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Il voto elettronico in Italia: tra problematiche costituzionali e prospettive di diritto comparato.

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

IL VOTO ELETTRONICO IN ITALIA: TRA

PROBLEMATICHE COSTITUZIONALI E

PROSPETTIVE DI DIRITTO COMPARATO.

Il Candidato Il Relatore

Irene Della Rosa Prof.ssa Angioletta Sperti

(2)
(3)

INDICE:

INTRODUZIONE

...

V

CAPITOLO 1

...

1

I l d i r i t t o d i v o t o n e l l a p r o s p e t t i v a

costituzionale e legislativa.

...

1

1.1.1 Il diritto di voto: dal medioevo allo stato liberale

...

2

1.1.2 Il modello di stato democratico-pluralista

...

7

1.2 Diritto di voto e rappresentanza politica

...

16

1.3 L’articolo 48 nei lavori dell’Assemblea Costituente

....

21

1.4 Commento all’articolo 48 della Costituzione: tra

collocazione e natura giuridica

...

26

1.4.1 La fondamentalità del diritto di voto

...

30

1.5 I requisiti del diritto di voto

...

32

1.6. Personalità e libertà del diritto di voto. Premessa

...

37

1.6.1 Personalità

...

37

1.6.2 Libertà

...

39

1.7 Uguaglianza

...

43

1.7.1 Uguaglianza “in entrata"

...

44

1.7.2 Uguaglianza “in uscita”

...

45

1.8 Segretezza

...

48

(4)

Il voto elettronico

...

52

2.1 Il voto elettronico: ratio

...

53

2.1.1 E-democracy

...

58

2.2 La natura concettuale e le modalità di esercizio

dell’e-voting

...

60

2.3 Ragionare secondo blockchain

...

70

2.3.1 Blockchain: modus operandi e prospettive applicative80

2.3.2 E-voting e blockchain: profili giuridici

...

85

2.4 E-voting e principi costituzionali coinvolti

...

94

2.4.1 Possibili soluzioni basate sull’esperienza di altri

ordinamenti

...

105

2.5 I vantaggi dell’automatizzazione elettorale

...

108

2.6 I rischi connessi all’e-voting

...

116

CAPITOLO 3

...

125

L ’ e - v o t i n g n e l p a n o r a m a g i u r i d i c o

internazionale

...

125

3.1 Il voto elettronico nel panorama giuridico internazionale

126

3.2 Gli Stati Uniti d’America: brevi cenni sul sistema

elettorale

...

128

3.2.1 Il sistema di e-voting statunitense

...

134

3.2.2 Un caso di “federalismo giurisdizionale”: il caso Bush

v. Gore

...

139

(5)

3.2.4 La decisione

...

153

3.2.5 Il dibattito dottrinale e mediatico post sentenza

...

160

3.2.6 Perché si parla di federalismo giurisdizionale?

...

162

3.2.7 Valutazioni conclusive sul sistema di e-voting

statunitense

...

168

3.3 L’esperienza indiana

...

173

3.4 Il fiore all’occhiello dell’e-voting: l’Estonia

...

184

3.5 Sperimentazione europea: CyberVote e E-Poll

...

190

CAPITOLO 4

...

194

Il voto elettronico in Italia: tra sperimentazioni

e dibattiti

...

194

4.1 Un approccio embrionale all’e-voting

...

195

4.1.1 E-voting in Salento ed in Lombardia

...

200

4.1.2 Nuove frontiere: la Piattaforma Rousseau

...

208

4.2 Rilevazione informatizzata dello scrutinio

...

219

CONCLUSIONI

...

227

(6)

“Perché voto, elezione e rappresentanza sono il corredo strumentale senza il quale la democrazia non si realizza” T.E. Frosini

(7)

INTRODUZIONE

Cercare di definire la natura del diritto di voto è un tema che da sempre impegna la dottrina, in ragione dei risvolti che questa analisi propone. Variamente connessi tra loro sono infatti i profili che hanno alimentato il fertile dibattito nella letteratura scientifica: si pensi all’estensione del corpo elettorale ed alla ammissibilità, nonché legittimità di interventi finalizzati a circoscrivere il diritto di voto; all’allocazione della sovranità all’interno dello stato; oppure alla declinazione delle regole per la formazione e la strutturazione della rappresentanza . Ed è 1

proprio tale complessità del diritto di voto e la conseguente moltitudine di questioni afferenti il suo pieno esercizio, che hanno suscitato un forte interesse nei confronti di un tema di grande attualità: il voto elettronico. In particolare, l’interesse verso questa tematica ha aperto una spinosa voragine costituzionale (tutt’ora aperta e su cui riposa l’atteggiamento di forte scetticismo assunto dagli ordinamenti contrari ad un sistema di e-voting) in ragione della potenziale precarietà che minaccia la segretezza del suffragio. Questa constatazione si corrobora specialmente nel caso di i-voting (o home voting o voto online), in quanto è stato osservato come l’assenza di seggi e la conseguente possibilità per gli elettori di esprimere la propria preferenza in ogni dove, destabilizzi ancora di più quel corollario di principi costituzionali afferenti l’esercizio della sovranità

M. Rubechi, Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive,

1

(8)

popolare. Con questa tesi si vuole proporre, seguendo un ragionamento deduttivo (che va dal generale al particolare), una disamina inerente il diritto di voto e le sue attuali (nonché future) applicazioni.

Segnatamente, il primo capitolo ripercorre in un’ottica diacronica le varie fasi storiche (partendo da quelle più embrionali) che hanno contribuito a determinare l’assetto attuale della disciplina. In particolare il focus dell’analisi è rivolto al ruolo delle votazioni , alla fisionomia complessa del 2

voto (paragonabile alla figura del “Giano Bifronte” in ragione della sua dimensione individuale e collettiva ad un tempo), nonché al forte relativismo concettuale e funzionale della

nozione stessa di rappresentanza . Uno spiccato interesse viene 3

altresì indirizzato ai principi costituzionali su cui riposa la disciplina elettorale, nonché alla fondamentalità stessa del suffragio.

Il secondo capitolo offre una disamina specifica sul voto elettronico. Segnatamente il focus dell’attenzione è rivolto: in

G. Chiara, Titolarità del diritto di voto e fondamenti costituzionali di libertà ed

2

eguaglianza, Giuffrè, Milano, 2004, p. 2: “Le votazioni trascendono ampiamente il mero profilo tecnico della trasformazione dei voti in seggi, per inserirsi nel contesto delle moderne forme statali pluraliste come procedure volte a consentire l’espressione di singolo (individuo o gruppo) al fine di pervenire a decisioni collettive di tipo deliberativo o elettivo. Nell’atto di votazione, dunque, oltre all’elemento volitivo compiuto dai singoli aventi diritto al voto, emerge il momento della riconduzione di questo all’interno di un’unità sociale variamente configurabile, inserimento fortemente influenzato dai tratti, storicamente mutevoli, assunti dall’apparato statale”.

La nozione camaleontica della rappresentanza porta con sé varie

3

declinazioni di senso e terminologiche , che evitano l’adozione di modelli idealtipici. Cfr. A. Papa, La rappresentanza politica. Forme attuali di esercizio del potere, Editoriale Scientifica, Napoli 1998, pp. 12 ss.

(9)

primis alla natura giuridica del voto elettronico, nonché alle relative modalità di espletamento ed esercizio del suffragio; in secundis al ruolo potenzialmente innovativo della blockchain (quale strumento volto a corroborare l’utilizzo di un sistema di espressione del voto automatizzato); ed infine alla sorte dei principi costituzionali coinvolti (concentrandosi sull’esperienza giuridica italiana).

Il terzo capitolo affronta, in un’ottica comparata, il ruolo dell’e-voting nel panorama internazionale, offrendo un quadro particolarmente variegato e complesso. Infatti, andando a fondo sulla questione, è stato possibile constatare che mentre in molte realtà ordinamentali l’e-voting rappresenta oggetto di dibattito, in altre esperienze giuridiche costituisce un tabù o -a contrariis- una realtà consolidata da tempo. Tuttavia, tra i vari paesi che hanno abbracciato l’automatizzazione dell’iter elettorale, particolare attenzione sarà rivolta a tre esperienze ordinamentali che (per quanto distanti tra loro in termini socio-culturali e politico-organizzativi) condividono un sentimento di estrema fiducia nei confronti del voto elettronico. Segnatamente si prenderà in considerazione il ruolo assunto dall’e-voting negli USA, in India ed in Estonia. Si noti che il particolare grado di approfondimento rivolto al sistema di e-voting statunitense, riposa sulla crescente necessità di adottare sistemi di votazione elettronica sempre più efficienti. Tale constatazione ritrova la propria ratio in un noto caso di “federalismo giurisdizionale” del 2000: il caso Bush v. Gore. Da questa vicenda è infatti emerso il bisogno di maturare un approccio maggiormente aperto alla

(10)

tecnologia, senza che questa familiarità nei confronti dell’informatizzazione si traduca in una violazione della privacy e della sicurezza, nonché in un potenziale inquinamento del regolare iter elettorale (si pensi all’attuale vicenda legata al Russia Gate, instaurato a seguito delle presidenziali del 2016). Da ultimo, saranno analizzate le due principali forme di sperimentazione dell’e-voting all’interno del perimetro europeo: i cc.dd. Cyber Vote ed E-Poll.

Il quarto capitolo prenderà in esame il destino, piuttosto incerto, che la sperimentazione in materia di e-voting ha registrato all’interno dei confini nazionali. Specificatamente si farà un cenno (dati gli sterili esiti prospettatesi, in assenza di una disciplina pur embrionale in materia) al dibattito parlamentare in tema di informatizzazione del diritto di voto; di seguito saranno prospettati i molteplici test (privi di valore ufficiale e tradottesi -in alcuni casi- in flop) sperimentati nelle realtà italiane (segnatamente in Salento ed in Lombardia); infine non mancherà un riferimento alla tanto discussa piattaforma Rousseau (quale proposta di approccio all’e-voting, avanzata dal movimento M5S).

(11)
(12)

CAPITOLO 1

I l d i r i t t o d i v o t o n e l l a p r o s p e t t i v a

costituzionale e legislativa.

SOMMARIO: 1.1.1 Il diritto di voto: dal medioevo allo

stato liberale - 1.1.2 Il voto nel modello di stato

democratico-pluralista - 1.2 Diritto di voto e rappresentanza politica - 1.3

L’articolo 48: antefatto storico - 1.4 Commento all’articolo

48 della Costituzione: tra collocazione e natura giuridica -

1.4.1 La fondamentalità del diritto di voto - 1.5 I requisiti del

diritto di voto - 1.6 Personalità e libertà. Premessa - 1.6.1

Personalità - 1.6.2 Libertà - 1.7 Uguaglianza - 1.7.1

Uguaglianza “in entrata” - 1.7.2 Uguaglianza “in uscita” -

1.8 Segretezza

(13)

1.1.1 Il diritto di voto: dal medioevo allo stato liberale

Prima del modello di stato democratico pluralista non vi sono tracce di un diritto di voto comunemente inteso. Tuttavia a partire dall’età medioevale iniziano a palesarsi delle forme embrionali di rappresentanza, su cui andranno ad ergersi le fondamenta dell’attuale diritto di voto.

In particolare l’esperienza feudale e la fase immediatamente antecedente la Pace di Westfalia del 1648 non conoscono il 4

diritto di voto nella sua accezione moderna, giacché la societas civilis pre-moderna non concepisce la cittadinanza con riferimento al singolo in quanto tale, bensì in quanto parte della corporazione. Quest’ultima costituiva l’emblema della solidarietà di gruppo, che ritrovava la propria scaturigine nella condivisone della stessa funzione sociale e del medesimo status

economico e giuridico . Tuttavia tale configurazione non 5

consentiva di escludere ex ante il riconoscimento di particolari privilegi che, conseguentemente, avrebbero destabilizzato tale parvenza di equilibrio, originando un composito polo consociativo.

Data cui corrisponde solitamente la nascita dello stato moderno.

4

Il richiamo al concetto di giustizia distributiva su base cetuale era tipico di

5

epoche precedenti. A tal proposito: B. Accarino, Rappresentanza, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 10 ss.

(14)

In questo contesto, un ruolo di mediazione era svolto dalle assemblee , le quali costituivano un punto di sintesi e di 6

incontro tra le esigenze del Principe e le istanze promosse dagli esponenti dei ceti e dei borghi. Fu proprio la compresenza di questi elementi, unita alla mancata concettualizzazione di una sede (ideale o reale) espressiva di un’unità politica, a determinare un modello di rappresentanza non unificante e di stampo privatistico distante dal modello parlamentare rappresentativo. Mancando inoltre un potere statale unitario, risultava vanificato ogni tentativo volto a realizzare quell’eguaglianza giuridica che sta alla base del diritto pubblico nello stato moderno. Si accantonavano così le premesse teoriche per la configurazione dei diritti politici in senso moderno, ossia diritti “ (…) riconosciuti ai singoli uti cives rispetto ad un’entità detentrice di sovranità, (…) quali diritti innati dell’individuo” . 7

Questa situazione di frazionamento dei centri di decisione -fondato sul confronto tra Monarca ed una frastagliata società civile- iniziò a scemare in favore di una concentrazione del potere, che affondava le proprie radici nello stato moderno e nell’assolutismo.

Sul punto, cfr.: G. Miglio, Le trasformazioni del concetto di rappresentanza, in Le

6

regolarità della politica, II Mulino, Bologna, 1988, p. 973 ss., il quale ricorda che l’origine dell’assemblea secolare del medioevo (c.d. consilium) era militare ed istituita per assumere decisioni di natura bellica. Con il tempo l’essenza di tale assemblea transitò ad un piano civilistico, prevedendo la prestazione di un’obbligazione (c.d. auxilium) di natura finanziaria e non più militare.

G. Chiara, Titolarità del diritto di voto e fondamenti costituzionali di libertà ed

7

(15)

A partire infatti dal XV secolo, la sovranità finì per incarnarsi 8

direttamente nel monarca assoluto il quale, superata ogni concezione teocratica di derivazione del potere regio (ormai piuttosto obsoleta), ritrovava la propria legittimazione nel patto sociale di stampo hobbesiano e lockiano. Mentre il pactum medievale si fondava sulla duplice dimensione della voluntas principis: discendente e di diritto comune ; la versione 9

contrattuale moderna poneva piuttosto l’accento sull’elemento volontaristico e sull’individualismo antropocentrico . Tuttavia 10

la voluntas del Sovrano costitutiva una coartazione per la comunità, costretta ad accettare incondizionatamente ogni decisione regia in forza del pactum. Si sviluppò così un concetto di cittadinanza in senso individualistico, basato su un potere unitario avulso dal concreto assetto sociale. Di qui una triplice reazione: la transizione dallo stato assoluto allo stato liberale, il

In questo contesto si sviluppa il concetto di sovranità intesa in una duplice

8

accezione: esterna - con riferimento ai rapporti con le potenze straniere e soprannazionali- ed interna - per quanto concerne il monopolio dell’uso della forza all’interno dei confini territoriali. Cfr. M. Rubechi, Il diritto di voto. Profili costituzionali e prospettive evolutive, Giappichelli, Torino, 2016, p. 8.

La volontà discendente postulava un potere accentrato e subordinato

9

esclusivamente alla giustizia divina; la volontà di diritto comune invece si fondava su una prospettiva ascendente che tutelava: da un lato il coinvolgimento dei soggetti pleno iure, e dall’altro i termini del contratto sociale. A tal proposito: G. Chiara, op. cit., p. 12.

Questa concezione, fondata sul c.d. pactum subiectionis, presupponeva

10

l’esistenza del Leviatano: un Dio mortale, una persona politica estranea alle variegate volizioni dei singoli consociati, e da cui dipendeva la pace e la difesa degli stessi sudditi, nonché la rimozione di qualunque contrasto tra volontà del rappresentante e del rappresentato. Sui termini del contratto Hobbes afferma: “ Io autorizzo e cedo il mio diritto ad autogovernarmi a questo uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione: che tu ceda il tuo diritto ed autorizzi tutte le sue azioni in modo simile (…)”. Cfr.: T. Hobbes, Leviatano (1651), cap. 17, R. Santi, Milano 2001, p. 283.

(16)

progressivo riconoscimento di diritti politici ai singoli e la nascita di un nuovo ceto sociale: la borghesia. Questa classe sociale emergente incise profondamente sugli assetti sociali ed istituzionali dei singoli stati, assumendo una posizione ibrida tra la collettività ed il sovrano ed interpretando fedelmente (nonché concretizzando) la volontà generale. Questo nuovo assetto politico-sociale-istituzionale portò i teorici a formulare un nuovo concetto: la Nazione, quale unico soggetto (oltre al sovrano) dedito alla gestione di interessi pubblici . Tuttavia se 11

da un lato la Nazione prendeva le distanze dalle concezioni “unitarie-isomorfiche hobbesiane" 12 (rivolgendo maggiore attenzione alle esigenze della comunità sociale), dall’altro lato operava una sorta di selezione tra coloro che erano in possesso di uno specifico censo o capacità, e coloro che vivevano in una

perpetua condizione di soggezione economica o sociale . 13

Avevamo ancora un suffragio ristretto condizionato dal peso del censo e da altri fattori; ad esempio nell’esperienza italiana uno degli elementi che veniva valutato quale sintomatico della capacità di scegliere nell’interesse della res publica , era il livello di studi. Considerando, invece, l’esperienza rivoluzionaria francese emerge come la Nazione non coincidesse con il popolo generalmente inteso e portatore di istanze diversificate, bensì con il c.d. citoyen. L’espressione citoyen era riferita a tutti quei

A tal proposito: M. Rubechi, op. cit., p. 9.

11

G. Chiara, op. cit., p. 19.

12

A tal proposito: S. Mastellone, Storia ideologica d’Europa da Sieyès a Marx

13

(17)

soggetti politicamente attivi che, in ragione dei propri diritti fondiari, erano in grado di comprendere e perseguire l’interesse generale. In particolare un decreto dell’Assemblea costituente (palesemente in antitesi con l’affermazione contenuta nella Dichiarazione del 1789 secondo cui: “Gli uomini nascono e restano uguali nei diritti”) stabilì una vera e propria gerarchia interna alla comunità sociale, distinguendo tra: cittadini attivi , cittadini eleggibili ed i cc.dd. main-d’oeuvre. I primi erano dotati esclusivamente dell’elettorato attivo, i secondi godevano anche dell’elettorato passivo (potendo rivestire incarichi a livello politico ed istituzionale), mentre gli ultimi erano privi di beni di proprietà e facilmente manipolabili, al punto da essere ritenuti incapaci di partecipare agli affari pubblici.

Questa precarietà dello stato liberale, connessa alla difficoltà di individuare il titolare della sovranità , continuò ad aggravarsi 14

profondamente per due ordini di motivi: la progressiva diversificazione sociale da un lato, e le rivendicazioni di diritti di partecipazione (e non solo) dall’altro. Nonostante le diverse

“ Lo stato liberale è, dunque, un modello che ha mostrato caratteri di

14

decisa instabilità, poiché è risultato intrinsecamente caratterizzato da un forte dualismo nell’allocazione dei poteri, venendosi a contrapporre il principio di legittimazione antico ( quello del sovrano ) con quello moderno ( che trovava la sua sede nelle assemblee rappresentative ) con modalità peculiari e specificamente determinate“. A tal proposito: M. Rubechi, op. cit., p. 10.

(18)

sembianze assunte dallo stato liberale , quest’ultimo ha 15 16

conosciuto un epilogo comune alle varie esperienze: l’erosione del modello della sovranità della Nazione. Tale esito è stato ascritto all’emersione di due fattori direttamente proporzionali: da un lato la nascita dei partiti politici di massa, e dall’altro lato la progressiva estensione del suffragio. La commistione di questi due aspetti determinò il declino dello stato liberale, per approdare ad un modello di stato democratico-pluralista.

1.1.2 Il modello di stato democratico-pluralista

Con il modello di stato democratico-pluralista inizia a svilupparsi il concetto moderno di rappresentanza; ed è proprio da questo momento che si può parlare di diritto di voto in senso stretto. Questa fase si contraddistingue per l’allargamento del

Tale diversità era imputabile alle singolari peculiarità che la classe borghese

15

assumeva nei diversi contesti sociali, e che ritrovavano la propria ratio in due variabili: la struttura degli organi e l’ideologia alla base della forma di governo.

In particolare si può menzionare la seguente articolazione: esperienza

16

rivoluzionaria francese, inglese, tedesca ed italiana. “In Inghilterra la borghesia era economicamente ed indipendente e lo stato liberale si sviluppò proprio con l’obiettivo di un graduale riconoscimento non solo di diritti ma anche di una forza che la classe borghese già possedeva in via fattuale. In Germania e Italia, invece la borghesia scontava una posizione di maggior debolezza, poiché risultava compressa sia dall’aristocrazia terriera sia da quella militare, a fronte di un livello di sviluppo industriale decisamente più arretrato. Si poteva riscontrare dunque la presenza di una pluralità di centri di potere, che élites politiche si proposero, in modi e forme differenti, di superare. In Francia, per contro, essa si era sviluppata all’interno di un sistema caratterizzato da corporazioni forti e da una burocrazia accentrata e pervasiva: un contesto che presentava le caratteristiche ideali per quei movimenti di rottura attraverso ci essa tentò , a più riprese, di liberarsi dai vincoli entro cui si trovava a svilupparsi.” A tal proposito: M. Rubechi, op. cit., p.9.

(19)

suffragio, che determina un riconoscimento a catena di diritti pubblici soggettivi inizialmente ad appannaggio esclusivo di proprietari di beni (segnatamente di beni provenienti dall’attività commerciale). Con l’estensione del voto si attribuisce anche ai soggetti economicamente dipendenti il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti in seno ad istituzioni rappresentative, superando quella condizione di soggezione economica e di incapacità decisoria sintomatica della fase precedente. Lo stato democratico rappresentativo ritrova la propria scaturigine in una stretta tensione duale tra: “sovranità e rappresentanza" , due concetti inizialmente agli antipodi. Ed è 17

proprio nei moderni parlamenti (convocati e periodicamente rinnovati) che riposa l’evoluzione del rapporto tra istituzioni e cittadini. Questi ultimi interpretano un ruolo preminente, suggestivo e sintomatico di un iter evolutivo che ha visto i cives sempre più coinvolti nei processi decisionali attraverso il potente (seppur spesso sottovalutato) diritto di voto. Tuttavia i conflitti sociali e le diversità culturali non tarderanno ad arrivare, destabilizzando progressivamente quella omogeneità tipica della teoria classica della rappresentanza. Sarà proprio la progressiva estensione del suffragio elettorale (quale veicolo di trasformazione sociale e prodotto irreversibile del processo di democraticizzazione degli ordinamenti) a mutare i caratteri del parlamentarismo liberale , portando la dottrina a reagire 18

M. Rubechi, op. cit., p. 12.

17

A. Barbera, La rappresentanza politica: un mito in declino? In Quaderni

18

(20)

secondo una duplice direzione. Da un lato i liberali inglesi cercheranno di superare tale circostanza ricorrendo a ciò che Stuart Mill definiva: “government by discussion, ossia uno scambio razionale di opinioni" . Dall’altro lato la dottrina 19

statalista proporrà di superare la dicotomia fra rappresentati e 20

rappresentanti, sovrapponendo la rappresentanza all’unità dello Stato. La rappresentanza si innalzerà a funzione statale , 21

preparando così il terreno per lo step successivo: la c.d. rappresentanza istituzionale, avulsa dall’elezione. Comincia dunque a prospettarsi un quadro piuttosto spinoso, che ritrova la propria genesi in tre principali fattori: il progressivo allargamento della compagine sociale, la conseguente disomogeneità della base elettorale, e le (sempre meno dirette) relazioni fra rappresentanti e rappresentati. In tale contesto un ruolo determinante è stato rivestito anche dai partiti di massa. Questi ultimi non costituiscono più una mera espressione all’esterno delle divisioni fra notabili eletti nei Parlamenti, ma si organizzano nella società stessa proprio al fine di contribuire alla formazione delle assemblee elettive. “Per mezzo dei partiti

A. Barbera, op. cit., p. 858. A tal proposito si veda anche: J. Stuart Mill,

19

Considerazioni sul governo rappresentativo, a cura di M. Prospero, Editori riuniti, Roma, 1997. La sopracitata opera risale al 1861.

Ibidem.

20

Cfr.: V. E. Orlando, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica, In

21

(21)

(…) la rappresentanza si manifesterà sempre meno come una relazione diretta fra rappresentanti e rappresentati” .22

Non sono mancate teorie (aspramente criticate da autori quali: Gatano Mosca) relative al carattere elitista della rappresentanza, ossia tendenze che “individuano nel diritto di voto non un mandato rappresentativo, ma un mezzo per scegliere fra

dirigenze politiche in competizione fra loro” 23. Questa

considerazione origina un vero e proprio mercato politico, in cui la parvenza di equilibrio nel rapporto tra rappresentante (ormai divenuto un imprenditore politico) e rappresentato risulta minacciata dal fatto che “non sono gli elettori che eleggono il deputato, ma ordinariamente è il deputato che si fa eleggere dagli elettori” . 24

Una ventata innovativa riposa, invece, nel pensiero di Gerhard Leibholz, il quale ridimensiona la funzione della rappresentanza politica “rendendo presente il popolo, e consentendo di imputare ad esso la volontà espressa dai rappresentanti” . Si 25

profila così un forte nesso tra rappresentanza politica ed

A. Barbera, op. cit., p. 859. Tale orientamento è stato accolto dalla dottrina

22

francese su influenza della dogmatica tedesca, nonché da autori quali: Vittorio Emanuele Orlando e Paul Laband.

Ibidem.

23

Ibidem. A tal proposito si veda anche: G. Mosca, Teorica dei governi

24

parlamentari, Milano, Giuffrè, 1968. Lo scritto risale al 1883 ed in questa opera l’A. attacco profondamente il regime parlamentare, anche se nel 1928 prenderà le distanze dal suddetto scritto chiamando, imputando il suo precedente pensiero alla “vivacità giovanile”. A tal proposito: G. Mosca, Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Laterza, Bari, 1949.

Ivi, p. 861.

(22)

elezione, che si traduce nella scelta dei rappresentanti e nella determinazione dell’indirizzo politico. Quest’ultimo profilo, a partire dai primi anni del novecento, inizia ad assumere un progressivo carattere recessivo in ragione del ruolo maggiormente pregnante dei partiti politici. Negli ordinamenti moderni, infatti, la partecipazione diretta all’assunzione di decisioni ha maturato un carattere sempre più latente; è risultato, invece, predominante il ricorso al voto elettivo rispetto a quello deliberativo. Tale constatazione ritrova la propria ratio nel fatto che, il voto elettivo consente di instaurare un rapporto r a p p re s e n t a t i v o , b a s a t o s u l b i n o m i o d e m o c r a z i a -rappresentanza. Ne deriva che i partiti mediano tra la sfera pubblica e quella privata, assumendo il ruolo di veri protagonisti della democrazia rappresentativa. Se da un lato abbiamo l’articolo 1 della Costituzione che afferma che “l’Italia è una Repubblica democratica (…)” (laddove per democrazia si deve sicuramente intendere la forma di stato che prevede un’attiva partecipazione del popolo alla vita politica del paese); dall’altro lato è la stessa Costituzione che perimetra l’esercizio di tale sovranità, indicandone i modi ed i limiti.

Di qui si può evincere che: per quanto il popolo ne sia l’unico titolare, non esercita sempre e comunque la sovranità in modo diretto. Infatti -ad oggi- difficilmente potrebbe affermarsi un modello di democrazia diretta, e molteplici sono le motivazioni alla base di tale dissenso. Sicuramente non rappresenta più un’attuale giustificazione: l’eccessiva estensione dello Stato e la conseguente impossibilità per i cives di pronunciarsi -omissio

(23)

medio- sulle scelte pubbliche . Le ragioni vanno piuttosto 26

ricercate: nell’allargamento del suffragio e nell’esigenza di processi di sintesi che consentano di “tenere insieme la volonté de tous, con la volonté général“ ; nella difficoltà di identificare un 27

demos cui imputare la titolarità ed il diretto esercizio del kratos; “nell’essenziale artificialità della società ”che richiede di essere rappresentata nella sua pluralità di soggettività, di apporti e di idealità . Dunque, l’importanza dei partiti politici è ascrivibile 28

al ruolo di filtro che gli stessi esercitano con riferimento alla volontà popolare, una volontà: “ponderata, riflessa ed unificata” . Attraverso tale filtro si adempie ad una duplice finalità:

29

rispettare il principio di divieto di mandato imperativo (ex 30

articolo 67 della Costituzione) ed individuare gli interessi da rappresentare.

A tal proposito: M. Armanno, Personale, uguale, libero e segreto. Il diritto di

26

voto nell’ordinamento costituzionale italiano, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 50.

E.-W. Böckenförde, Le droit, l’État et la constitution démocratique, In Revue

27

internationale de droit comparé, 2001,pp. 313-314.

Per queste ultime due ragioni, cfr.: M. Luciani, La formazione delle leggi. Il

28

referendum abrogativo, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, La formazione delle leggi, Tomo I, 2, in Il Foro Italiano, Zanichelli, Bologna-Roma, 2005, pp. 142-149.

M. Armanno, op.cit., p. 5.

29

Ad oggi infatti non si parla più di rappresentanza di mandato (secondo cui

30

il rappresentante è concepito come mero esecutore della volontà del rappresentato, tanto che il suo ruolo può, per certi rispetti, essere equiparato a quello di un ambasciatore), ma piuttosto di rappresentanza fiduciaria. In tal caso al rappresentante è riconosciuta una posizione di autonomia basata sul presupposto che egli agisca sulla base dell’interesse dei suoi rappresentati, così come viene da lui percepito. A tal proposito: M. Almagisti, Rappresentanza e partecipazione, in Rivista italiana di scienza politica, Fascicolo 1, aprile 2008, pp. 91-92.

(24)

Tuttavia la natura generale degli interessi di cui i partiti si 31

fanno portavoce, fa emergere una problematica di non poco conto: l’impossibilità per gli elettori di controllare gli eletti. Questo aspetto appena evidenziato ha spinto molti autori a parlare di mera rappresentatività in luogo della rappresentanza. Tale forma di degradazione sarebbe tuttavia non corretta e del tutto riduttiva . I consociati sono muniti infatti di uno 32

strumento di controllo -l’elezione- da cui può scaturire una responsabilità a carico degli eletti. Lo stesso articolo 67 della Costituzione, pur affermando che il mandato parlamentare è libero e pur escludendo una responsabilità civilistica del 33

rappresentante , non bypassa aprioristicamente la produzione 34

di qualsivoglia effetto nei confronti dell’eletto. Il parlamentare non solo (molto spesso) è tenuto ad attenersi strettamente alla

I partiti tendono a rappresentare interessi generali-politici, anche se sulla

31

base di una visione parziale, legata ai cleavages ( dall’inglese: fratture ) da cui essi traggono origine. Ed è proprio il carattere generale di tali interessi che consente di porre un distinguo tra: i partiti politici, i partiti di classe o i partiti pigliatutto (cc.dd. catch all parties; celebre definizione elaborata da Otto Kirchheimer), e le organizzazioni di interesse (per esempio i sindacati).

In periodi precedenti si è spesso messa in dubbio la corrispondenza

32

biunivoca tra rappresentanza ed elezione: si pensi al fatto che non tutti gli organi scelti mediante elezione sono rappresentativi o viceversa che non tutti gli organi rappresentativi sono scelti mediante elezione (a tal proposito si pensi alla monarchia parlamentare contemporanea).

Sono infatti privi di validità ed efficacia giuridica eventuali accordi tra

33

eletti ed elettori.

Il parlamentare una volta eletto, non rappresenta gli elettori e non agisce

34

quale loro mandatario, essendo egli libero di compiere le scelte (appoggiando o meno l’azione del governo) che ritiene più opportune.

(25)

linea del partito di appartenenza , ma deve anche soddisfare 35

due dimensioni: la responsiveness e la accountability.

La responsiveness consiste nella ricettività, e dunque nella capacità da parte delle istituzioni, di fornire risposte soddisfacenti alle richieste dei governati. L’accountability, invece, costituisce l’elemento cruciale per valutare la “qualità della democrazia” 36 e si traduce nella responsabilità che viene accollata ai governanti da parte:

-

dei governati: c.d. accountability verticale, scandita dalle scadenze elettorali, che consentono ai votanti di esercitare il proprio diritto di opzione in merito alla rielezione del candidato;

-

delle istituzioni e degli attori collettivi che hanno conoscenze e potere per valutarne il comportamento: c.d. accountability orizzontale.

Questa considerazione rispecchia il carattere funzionale del voto, che implica una duplice natura giuridica dello stesso: diritto inviolabile dell’individuo da un lato, e funzione pubblica collettiva dall’altro. Tuttavia, nonostante il ruolo di mediazione dei partiti politici e la loro rilevanza in termini di protezione e

I partiti adottano infatti precisi principi, il cui mancato rispetto può

35

determinare anche l’espulsione. In passato, tra i metodi usati per garantire il rispetto della linea di appartenenza al partito, vi erano le dimissioni con data in bianco (da firmare all'atto di adesione al partito) e la deposizione anticipata del mandato (cioè l'abbandono della carica su semplice richiesta del partito).

M. Almagesti, op. cit., p. 109.

(26)

proiezione dell’interesse generale, l’intero mondo Occidentale ha iniziato a familiarizzare con una forte crisi inerente i partiti stessi. Tale situazione di stallo ritrova i propri elementi sintomatici in vari fattori: l’annebbiamento dei tradizionali cleavages, il tramonto delle ideologie, l’influenza dei mass-media (quali canali di trasmissione della domanda politica). Se ad oggi è indiscutibile la stabilità delle democrazie rappresentative occidentali (alias: democrazie liberali), “tuttavia le stesse democrazie liberali non sono immuni né da pericoli esogeni 37

né da processi endogeni legati alla sfiducia e alla disaffezione verso le istituzioni che, pur non deflagrando in palesi contestazioni del sistema democratico, possono comunque minarne il consenso ed incidere, per tale via, sul concreto funzionamento della democrazia” . Peculiare dell’esperienza 38

italiana è stato -per esempio- il fattore connesso “alle conseguenze della transizione avviata con i referendum elettorali del 1991 e del 1993 e con il trauma di Tangentopoli

Il principale fattore esogeno è stato individuato da Revelli (1996) e consiste

37

nella “divaricazione fra lo spazio della politica e lo spazio dell’economia in seguito ai processi di globalizzazione. Secondo questa interpretazione, i flussi continui di merci, informazioni e persone derivanti dai processi di globalizzazione comporterebbero il logoramento delle istituzioni statuali e, con esse, del «contenitore» della democrazia moderna. Vedendo indebolita la propria funzione di controllo e tassazione della ricchezza prodotta, gli Stati nazionali dovrebbero quindi riconsiderare al ribasso le proprie politiche, con conseguenze negative in termini di integrazione sociale. A questo già problematico affresco, si aggiungono negli anni più recenti le preoccupazioni concernenti il diffondersi del terrorismo internazionale di matrice islamista”. Cfr.: M. Almagisti, op. cit., p. 108.

Ivi, pp. 107-108.

(27)

(entrambi legati agli effetti prodottisi in Italia con il crollo del muro di Berlino)” . 39

Tutti questi elementi hanno contribuito a destabilizzare non solo il sistema ma anche il corpo elettorale, incrementando la sfiducia nei confronti della classe di rappresentanti e sollevando innumerevoli problematiche.

1.2 Diritto di voto e rappresentanza politica

La rappresentanza è un tema particolarmente complesso, che richiede di essere analizzato in ogni sua sfaccettatura, al fine di definire in modo nitido lo statuto giuridico del diritto di voto. “In particolare vi sono sei coppie dialettiche che ci orientano in tale indagine:

1. Elezioni e rappresentanza politica.

2. Rappresentanza politica come rapporto e come situazione. 3. Voto elettivo come scelta di soggetti titolari di organi politici

rappresentativi e come determinazione, valutazione e giudizio di un indirizzo politico.

4. Dimensione individuale (privata) e dimensione collettiva (pubblica) della rappresentanza.

5. Prospettiva del rappresentante e prospettiva dei rappresentati.

A. Barbera, La rappresentanza politica: un mito in declino? in Quaderni

39

(28)

6. Valenza procedimentale e valenza sostanziale del voto e delle elezioni”. 40

Queste coppie dialettiche possono essere, a loro volta, così articolate:

-

le prime tre coppie (inerenti il rapporto tra elezione e rappresentanza politica) ritrovano la propria ratio in due elementi: in primis il rapporto tra rappresentante e rappresentato, ed in secundis la situazione rappresentativa. La relazione tra questi due aspetti è scandita dalla sequenza procedimentale dell’elezione, che non solo consente di rafforzare il ruolo assolto dai partiti politici , ma garantisce 41

anche l’effettivo esercizio della sovranità popolare;

-

la quarta e la quinta coppia rivolgono, invece, la propria attenzione: da un lato alla natura privatistica del mandato conferito dal rappresentato al rappresentante; dall’altro al ruolo del rappresentante, quale unico interprete della volontà dei consociati. Queste coppie dialettiche vanno a corroborare la diffusa problematica relativa alla natura giuridica del voto. Segnatamente ci portano a riflettere sulla dimensione individuale, piuttosto che collettiva-funzionale che lo status

giuridico del diritto di votopuò assumere;

M. Armanno, op. cit., p. 36.

40

In particolare, l’elezione condiziona la composizione delle assemblee

41

rappresentative e determina l’indirizzo politico, secondo modalità diversificate in base alla forma di governo. A tal proposito: Ivi, p. 37.

(29)

-

la sesta coppia presenta una fisionamia trasversale. Infatti il carattere mediato dell’iter elettorale consente di spostare il 42

focus dell’analisi da un profilo meramente processualistico ad un profilo più squisitamente sostanziale del diritto di voto. L’importanza del profilo procedimentale, quale elemento di garanzia a tutela della legittimazione dei poteri pubblici e dell’effetto conformativo del diritto di voto, è stata ampiamente valorizzata nel tempo. Autori quali Kelsen , 43

Schmitt e Carlo Lavagna sono stati i principali esponenti 44 45

di questa corrente innovativa. Essi, pur sostenendo prospettive piuttosto distanti tra loro, ritenevano che il momento procedurale dell’elezione potesse assurgere a “cifra

identitaria di una democrazia moderna matura” 46. Tale

impostazione affonda le proprie radici nella prima metà del XVIII secolo e costituisce una svolta radicale rispetto all’ideologia precedente. Due erano le principali obiezioni alla base del preesistente dissenso nei confronti della democrazia:

A tal proposito: M. Armanno, op. cit., p. 38. L’A. parla di “trait d’union tra

42

rappresentanza politica ed elezioni”.

Per un’analisi più approfondita cfr.: H. Kelsen, I fondamenti della democrazia,

43

in ID., La democrazia, Bologna, 1995, p. 191 ss. e 252, trad. it. di A.M. Castronovo di ID., Foundations of Democracy, in Ethics, Vol. 66, No 1, Part 2, 1955, pp. 1 ss.

Per un’analisi più approfondita, cfr.: C. Schmitt, Verfassungslehre, Berlin,

44

1928, trad. it. A. Caracciolo, in Dottrina Costituzionale, Milano, 1984, pp. 319 ss. e 330.

Autore da considerare nella dimensione del costituzionalismo italiano. Per

45

un maggior approfondimento cfr.: C. Lavagna, Considerazioni sui caratteri degli ordinamenti democratici, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1956, pp. 392 ss.

M. Armanno, op. cit., p. 39.

(30)

la prima obiezione era relativa alla prevedibilità, mentre la seconda alla praticabilità. Nel primo caso è calzante la posizione di cui si fa portavoce Platone, il quale ha sempre ritenuto deplorevole la democrazia , in ragione del suo 47

carattere inibitorio rispetto ad un necessario senso di sicurezza e stabilità della leadership politica. Nel secondo caso si può invece ricordare il pensiero di Rousseau, il quale sosteneva che “una vera democrazia non è mai esistita né mai esisterà, perché è contro l’ordine naturale che il grande numero governi e che il piccolo sia governato” 48 .

Detto ciò, è inevitabile osservare come “il suddetto effetto conformativo del diritto di voto, traduca il voto stesso in libertà positiva, manifestazione di autonomia individuale e di autodeterminazione destinata a produrre effetti sulla composizione di organi politici “ . Tale considerazione ci 49

consente di inquadrare il voto in un’ottica ambivalente, data dalla duplice dimensione (pubblica e privata) del diritto di voto. Ne è così scaturito un lungo dibattito relativo a due ordini di questioni: la qualificazione giuridica della posizione soggettiva

Platone infatti riteneva che la forma di governo ideale fosse l’aristocrazia,

47

intesa ( secondo l’etimologia greca del termine: ἄριστος “ottimo” e -κρατία “comando”) come “potere dei migliori. Mentre ha sempre degradato a “degenerazioni dello stato”, al pari della democrazia, la timocrazia che rende l’uomo ambizioso e amante degli onori ma diffidente del sapere, l’ oligarchia perché rende l’uomo avido, parsimonioso e laborioso ed infine la tirannide, considerata la peggiore delle tre, che è a sua volta una degenerazione della democrazia.

M. Almagisti, op. cit., p. 90.

48

M. Armanno, op. cit., pp. 39-40.

(31)

del voto da un lato, e la funzione connessa al suo esercizio dall’altro.

Con riferimento alla prima questione, il dibattito affonda le proprie radici nelle ricostruzioni teoriche offerte dal modello francese, tedesco ed inglese ; attraversa la riflessione politico-50

filosofica dello stato liberale e raggiunge l’apice con l’elaborazione dottrinale di fine ottocento . La questione trova 51

oggi un equilibrio in favore della configurazione del voto alla stregua di un diritto individuale. La stessa dottrina italiana ha finito per condividere un orientamento decisamente non esclusivista, sostenendo che il diritto di voto sia allo stesso tempo: diritto individuale e funzione pubblica. La seconda questione relativa alla direzione che può assumere il diritto di voto, viene condotta con precipuo riferimento all’evoluzione delle democrazie occidentali ed al costituzionalismo del secondo dopo guerra. In particolare emerge che il voto è in grado di adempiere a due finalità: selezionare i candidati-rappresentanti

Il modello francese abbraccia l’idea che il voto sia un diritto individuale,

50

ritenendo il suffragio è un’epifania del diritto naturale. Il modello tedesco invece asserisce che il voto costituisca rappresentazione funzionale. Da ultimo il modello inglese, piuttosto all’avanguardia rispetto alle coeve esperienze europee, pone l’accento sul ruolo di mediazione del partito politico. A tal proposito: M. Armanno, op. cit., pp. 41-42.

A tal proposito si ricordi il contributo offerto da Paul Laband ( secondo cui

51

il voto è una funzione, un mero riflesso del diritto oggettivo, e non situazione giuridica soggettiva); da Georg Jellinek ( secondo cui il voto è diritto pubblico soggettivo e manifestazione dello status activae civitatis); da Carl Schmitt (per cui il voto è una pubblica funzione, un dovere elettorale esercitato in forza di uno status pubblicistico, quindi perché si è cittadini); e da Thomas Paine (secondo cui il voto è libertà. In queste parole l’A. : “ the right of voting … is inherent in the word Liberty and costitute the equality of personal rights” ).

(32)

e determinare le linee essenziali dell’indirizzo politico 52. Nonostante l’accoglimento di sistemi maggioritari abbia ridotto sempre di più il margine di divergenza tra un modello di tipo maggioritario (fondato sulla maggioranza numerica) ed uno di tipo proporzionale (secondo cui la rappresentanza spetta anche alle minoranze), si è registrato un rafforzamento del metodo di elezione proporzionale. Così facendo si è voluto evitare, in considerazione dell’allargamento del suffragio, che: “la brutale ragione dei numeri potesse dare spazio a nuove forme di tirannia” . L’opzione proporzionalista si fonda sull’esigenza di 53

identità, quale forma politica di base nello Stato democratico, cercando di favorire un’intima correlazione tra governanti e governati.

1.3 L’articolo 48 nei lavori dell’Assemblea Costituente

Durante l’epoca statutaria nulla era specificato in materia di diritti elettorali; questioni quali l’estensione del suffragio, la limitazione del diritto di voto ai cittadini di sesso maschile o l’esclusione del voto per le donne, non trovavano un precipuo riferimento tra le trame dello Statuto Albertino. Vi furono dei

“Si tratta di una finalità che ritrova il suo fondamento nella democrazia, e

52

segnatamente - come osserva: M. Luciani, Il voto e la democrazia. La questione delle riforme elettorali in Italia, Roma, 1948, p. 350- in un modello di democrazia immediata”. A tal proposito: M. Armanno, op. cit., p. 46.

Ivi, p. 47.

(33)

tentativi di allargamento del suffragio , ma solo a seguito della 54

prima guerra mondiale (con la legge n. 1985/1918) si iniziò a parlare definitivamente di suffragio universale maschile.

Nella formulazione dell’articolo 48 Cost., l’Assemblea costituente decise di non elevare ad oggetto del dibattito il legame tra diritto di voto e sistema elettorale; aderendo infatti all’orientamento espresso da Palmiro Togliatti (il quale si faceva promotore di una visione antitetica rispetto a quella contenuta nella relazione Mancini-Merlin ) si decise di rimettere (nel 55

merito) la questione inerente le modalità di esercizio del suffragio alla II Sottocommissione . Alla I Sottocommissione 56

spettava invece solo il compito di “affermare i diritti dei cittadini, ma non di entrare nel tema dell’esercizio di tali diritti (…)” . La Sottocommissione concluse i propri lavori il 20 57

novembre 1946 dando forma e contenuto all’articolo 45 che, nella sua stesura e numerazione definitiva (l’attuale articolo 48),

“La legge 593/1882 abbassò a 21 anni il requisito di età, ammettendo al

54

voto tutti coloro che fornissero prova di aver sostenuto con buon esito l’esperimento prescritto dalla legge o dal regolamento sulle materie comprese nel corso elementare obbligatorio. Mentre il t.u. 666/1912 estese la capacità elettorale ai cittadini che avessero raggiunto i 30 anni di età, pur in assenza di altri requisiti”. A tal proposito: R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, Utet giuridica, Vol. I, 2006, p. 963.

Tale relazione prevedeva la necessaria adozione di un sistema elettorale di

55

tipo proporzionale.

Quest’ultima, decidendo di non costituzionalizzare alcun sistema

56

elettorale, sollevò innumerevoli dibattiti, che ritrovavano la propria ratio nella necessità di garantire l’inscindibilità tra scelte costituzionali e sistema elettorale. Così passando per l’ O.d.G. Cappi (seduta dell’8 novembre 1946) si arrivò all’O.d.G. Giolitti (Assemblea Plenaria del 23 settembre 1947) che stabilì l‘adozione di un sistema proporzionale.

Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione- Prima

57

(34)

presentava alcune novità rispetto al Progetto iniziale. Tra queste si può menzionare: la sostituzione dell’espressione “ambo i sessi” con quella di “uomini e donne”; l’inserimento del carattere “civico” del voto in luogo del precedente carattere “morale”.

Gli umori in seno all’Assemblea Costituente erano inizialmente piuttosto pacifici: “l’articolo 45 del progetto preliminare della Costituzione non fu oggetto di particolare attenzione da parte del Comitato” , né troppo farraginoso 58

risultò l’iter di approvazione definitiva da parte dell’Assemblea. Considerato che il principio del suffragio universale e l’individuazione dei limiti alla capacità elettorale, erano già stati riconosciuti dai governi dell’ordinamento provvisorio dello Stato, altre erano le questioni di maggior rilevanza e discussione. Tra queste figuravano: la soglia minima di età per accedere all’elettorato, il carattere obbligatorio del voto, “la limitabilità del voto per coloro che non svolgono alcuna attività lavorativa, la garanzia del voto per i lavoratori italiani migranti”

.

59

Con riferimento alla questione della soglia minima di età, a seguito di un quadro piuttosto variegato di orientamenti , la 60

R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, op. cit., p. 963.

58

Ibidem.

59

Tra le varie proposte si può ricordare la posizione di Giolitti, il quale voleva

60

rinviare la questione dell’età minima per votare alla legge elettorale; Tosato, Merlin, Terracini, Bozzi, Lussu, i quali erano concordi sulla necessità di specificare il limite dei 21 anni per l’elettorato attivo alla Camera dei deputati al fine di garantire una maturità politica; infine il PCI non voleva che il requisito dei 21 anni venisse costituzionalizzato in quanto voleva estendere il suffragio ai diciottenni.

(35)

svolta si verificò con una proposta avanzata da Togliatti e formulata da Perassi. Essi optarono per una soluzione di compromesso, inserendo nel testo costituzionale il requisito generico della maggiore età ed addossando al legislatore ordinario l’onere di procedere ad una sua specificazione.

Complesso ed accesso fu, invece, il dibattito relativo all’obbligatorietà del voto, sospesa tra la necessità o meno di un sistema sanzionatorio per tutti i cittadini che si astenevano dal votare. In particolare la DC, i liberali, i demo-liberali ed i monarchici erano favorevoli al voto obbligatorio; mentre il PCI, i socialisti, i repubblicani e gli azionisti sostenevano un orientamento antitetico. Dopo che la II Sottocommisione (Mortati e Tosato) dispose di indicare espressamente l’obbligatorietà del voto nel testo costituzionale , e dopo la 61

dura opposizione avanzata da Amendola e Lussu, finalmente si raggiunse un accordo. Segnatamente la I Sottocommissione propose di ascrivere il diritto di voto ad un dovere civico e morale; tuttavia questa formula non mancò di scatenare nuovamente un aspro contrasto politico. La risultanza di tale divergenza si tradusse: da un lato nella soppressione delle parole “e morale”, dall’altro nel rinvio della questione circa l’obbligatorietà del voto al legislatore ordinario. Anche la questione inerente le eventuali limitazioni all’esercizio dell’elettorato attivo (fatta eccezione per i casi di indegnità morale) non mancò di scatenare un'intensa disputa. Per sanare

In particolare proposero di addossare al legislatore ordinario il compito di

61

regolare un sistema sanzionatorio, in caso in cui l’elettore si fosse astenuto dall’esercizio del suffragio.

(36)

tale conflittualità si ricorse nuovamente al rimedio della legge ordinaria, cui venne demandata l’individuazione di ipotesi specifiche di esclusione del suffragio. Dulcis in fundo, il dibattito venne rivolto alla questione inerente il voto degli italiani all’estero. Tale tematica fu presa in considerazione dai socialdemocratici, i quali volevano garantire una certo grado di solidarietà nei confronti degli italiani emigranti, stigmatizzando “l’appartenenza al popolo italiano ed il pieno esercizio della sovranità nazionale” . Tuttavia, già all’epoca, emersero le dure 62

problematiche connesse al voto in loco, agli accordi con gli Stati esteri, alla distinzione tra emigrazione temporanea e permanente, etc. Questa tematica ed il conseguente dibattito hanno costellato l’intera storia repubblicana, portando alla revisione costituzionale dell’articolo 48 ed alla conseguente introduzione di un comma aggiuntivo. Ma, nonostante l’evoluzione tecnologica e la granitica consapevolezza di essere tutti cosmopoliti nel mero senso del termine , la questione 63

relativa all’effettivo esercizio e riconoscimento del diritto di voto per gli italiani all’estero risulta ancora oggi una parentesi aperta. Molte infatti sono le questioni, anche di rilevanza costituzionale, che ne derivano: una fra tutte la fondamentalità del diritto di

R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, op. cit., p.964.

62

L’etimologia del termine è greca: dal gr. κοσμοπολίτης, comp. di κόσμος

63

“mondo” e πολίτης “cittadino”. Per cui cosmopolita è chi riconosce o afferma di riconoscere quale sua patria il mondo intero; chi non restringe i proprî affetti e i proprî interessi alla nazione dov’è nato, ma li estende alle altre nazioni e agli altri popoli. Chi non pone la sua dimora stabile in un paese, ma vive o ha vissuto in paesi diversi, interessandosi alla varietà degli aspetti e dei costumi, e acquistando conoscenza delle varie forme di vita e di cultura. In www.treccani.it.

(37)

voto. Con precipuo riferimento alla tematica oggetto di questa tesi -il voto elettronico- si nota che l’intento del Governo e del Legislatore sia quello di garantire l’effettivo esercizio di un diritto, quale sintomo di appartenenza e di partecipazione all’assunzione di decisioni politiche interne alla comunità (di cui l’elettore stesso fa ed è parte).

1.4 Commento all’articolo 48 della Costituzione: tra

collocazione e natura giuridica

Molto suggestiva è la collocazione che i diritti politici, e segnatamente il diritto di voto, assumono all’interno della carta costituzionale. Il loro inserimento nella parte dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”, porta con sé un duplice ordine di premesse: il carattere personalista 64 dei diritti politici, e l’importanza dei corpi intermedi. Da quest’ultimo aspetto scaturisce il legame tra libertà e democrazia da un lato, e sistemi elettorali dall’altro. Sicuramente i sistemi elettorali non sono neutri poiché molteplici risultano le variabili connesse alla forma di governo. Tale diversità si neutralizza progressivamente in favore di (almeno) tre principali obiettivi che un sistema elettorale, trasformando i voti in seggi, intende realizzare. In primis assicurare il più ampio numero di forze politiche in Parlamento al fine di garantire la democrazia rappresentativa; in

L’intento è quello di focalizzare l’attenzione sugli individui e poi sullo

64

Stato, ribaltando la prospettiva ottocentesca che invertiva il suddetto ordine di priorità.

(38)

secundis la selezione della classe politica, individuando quei soggetti maggiormente adatti a dare respiro e concretezza alla volontà dei consociati; infine una “primordiale definizione di indirizzo politico” 65. Tuttavia il testo costituzionale non disciplina i sistemi elettorali , ma si limita ad individuare i 66

principi alla base del diritto di voto stesso. Partendo da questa premessa e concentrandoci sul dettato costituzionale, notiamo che l’articolo 48 Cost. è strutturato secondo una

giustapposizione di coppie intrinsecamente connesse tra loro: 67

personalità e uguaglianza, libertà e segretezza. Tra i quattro elementi la segretezza (nella sua accessorietà) sembra essere il requisito meno problematico, che si pone a protezione delle modalità di esercizio del voto. Infatti attraverso la segretezza è (in teoria) possibile scongiurare il rischio, per l’elettore, di un’eventuale coazione fisica o psicologica in seno alla votazione.

Da un punto di vista strutturale, la collocazione dell’articolo 48 Cost. rispetto alla previsione inerente i partiti politici (ex articolo 49 Cost.) non è casuale. Infatti i diritti politici presentano un

M. Armanno, op. cit., p. 79.

65

Tradizionalmente i sistemi elettorali si dividono in sistemi maggioritari e

66

proporzionali. I primi hanno come scopo quello di garantire che vi sia un effettivo vincitore e, perciò, esprimono regole abbastanza semplici. I secondi, invece, vogliono assicurare che tutte le posizioni politiche siano rappresentate e, quindi, dettano regole che difficilmente assicurano vittorie di larga misura. In generale questo scopo viene perseguito nei sistemi maggioritari attribuendo al candidato (o alla lista) che ottiene più preferenze la maggioranza dei seggi; nei sistemi proporzionali assegnando a tutti i candidati (o partiti) in lista un numero di seggi che rispecchia i voti ottenuti. Rispetto a questi sistemi puri, però, si sono susseguite nel tempo leggi che hanno creato sistemi misti, partecipi dell'uno e dell’altro.

Ivi, p. 80.

(39)

dimensione politico-collettiva , che non può essere avvilita dal 68

carattere individualistico legato all’esercizio ed alla titolarità di

tali diritti 69. La manifestazione più profonda di questa

dimensione ambivalente ristagna nel diritto di voto, portando con sé la difficoltà connessa alla corretta individuazione della natura giuridica del diritto di voto, sospesa tra libertà positiva e libertà negativa. Innumerevoli furono i dibattiti relativi alla natura giuridica del diritto di voto. Il panorama dottrinale era infatti piuttosto variopinto : Vincenzo Zangara, evidenziando 70

l’aspetto bifronte dell’elettorato, parlava di potestà giuridico soggettiva di diritto pubblico; mentre Prosperetti, Mortati ed Ambrosini ne evidenziavano il carattere funzionale in quanto è un diritto che tende alla realizzazione di interessi che sorpassano il privato per toccare l’interesse della collettività ; 71

Martines con riferimento alla titolarità del voto parlava di capacità di diritto pubblico. Tutte queste posizioni, che hanno costellato il panorama dottrinale, condividevano la necessità di provare a conciliare le diverse anime del diritto di voto, caratterizzato da “una natura complessa tendenzialmente

M. Armanno, op. cit., p. 82.

68

Questa duplice dimensione investirebbe anche altri diritti di libertà che,

69

pur non essendo diritti politici, ne condividono alcuni aspetti; e tra questi si ricorda: la libertà di stampa, di riunione e di associazione. In questi casi sussiste una dimensione collettiva, che però è meramente eventuale e non necessaria (a differenza dei suddetti diritti politici). A tal proposito, cfr.: V. Crisafulli, La sovranità popolare nella Costituzione italiana (note preliminari), 1954, ora in ID., Stato, Popolo, Governo, Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, p. 128.

Per un maggior approfondimento, cfr.: M. Armanno, op. cit., pp. 95 ss.

70

A tal proposito, cfr.: A. C., Adunanza Plenaria, 21 maggio 1947.

(40)

bifronte” . Il suffragio, infatti, non si configura solo come 72

diritto, bensì come funzione contraddistinta da un forte carattere obbligatorio (di qui la definizione del voto alla stregua di un dovere civico). Lo stesso Vittorio Angiolini scriveva: “per Costituzione l’unica libertà dei privati a cui può essere correlata una responsabilità politica, poiché concorre per sua stessa indole, mediatamente o immediatamente (con il referendum), a decisioni che vincolano altri anche in difetto di uno specifico accordo o consenso, è la libertà di voto, la quale è disciplinata, proprio per questo, come un dovere civico” . 73

In tale contesto assume particolare rilievo la tesi di Lombardi che, nel tentativo di coniugare “il momento individualistico ed il principio di solidarietà politica" , traccia un distinguo tra la 74

posizione giuridica del cittadino e del popolo. In particolare egli riteneva che: al popolo spettasse istituzionalmente la sovranità ex articolo 1 della Costituzione, mentre al cittadino (incardinato nel corpo elettorale) spettasse l’esercizio di un’attività finalizzata a mediare tra l’operato dello Stato e gli orientamenti della comunità sociale. Così i cittadini, nella veste di corpo elettorale, assolvevano ad una suprema funzione dello stato: “quella di esprimere, realizzare l’indirizzo politico, e parallelamente (…) anche il fondamentale interesse dello Stato-persona alla

M. Armanno, op. cit., p. 106.

72

V. Angiolini, Le braci del diritto costituzionale ed i confini della responsabilità

73

politica, in Rivista di diritto costituzionale, 1998, p. 89.

G. M. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, in

74

(41)

compiutezza della propria compagine strutturale, mediante la regolare rinnovazione dei suoi organi” . 75

1.4.1 La fondamentalità del diritto di voto

Tutte queste ricostruzioni, offerte dalla scienza giuridica, hanno consentito di inquadrare il diritto di voto all’interno dell’articolo 2 della Costituzione, asserendone l’inviolabilità. A partire dagli anni novanta, anche la stessa giurisprudenza non ha indugiato nel sostenere l’inviolabilità e la fondamentalità del voto stesso. Prima fra tutte la sentenza n. 39/1973 che evidenziava il 76

carattere funzionale, di doverosità del voto, nell’ottica di tutelare un interesse pubblico; oppure la sentenza n. 4/2010 in 77

cui si legge che: “ I diritti fondamentali di elettorato attivo e passivo rimangono inalterati”; fino alla sentenza n. 35/2017 in 78

cui si afferma: “(…) il diritto fondamentale di voto, che svolge una funzione decisiva nell’ordinamento costituzionale (…)”. Tale fondamentalità ci porta ad effettuare una distinzione tra: titolarità ed esercizio del voto da un lato, ed effetti prodotti dal voto sull’esito elettorale dall’altro. La titolarità del diritto di 79

G. M. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, in

75

www.rivistaaic.it, Milano 1967, p. 336.

Cfr.: sentenza Corte Costituzionale, n. 39/1973 (punto 3 del Considerato in

76

diritto).

Cfr.: sentenza Corte Costituzionale, n. 4/2010 (punto 3.3 del Considerato in

77

diritto).

Cfr.: sentenza Corte Costituzionale, n. 35/2017 (punto 3.1 del Considerato in

78

diritto).

M. Armanno, op. cit., pp. 107-108.

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