspetti che in passato sono stati considerati di matrice industriale (confezionamento, etichettatura, controllo qualità, assempblaggio componenti, pulitura e pesatura, ecc.) o commerciale (importazione/esportazione, stoccaggio, distribuzione, ecc.). Si possono immaginare almeno 2 direzioni verso cui gli operatori possono ampliare la propria offerta di servizi aggiuntivi:

- Si può realizzare un ampliamento nella gamma delle attività, proponendo operazioni complementari a valore aggiunto

- Si può proporre un ampliamento di filiera, ovvero offrire le stesse attività su altri settori produttivi, diversi dal punto di vista merceologico, adattandosi alle esigenze connesse ai vari prodotti

Si delinea quindi un’impresa le cui attività attraversano settori tradizionalmente distinti ed ambiti competitivi in cui precedentemente si misuravano soggetti differenti: viene a determinarsi un proceso che rende sfocati i confini tra industrie, mercati o business, facendo emergere nuove opportunità per soddisfare le necessità dei clienti e per incrementare il valore dell’offerta. Una rappresentazione visiva del posizionamento strategico degli operatori logistici potrebbe essere la seguente.

Emergono 4 tipologie di soggetti:

Fig. 4 –

Posizionamento degli operatori logistici. Fonte: Cozzolino, 2009

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- Operatori tradizionali di filiera, che svolgono una singola famiglia di attività per un’unica filera produttiva

- Operatori tradizionali, che svolgono una singola famiglia di attività servendo però molteplici filiere

- Integratori logistici di filiera, che svolgono per un’unica filiera tutte (o quasi) le attività logistiche

- Integratori logistici globali, che eseguono tutte le fasi del processo logistico per una molteplicità di filiere. L’accezione “globale” si riferisce all’ampiezza dell’offerta proposta da tali soggetti, sia in termini di varietà di servizi che di ampiezza del mercato servito

Di seguito, poniamo in evidenza le linee strategiche seguite dagli express courrier e dalle case di spedizione, le categorie di operatori che in maniera più decisa hanno mosso lungo quest’ultima direzione. All’interno del capitolo 2, sarà analizzato nel dettaglio proprio il business degli spedizionieri, cercando successivamente (capitolo 3) la conferma degli spunti teorici nel caso concreto della Savino del Bene S.p.a.

1.5.2 Corrieri espressi

I corrieri espressi, sebbene limitati sotto il profilo della dimensione e del peso unitari dei colli (imballi: cartoni, sacchi, pallet ecc.) trasportabili, hanno progressivamente esteso i confini originari, confondendoli con i settori limitrofi. Hanno sviluppato possenti flotte di aerei cargo, autoveicoli e reti di terminal per servizi di trasporto multimodale. Accanto ai servizi tradizionali, i corrieri espressi hanno ampliato il raggio di attività, coinvolgendo quantità di merci crescenti e proponendo alle imprese anche servizi ad alto valore (gestione depositi e magazzini, evasione ordini, espletamento pratiche doganali, distribuzione di parti e ricambi, imballaggio, riparazioni, assemblaggio, ecc.) cercando di garantire livelli più alti di qualità, velocità e personalizzazione e, contemporaneamente, prezzi più bassi. Recentemente, un’ulteriore evoluzione di tali soggetti li vede collegati allo sviluppo del commercio on-line: grazie alla rete distributiva, alla rapidità di consegna e a sistemi informativi che consentono il monitoraggio

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continuo dell’ordine, i corrieri espressi si pongono come partner principali per le imprese che intendono sviluppare il business del commercio elettronico. Attualmente, in base alla forte riorganizzazione della propria attività, che li vede aggressivi sui prezzi e massicciamente presenti a livello globale, gli express courier si presentano come dominatori del mercato. Ne sono degli esempi FedEx, UPS, TNT, DHL.

1.5.3 Spedizionieri

Le case di spedizione, pur collegate alle attività di base della logistica, hanno caratteristiche profondamente diverse rispetto alla maggior parte degli operatori citati in precedenza, in virtù della natura prettamente non asset-based. Il loro ruolo istituzionale, infatti, consiste nell’organizzare il carico e la spedizione in nome proprio e per conto terzi. L’eventuale possesso di mezzi e l’effettuazione di servizi di vezione non rappresenta l’attività principale, che riguarda invece la mera intermediazione. Le competenze della casa di spedizione risiedono nella conoscenza del mercato e delle condizioni tariffarie e qualitative caratterizzanti il servizio offerto dai soggetti coinvolti nella catena logistica e, su tale base, nell’organizzazione di un servizio più o meno complesso a vantaggio del cliente finale (Scarsi, 2004). Secondo le disposizioni del Codice Civile, la responsabilità dello spedizioniere si limita alla “scelta della via, del mezzo e della modalità di trasporto della merce”, mentre non rigurada il buon esito del trasporto (art. 1693), a meno che egli non agisca anche in veste di vettore. In questo caso (art. 1741) lo spedizioniere, “con mezzi propri o d’altri, assume l’esecuzione del trasporto del tutto o in parte, avendo gli obblighi e i diritti del vettore”. È questa seconda figura, quella dello spedizioniere-vettore, che risulta oggi preponderante, in relazione alla necessità delle imprese clienti di rapportarsi ad un unico soggetto responsabile dell’intero ciclo di trasporto. A seguito della nascita di nuove esigenze da parte delle imprese clienti, quindi, molte case di spedizione hanno ridefinito il proprio ruolo nel senso di una maggiore diversificazione delle attività controllate, senza tuttavia, se non in rari casi, predisporre direttamente le risorse necessarie alla produzione. Attraverso queste ristrutturazioni organizzative e gestionali, pertanto,

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le case di spedizione muovono verso il ruolo di Multimodal Transport Operator (MTO) e sono in grado di proporre pacchetti integrati di servizio di trasporto. Il range di servizi che esse si trovano così ad offrire, quindi, non si basa sulla disponibilità di risorse tangibili quanto, piuttosto, sulla profonda conoscenza dei mercati di approvvigionamento dei servizi e, quindi, sulle capacità di selezione e coordinamento sistematico e continuativo di una serie di fornitori che producano servizi corrispondenti a determinati standard qualitativi. A seconda del segmento di consumatori a cui si rivolge e dei bisogni manifestati, lo spedizioniere può offrire soluzioni diverse, rimanendo un semplice intermediario quando il cliente richieda il servizio occasionalmente o consideri il prezzo come fattore determinante la scelta, oppure evolvendo verso il ruolo del trasportatore multimodale o dell’operatore logistico laddove il cliente necessiti di un servizio complesso, che comprenda anche la gestione dei flussi informativi relativi alla merce trasportata e distribuita.

Di seguito vengono presentate delle elaborazioni realizzate dal Centro Studi Confetra (Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica, 2007) relativa ad alcune delle categorie precedentemente elencate. In particolare, l’analisi coinvolge 817 aziende, di cui vengono analizzati i risultati ottenuti nel 2007, raggruppate in 8 classi secondo lo schema seguente.

Lo studio riconosce come le trasformazioni che hanno caratterizzato il settore in questi ultimi anni abbiano modificato, non solo gli assetti societari ed organizzativi delle imprese, ma anche l’ampiezza e la gamma dei servizi offerti, rendendo difficile l’inquadramento delle stesse in una categoria piuttosto che in un’altra. Il problema si pone in particolare nel caso delle imprese di maggiori dimensioni che svolgono un variegato insieme di servizi e funzioni avvalendosi di modalità

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diverse di trasporto. In particolare, ai fini della distinzione tra Operatori multimodali e Spedizionieri lo studio ha fatto riferimento all’ambito geografico dell’attività, includendo tra gli MTO gruppi multinazionali, che quindi agiscono in ambito intercontinentale. A questo propostito, in virtù di quanto descritto poc’anzi, riteniamo che le considerazioni relative agli Operatori multimodali possano essere estese anche agli Spedizionieri internazionali. Si riportano, soprattutto, confronti relativi al valore aggiunto, poiché ritenuto indicatore rilevante in un settore come quello dei trasporti e della logistica in cui vi è un ampio ricorso al terzismo (es. sub-vezione) che rende il solo fatturato poco esplicativo della capacità di creare nuova ricchezza. Analizzando i dati di bilancio per gruppi di imprese, emergono differenze significative a seconda dell’attività svolta. Al primo posto in termini di valore aggiunto per impresa (Fig. 5) si collocano i Corrieri Espresso, seguiti dagli Operatori multimodali. In termini di incidenza del valore aggiunto sul fatturato (Fig. 6), invece, al primo posto si collocano i gestori dei magazzini in conto terzi (35,7%), seguiti dagli autotrasportatori (28,1%). Con questi dati si è voluto sottolineare l’ampia varietà di servizi che caratterizzano il business del trasporto e della logistica, cui corrispondono margini diversi. Inoltre, a conferma di quanto detto in precedenza, notiamo come Corrieri Espressi e Spedizionieri/Operatori Multimodali siano fra gli operatori in grado di generare valori più elevati di Valore aggiunto.

Fig.5 – Valore aggiunto per categoria d’impresa (x1000). Fonte: Confetra, 2009

Fig. 6 – Valore aggiunto / Fatturato (%). Fonte: Confetra, 2009

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CAPITOLO 2 – DIMENSIONE E POTENZIALITA’DEL MERCATO 2.1 Logistica e sistema economico

Il termine “logistica” sottende la gestione integrata del processo di pianificazione, allocazione e controllo degli asset e delle risorse umane e finanziarie dedicate alle attività di: ordinazione a fornitore, trasporto di input di produzione a stabilimento, ricezione e stoccaggio materiali, semilavorati, parti, componenti e prodotti finiti, alimentazione linee produttive, gestione scorte, controllo qualità, distribuzione fisica output di produzione (gestione dell’ordine del cliente, raggruppamento, confezionamento, etichettatura, personalizzazione e spedizione), management dei resi. Si tratta di un insieme di attività molto ampio e composito, che rendono complicato un confronto omogeneo; focalizzando l’attenzione sulla logistica “tradizionale” delle merci, ossia quella relativa al contesto manifatturiero e distributivo, che può essere articolata in attività di trasporto, magazzinaggio e servizi a valore aggiunto, emerge comunque la rilevanza di questa componente all’interno del sistema economico italiano. Parliamo infatti di un valore che, come vedremo in dettaglio più avanti, secondo le indagini condotte da varie società di consulenza, supera i 100 miliardi di euro, pari a circa il 7% del Pil (Marzialetti, 2011).

Il peso sul Prodotto Interno Lordo è emblematico dell’importanza di questa “industria” per l’economia nazionale. Negli ultimi anni, l’incidenza della logistica rispetto al Pil ha registrato una dinamica in crescita, in Italia così come nel resto d’Europa, contrariamente a quanto era avvenuto negli scorsi decenni, quando il

Fig. 7 – Spesa Logistica italiana: incidenza sul Pil (2009, mld €). Fonte: analisi A.T. Kearney per Confetra, 2010

Fig. 8 – Evoluzione incidenza spesa logistica italiana sul Pil (2009, mld €) Fonte: analisi A.T. Kearney per Confetra, 2010

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recupero di efficienza sui fattori di produzione e l’ottimizzazione delle reti distributive avevano generato una riduzione del peso relativo. Il trend crescente è dovuto a diversi fattori concomitanti, tra i quali (Confetra, 2010):

- l’intensificarsi degli effetti di delocalizzazione e la ridefinizione dei flussi per le principali filiere industriali, che implicano maggiori distanze percorse mediamente dalle merci finite (mercati di sbocco) e dalle loro componenti (mercati di approvvigionamento)

- la crescita di alcuni costi unitari (ad es. energia, carburante, pedaggi), dovuti sia alla dinamica delle materie prime che all’introduzione di normative stringenti, solo parzialmente bilanciati da una maggiore efficienza dei fattori produttivi (saturazione dei mezzi di trasporto, efficienza delle reti distributive) - la richiesta sempre maggiore di servizi a valore aggiunto, che la riconfigurazione della catena del valore in alcuni settori industriali ha reso sempre più comuni (ad es. personalizzazione dei prodotti, imballaggi ecc.)

I volumi del trasporto di merci all’interno di un determinato territorio sono strettamente connessi con l’andamento dell’economia in relazione alle necessità di approvvigionamento di materie prime per la produzione industriale e di distribuzione dei prodotti finiti al consumo. Specularmente, l’ammontare del traffico merci è in grado di influenzare i livelli del PIL, in quanto attività economica che genera ricchezza (Conti et al., 2015). La crisi economica mondiale iniziata nel 2008 ha determinato la peggiore depressione del trasporto merci dai primi anni trenta del novecento: i volumi movimentati sono infatti crollati dal 2008 in avanti, al consolidarsi della crisi economica. Tutte le maggiori rotte commerciali sono state colpite e sia il trasporto marittimo, sia quello aereo hanno subito gravi perdite. Nel 2009, il trasporto aereo ha ceduto il 9,7% (IATA, 2013), mentre il trasporto via mare su container ha ceduto il 9,2% (Donnison, 2013) con l’11% circa delle flotte di container che all’inizio del 2010 era inattivo (Espina, 2016). Il settore del trasporto su container ha reagito al deterioramento delle condizioni economiche apportando alcune modifiche al proprio modello di business, procedendo alla riduzione della capacità di trasporto: gli operatori hanno ridotto i

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porti di scalo e le frequenze e sono andati verso il raggruppamento dei servizi in partnership con altri operatori del mercato. Ciò ha permesso di far fronte alla critica diminuzione della domanda di trasporto. In figura 97 osserviamo l’evoluzione dei

volumi di spedizioni a livello globale in relazione alla dinamica del Pil. In figura 108, invece, la stessa correlazione fa riferimento al traffico merci del nostro Paese.

La fase discendente sembra oggi giunta a conclusione ma la strada da recuperare è eccezionalmente lunga. Le perdite in termini di tonnellate-chilometro9

7 Nota: indicizzato a 100 nel 2000. FTK: Freight Tonne Kilometres, indicatore del volume di

produzione di un vettore aereo, ottenuto moltiplicando le tonnellate trasportate per la distanza in chilometri

8 Nota: indicizzato a 100 nel 2003

9 Unità di misura del traffico. È il prodotto di due fattori: il primo è la quantità di tonnellate che

si movimentano; il secondo è la lunghezza del percorso che ciascuna tonnellata compie. Ad esempio: una tonnellata che va da Milano a Venezia (260 km) produce 1 x 260 = 260 tonnellate-km (si legge 260 tonnellate per chilometro o tonnellate-chilometro)

Fig. 9 – Evoluzione volumi spedizioni globali e Pil. Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Clarkson, IATA, 2013 Fig. 10 – Pil e traffico merci in Italia. Fonte: Ufficio Studi Confcommercio su dati Istat, Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti ed Eurostat, 2015

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ammontano al 21,6% tra il massimo del 2005 e il minimo del 2013. Dalla lettura complessiva di questi dati e dei relativi grafici, emerge chiaramente l’esistenza di una forte correlazione fra gli andamenti del trasporto merci e dell’economia. Per questa ragione, dunque, si comprende come sia di fondamentale importanza che i flussi di merce si muovano nella maniera più efficiente e rapida possibile, affinché l’economia globale possa effettivamente svilupparsi. Allo stesso tempo, le imprese che vorranno essere competitive in un contesto di economia globale dovranno necessariamente prestare un’attenzione sempre maggiore all’attività logistica.

2.2 Criticità del sistema logistico italiano

Nel 2015 il volume degli scambi internazionali di merci dell’UE-28 con il resto del mondo (somma delle esportazioni e delle importazioni extra UE) è stato valutato in 3.517 miliardi di euro, con ua crescita rispetto al 2014 sia delle importazioni che delle esportazioni (Fonte: Eurostat, 2016). Per quanto riguarda le attività di trasporto globale, invece, si prevede che nel 2024, saranno movimentate 91,2 miliardi di tonnellate, per un fatturato di 15.500 miliardi di dollari (TrasportoEuropa, 2017). Navi, Aerei, Autocarri e Treni garantiscono il trasferimento di queste merci dai luoghi di produzione ai mercati dei consumatori. Un Paese che offre un telaio di servizi logistici adeguati consente alle industrie di poter usufruire di facilitazioni in grado di determinare un vantaggio competitivo. Al contrario, un costo logistico più elevato rispetto ai concorrenti ed una qualità inferiore dei servizi erogati, può influenzare le decisioni delle imprese relativamente alla localizzazione e alla scelta dei fornitori. Rendere efficienti i sistemi logistici, pertanto, rappresenta uno strumento determinante delle politiche di sviluppo. Nella tradizione culturale italiana, la logistica sembra essere sistematicamente trascurata; è diffusa, infatti, la sensazione di inadeguatezza dell’offerta complessiva di trasporto, che alimenta una richiesta generalizzata di investimenti in infrastrutture, motivata da congestione stradale, scarsità di collegamenti, difficoltà di accesso ai grandi nodi di trasporto. Uno studio sulla

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competitività di circa 148 Paesi condotto dal World Economic Forum10 (2014)

considera tra gli indici necessari per valutare l’appetibilità commerciale di un territorio, quelli relativi alla qualità delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeree percepita dai cittadini e dalle imprese che le utilizzano. I risultati italiani sono eloquenti.

Tab. A – Posizioni di vertice e collocazione dell’Italia negli indici di competitività delle infrastrutture di trasporto. Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati WEF, 2014

Al di là dell’ampliamento quanti-qualitativo della rete di trasporto, le maggiori preoccupazioni derivano dalle difficoltà dell’infrastruttura logistica nel fornire servizi adeguati. Il tempo complessivo di espletamento delle operazioni di importazione ed esportazione, al netto dei tempi di viaggio, nel nostro paese è tra il doppio e il triplo rispetto a quello necessario nei principali paesi europei. Questo chiarisce come il sistema logistico nazionale sia completamente inadeguato a supportare il nostro sistema produttivo in ottica competitiva.

10 Il World Economic Forum è una fondazione senza fini di lucro con sede vicino Ginevra, in

Svizzera, nata nel 1971 per iniziativa dell'economista ed accademico Klaus Schwab. La fondazione organizza ogni inverno, presso la cittadina di Davos, un incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell'economia internazionale, per discutere delle questioni più urgenti che il mondo si trova ad affrontare, anche in materia di salute e di ambiente. Oltre a questo celebre incontro annuale, la Fondazione produce anche una serie di rapporti di ricerca e impegna i suoi membri in specifiche iniziative settoriali.

Fig. 11 – Numero di giorni necessari per le operazioni di esportazione e importazione merci nei porti. Fonte: Ufficio Studi Confcommercio su dati Banca Mondiale, 2014

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Il Paese sconta dunque un grave ritardo nell’adeguamento della propria offerta infrastrutturale e di trasporto; tuttavia, non si tratta esclusivamente di un gap fisico ma anche procedurale ed organizzativo, appesantito da regolamenti e provvedimenti normativi che complicano la mobilità di merci e persone. Questo è quanto si apprende dalle rilevazioni della Banca Mondiale, che identifica quale principale limite per la movimentazione della merce in import/export nei principali nodi logistici del paese, l’estrema frammentazione delle procedure burocratico-amministrative, in termini di predisposizione dei documenti, operazioni doganali, ispezioni e controlli (sanitari, biologici, ecc.), movimentazione e trasporto dei carichi (quindi carico e scarico dei container dalla nave, attività di gestione dei container in porto, attività logistiche e di trasporto necessarie per trasferire i container dal porto alla destinazione finale). Sono queste che dilatano i tempi di transito dei beni rendendoli superiori a quelli degli altri paesi.

La World Bank ha costruito, sulla base dell’opinione di numerosi operatori (1.000 tra spedizionieri internazionali e corrieri espressi), un indice denominato LPI (Logistic Performance Index), che prende in considerazione indicatori relativi a sei aree: efficienza delle dogane; qualità delle infrastrutture di trasporto e di information technology; possibilità di organizzare spedizioni competitive dal punto di vista del prezzo; competenza e qualità dell’industria logistica locale; tracciabilità e monitorabilità delle spedizioni; frequenza con la quale le spedizioni raggiungono il destinatario entro i tempi originariamente previsti. Sulla base dei giudizi in merito a questi fattori viene elaborato un indice di “competitività logistica”, che consente di attribuire un rank a ciascun paese. L’indice LPI colloca l’Italia al 20° posto nel mondo, dopo quasi tutti gli altri principali paesi dell’Eurozona. Uno studio di confcommercio (Ufficio Studi Confcommercio, 2015) calcola che se il Logistic Performance Index dell’Italia fosse oggi, di colpo, ai livelli misurati in Germania, il valore aggiunto (che approssima il prodotto interno lordo) sarebbe di 42 miliardi di euro più elevato, pari al 2,8% in più del valore osservato (per l’anno 2014). Si tratterebbe sicuramente di un cambiamento radicale, che richiederebbe investimenti infrastrutturali, procedure, regolamenti amministrativi, informatizzazione e, non da ultimo, cultura politica e manageriale.

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Tab. B – LPI global ranking. Fonte: World Bank, 2014

La tabella seguente illustra in particolare il posizionamento del nostro paese nei confronti dei principali partners Europei e mondiali per ciascuno dei sei sub-profili identificati: il rank attribuito alle Dogane appare particolarmente negativo, seguito dalle competenze logistiche e dall’affidabilità nei tempi. Occorre tuttavia precisare che nell’ultimo anno si sono compiuti notevoli progressi, in virtù dell’entrata a regime dello Sportello Unico Doganale, che ha incrementato l’efficienza della dogana è quello del controllo dei container in importazione

Tab. C – Dettaglio del LPI. Fonte: World Bank, 2014

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La complessiva debolezza del sistema logistico italiano può essere ricondotta, in linea generale, a 3 macro-fattori:

1) Scarsa interconnessione tra le diverse reti di trasporto, che ostacola l’intermodalità e porta talvolta a situazioni di congestione, specialmente lungo la rete stradale e autostradale, attorno ai grandi agglomerati urbani. Secondo dati Eurostat (Beretta et al., 2015), nel 2007 in Italia l’88,3% del traffico mercantile via terra viaggiava su gomma, mentre solo l’11,6 per cento utilizzava la ferrovia11. A titolo di confronto, nella UE a 27 le ferrovie

assorbivano il 17,9% del movimento (il 21,9% in Germania), e un ulteriore 5,6% utilizzava le vie navigabili interne (12,4% in Germania). Non possiamo trascurare, tuttavia, che la configurazione morfologica del paese e quella del suo sistema produttivo condizionano la struttura del ciclo logistico. La polverizzazione del tessuto produttivo nazionale, nonché la dispersione di aziende e centri di consumo in località talora non facili da raggiungere, costituiscono incentivi all’alternativa del “tutto strada”.

2) Struttura e governance del ciclo logistico e qualità dei servizi prestati. Vi rientrano, ad esempio, la frammentazione degli operatori, la scarsa integrazione tra di essi e, di conseguenza, le inefficienze in termini di tempi, affidabilità e programmabilità. Gli operatori della logistica sono ripartiti in un numero elevato di categorie e coinvolgere vari soggetti rende complessa la gestione unitaria del processo logistico. Bisogna inoltre considerare che la prassi diffusa vede le imprese produttrici nazionali accordarsi con i clienti utilizzando la clausola “franco fabbrica”, lasciando nelle mani di questi ultimi l’organizzazione del trasporto e la scelta del vettore. Questo approccio, di fatto priva, gli operatori italiani del controllo del processo logistico, con dirette conseguenze sul sistema economico nazionale, causando la perdita di potenziale fatturato per le imprese e di introiti per l’Erario. L’impresa che trasferisce l’intera responsabilità della spedizione al cliente estero cerca in questo modo di concentrare le proprie risorse sulle sue attività core, senza

11 Nel 2013 le percentuali sono: gomma 86,9%, Ferro 13,0% (Ufficio studi Confcommercio su

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tuttavia considerare che la clausola “ex-works” (franco fabbrica) prevista dagli incoterms12, presenta comunque alcuni rischi. L’onere dell’effettuazione delle

operazioni di carico dovrebbe essere ricondotto esclusivamente all’acquirente ma, di fatto, nella maggior parte dei casi, è lo stesso venditore, in quanto dotato dei necessari mezzi per il sollevamento dei prodotti, che se ne occupa materialmente. Il venditore si trova dunque nell’incauta posizione di chi, inconsapevolmente, viola gli accordi contrattuali, con riflessi giuridici di estrema rilevanza, poiché può essere ritenuto responsabile per eventuali danni causati alla merce stessa e/o addirittura al mezzo di trasporto. Un altro rischio spesso trascurato è quello di natura fiscale: il cedente nazionale, a fronte delle sue esportazioni extra UE, emette una fattura di vendita non imponibile iva e, per giustificare la mancata applicazione dell’imposta, è tenuto a dimostrare l’effettiva uscita della merce dall’Unione Europea. Entro 90 giorni dall’esportazione il venditore deve entrare in possesso del documento attestante ma, adottando la clausola “ex works”, la spedizione e le pratiche di esportazione sono tutte a carico del compratore e quindi, presumibilmente, di uno spedizioniere estero. Qualora il venditore italiano non riesca ad entrare in possesso di tale documento, dovrà ricorrere ad una prova alternativa per evitare di incorrere nell’obbligo di pagamento dell’Iva e delle eventuali sanzioni. 3) Inadeguatezze di carattere programmatorio e normativo. Il riferimento è alla

liberalizzazione più spinta del comparto ferroviario, ad alleggerimenti burocratici e flessibilizzazione della gestione operativa delle dogane, al sistema degli incentivi ancora sbilanciati a favore del trasporto stradale (esenzioni accise carburanti, sussidi nella forma di fondi diretti, sconti sui pedaggi autostradali, riduzioni sui premi Inail e Rca) a scapito della modalità ferroviaria e dell’intermodalità, agli indirizzi di politica economica circa la destinazione ottimale dei fondi disponibili per gli investimenti (spesso è più importante razionalizzare, ottimizzare, potenziare l’esistente, piuttosto che costruire nuove

12 Incoterms sono i termini convenzionali stabiliti a livello internazionale dalla Camera di

Commercio Internazionale. Gli Incoterms costituiscono il complesso delle regole di riferimento per il commercio internazionale, che individuano responsabilità e obblighi dei contraenti in relazione alle spese e ai rischi della consegna della merce.

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opere; inoltre, completato l’intervento infrastrutturale, non si dovrebbe trascurare il monitoraggio e la valutazione dell’uso e dei servizi di tale infrastruttura). Infine, il sistema dei trasporti risente dell’arretratezza del Paese relativamente alla copertura digitale: solo il 36% del territorio gode di copertura con banda ultralarga, contro il 68% della media Ue, con alcune zone caratterizzate da totale assenza di queste reti (Fastweb, 2015). È interessante misurare il divario digitale dell’Italia attraverso il Digital Economy and Society Index (DESI), elaborato dalla Commissione Europea (2016). Si tratta di un indice relativo al progresso degli Stati membri verso un’economia e una società digitale, che aggrega una serie di indicatori attorno a cinque principali aree di policy:

₋ Connettività: quanto è diffusa, veloce, affidabile ed accessibile in termini di prezzi la banda larga in ciascun Paese dell’Unione

₋ Capitale umano: competenze digitali della popolazione e della forza lavoro ₋ Utilizzo di Internet: utilizzo di contenuti, comunicazioni e transazioni online da parte dei cittadini, quindi dalla lettura di notizie alle pratiche bancarie fino allo shopping

₋ Integrazione della tecnologia digitale: digitalizzazione delle imprese e commercio elettronico (come le aziende integrano le principali tecnologie digitali quali fatturazione elettronica, servizi cloud, e-commerce ecc.) ₋ Servizi pubblici digitali: amministrazione pubblica online (per esempio

e-government e sanità digitale)

L’Italia si posiziona al 25° posto fra i 28 Stati membri dell’Unione Europea secondo l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) 2016 (Fig. 12). Tutte le dimensioni fanno registrare valori abbondantemente sotto la media: in particolare, relativamente alla connettività, si rileva comel’Italia sia al 27° posto tra i 28 paesi dell’UE nella copertura delle reti NGA (Next Generatione Access), ovvero le reti in fibra ottica che offrono una velocità di almeno 30 Mbps13. Le tecnologie digitali stanno occupando progressivamente

13 Lo studio della Commissione Europea ha suddiviso i dati in quattro fasce: 100, 30, 10 e 2 Mbps.

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