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Implementazione di un modello Blade Element per turbina marina ad asse verticale nel codice di circolazione marina SHYFEM

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

SCUOLA DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA ENERGETICA

IMPLEMENTAZIONE DI UN MODELLO BLADE ELEMENT PER TURBINA MARINA AD ASSE VERTICALE NEL CODICE DI CIRCOLAZIONE MARINA

SHYFEM

Relatori Candidato

Stefania Zanforlin Micol Pucci

Benedetto Rocchio Debora Bellafiore

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Sommario

Abstract ... 4

Stato dell’arte ... 5

1.1 Potenzialità di sfruttamento della risorsa e problematiche ambientali ... 5

1.1.1 Siti di interesse ... 5

1.1.2 Tecnologie e grado di sviluppo ... 8

1.1.3 Problematiche ambientali ... 16

1.2 Panoramica sui codici di circolazione oceanica ... 20

1.2.1 Caratteristiche dei principali codici Open Source ... 20

1.2.2 Criticità nella simulazione di farm di turbine ... 26

1.2.3 Il codice SHYFEM ... 29

1.3 Modelli ibridi BEM-CFD ... 31

1.3.1 Relazioni basilari dell’approccio BEM ... 31

1.3.2 Livelli di accuratezza: disco/cilindro attuatore, linea attuatrice ... 32

1.3.3 Modello ibrido sviluppato presso l’Università di Pisa ... 33

Messa a punto del modello ... 38

2.1 La turbina scelta ... 38

2.2 Caratteristiche di griglia e settaggi di ANSYS-Fluent ... 39

2.3 Analisi di sensitività ... 42

2.4 Effetti della curvatura del flusso ... 49

Modello BEM per SHYFEM ... 59

3.1 Architettura della routine ... 59

3.2 Subroutine statica ... 60

3.3 Subroutine dinamica ... 61

3.4 Frizione al fondale ... 64

3.5 Diversi modelli a confronto ... 67

Analisi di sensitività alla griglia ... 82

4.1 Campo di moto ... 82

4.2 Test su griglie a risoluzione crescente ... 85

Applicazione al caso di terne di turbine ... 89

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5.2 Analisi dei risultati ... 90

Conclusioni ... 96

Appendice A ... 98

Appendice B ... 119

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Abstract

L’obiettivo di questa tesi è quello di implementare un modello analitico 2D di turbina ad asse verticale all’interno del codice di circolazione marina SHYFEM, software Open Source. Esistono già tentativi di utilizzo di un modello numerico marino per studi sull'impatto ambientale di farm di dispositivi TEC (Tidal Energy Converter) ma si tratta di approcci approssimati: il coefficiente di prestazione della turbina viene fissato a priori indipendentemente dalle condizioni operative e dai parametri geometrici della turbina e spesso la turbina occupa un’unica cella o al più poche celle della griglia. I lavori più avanzati ed accurati, con introduzione di termini di sorgente nelle equazioni di quantità di moto, si trovano soltanto per turbine ad asse orizzontale, ma si basano comunque sull'uso di coefficienti prestazionali noti. In questa tesi viene implementato un modello ibrido basato sulla teoria BEM (Blade Element Momentum): nella griglia di calcolo non sono presenti le pale della turbina ed il flusso viene rallentato imponendo forze uguali e contrarie a quelle che le pale sperimenterebbero se fossero presenti. Il modello elaborato si basa sul modello sviluppato presso l’Università di Pisa per il software ANSYS Fluent: il modello ANSYS però prevede termini di sorgente nelle equazioni di bilancio della quantità di moto, mentre il modello SHYFEM introduce una frizione aggiuntiva al fondale. Tale approccio ha consentito di riprodurre soddisfacentemente il comportamento della turbina a livello sia di potenza meccanica generata sia di effetti della turbina sul campo di moto circostante e sulla scia rilasciata, nonostante la griglia di calcolo relativamente molto lasca. Inoltre il modello ibrido implementato è stato in grado di predire gli effetti dell'interazione fluidodinamica tra le turbine appartenenti a un piccolo cluster, consentendo di riconoscere i meccanismi fisici dominanti, analogamente a un modello puramente CFD ma con tempi di calcolo enormemente inferiori.

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Capitolo 1

Stato dell’arte

Il capitolo fornisce una panoramica sui maggiori siti di interesse per lo sfruttamento di correnti marine a livello mondiale ed europeo. Verrà poi fornita una panoramica sui principali codici di circolazione oceanica di tipo Open Source valutandone pregi e limiti nonché un’introduzione sui modelli ibridi BEM-CFD.

1.1 Potenzialità di sfruttamento della risorsa e problematiche

ambientali

1.1.1 Siti di interesse

La Terra è il cosiddetto pianeta blu: le acque infatti occupano gran parte della superficie terrestre ma, sebbene gli oceani costituiscano immense riserve di energia, soltanto laddove si presentano particolari condizioni, la risorsa risulta sfruttabile. Parliamo in questo caso di energia cinetica che si ritrova nelle correnti, siano esse oceaniche e quindi caratterizzate da

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monodirezionalità e localizzate in mare aperto, siano esse di marea caratterizzate da inversione ciclica della direzione e più evidenti in prossimità della costa. La mappa di figura 1 riporta la distribuzione a livello mondiale dei siti dove la risorsa oceanica presenta condizioni favorevoli allo sfruttamento.

Figura 2: siti di interesse europei per la risorsa oceanica [2]

L’Europa negli ultimi anni è stata all’avanguardia per quel che riguarda lo sviluppo di tecnologie per la conversione dell’energia oceanica tanto da ospitare il 50% degli sviluppatori di Tidal Energy Converter (TEC) [3], anche se la situazione attuale vede una potenza installata pari a 12 MW in un contesto ancora a livello dimostrativo o pre-commerciale [4]. Come si nota dalla mappa (Fig.2), si tratta quasi sempre di siti relativamente vicini alla terraferma, infatti per incanalare il flusso, accelerandolo, servono fondali piuttosto bassi o restrizioni topografiche come quelle che si hanno in canali, stretti o tra isole vicine.

Si tratta comunque di correnti di marea, cioè originate dal succedersi di alta e bassa marea, e per tale motivo caratterizzate da variazioni periodiche di modulo e direzione. I siti di

maggiore interesse sono

principalmente localizzati nei pressi di Scozia, Francia (in particolare in prossimità delle coste della Normandia) e nel Mare di Irlanda.

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Nel dettaglio (Fig.3), a nord della Scozia si trovano una serie di siti appetibili per lo sfruttamento dell’energia mareomotrice: la vicinanza all’Oceano Atlantico e il dedalo di canali, stretti e promontori rendono infatti questo territorio soggetto a correnti di marea particolarmente intense. Il fenomeno interessa l’arcipelago delle Isole Shetland ma in maggiore misura l’arcipelago delle Isole Orcadi separato dalla Scozia tramite lo stretto denominato Pentland Firth: quest’ultimo è ritenuto ragionevolmente il sito con maggiore concentrazione di energia di marea al mondo.

Figura 4: dettaglio del Canale della Manica sulle Channel Islands [6]

Risultano interessanti anche la zona del Mare d’Irlanda nei pressi dell’isola di Anglesey (appartenente alla contea del Galles Fig.5) e la zona delle Isole del Canale (Channel Islands Fig.4) un gruppo di isole nel Canale della Manica nei pressi della costa francese.

Diversi studi si sono susseguiti nel tentativo di stabilire la potenzialità di queste aree nella produzione elettrica; trattandosi di simulazioni mediante modelli, è insito in questo tipo di approccio la semplificazione con ipotesi stabilite a priori; a seconda del tipo di assunzioni e anche del tipo di codice di circolazione adottato si evidenziano risultati variabili. Per il Pentland Firth sfruttando le configurazioni più favorevoli è possibile raggiungere una potenza estraibile di 4,2 GW: in [7] si analizzano diverse architetture di schiere di turbine, guardando anche come la Figura 5: dettaglio sul Mare d'Irlanda [8]

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compresenza di più schiere influisca sulle prestazioni e la resa globali. Per le Channel Islands in [6] si prevede un potenziale energetico di 5,1 GW quindi addirittura superiore al Pentland Firth.

1.1.2 Tecnologie e grado di sviluppo

I dispositivi TEC posso essere suddivisi in 7 macro categorie come indicato dall’EMEC (European Marine Energy Centre) [9]: turbine ad asse orizzontale, turbine ad asse verticale, oscillating hydrofoil in cui un hydrofoil è connesso ad un braccio oscillante, turbine confinate in un condotto che concentra il flusso sul dispositivo, Archimedes screw cioè dispositivi di forma elicoidale messi in rotazione dal flusso d’acqua, tidal kite “aquiloni” solidali ad una turbina che sperimentando portanza le permettono di fluttuare nella corrente, poi ci sono altre tipologie di dispositivi che per il particolare design non rientrano nelle categorie precedenti. I dispositivi vengono altresì classificati in base al livello di sviluppo Technology Readiness Level (TRL) come di seguito spiegato [10] [11]:

TRL 1 Osservazione dei concetti base

TRL 2 Formulazione dei concetti relativi alla tecnologia TRL 3 Prove sperimentali dei concetti

TRL 4 Validazione di componenti e/o sistemi parziali in laboratorio

TRL 5 Validazione di componenti e/o sistemi parziali in ambiente adeguato TRL 6 Validazione di sistemi o sotto sistemi in ambiente adeguato

TRL 7 Studi dimostrativi di prototipi in ambiente operativo TRL 8 Sistema completo validato

TRL 9 Sistema completo testato in ambiente operativo

Ad oggi i dispositivi che hanno raggiunto maggiore maturità sono le turbine ad asse orizzontale, che si attestano attorno a TRL 8; sono anche i dispositivi maggiormente sviluppati: al 2014 infatti il 76% dei dispositivi realizzati dai diversi costruttori sono di tipo ad asse orizzontale come mostrato in figura 6:

Figura 6: stato di R&D per dispositivi TEC testati in scala reale [12]

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In sintesi il grado di sviluppo delle diverse tecnologie è di seguito riportato:

Figura 7: livello TRL dei dispositivi di conversione dell'energia mareomotrice [13]

Le tecnologie più avanzate riguardano i cosiddetti dispositivi di prima generazione quelli cioè che hanno basamenti fissi e non supporti galleggianti e sono di tipo ad asse orizzontale oppure turbine inserite in un diffusore: questo tipo di dispositivi hanno taglie che si aggirano attorno a 1÷2 MW ma sono stati sviluppati anche dispositivi più piccoli tra 100÷250 kW. I dispositivi di seconda generazione invece sono quelli dotati di supporti galleggianti o semi-sommersi (taglie tra 100 kW e 2 MW) mentre la terza generazione riguarda dispositivi che estraggono energia dalle correnti di marea in maniera non convenzionale, mediante utilizzo ad esempio di vele o aquiloni marini oppure adottando morfologie di pala ispirate ad organismi viventi. Di seguito si riportano alcuni tra i principali produttori di dispositivi TEC: Nova Innovation, Atlantis, Andritz Hydro-Hammerfest, Openhydro, Scotrenewables (now Orbital), Schottel, e Tocardo.

I dispositivi di prima generazione si trovano ad uno stadio pre-commerciale ma, seppure a dispetto di altre fonte rinnovabili le correnti di marea hanno il vantaggio della predicibilità, l’aspetto che ne limita lo sviluppo è principalmente il costo: nel 2015 infatti il LCoE (Levelized Cost of Energy) è compreso tra 47÷102 c€/kWh dove viene preso come valore di riferimento 62 c€/kWh.

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Le aspettative del SET-Plan (Strategic Energy Technology Plan) dell’Unione Europea, sono il raggiungimento di un LCoE pari a 15 c€/kWh per il 2025 e di 10 c€/kWh per il 2030: seguendo l’andamento della curva di riduzione del costo in funzione della potenza installata, tali obiettivi potranno essere raggiunti quando la potenza installata sarà tra 250÷500 MW (Fig.8).

Figura 9: suddivisione del CAPEX per l'estrazione di potenza dalla risorsa mareomotrice [14]

Ci sono margini di miglioramento per quel che riguarda la riduzione di CAPEX (Capital Expenditure) e OPEX (Operating Expenditure). Analizzando la composizione del CAPEX (Fig.9) si possono individuare aspetti su cui è possibile intervenire [4]:

 Peso dei dispositivi. Un maggiore peso significa un maggiore utilizzo di materiale con conseguente aumento di costo. Inoltre dispositivi più pesanti necessitano di un più efficace sistema di ancoraggio con ulteriori costi associati. I futuri dispositivi mirano ad utilizzare materiali innovativi;

 Sforzi sostenibili. Gli attuali materiali impiegati impongono una lunghezza massima consentita per le pale, al fine di limitare i carichi che altrimenti porterebbero alla rottura delle stesse. Il design delle pale però è il fattore che maggiormente influenza le prestazioni dei dispositivi e che quindi incide sul costo. Miglioramenti in tale direzione consentono di rendere più competitivo questo settore energetico  Complessità dei dispositivi. Una eccessiva complessità dei dispositivi comporta un

maggiore rischio di guasti e di conseguenza manutenzioni più frequenti. Da questo punto di vista i dispositivi di prima generazione beneficiano di una maggiore semplicità strutturale e di una più vasta esperienza pregressa;

 Minimizzare O&M (Operating & Maintenance). I dispositivi di prima generazione sono montati direttamente sul fondale perciò qualsiasi operazione di manutenzione deve essere effettuata senza possibilità di estrazione del dispositivo. Questo limita le

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ore di accessibilità a quelle diurne quando la luce è sufficiente a consentire tali operazioni, ciò comporta il protrarsi dei lavori per più giorni: l’ulteriore limitazione a cui si va incontro è quella imposta dalle condizioni metereologiche che soprattutto nella stagione invernale difficilmente risultano buone per svariati giorni consecutivi;  Power Take-off (PTO). I sistemi di PTO sono molteplici e con diverse caratteristiche, ma in ogni caso allungano la catena di conversione energetica andando a ridurre il rendimento complessivo: un miglioramento nell’efficienza di questi comporterebbe un beneficio nelle prestazioni e quindi nel costo di produzione dell’energia.

I dispositivi di seconda e terza generazione si muovono nella direzione di migliorare alcune delle criticità emerse per quelli di prima generazione ma attualmente siamo ancora ad un TRL tra 5÷8 e tra 3÷7 rispettivamente.

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Al 2018 la situazione dei progetti europei per l’energia da maree è sintetizzata in figura 10: riguardano sia tecnologie che hanno ormai raggiunto un livello pre-commerciale, sia tecnologie più innovative caratterizzate quindi da TRL inferiori a 8. Si nota come la maggior parte dei progetti sia interessato da turbine ad asse orizzontale, tecnologia che deriva direttamente dal settore dell’energia eolica. Di seguito si mostrano alcuni dei dispositivi installati e se ne dà una breve descrizione.

Nova Innovation turbine installed at Shetland Tidal Array © Nova Innovation

Andritz Hydro Hammerfest turbine installed at Meygen, ©Meygen

Sabella D10. ©Sabella Assembly of OpenHydro turbine ©OpenHydro

Tocardo turbines at Oosterschelde. ©Tocardo

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Turbina Nova M100 [15]. È una turbina ad asse orizzontale con due sole pale da 100 kW (la potenza nominale è raggiunta per velocità di corrente di 2 m/s) con un rotore da 9 metri di diametro, installata a nord delle Shetland nel Bluemull Sound dal 2016. Viene ancorata al fondo mediante un sostegno molto pesante, ciò comporta un’impronta ambientale minima senza necessità di perforazione. Il rotore a velocità variabile consente di sfruttare al meglio correnti bidirezionali di marea senza necessità di imbardata o di regolazione dell’angolo di pitch delle pale, rimuovendo così le due principali cause di guasto (come riscontrato nelle turbine eoliche).

Open Centre Turbine [16]. La irlandese Open-Hydro Ltd. ha sviluppato la Open Centre Turbine. La sua tecnologia consiste in un rotore da 6 m di diametro che si muove lentamente dentro uno statore solidale ad un condotto ed un generatore elettrico da 250 kW. La Open-Hydro Ltd. è la prima società a fornire energia alla rete nazionale Britannica e la Open Centre Turbine è stata istallata dall’ EMEC. La società ha investito 5 milioni di euro per il progetto e la costruzione di un tipo speciale di chiatta per l’istallazione di queste turbine e nell’ottobre 2008 è stata scelta dall’EDF francese come suo principale fornitore.

Turbina Sabella [17]. La turbina Sabella è un dispositivo che non prevede angolo di pitch regolabile; il modello Sabella D10 ha un diametro di 10 m ed è provvista di 6 pale; ha una capacità di 0,5÷1,1 MW per velocità di corrente tra 3÷4 m/s: questo modello è lo sviluppo della tecnologia Sabella D03 (con diametro 3 m e potenza 10kW). Il prototipo di Sabella D10 è stato testato nell’estuario del fiume Odet in Bretagna nel 2008. Nel 2015 è stata installata nel passaggio di Fromveur vicino all’isola di Ouessant e connessa alla rete elettrica di quest’ultima. La turbina ha un’altezza di 17 m e un peso di 450 t.

Turbina AHH HS1000 [17]. Il dispositivo è una turbina ad asse orizzontale a 3 pale da 1MW ed è stato testato dalla Andritz Hydro Hammerfest (prima Hammerfest Strøm) nei test site della EMEC alla fine del 2011 ed ha iniziato a produrre energia elettrica nel 2012. La tecnologia alla base del modello HS1000 è quella del prototipo HS300 di taglia più piccola (300 kW): le pale della HS1000 sono fatte di vetro e fibre di carbonio per poter resistere a lungo nell’ambiente marino e posso essere regolate. Questa tecnologia sarà utilizzata nello stretto tra le isole di Islay e Jura a largo della costa occidentale della Scozia in un progetto da 10 MW. Sono state adottate inoltre nella taglia da 1,5 MW per il progetto MeyGen nel Pentland Firth.

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Turbina SeaGen [17] La turbina SeaGen (Fig.12) è stata sviluppata dalla Marine Current Turbine Ltd. (acquisita nel 2015 dalla Atlantis Resources) ed è stato il primo dispositivo al mondo della taglia di Megawatt ad essere stato connesso alla rete elettrica. È caratterizzato dalla presenza di due turbine ad asse orizzontale gemelle con due sole pale, fissate su un supporto che permette la risalita in superficie delle due turbine in caso di manutenzione. La SeaGen S da 1,2 MW (2 x 600 kW) è stata installata a nord dell’Irlanda nello Strangford Lough nel 2008 ed ha generato 8 GWh di energia elettrica dalla sua installazione. Il rotore è da 16 m e raggiunge la potenza nominale per una velocità di corrente di 2,4 m/s. È stata sviluppata anche una versione della SeaGen con supporto galleggiante detta SeaGen F: ha una potenza di 2 MW e nasce da una collaborazione tra Siemens e Bluewater Energy Services (Bluewater). La Bluewater ha sviluppato la piattaforma galleggiante e si sta avviando alla costruzione di un prototipo in scala reale detto BlueTEC: il supporto è adattabile a diverse tecnologie di turbine e mira a ridurre i costi di installazione e manutenzione.

Figura 12: turbina SeaGen [18]

Turbina Tocardo [19]. La Tocardo, la cui sede centrale è nei Paesi Bassi, offre turbine di taglia variabile tra 100 e 1000 kW: le più piccole sono adatte per usi in fiumi o installazioni poco lontane dalla costa, viceversa dispositivi più grandi sono progettati per installazioni lontane dalla costa. Nel 2013 la turbina T-1 è stata testata nel Mare dei Wadden (Paesi Bassi): le pale sono costituite da materiale composito prodotte da Airborne Marine. La T-2 ha diametri variabili tra 4,7 e 9,9 m con potenze tra 100 e 250 kW [20].

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Figura 13: stato al 2018 dei progetti di R&D per energia mareomotrice classificati in base al tipo di tecnologia, TRL e finanziamenti pubblici. I progetti perimetrati da una linea rossa sono finanzianti dall’Unione Europea [13]

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1.1.3 Problematiche ambientali

Oltre all’aspetto energetico bisogna però tenere conto anche dell’inevitabile impatto ambientale che consegue ad ogni attività antropica e che investe ogni fase del progetto dalla costruzione, conduzione e dismissione dei dispositivi TEC. Le principali criticità sono di seguito elencate [21]:

 i dispositivi TEC possono alterare l’idrodinamica locale causando una riduzione della velocità del flusso, questo può far si che venga alterato il naturale percorso di una corrente costringendola a passare laddove la resistenza idrodinamica risulti minore rispetto a quella offerta dalla schiera di turbine (problema maggiormente evidente in caso di grandi impianti), di conseguenza questo può avere effetto sul trasporto di sedimenti e anche sulle loro dimensioni alterando così le caratteristiche del fondale: la presenza delle turbine infatti altera la velocità del flusso rallentandola, ma a correnti di velocità elevata sono associati fenomeni di raschiamento del fondale, viceversa in presenza di flusso lento si ha maggiore deposizione di materiale. Il campo di moto quindi influenza la morfologia e la composizione geochimica del fondale e conseguentemente la tipologia di fauna marina associata ad un certo habitat bentonico (cioè tutti quegli organismi acquatici che vivono in stretto contatto con il fondale o fissati ad un substrato solido) (Fig.14).

Figura 14: esempi di diversi habitat bentonici (ostriche, distese di alghe, anfipode tubicolo tipo di crostaceo minuscolo, sabbia)[21] Inoltre la variazione del percorso delle correnti può avere effetti anche sul trasporto delle sostanze nutritive alterando potenzialmente tutta la struttura della catena alimentare: si fa riferimento in particolare al plancton, cioè tutto l’insieme degli

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organismi acquatici galleggianti che non essendo in grado di dirigere attivamente il loro movimento si lasciano trasportare dalle correnti o dal moto ondoso. Del plancton fanno parte sia organismi vegetali che organismi animali, si parla dunque di fitoplancton e di zooplancton rispettivamente. Per fitoplancton si intendono quegli organismi in grado di sintetizzare sostanza organica a partire dalle sostanze inorganiche disciolte nell’acqua (principalmente azoto e fosforo) utilizzando la radiazione solare come fonte di energia. I dispositivi TEC potrebbero avere sia impatti diretti che indiretti sul fitoplancton [22]: dei primi fanno parte ad esempio l’inabissamento del fitoplancton imposto dalle variazioni sul flusso della corrente, di conseguenza in mancanza di una adeguata intensità luminosa il fitoplancton non riesce ad accrescersi, in maniera indiretta invece le variazioni di flusso potrebbero provocare una diluizione dei nutrienti rendendo difficile la crescita del fitoplancton. Altrove invece un’eccessiva concentrazione di nutrienti (eutrofizzazione) può portare, specie in prossimità della costa, al proliferare di alghe: queste riducendo la disponibilità di ossigeno alterano la biodiversità e riducono anche l’intensità della radiazione luminosa costituendo una barriera fisica al passaggio della luce, di conseguenza ciò influenza l’attività del fitoplancton come prima descritto.

Sul fondale però l’installazione di dispositivi TEC può portare anche a dei benefici: la presenza dei dispositivi impedisce la pesca a strascico a beneficio dell’ambiente marino, inoltre le strutture forniscono una sorta di “scogliera” artificiale in grado di permettere l’insediarsi di alcune specie viventi compatibilmente con il livello di manutenzione necessario al dispositivo.

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Situazioni ancora più delicate si possono individuare in zone di interesse per l’energia mareomotrice che sono anche sede di aree protette, come ad esempio nella zona del Pentlant Firth [23] (Fig.15): la collocazione dei dispositivi in schiere, che occupano in parte o totalmente la lunghezza dello stretto tra i vari isolotti, provocherebbe la deviazione del flusso di corrente verso zone a minore resistenza idrodinamica, di conseguenza verrebbe influenzata la distribuzione e il trasporto dei sedimenti nonché dei nutrienti e dei pesci che di questi si cibano. I cambiamenti si rifletterebbero poi anche sulle innumerevoli specie di uccelli marini che trovano nelle coste sabbiose della zona un terreno favorevole alla riproduzione;

 i dispositivi TEC producono rumore: sia nella fase di installazione, in cui l’incremento del traffico marino e le lavorazioni associate aumentano il livello di rumore e vibrazioni registrate, sia anche durante la normale conduzione dei dispositivi. Tale situazione comporta preoccupazione rispetto a quegli organismi viventi, come ad esempio i cetacei, che risultano molto sensibili alle frequenze acustiche di cui si servono per gli spostamenti, per le comunicazioni e per il procacciamento del cibo. Il livello di impatto risulta mitigato in quei siti con elevate correnti, dove quindi il rumore ambientale di sottofondo è intenso: studi preliminare mostrano infatti un basso effetto dei dispositivi TEC in ambienti con elevato rumore di sottofondo anche se tali studi necessitano di essere implementati relativamente ad una schiera di dispositivi di grandezza associabile ad uno stadio commerciale. D’altro canto però, un basso livello di rumore emesso dai dispositivi TEC potrebbe comportare un rischio collaterale: ciò renderebbe difficile infatti, da parte degli organismi viventi, di individuare i dispositivi con conseguente rischio di collisione, di cui si parlerà di seguito;

 in prossimità del cablaggio della rete si creano campi elettrici e campi magnetici indotti, nonché campi elettrici aggiuntivi generati dal passaggio dell’acqua o di animali attraverso il campo magnetico indotto. Questi campi possono avere influenze negative in particolare su quelle specie viventi che usano il campo magnetico terrestre per orientarsi negli spostamenti stagionali; gli elasmobranchi come squali e razze, prendono consapevolezza delle informazioni spaziali investigando i campi generati dal movimento delle correnti e dal movimento dei pesci nel campo magnetico terrestre. Gli squali hanno mostrato sensibilità ai campi elettrici ma non ci sono prove di sensibilità ai campi magnetici. Ci sono prove dell’influenza dei campi magnetici su certi mammiferi e sugli organismi bentonici (anche se non ci sono evidenze a riguardo del campo elettrico): questi ultimi sono i più esposti al campo magnetico generato dal cablaggio poiché esso è più intenso in prossimità del fondale, come mostrato in figura 16;

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Figura 16: intensità del campo magnetico [T] in prossimità del cablaggio, la linea orizzontale sta a rappresentare il fondale [21]  rischio di rilascio di sostanze chimiche nell’ambiente marino[24]: si utilizzano infatti

oli lubrificanti per le parti in movimento, rivestimenti corrosione e vernici anti-sporco. Date le basse concentrazioni, i rilasci di dette sostanze non sono tali da indurre la morte degli organismi viventi, ma possono influenzare negativamente la crescita, il sistema sensoriale e il comportamento delle specie marine. Inoltre anche se nel breve termine piccole concentrazioni possono provocare danni limitati, esposizioni continue a tali inquinanti possono portare a lungo termine al cosiddetto bioaccumulo. Non solo: le operazioni di posa del cablaggio (ed eventuale rimozione dopo la dismissione dell’impianto) nonché la normale conduzione dei dispositivi provoca sul fondale la ri-sospensione dei sedimenti e di eventuali contaminanti come ad esempio metalli pesanti, nonché un aumento della torbidità dell’acqua; tali fenomeni sono meno influenti man mano che ci si allontana dalla costa poiché si può godere di una maggiore capacità di diluizione in mare aperto: i siti di maggiore interesse per i dispositivi TEC sono però generalmente situati in prossimità della costa come già descritto;

 le schiere dei dispositivi TEC costituiscono anche una barriera fisica al passaggio della fauna marina, con rischio di collisione per quest’ultima. Studi preliminari sulle turbine ad asse orizzontale [25] hanno mostrato come i pesci siano in grado di evitare i dispositivi soprattutto quando sono in banchi e durante le ore diurne, grazie al comportamento sociale e alla maggiore visibilità. Maggiore preoccupazione destano siti come lagune, dove risulta più difficile ai pesci evitare la collisione con le turbine. A titolo di esempio si veda la figura 17 dove viene predetta la zona di rischio

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collisione per una turbina ad asse orizzontale di 5 metri di diametro la cui velocità di rotazione è sufficiente a causare lesioni o addirittura la morte degli animali.

Figura 17: previsione della zona di impatto dannoso per gli animali nei confronti di una turbina ad asse orizzontale [21] Tali rischi si possono ridurre adottando un opportuno design per i dispositivi: infatti turbine con diametri più grandi e velocità di rotazione limitate riducono il pericolo, rispetto a turbine con diametri più piccoli. Anche l’architettura delle schiere di turbine è di fondamentale importanza al fine di prevenire incidenti, studiando opportuni distanziamenti tra i dispositivi per consentire l’agevole transito della fauna marina. Ad ogni modo metodologie per lo studio dell’interazione tra pesci (ma anche mammiferi) e dispositivi TEC devono ancora essere sviluppati correttamente.

1.2 Panoramica sui codici di circolazione oceanica

1.2.1 Caratteristiche dei principali codici Open Source

I modelli numerici di circolazione consentono la riproduzione dei campi di velocità che permettono di studiare la dinamica delle correnti, l’evoluzione della colonna d’acqua e la sua stratificazione. Queste informazioni risultano utili nella gestione della zona costiera, sia direttamente, in quanto forniscono le informazioni sullo stato fisico del sistema, sia indirettamente in quanto forniscono i campi forzanti fondamentali per l’utilizzo di modelli specializzati, quali i modelli di erosione costiera e dell’evoluzione dell’ecosistema. Ci sono inoltre diversi modelli quali ad esempio modelli idrodinamici, ecologici e biogeochimici, trasporto di sedimenti, lagrangiani e altri che permettono di investigare vari aspetti del sistema considerato. Ognuno di questi modelli può essere integrato all’interno del modello numerico di circolazione attraverso differenti moduli, si parla allora si suite di modelli. Tutto ciò consente di valutare l’impatto umano sui fenomeni naturali, permettendo di sviluppare possibili scenari e previsioni realistiche. Data la complessità del sistema studiato, l’approccio modellistico alle problematiche della gestione costiera deve essere quanto mai interdisciplinare.

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I modelli di circolazione sviluppati nel corso degli anni sono di diverso tipo, la scelta tra

l’uno o l’altro dipende dall’applicazione per cui sono destinati; l’oceano è un sistema molto turbolento i cui moti sono influenzati da fenomeni di interfaccia acqua-aria come venti e scambi di flussi di calore, da fenomeni di attrito associati al fondale, da mescolamenti interni e dalla forza di Coriolis. Risulta perciò difficile costruire un modello oceanico universale dato l’elevato onere computazionale che richiederebbe e l’inaccuratezza che caratterizzerebbe alcuni aspetti come la turbolenza, perciò si sviluppano diverse classi di modello in base al fenomeno a cui si è interessati.

C'è comunque un crescente interesse a coprire anche vaste gamme di processi fisici, a differente scala spaziale e temporale, investigando eventuali interazioni non limitandosi quindi all’analisi di un particolare aspetto/fenomeno bensì integrandone diversi insieme. Questa è la direzione che sta prendendo la ricerca nell’ambito dei modelli numerici di circolazione, il che renderà indispensabile un adeguato potere computazionale e la corretta riproduzione delle risoluzioni.

Generalmente i diversi modelli numerici idrodinamici si possono distinguere in base ad alcune caratteristiche [26]:

 globali o regionali: i primi riproducono l’intero globo e richiedono dunque un elevato onere computazionale che dipende dalla risoluzione spaziale e temporale richiesta, per i secondi invece la problematica principale è quella di imporre le condizioni lungo i boundaries aperti, cioè zone in cui il dominio computazionale confina con altri bacini marini; spesso per superare questa difficoltà si accoppiano modelli in scala regionale a modelli in scala globale applicando tecniche di nesting: il nesting [27] consiste nell’innestare una griglia a risoluzione più alta (rapporto di risoluzione 1:3) forzata al boundary aperto in una griglia a risoluzione minore;

 costieri o di bacino profondo: nelle zone costiere la circolazione è influenzata dall’azione del vento, dalla presenza del fondale ma anche da gradienti termoalini dovuti a flussi che si verificano all'interfaccia aria-mare e land-sea, all'effetto di sorgenti di freshwater (fiumi) e alle maree; nei bacini profondi (da intendersi caratterizzati da batimetrie profonde e non modelli che si occupano esclusivamente della dinamica del fondale) invece i moti sono guidati principalmente dai gradienti orizzontali, specialmente al di sotto dello strato di rimescolamento superiore: quest’ultimo però può essere risolto in maniera meno scrupolosa senza grosse ripercussioni sui risultati generali;

 con rigid lid o superficie libera: ponendo un “coperchio rigido” è possibile trascurare le onde di gravità esterne, la scelta tra le due varianti risiede nel tipo di fenomeno che si vuole analizzare; il modello free surface è utilizzato sia per applicazioni in acque poco profonde sia per modelli globali;

 idrostatici o non idrostatici: nei primi si adotta l’approssimazione idrostatica secondo cui la velocità verticale è dedotta dalla continuità escludendo di fatto l'accelerazione

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verticale di velocità; la stabilità statica della colonna d’acqua è significativa in un oceano stratificato perciò, nell’equazione del bilancio di quantità di moto verticale, il gradiente di pressione bilancia la forza di gravità. Tale approssimazione non risulta valida laddove la stratificazione non sia stabile: ciò si verifica ad esempio in presenza di sorgenti d’acqua sotterranea come per il caso dei citri del Mar di Taranto [28], in presenza di produzione di dense water (acqua densa dovuta a gradienti termoalini) oppure laddove ci siano forti gradienti di accelerazione verticale dovuti ad elevate pendenze della batimetria che si verificano ad esempio in presenza di Canyon. Se con approssimazione idrostatica si tiene comunque conto della componente orizzontale dell’accelerazione di Coriolis allora si parla di modelli quasi-idrostatici;

 completi o puramente dinamici: se al di sotto dello strato superficiale la densità varia molto lentamente e quindi i gradienti sono poco pronunciati, allora si possono usare i modelli puramente dinamici i quali trascurano le variazioni di densità nel tempo considerando quindi valida l’approssimazione di Boussinesq [29]: la densità viene considerata costante eccetto quando viene moltiplicata per g (accelerazione di gravità) nelle equazioni del campo di pressione. L’assunzione richiede che siano verificati una serie di requisiti: le velocità in gioco devono essere piccole rispetto a quella del suono c, ciò assicura che non vi siano variazioni di densità legate alla velocità, come per esempio il formarsi di onde d’urto; è richiesto inoltre che la scala del moto verticale sia piccola rispetto al rapporto 𝑐 𝑔, ciò assicura che l’aumento di pressione con la profondità, produca piccole variazione di densità; inoltre l’approssimazione di Boussinesq richiede che non siano presenti onde sonore nel sistema studiato, l’approssimazione infatti richiede che il flusso sia incomprimibile, ciò comporterebbe una velocità di propagazione delle onde sonore infinita. Tutte le altre onde si propagano con velocità piccole rispetto a quella del suono. I modelli puramente dinamici sono ad esempio utilizzati per studiare l’effetto dello stress del vento in superficie. Appartengono inoltre a questa categoria i cosiddetti modelli a layer: questi consentono di soffermarsi su un numero limitato di strati verticali, il che consente di avere una migliore risoluzione orizzontale laddove necessaria

 barotropici o baroclini: nei primi si trascurano i gradienti di densità cosicché le correnti risultano indipendenti dalla profondità. Questo modello ben si adatta all’analisi di alcuni fenomeni come le fluttuazioni della superficie marina dovuta alle maree. I baroclini invece tengono in considerazione i gradienti di densità orizzontale e lungo la colonna d’acqua;

 accoppiati o non con l’atmosfera;

 modelli Euleriani e modelli Lagrangiani: nei modelli Euleriani il volume di controllo all’interno del quale si risolvono le equazioni di bilancio è mantenuto fisso e si determinano le proprietà del flusso (p, v, ρ, T) in funzione dello spazio e del tempo. Nell’approccio Lagrangiano invece il volume di controllo è mobile ed è rappresentato dalla singola particella di fluido che si muove nel campo di moto. Le proprietà del flusso vengono quindi determinate a partire dalle proprietà della particella di fluido che si muove nel tempo;

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Da un punto di vista più tecnico le caratteristiche sono:

 il tipo di mesh (discretizzazione orizzontale), che può essere strutturata o non: quest’ultima consente di avere un maggiore infittimento nelle zone di interesse senza necessità di propagare tale infittimento fino agli estremi del dominio. La griglia non strutturata consente inoltre una migliore simulazione e adattamento a forme particolari come le coste (Fig.18): nel caso di griglia non strutturata il downscaling viene fatto aumentando progressivamente la risoluzione della griglia dove necessario, mentre con griglie strutturate per effettuare il downscaling si adottano tecniche di nesting. Le griglie strutturate prevedono una discretizzazione spaziale mediante quadrilateri (regolari o non, si parla allora di griglie stretched) in 2D che diventano celle esaedriche in 3D, mentre per griglie non strutturate si utilizzano triangoli e tetraedri rispettivamente in 2D e in 3D;

Figura 18: esempio di griglia strutturata e non strutturata [30]

 la discretizzazione verticale può essere effettuata mediante il sistema di coordinate z, σ o isopicnico (Fig.19). Nel sistema di coordinate z la coordinata verticale è proprio la profondità; questa è la schematizzazione più semplice e porta a risultati soddisfacenti laddove è presente un buon mescolamento verticale; questo tipo di discretizzazione porta ad un’approssimazione nella riproduzione della batimetria. Nel sistema di coordinate σ invece, la coordinata verticale segue l’andamento batimetrico, ci sono dunque lo stesso numero di punti in direzione verticale indipendentemente dalla profondità della colonna d’acqua. Le linee possono essere infittite in zone di interesse oppure risultare equispaziate. È particolarmente adatto all’utilizzo in regioni costiere anche se può dare origine ad errori di gradiente di pressione, mitigati incrementando la risoluzione orizzontale oppure introducendo termini correttivi (come ad esempio nel calcolo dei gradienti baroclini). L’ultimo sistema di coordinate è quello isopicnico in cui la colonna d’acqua viene divisa in strati dove la densità risulta omogenea; lo spessore di tali strati varia nello spazio ma

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anche nel tempo. Questo modello è particolarmente adatto a simulare il trasporto di sostanze che generalmente procedono su superfici a densità costante [31];

a) b) c) Figura 19: sistema di coordinate z a), σ b) e isopicnico c) [31]

 possono utilizzare i metodi delle differenze finite, dei volumi finiti oppure degli elementi finiti. Il metodo delle differenze finite anziché utilizzare un set di equazioni differenziali, associate a punti del dominio, le rimpiazza con equazioni alle differenze parziali cioè sostituendo ai termini con derivate i rispettivi rapporti incrementali; questo metodo è il più diretto e solitamente viene associato a griglie strutturate. Il metodo dei volumi finiti suddivide il dominio in volumi di controllo sui quali si risolvono le equazioni di bilancio in forma integrale. Il metodo degli elementi finiti vede il dominio suddiviso in volumi di forma più o meno complessa in cui la funzione approssimante, che descrive l’andamento di una certa grandezza all’interno dell’elemento, è fornita come combinazione lineare delle soluzioni nei nodi del dominio e delle funzioni di forma che solitamente sono polinomiali di vario grado; questo consente di ottenere una descrizione accurata dei campi delle grandezze fisiche, tanto più accurati quanto più è elevato il grado delle polinomiali. Sia il metodo dei volumi finiti che quello degli elementi finiti consente di trattare meglio domini computazionali con geometrie particolari.

Il metodo alle differenze finite è il più semplice da implementare mentre quello agli elementi finiti il più difficoltoso [32][33];

I codici di circolazione oceanica sviluppati fino ad oggi sono molteplici, di seguito ne verranno menzionati alcuni di tipo Open Source, alcuni dei quali sono stati utilizzati in anni recenti in studi relativi alla producibilità energetica e all'impatto ambientale di farm di turbine marine:

 TELEMAC (2D e 3D): il sistema è stato sviluppato dal Laboratoire National d’Hydraulique et Environnement, un dipartimento della Divisione di Ricerca e Sviluppo dell’Electricitè de France. Il suo algoritmo è basato sul metodo degli elementi finiti. Per rappresentare il dominio spaziale utilizza una griglia non strutturata con elementi triangolari che permettono di infittire la griglia

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limitatamente a zone di particolare interesse. Nel caso 3D la discretizzazione verticale utilizza il modello σ oppure possono essere utilizzate altri tipi di strategie. È disponibile sia nella versione idrostatica che non idrostatica. Il codice è stato ampiamente utilizzato per avere stime sulla producibilità energetica di certi siti geografici di interesse sempre adottando, per la simulazione di turbine, modelli molto semplici e grossolani da un punto di vista energetico [34] [35]; ci sono esempi di utilizzo del codice anche per valutazioni di impatto ambientale delle turbine in particolare sul trasporto di sedimenti come in [8];

 FVCOM 3D (Finite Volume Comunity Ocean Model) è un codice idrodinamico sviluppato dai ricercatori dell’University of Massachussets Dartmouth e della Woods Hole Oceanographic Institution originariamente pensato per lo studio degli estuari; è un codice del tipo superficie libera ed è in grado di seguire il terreno quindi con discretizzazione verticale di tipo σ o simili; utilizza una griglia non strutturata con elementi tetraedrici ed è basato sul metodo dei volumi finiti: questo approccio combina i vantaggi degli elementi finiti (flessibilità della griglia) con quelli delle differenze finite (efficienza numerica e semplicità del codice) e fornisce una migliore rappresentazione numerica sia di variabili locali che globali. Il modello risolve le equazioni di quantità di moto, continuità, temperatura, salinità e densità e la chiusura è data da sotto-modelli di turbolenza. Anche questo codice è stato utilizzato per studi che prevedono la presenza di dispositivi TEC [36] [37];

 ROMS (Regional Ocean Modeling System) sviluppato dai ricercatori della Rutgers University e della University of California è un codice del tipo superficie libera ed è in grado di seguire il terreno quindi con discretizzazione verticale che in questo caso è un ibrido tra il modello z e σ ; utilizza il metodo alle differenze finite con una griglia strutturata stretched. Viene utilizzata sia l’approssimazione idrostatica sia quella di Boussinesq secondo cui vengono trascurate le differenze di densità eccetto per quei termini dove la densità è associata alla gravità: questo consente quindi di trascurare le variazioni di densità per uno stesso fluido ma permette comunque di apprezzare la stratificazione che si crea in presenza di fluidi diversi. Anche questo codice è stato usato per studi che prevedono la presenza sia di singoli dispositivi TEC [38] che farm [39] [40];

 SHYFEM (Shallow Water Hydrodynamic Finite Element Model) è un codice sviluppato presso l’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) del CNR di Venezia. Utilizza il metodo degli elementi finiti associato ad un approccio risolutivo di tipo semi-implicito che rendono il codice particolarmente appetibile in applicazioni con geometrie e batimetria complicate. La griglia è non strutturata con elementi triangolari e si assume l’ipotesi idrostatica anche se il codice consente anche l’utilizzo dell’opzione non idrostatica. Questo codice non è mai stato utilizzato per studi sullo sfruttamento di correnti di marea da parte di dispositivi TEC; esistono applicazione pregresse che integrano il codice SHYFEM con solver CFD: è il caso ad esempio dello

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studio sullo onde indotte dal passaggio di navi nelle acque poco profonde della laguna di Venezia [41]. In questa particolare applicazione viene utilizzata una nuova metodologia di analisi che consiste in una catena numerica: il solver CFD Xnavis viene utilizzato per individuare il campo di moto e il livello dell’acqua in una zona limitata nei pressi dello scafo della nave; questi risultati vengono poi immessi in SHYFEM e utilizzati come forzante esterna lungo la traiettoria della nave. SHYFEM è il codice che verrà preso in esame in questa tesi, maggiori informazioni verranno fornite in seguito.

1.2.2 Criticità nella simulazione di farm di turbine

I codici di circolazione oceanica non sono pensati per tenere in considerazione anche la presenza di dispositivi TEC; si adottano a questo scopo due diversi approcci: l’aggiunta di un ulteriore fattore di attrito sul fondale che tenga conto del rallentamento imposto al flusso (in [42] si evidenziano alcune criticità di questo tipo di analisi), oppure l’introduzione di termini di forze frenanti sul flusso. La prima strada è adottata solitamente in simulazioni 2D che porta però a predizioni approssimate e manca inoltre di una descrizione del flusso verticale e quindi del mescolamento che si verifica in scia, il secondo approccio invece è seguito per le simulazioni 3D. In entrambi i casi il rallentamento imposto al flusso è calcolato mediante il coefficiente di potenza CP definito come:

𝐶 = 𝑃

1 2𝜌𝑈 𝐴

dove P è la potenza estratta, U è la velocità del flusso indisturbato e A è l’area del disco del rotore. Si tiene quindi conto delle prestazioni globali della turbina: il CP è fornito come dato

di input e non calcolato in base alle caratteristiche geometriche delle pale e alle condizioni operative, perciò oltre alla grossolana modellazione spaziale, secondo cui in tutte le celle occupate dalla turbina viene inserita la forza frenante correlata al CP globale, non tenendo

conto che le pale lavorano in maniera diversa al variare della sezione considerata, si aggiunge anche la grossolana approssimazione temporale, cioè si utilizza un CP fisso (in [6]

ad esempio viene condotta una simulazione 2D dove viene imposto un coefficiente di attrito aggiuntivo costante e pari a 0,8) indipendentemente dalle condizioni imposte al flusso che sono variabili nel tempo; i codici di circolazione oceanica infatti possono fornire in maniera dettagliata le condizioni di flusso come ad esempio le oscillazioni imposte dalle maree. La stragrande maggioranza di studi di turbine o farm di turbine, mediante l’utilizzo di codici di circolazione oceanica, colloca il dispositivo TEC all’interno di un’unica cella [36] [37] mentre simulazioni più accurate prevedono una discretizzazione della griglia tale per cui la turbina occupa diverse celle: in [42] ad esempio la risoluzione minima delle celle è di 1 m a fronte di un diametro di turbina ad asse orizzontale di 10 m mentre in [43] viene esplicitamente assegnato una risoluzione di 30, 10 e 20 m rispettivamente per le direzioni x, y e z con una turbina ad asse orizzontale con diametro di 30 m. E' evidente che con griglie

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così lasche sarebbe comunque impossibile riprodurre la resa variabile tra radice e punta della pala; ad esempio anche assumendo un CP non uniforme sul disco rotore, non si

riuscirebbe a riprodurre le perdite fluidodinamiche che si verificano alla radice e alla punta delle pale.

Tentativi di miglioramento cercano di variare il valore del CP in base alla profondità [44]

dando quindi una sorta di distribuzione spaziale lungo le pale, tenendo perciò in qualche modo in considerazione il differente comportamento delle diverse sezioni di pala della turbina, ma nulla di riconducibile alla teoria BEM, per la quale il CP è l'output di un

problema che richiede in input caratteristiche geometriche della turbina, coefficienti di portanza e resistenza in funzione dell'angolo di attacco e di numero di Reynolds, velocità di rotazione del rotore, grado di regolazione dell'angolo di pitch delle pale. In altre parole, questi codici sono stati utilizzati per stimare grossolanamente la producibilità energetica e l'impatto macroscopico delle turbine sull'ambiente senza però alcuna attenzione alla turbina che è considerata quasi sempre "puntiforme" e a resa fissa. Il lavoro più avanzato ed accurato in questo senso lo si ritrova in [43] e [45] dove nelle equazioni di quantità di moto vengono introdotte le forze impresse al fluido calcolate mediante la teoria del disco attuatore e vengono introdotti anche termini sorgente di turbolenza, mediante formulazioni empiriche finalizzate a tenere in qualche modo conto della generazione di turbolenza che si osserva nelle scie generate dalle turbine marine.

Inoltre poiché la maggior parte dei codici di circolazione oceanica sono di tipo idrostatico, nelle equazioni di bilancio della quantità di moto non si tiene conto dei termini di pressione non idrostatici. Perciò le previsioni fatte da questi codici risultano non valide nelle immediate vicinanze della turbina, mentre possono essere ritenute valide a 4 ÷ 6 diametri di distanza: anche se la distanza, alla quale l’approssimazione di pressione lineare con la profondità ritorna ad essere valida, dipende dalla turbolenza introdotta e dalla configurazione del dispositivo, è stato osservato [44] che con buona approssimazione essa rientra nel range menzionato. In [43] ad esempio si analizza il comportamento della scia generata in un caso da due dispositivi allineati e nell’altro si aggiunge ai due dispositivi presenti un terzo in scia a questi, ad una distanza di 3 diametri. Analizzando le scie a 5, 7 e 9 diametri di stanza dalla schiera originale, il confronto dell’andamento della velocità in scia tra i dati sperimentali e quelli delle simulazioni mostra buona corrispondenza (studi simili con singolo dispositivo in [45]). E tuttavia tali studi si riferiscono sempre a turbine ad asse orizzontale, la cui scia ha una struttura cilindrica molto allungata poiché viene ri-energizzata solo blandamente dal flusso esterno ad elevata energia cinetica. Assai diverso è il caso delle turbine ad asse verticale, per le quali la letteratura sperimentale [46] mostra scie asimmetriche e corte, poiché rapidamente ri-energizzate da potenti moti convettivi, essenzialmente verticali, generati dai vortici rilasciati dalle punte delle pale. La figura 20 mostra i vettori velocità misurati sperimentalmente ad 1 diametro a valle della turbina; il diagramma riporta soltanto metà scia (è riportata la metà alta, la metà bassa è simmetrica),

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le linee grigie indicano l’ingombro della turbina. Si nota la forte asimmetria e tridimensionalità del campo di moto; si notano anche gli effetti alle punte, con elevata vorticità introdotta a y/R pari a –1. E' quindi evidente che nel caso di turbine ad asse verticale l'approssimazione idrostatica è scarsamente realistica.

Figura 20: nella figura si evidenziano i vettori velocità nella near wake che ri-energizzano il flusso [46]

Nelle maggior parte degli studi di schiere di turbine inoltre, esse vengono considerate come un blocco unico, trascurando l’effetto che i dispositivi hanno gli uni sugli altri. In ogni caso sono sempre state valutate turbine ad asse orizzontale, non ci sono tentativi di implementazione di turbine ad asse verticale.

I limiti sopra descritti portano ad un’approssimazione grossolana del campo di moto: se si vuole però investigare l’impatto ambientale che i dispositivi TEC hanno, in particolare le ripercussioni sul flusso, e quindi sul trasporto di sedimenti e altre sostanze, sarebbe opportuno avere dei modelli più accurati. Non solo, è possibile pensare ad un futuro utilizzo di questi codici per valutazioni di tipo energetico, poiché forniscono la possibilità di simulare domini conformi alla realtà costiera dei siti di interesse oltre a poter implementare in maniera accurata le condizioni di mare (correnti, onde e così via); è però indispensabile che vengano implementati con modelli energetici di simulazione idonei, nei quali le turbine siano rappresentate con le loro reali caratteristiche geometriche e operative, in modo tale che le prestazioni vengano calcolate a partire dalle condizioni esterne e non imposte a priori.

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1.2.3 Il codice SHYFEM

Come già accennato il modello idrodinamico SHYFEM [47] [48] [49] è di tipo 3D Shallow Water Hydrodynamic, sviluppato nel centro di ricerca italiano, CNR-ISMAR di Venezia e ha la particolarità di essere Open Source: ciò in un’ottica di Open Science consente a tutti gli utenti che abbiano le conoscenze necessarie e l’interesse, di contribuire allo sviluppo e al miglioramento del modello, condividendo le loro esperienze per il progresso collettivo in quest’ambito della conoscenza.

Il metodo agli elementi finiti consente di riprodurre complesse morfologie, nel modello possono essere tenuti in considerazione sia un gradiente di pressione baroclino che barotropico, forzanti esterne come il vento, l’attrito sul fondale, la forza di Coriolis e la presenza delle onde. Una delle possibili formulazioni dell'attrito al fondo è quella di Strickler la quale prevede che il coefficiente di attrito non sia costante, ma vari con la profondità.

Per quanto riguarda le condizioni al contorno, esistono gli open boundaries [50], cioè quelli in cui il bacino d’acqua comunica con altre acque, e i closed boundaries. Per i primi viene specificata una sezione $bound nel file .str dei settaggi, una sezione per ogni boundary: all’interno di ogni sezione è possibile imporre informazione in 3D riguardo salinità, temperatura, velocità, concentrazione di traccianti (e.g. per trasporto di sedimenti). Gli open boundaries possono essere di due tipi: o si specifica il livello dell’acqua oppure si specificano i flussi. Il parametro che indica il tipo di boundary è ibtyp: il valore 1 indica il livello mentre 2 o 3 indicano un flusso. Per i closed boundaries invece la velocità normale è imposta uguale a zero mentre la tangenziale è una variabile libera: ciò corrisponde ad avere una slip condition.

Il modello idrodinamico è anche associato ad un modello per le onde prodotte dal vento che tenga conto di generazione, propagazione e dissipazione delle onde sia in aree costiere che in mare aperto. Nel modello sono previsti anche i moduli di trasporto Euleriano e Lagrangiano per simulare i termini avvettivi e diffusivi dei traccianti passivi: ciò consente di risolvere in maniera efficiente sia il comportamento di sostanze chimiche disciolte come nutrienti e metalli pesanti, sia i traccianti dispersi come gli idrocarburi.

Per poter quindi considerare in maniera efficace i diversi fenomeni che si manifestano nel sistema marino e oceanico, vengono integrati nel modello idrodinamico altri modelli numerici:

 SEDTRANS, modello per il trasporto di sedimenti  EUTRO-WASP, modello ecologico

 BFM, modello per gli ecosistemi  WWMII, modello per le onde e vento

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Il codice SHYFEM è stato utilizzato in diverse applicazioni come di seguito mostrato:  Lagune. Le zone lagunari sono ambienti difficilmente predicibili, caratterizzati da

elevate variabilità temporali, spaziali e bio-geo-chimiche. Ciò è fondamentalmente dovuta alla elevata salinità, al gradiente di temperatura ai volumi in gioco limitati costretti in acque poco profonde. Mediante il codice SHYFEM è stato possibile effettuare studi su lagune [51] [52] del mediterraneo come quella di Venezia, di Marano-Grado, il bacino di Taranto, la laguna di Cabras in Sardegna, la laguna di Mar Menor in Spagna e la laguna di Nador in Marocco;

 Estuari e zone costiere. Queste zone sono aree dinamiche, sedi di cambiamenti naturali e sempre più interessate da insediamenti umani. Occupano meno del 15% del totale delle terre emerse ma ospitano più del 50% della popolazione mondiale ( si stima che 3,1 miliardi di persone vivono a meno di 200 km dal mare). Le zone costiere sono particolarmente vulnerabili nei confronti dei cambiamenti climatici, in particolare l’innalzamento del livello del mare e la perdita di terre. Le simulazioni numeriche sono utili per valutare il comportamento altamente dinamico delle coste [53] [54];

 Mare regionali. Le simulazioni di ambienti con complicate morfologie costiere risulta utile per pratiche costali ingegneristiche e per la pianificazione di manovre navali. Alcune applicazioni del codice SHYFEM in mari regionali, come il Mar Mediterraneo o il Mar Nero, riguardano ad esempio l’influenza di maree e onde nel determinare il livello del mare [55] [56] [57], valutazioni sull’ondata di tempesta e onde generate dai venti dell’uragano Ivan nel Golfo del Messico;

 Laghi. Sono luoghi di interesse dato che ospitano molte specie di pesci, piante e uccelli di rilevanza anche economica; mediante SHYFEM sono state investigate le dinamiche di alcuni importanti laghi europei come il Lago di Ginevra o il Lago di Garda;

 Previsioni operative. La previsione delle condizioni marine e quindi correnti, onde, livello del mare e così via è necessaria per implementare al meglio anche le altre tipologie di simulazione [58]. SHYFEM è il codice alla base del sistema operativo KASSANDRA [59] (nato dalla collaborazione di diversi soggetti) per la previsione di storm surge nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero: in questo sistema SHYFEM (corredato dal modello per maree e per onde WWMII) viene integrato con i dati di input forniti da un modello meteorologico sviluppato da ISAC-CNR di Bologna;

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1.3 Modelli ibridi BEM-CFD

1.3.1 Relazioni basilari dell’approccio BEM

In alternativa al CFD puro, sono stati introdotti modelli ibridi semplificativi che sfruttano i principi derivanti dalla teoria del Blade-Element Momentum (BEM). Secondo questo approccio si va ad investigare l’entità delle forze che agiscono appunto su ogni elemento di pala definito come la sezione di pala collocata ad un raggio generico 𝑟 e di spessore infinitesimo 𝑑𝑟, come mostrato in figura:

Figura 21: rappresentazione grafica dell'elemento di pala in 3D [60]

Figura 22: velocità e forze agenti sull'elemento di pala [60]

L’elemento di pala sarà investito da un flusso con velocità relativa W, data dalla composizione tra la velocità assoluta del flusso e la velocità di trascinamento dovuta al moto delle pale. Tale W sarà caratterizzata anche da un angolo di attacco che influirà sul valore dei coefficienti di portanza e resistenza CL e CD rispettivamente, caratteristici del profilo alare

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preso in considerazione. In base a questi dati si calcolano i valori di portanza L e resistenza D come segue: 𝛿𝐿 = 1 2𝜌𝑊 𝐶 𝑐𝛿𝑟 Equazione 1 𝛿𝐷 = 1 2𝜌𝑊 𝐶 𝑐𝛿𝑟 Equazione 2 Da queste poi si ricavano le espressioni di coppia e potenza:

𝛿𝑄 = 𝛿𝐿𝑐𝑜𝑠(𝛷) + 𝛿𝐷𝑠𝑒𝑛(𝛷) 𝑟

Equazione 3 𝛿𝑃 = 𝛿𝑄 ∗ 𝛺

Equazione 4 Integrando poi su tutta la pala si trovano le grandezze di interesse. I modelli ibridi BEM-CFD sfruttano le forze calcolate mediante teoria BEM, cioè le forze di cui le pale risentono, e applicando il principio di azione e reazione, imprimono al flusso forze uguali e contrarie; nei modelli ibridi infatti le pale non vengono simulate: la parte di dominio che verrebbe spazzata dalle pale è invece rappresentata da celle di fluido alle quali però viene sottratta quantità di moto, mediante definizione di “sorgenti” di quantità di moto che imprimono al fluido le stesse forze di cui risentirebbe se le pale fossero davvero presenti. Poiché si tratta di perdite di quantità di moto, il segno dei termini sorgente sarà negativo.

1.3.2 Livelli di accuratezza: disco/cilindro attuatore, linea attuatrice

Il dominio fluido di spessore una cella interessato dalle pale prende il nome di disco attuatore nel caso turbina ad asse orizzontale HATT [44] [61] [62], o di cilindro attuatore nel caso turbina ad asse verticale VATT [63] [64] [65] (che si riduce ad anello attuatore nel caso 2D [66]); quest’ultimo può avere spessore di una cella o più in direzione radiale.

a) b)

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Si osservi che nella versione più semplice disco/cilindro (attuatore), l'azione delle pale è distribuita su tutto il disco/cilindro, cioè localmente viene calcolata l'azione (termine sorgente) media nel tempo di una rivoluzione. L’evoluzione di questi modelli è quello della linea attuatrice: anziché simulare la presenza delle pale su un intero disco o cilindro, che coinciderebbe con la realtà solo nell’ipotesi di un numero infinito di pale sottilissime, il modello della linea attuatrice (ALM) simula la presenza delle pale solo su un numero limitato di celle occupate virtualmente da queste (Fig.24). I termini di sorgente inoltre sono spalmati sulle celle interessate dalle pale mediante una Gaussiana che bene si presta a smussare la repentina introduzione di termini di sorgenti all’interno della griglia che potrebbero portare all’instabilità del calcolo.

Questi termini di sorgente si spostano, interessando via via celle diverse fino a compiere un’intera rivoluzione impiegando un tempo pari al periodo di rivoluzione. L’ALM risulta incredibilmente attendibile nella simulazione delle turbine anche per la parte relativa alla turbolenza che viene generata; di contro però è richiesta una griglia molto fine e time step per la simulazione piccoli impiegando perciò tempi di calcolo elevati: l’ALM infatti, viene utilizzato per la simulazione di singoli dispositivi (sia turbine ad asse orizzontale [67] [68] [69] che turbine ad asse verticale [46] [70] ) e mai per farm di turbine dato l’elevato onere computazionale.

Figura 24: modello di linea attuatrice [71]

1.3.3 Modello ibrido sviluppato presso l’Università di Pisa

Il vantaggio degli approcci ibridi consiste nell’estrema semplificazione che si ha del dominio di calcolo: non è infatti necessario simulare le pale che sono una parte in movimento all’interno della griglia, inoltre l’onere computazionale è ridotto di parecchio pur garantendo risultati che di poco si discostano dal puro CFD, come dimostrato in letteratura. Per il codice commerciale ANSYS Fluent i modelli ibridi possono essere implementati mediante definizione delle cosiddette User Defined Function (UDF), non sono perciò funzioni già presenti nel pacchetto ANSYS ma vengono elaborate dagli utenti. Una UDF che

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ha trovato largo impiego nella simulazione di turbine ad asse orizzontale è il Virtual Blade Model (VBM) mentre una corrispondente UDF per le turbine ad asse verticale è stata sviluppata “in casa” presso l’Università di Pisa [72] [63]: come già descritto le forze di portanza e resistenza vengono calcolate secondo la teoria BEM mediante le equazioni 1 e 2. Il modello VBM è stato spesso utilizzato per applicazioni di vario genere: sia per turbine eoliche [73] che marine [74] e anche per la simulazioni di farm di turbine [75] [76]. La UDF messa a punto per le turbine ad asse verticale invece, è stata utilizzata principalmente per applicazioni con turbine eoliche [63] [77] per lo studio di un singolo dispositivo: è di più difficile applicazione alle turbine marine poiché il sotto-modello di camber virtuale (di cui si parlerà di seguito) risulta estremamente sensibile alla solidità, in particolare la UDF fornisce risultati accurati per solidità inferiori al 5%, mentre le turbine marine generalmente hanno pale più tozze che comportano solidità maggiori, fino anche al 30% (fanno eccezioni casi particolari).

Figura 25: sistema di riferimento globale e locale [78]

Nel dettaglio le componenti delle forze agenti sulle celle del cilindro attuatore, per il modello di turbina ad asse verticale, sono di seguito riportate (si prenda in considerazione il sistema di riferimento di figura 25 e di figura 26):

𝐹 = 𝐿(𝑠𝑒𝑛𝛼 𝑐𝑜𝑠𝜃 − 𝑐𝑜𝑠𝛼 𝑠𝑒𝑛𝜃 𝑐𝑜𝑠𝛾) − 𝐷(𝑐𝑜𝑠𝛼 𝑐𝑜𝑠𝜃 + 𝑠𝑒𝑛𝛼 𝑠𝑒𝑛𝜃 𝑐𝑜𝑠𝛾) Equazione 5 𝐹 = 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑜 ∗ (𝐿(𝑠𝑒𝑛𝛼 𝑠𝑒𝑛𝜃 + 𝑐𝑜𝑠𝛼 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑐𝑜𝑠𝛾) − 𝐷(𝑐𝑜𝑠𝛼 𝑠𝑒𝑛𝜃 − 𝑠𝑒𝑛𝛼 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑐𝑜𝑠𝛾)) Equazione 6 𝐹 = 𝐿(𝑐𝑜𝑠𝛼 𝑠𝑒𝑛𝛾) + 𝐷(𝑠𝑒𝑛𝛼 𝑠𝑒𝑛𝛾) Equazione 7

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Figura 26: dettaglio del sistema di riferimento [78]

dove 𝛼 è l’angolo di attacco, 𝜃 è la posizione azimutale della cella in questione mentre 𝛾 è l’angolo di inclinazione della cella (𝛾 è nullo nel caso di pale dritte). Riassumendo ciò che compie la UDF è calcolare la W (velocità relativa), trovare il corrispondete 𝛼 e numero di Reynolds: in base a questi, si estrapolano i valori di CL e CD (forniti all’interno della UDF in

base al tipo di profilo alare utilizzato) mediante i quali determinare portanza e resistenza e di conseguenza le forze come sopra. Il termine di sorgente di quantità di moto in direzione i-esima e sulla cella azimutale j-esima risulta:

𝑆, = 𝐹, 𝑅𝛥𝜃𝛥𝐻𝛥𝑅

Equazione 8 I termini di sorgente sono dunque definiti per unità di volume di cella, le forze di cui risente il fluido sono opposte a quelle impresse alle pale: se queste risentono di una forza che tende a spingerle, il fluido subirà un rallentamento.

Per rendere il modello più attinente alla realtà si tiene conto anche di ulteriori fenomeni quali il camber virtuale, lo stallo dinamico e le perdite alle punte mediante i relativi sotto-modelli [77].

Il camber virtuale è la conseguenza del moto delle pale di una turbina VATT: anche se investite da un flusso rettilineo, le pale risentono di un flusso incurvato che va ad aumentare l’angolo di attacco in upwind (percorso della pala nel semicerchio posto dalla parte del flusso che sta arrivando, per una spiegazione più dettagliata si rimanda al paragrafo 2.3) mentre lo riduce in downwind, modificando quindi le prestazioni della pala; le prestazioni sono equivalenti a quelle che si avrebbero utilizzando un profilo alare più incurvato investito da un flusso rettilineo (Fig.27).

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Figura 27: equivalenza tra flusso curvato con profilo simmetrico e flusso rettilineo con profilo incurvato (cambered) [79] Per tenere conto di ciò l’angolo di attacco viene modificato come segue (relazioni valide per profili simmetrici): 𝛼 = 𝑐 2− 𝑥 𝛺 𝑊 Equazione 9 𝛼 = 3𝑐 4 − 𝑥 𝛺 𝑊 Equazione 10 dove c è la corda e x la distanza tra il naso del profilo e il punto di innesto.

Lo stallo dinamico è un fenomeno che si manifesta ciclicamente ad ogni rotazione ed è maggiormente influente ai bassi Tip Speed Ratio (TSR), definito come:

𝑇𝑆𝑅 =𝑅𝛺 𝑈

Nel caso di stallo statico all’aumentare dell’angolo di attacco, il coefficiente di portanza aumenta in primis in maniera quasi lineare fino ad un certo valore dell’angolo di attacco per il quale inizia a verificarsi lo stallo: inizialmente lo stallo è benefico perché porta ad un aumento del CL ma

incrementando ulteriormente l’angolo di attacco, il CL raggiunge un valore massimo

per poi decadere bruscamente. Per lo stallo dinamico il valore massimo di CL raggiunto è

superiore a quello dello stallo statico però una volta che l’angolo di attacco inizia a decrescere si verifica un fenomeno di isteresi

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(Fig.28) per il quale il CL non segue più la curva descritta in precedenza: questo porta ad un

valore medio di CL inferiore con conseguente riduzione nelle prestazioni. Il sotto-modello

implementato nella UDF prevede 4 fasi: 1. creazione del vortice in punta

2. distacco del vortice con velocità uguale a quella di separazione dello strato limite 3. stallo e riattacco lento dello strato limite

4. riattacco veloce dello strato limite

Nelle simulazioni 3D, il fenomeno delle perdite alle punte si verifica poiché il fluido in prossimità delle estremità delle pale, anziché essere elaborato dalla pala correttamente producendo lavoro, tende a scavalcarla senza dunque contribuire alla generazione di potenza. Per tenere conto del fenomeno si introduce un fattore di perdita alle punte secondo la formula di Glauert basata sulla teoria di Prandtl:

𝑓 =2

𝜋𝑐𝑜𝑠 exp

𝐵 1 −𝑅𝑟 4 𝑅𝑟 𝑠𝑒𝑛𝛷

dove B è il numero di pale, R il raggio della turbina, r raggio locale e 𝛷 angolo di inflow locale.

(38)

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Capitolo 2

Messa a punto del modello

Nel presente capitolo verrà effettuata l’analisi di sensitività del dominio computazionale al variare della risoluzione della griglia di calcolo. Verrà inoltre scelto il modello che meglio si appresta alla simulazione: per il modello ibrido BEM-CFD si valuterà se mantenere il sotto-modello di camber virtuale attivo oppure disattivarlo.

2.1 La turbina scelta

Il dispositivo TEC preso in considerazione è una turbina di tipo Kobold a 3 pale, con raggio pari a 3 metri, altezza 6 metri ed una corda di 0,4 metri [80].

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