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"Semplice" come l'amicizia. Una proposta di adattamento cinematografico del romanzo "Semplice" di Giorgio Terruzzi.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE,

DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Classe LM-65: Scienze dello spettacolo e produzione multimediale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

“Semplice” come l'amicizia.

Una proposta di adattamento cinematografico del romanzo

“Semplice” di Giorgio Terruzzi.

IL RELATORE IL CANDIDATO

Prof. Maurizio Ambrosini Matilde Bella

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Indice

Introduzione. p. 1

Capitolo 1: L'adattamento cinematografico. p. 3 1.1 Definizione di adattamento cinematografico. p. 3 1.2 Teorie sull'adattamento. p. 5

1.3 Tecniche di adattamento. p. 11

1.4 Riflessioni operative. p. 31

Capitolo 2: La sceneggiatura. p. 33

2.1 Definizione e funzioni della sceneggiatura. p. 33

2.2 Le fasi preparatorie. p. 36 2.3 Come impostare una sceneggiatura. p. 45 2.4 Riflessioni operative. p. 65

Capitolo 3: analisi narratologica del romanzo “Semplice” p. 69

3.1 Ordine. p. 72 3.2 Durata. p. 76 3.3 Frequenza. p. 78 3.4 Modo. p. 80 3.5 Voce. p. 84 3.6 Riflessioni operative. p. 93

Trama del romanzo “Semplice” p. 95

Strategia di adattamento. p. 97

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Trattamento. p. 108

Sceneggiatura. p. 109

Scena 1: I cinque amici. p. 109

Scena 2: un vortice di ricordi. p. 131

Scena 3: un vero talento. p. 137

Scena 5: risposta al richiamo. p. 138

Scena 13, sequenza B: ritrovarsi. p. 139

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INTRODUZIONE

Sono davvero tanti i romanzi, i drammi teatrali o radiofonici dai quali il cinema ha “rubato” per il grande schermo, traducendo la parola scritta in immagini e rielaborando un'opera letteraria in vista della sua rappresentazione filmica.

La mia tesi, dal titolo “Semplice, come l'amicizia. Una proposta di adattamento

cinematografico del romanzo Semplice di Giorgio Terruzzi” si occupa dello studio di

questo fenomeno, parte infatti dalla descrizione e dall'analisi delle teorie e tecniche dell'adattamento e, in seguito, si concentra sulle fasi preparatorie alla sceneggiatura e sugli elementi che la compongono.

Nella seconda parte, più pratica e creativa, ho spiegato la strategia attuata per adattare il romanzo ai fini della sua trasposizione, ho descritto quindi le varie modifiche che sono state attuate e le motivazioni alla base di determinate scelte.

Infine ho sviluppato il soggetto, il trattamento e alcuni estratti di una potenziale sceneggiatura.

La scelta di adottare Semplice come romanzo di riferimento nasce, in realtà, in maniera un po' istintiva. Mentre leggevo il romanzo mi era quasi naturale prefigurarlo sotto forma di film, così ho cominciato a immaginare come poterlo strutturare per un'eventuale sceneggiatura, quali parti avrei mantenuto e quali invece avrei eliminato, in modo da rendere più chiaro e comprensibile il progredire della narrazione.

Nondimeno, quali inquadrature o movimenti di macchina avrei adottato per mettere in evidenza alcuni lati caratteriali dei personaggi o per attribuire maggiore importanza a determinati episodi “chiave” della storia.

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Ho subito provato a mettermi in contatto con Giorgio Terruzzi, lo scrittore del romanzo, ritenendo che fosse un'ottima opportunità per poter ottenere un confronto diretto, in modo da capire meglio i retroscena della narrazione: quali motivazioni lo avevano portato a scrivere Semplice ma, sopratutto, se e come, dal suo punto di vista, poter sviluppare un'eventuale sceneggiatura.

Ho quindi avuto l'opportunità di valutare con lui come impostare la storyline, quali personaggi mantere e quali “sacrificare”, insomma, la sua opinione su come un eventuale film andrebbe strutturato a partire dal suo romanzo.

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CAPITOLO 1

L'ADATTAMENTO CINEMATOGRAFICO

Sin dalle sue origini, il cinema ha spesso utilizzato i romanzi e i drammi teatrali o radiofonici come spunti privilegiati per lo sviluppo dei film.

Traducendo la parola scritta in immagini, molti testi sono stati “adattati” per il grande schermo. L'adattamento si può quindi considerare come “la rielaborazione di un'opera

letteraria in vista della sua rappresentazione filmica1

Si tratta di un processo di appropriazione di un’opera che nasce in un contesto diverso da quello in cui si sviluppa la versione cinematografica.

Tra la stesura del romanzo e quella della sceneggiatura potrebbero passare degli anni, oppure lo scrittore potrebbe appartenere a una nazionalità diversa rispetto a quella dello sceneggiatore, questi sono fattori che influenzano (talvolta inconsciamente, talvolta consapevolmente) il processo creativo.

Secondo una definizione più ampia, l'adattamento consiste nel ricomporre e riscrivere un'opera in una modalità d'espressione differente da quella originale.

1.1

Definizione di adattamento cinematografico.

Esiste tutta una serie di differenti termini inerenti la relazione fra romanzi e sceneggiature. Ad esempio, con divulgazione si può pensare ad un'accezione quantitativa riferita a un potenziale ampliamento del pubblico, ma non si dà importanza al contributo del regista; così come nel caso dell'illustrazione, in cui si pone l'accento su una sorta di slittamento da

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una piattaforma a un'altra e in cui, ancora una volta, ci si riferisce a una trasposizione piatta.

Il termine Riduzione presuppone un'idea di impoverimento, sia dal punto di vista dell'estensione che dell'originalità.

La definizione di lettura sottolinea l'origine letteraria e, per questo motivo, marca la dipendenza fra testi.

È stato utilizzato anche il termine di riscrittura (riscrivere all'interno di un altro linguaggio la stessa storia).

La collocazione delle vicende in diversi contesti ha indotto a parlare anche di dislocazione o disadattamento.

La parola trasposizione si può intendere come, invece, interpretazione di un testo, di cui si rende chiara la paternità originaria. L'uso del prefisso “tras” (analogo a “trans”) indica “l'oltrepassare”, il “trasgredire”, quindi, l'andare al di là del testo di partenza.

Per rendere effficace questa trasformazione testuale occorre tener conto del suo scopo finale e, di conseguenza, orientarsi verso una determinata cultura di arrivo, il target di riferimento.

L'uso dei termine trascrizione ci induce nel campo del passaggio tra codici linguistici differenti, mentre traduzione si riferisce a questioni di tipo linguistico (tradurre un romanzo o un testo teatrale in una sceneggiatura cinematografica).

Francis Vanoye2 introduce in aggiunta il concetto di appropriazione: in questo caso si

rende evidente l'interpretazione che lo sceneggiatore, così come il regista, offrono del testo di partenza, creando un rapporto dialettico tra due autorialià distinte.

Infine, il termine adattamento risulta quello più usato e richiama una conformazione a esigenze particolari e impone un processo traduttivo che parte dal testo di base come fonte,

2 Francis Vanoye, autore di numerose pubblicazioni sulle teorie e tecniche cinematografiche, in particolare sul racconto del film.

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mentre quello di arrivo potrebbe risultare l'esito di un processo elaborativo condizionato. Infatti, pone l'accento sull'adeguamento a un apparato linguistico e narrativo consolidato, attribuendo all'idea di cinema la connotazione di sistema con una struttura codificata e delle regole sintattiche e narrative proprie3.

1.2 Teorie sull'adattamento.

“Sono il primo produttore cinematografico ad avere la possibilità e la reponsabilità di

trarre un film da Un uomo. Per chi ama fortmente un'opera letteraria questa non è sempre una buona notizia. C'è un naturale scetticismo e bisogna riconoscere che quanto più un libro è grande [...], tanto più è difficile realizzare un film che ne sia all'altezza […]. C'è di più della frequente, a volte ossessiva gelosia di tanti autori nei confronti di una propria storia […].C'è forse il desiderio di non contaminare in nessun modo il ricordo preciso della reltà”4.

Afferma Domenico Procacci nella sua prefazione al libro di Oriana Fallaci, Un uomo, e credo che in queste poche righe sia riassunta tutta la difficoltà di approccio e il grande lavoro che sta dietro un adattamento cinematografico, soprattutto quando si tratta di tradurre un romanzo di una scrittrice del suo calibro.

La questione dell'adattamento è stata affrontata da teorici appartenenti a diverse epoche e linee di pensiero.

I fomalisti russi sviluppano le loro riflessioni a partire dal criterio di fedeltà, giudicando come impossibile una traduzione che derivi da linguaggi specifici appartenti alle due opere di riferimento: un romanzo (o un testo tealtrale) e la sceneggiatura cinematografica.

3 Giorgio Tinazzi, La scrittura e lo sguardo, cinema e letteratura, Marisilio Editore, 2010; pag 71. 4 Prefazione di Domenico Procacci di Un uomo, Oriana Fallaci, Bur Rizzoli, 2015 (prima edizione, 1979).

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Effettuano una distinzione cruciale tra fabula (costituita da strutture narrative dipendenti dalla logica e dalla coerenza della relazione causa-effetto delle azioni e da una costruzione dei personaggi determinata dalla loro effettiva funzione all'interno dello svolgimento narrativo) ed intreccio (basato su strutture discorsive inerenti all'insieme dei procedimenti con cui vengono presentati gli avvenimenti e i motivi per cui accadono nonché, in generale, la composizione stilistica.

Parlando di adattamento, Viktor Borisovič Sklovkij5, uno dei principali esponenti del

formalismo russo, utilizza il termine riduzione, riconducibile semanticamente come già detto alle accezioni di “limitazione” e “semplificazione”.

Fin dagli anni '50 George Bluestone,6 caposcuola degli studi americani sull'adattamento,

parlava di fedeltà come un'analogia con il testo di partenza e di infedeltà come trasformazione del testo di arrivo basato su un commento del primo.

Considera il testo letterario e quello audiovisivo come autonomi e sottolinea come il lettore di un romanzo e lo spettatore di un film debbano compiere operazioni mentali differenti. Il testo letterario infatti, si basa sul linguaggio verbale, perciò il lettore dovrà prima di tutto comprendere e acquisire i concetti che ha appena letto e, solo allora, sarà in grado di formulare delle immagini mentali.

Lo spettatore di un prodotto audiovisivo recepisce direttamente le immagini dallo schermo e, quasi immediatamente, giunge al loro significato.

5 Viktor Borisovič Šklovskij (scrittore e critico letterario), Literatura i kinematograf, Mosca 1923; in Il cinema come traduzione. Da un medium all'altro:letteratura, cinema, pittura”, Nicola Dusi,

UTET Università, 2006; pag. 13.

6 G. Bluestone, Novels in Film, Johns Hopkins University Press, Baltimora 1957; in Dusi, Il cinema come traduzione. cit. pag 19.

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Negli anni '60, il teorico del cinema Jean Mitry7 si oppone all'idea di una traduzione

integrale tra due testi diversi, sostenendo che la pretesa di trasporre i modi d'espressione letteraria in modi d'espressione cinematografica è un “non-senso”.

Per Mitry, infatti, nel passaggio da un sistema di segni a un altro, i valori cambiano: le significazioni dipendono dal sistema adottato, per questo motivo in un nuovo sistema gli stessi elementi ottengono una diversa connotazione.

Mitry descrive due strategie di adattamento: da una parte, la volontà di restare fedeli alla

lettera, dall'altra, la volontà di esprimere in un modo diverso le stesse idee e gli stessi

valori, con lo scopo di restare fedeli allo spirito.

Nel primo caso, si segue il racconto passo dopo passo, mettendolo per immagini e cercando di tradurre ciò che è scritto nel testo in materiale audiovisivo.

Il film che ne risulta, non si può considerare una creazione vera e propria quanto piuttosto una mera rappresentazione, un'illustrazione.

Riguardo al secondo caso, Mitry sostiene che in senso stretto è impossibile che si verifichi, poiché tradire la lettera è tradire lo spirito, dato che quest'ultimo risiede propriamente nella lettera.

Perciò, si rielabora il soggetto, la trama, attribuendole un nuovo sviluppo e creando un'opera personale a partire da quella a cui ci si è ispirati.

Patrick Cattrysse8, docente presso la Flemish Script Academy di Bruxelles ed esperto nel

campo dell'adattamento cinematografico, affronta la questione della traduzione interlinguistica (Translation Studies) e, sulla base delle sue ricerche, divide gli studi

7 J. Mtry , Ésthétique et psychologie du cinéma II. Les formes, Éditions Universitaires, Parigi 1965; in Il cinema come traduzione. Da un medium all'altro:letteratura, cinema, pittura, Nicola Dusi, UTET

Università, 2006; pag.14.

8 P. Cattrysse, Film (Adaptation) as Translation: Some Methodological Proposals, Target.

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sull'adattamento filmico in sei gruppi.

Nel primo si colloca le analisi dell'adattamento di un testo: descrive come dovrebbe essere un adattamento rispettoso del testo di partenza, definito nei termini di una maggiore o minore fedeltà all'originale (source-oriented approach).

Nel secondo gruppo si trovano gli studi del rapporto tra uno scrittore e il cinema, in generale o rispetto a un film specifico, e si analizzano le opere dell'autore cinematografico studiato.

Siamo però ancora all'interno di approcci di tipo normativo e source-oriented.

Questa dialettica tra fedeltà e tradimento si trova alla base anche del terzo gruppo di studi, stavolta però di taglio storico, in quanto volti ad analizzare il contesto del cinema nazionale in cui si sviluppa un adattamento.

La quarta tipologia di studi è di natura narratologica e si concentra sull'utilizzo delle tecniche narrative che possono essere considerate rispettivamente filmiche o letterarie nei due media.

Il quinto raggruppamento è riservato ai manuali di sceneggiatura che affrontano gli aspetti inerenti la prassi dell'adattamento. Si tratta di testi solitamente molto normativi nei quali vengono identificate tre tipologie di approccio: la trasposizione fedele di ogni passaggio letterario; la trasposizione delle scene chiave; la composizione di una sceneggiatura originale basata sul romanzo ma che presenta degli sviluppi autonomi.

Infine, nel sesto gruppo si trovano gli studi “metateorici”, che propongono una metodologia sistematica per analizzare l'adattamento, a partire dagli anni sessanta del Novecento.

Secondo Cattrysse questi distinti approcci hanno delle caratteritiche comuni: limitano il fenomeno dell'adattamento ai testi letterari del tipo Romanzo o Racconto, trascurando i

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testi paraletterari e non letterari, gli adattamenti di film precedenti o le altre forme mediatiche non strettamente cinematografiche (i programmi televisivi o radiofonici). Questa limitazione ha come conseguenza il fatto che questi studi si concentrino maggiormente sul testo-fonte.

Cattrysse, invece, opta per uno studio di taglio sociologico, sostenendo che un adattamento va considerato come il prodotto finale di un processo che tiene conto del contesto storico-culturale nel quale è stato concepito.

Questo approccio, definito polisistemico, viene teorizzato all'interno del filone di ricerche chiamato Translation Studies, ponendosi contro quel criterio valutativo che elevava i testi originali (testi-fonte) al di sopra delle loro traduzioni.

Promuove quindi un approccio più orientato verso la cultura di arrivo (target-oriented). Il concetto di polisistema nasce a partire dalle teorie dei formalisti russi e considera la cultura come un insieme di diversi sistemi dinamici, un'evoluzione dovuta all'opposizione tra i modelli letterari innovatori e quelli più conservatori.

Il polisistema letterario è legato ad altri sistemi culturali poiché si pone in relazione alle strutture ideologiche e socio-economiche della cultura di riferimento.

Questo discorso vale anche per il nostro specifico caso di studio: il polisistema cinematografico.

Cattrysse analizza un centinaio di film di un genere preciso e di un periodo storico dato: i film noir degli anni '50.

Considera l'adattamento come un processo di trasposizione e sostiene che l'equivalenza tra i testi non si definisce in base a relazioni prestabilite di fedeltà e di analogia rispetto al testo di partenza, ma in quanto comparazione tra i due testi e contesti di origine e di arrivo. Adesso, quindi, la questione da prendere ad esame non è più quella del grado di 9999999999999999999999999999999999999999999999999999999999999999999999 9

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equivalenza fra il romanzo e la sceneggiatura; ci si deve domandare invece sulla base di quali elementi e trasformazioni è stato effettuato l'adattamento.

Come metodo di lavoro, propone di rintracciare divergenze e somiglianze rispetto a uno schema comparativo, a partire dal quale si confrontano i testi di arrivo e quelli di origine. Esaminando le diversità e le somiglianze si stabilisce la presenza o meno di una norma di riferimento, cioè di regole e modelli che stanno alla base della trasposizione.

Le eventuali differenze sono dovute al fatto che i produttori o gli sceneggiatori abbiano effettuato delle modifiche motivate dalle esigenze del contesto d'arrivo, necessariamente diverso da quello del testo letterario di partenza.

Cattrysse si rifà esplicitamente alla teoria della traduzione di Gideon Toury9, secondo il

quale una traduzione accettabile ha come obbiettivo la massima fruibilità del testo nella cultura ricevente, anche se questo può comportare la modifica dell'originale.

Il traduttore quindi, opta per una strategia traduttiva adeguata, cercando di non stravolgere totalmente i contenuti del testo di partenza.

Se da una parte la traduzione accettabile offre una lettura piacevole e comprensibile, dall'altra si corre il rischio di un livellamento culturale che offre meno stimoli al lettore. Infatti, in questo caso non viene presentata l'opera originale con tutte le sue sfumature, ma una versione dell'opera che si conforma al modello linguistico e letterario della cultura in cui viene pubblicato. Questa tipologia di traduzioni è quindi maggiormente legata al sistema di arrivo (target system).

Per quanto riguarda il concetto di adeguatezza, invece, la traduzione risulta più simile all'originale. Vengono mantenuti i riferimenti culturali, le sfumature linguistiche e stilistiche del testo-fonte, fondamentali per una corretta e veritiera ricezione del

9 Gideon Toury (1942-2016), traduttore e linguista israeliano che introduce i principi di accettabilità e adeguatezza.

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messaggio.

Il lettore ha la possibilità di entrare in contatto con gli elementi di un'altra cultura, diversa dalla propria.

1.3 Tecniche di adattamento.

L'adattamento è una pratica molto valorizzata dall'industria cinematografica.

Nello specifico, quella hollywoodiana è perennemente alla ricerca di temi e personaggi nuovi e, per questo motivo, ripone una particolare attenzione sulla produzione letteraria. Se all'origine di un film c'è un romanzo o una biogafia già pubblicati, soprattutto se hanno riscosso un discreto successo, le probabilità di ricavarne una buona sceneggiatura risultano più alte.

Infatti, i film premiati con l'Oscar o, nel caso delle produzioni televisive, con l'Emmy, dimostrano una chiara prevalenza degli adattamenti rispetto alle opere originali.

Proprio per questo, è opinione comune ritenere che l'alta qualità del testo letterario di partenza garantisca di per sé l'ottenimento di una sceneggiatura efficace.

Ci sono diversi motivi per cui adattare un romanzo per il cinema può convenire.

Innanzitutto, il linguaggio del cinema, così come quello della televisione, ha una capacità espressiva molto elevata, grazie all'importanza dell'azione, della pregnanza dei volti, dei costumi, della musica, dei paesaggi e delle luci. Per questo motivo, il fatto di comprirere in 90/120 minuti circa un racconto spesso molto articolato e lungo, con un'elevata quantità di eventi e di personaggi, porta alla creazione di sceneggiature molto ricche, piene di significato, un significato veicolato attraverso tutte le modalità espressive specifiche della

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comunicazione audiovisiva10.

Il secondo motivo deriva dal fatto che normalmente un romanzo richiede un lungo tempo di elaborazione da parte dello scrittore, mentre la stesura di una sceneggitura può andare mediamente dai due ai sei/otto mesi11.

Quando si parla di adattamento non sempre si ha a che fare con i grandi classici della letteratura, anzi, con maggiore frequenza si tratta di opere poco conosciute.

Da un punto di vista commerciale, l'adattamento presenta dei vantaggi anche per quanto riguarda la selezione iniziale dei soggetti da trasformare in film: i produttori, infatti, devono vagliare rapidamente tantissime proposte prima di scegliere quella su cui investire. Per questo motivo, un romanzo - specialmente se è già conosciuto dal grande pubblico – viene preso in considerazione più facilmente rispetto alle storie sconosciute, specialmente se non proposte di sceneggiatori noti.

L'adattamento è quindi una componente fondamentale del cinema e il numero degli adattamenti supera quello delle sceneggiature originali.

È una pratica determinata da una specifica necessità: il cinema ha bisogno di storie e di soggetti, perciò le sceneggiature tendono a nutrirsi di altre opere narrative.

Ogni adattamento è, per definizione, la trasposizione di una storia da una forma espressiva in un'altra.

L'assimilazione di un'opera letteraria può andare dal rifiuto di intervenire sull'opera stessa (la neutralità, comunque, è essa stessa una scelta estetica e ideologica) alla deviazione, fino

10 Armando Fumagalli, I vestiti nuovi del narratore. L'adattamento da letteratura a cinema, Editrice Il castoro, Milano, 2004; pag. 46. 11 Ibidem; pag 47.

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al totale rovesciamento12.

Questo processo, colloca lo sceneggiatore di fronte ad alcune problematiche, classificabili secondo tre categorie: problemi tecnici, scelte estetiche e procedimenti di appropriazione. Per quanto riguarda l'adattamento come insieme di problemi tecnici, innanzitutto, si tratta di compiere delle scelte dovute a tre tipologie di limitazioni: l'audiovisualizzazione cinematografica contro le pagine scritte di un romanzo, la messa in sequenza e la messa in dialogo, la drammatizzazione.

Come anticipato, una delle prime operazioni da compiere è sicuramente tagliare, dovuta alla limitazione temporale cui l'adattamento deve fare fronte.

Come conseguenza, avremo una concentrazione dei personaggi - talvolta condensandone alcuni in un solo personaggio, altre volte eliminando quelli non necessari - e un addensamento drammatico.

In alcuni casi, però, l'adattamento può comportare anche operazioni inverse: aggiunte e dilatazioni (sopratutto quando si tratta di adattamenti relativi alla trasposizione da testi brevi a lungometraggi) che ampliano e arricchiscono l'opera di partenza.

La dilatazione può anche essere utilizzata in modo mirato e selettivo quando si vuole attribuire maggiore importanza a dei momenti narrativi ritenuti come privilegiati.

L'obiettivo finale dell'adattamento sarà quindi ottenere un'opera narrativa di tipo filmico non più inserita all'interno del quadro letterario ma in un genere drammatico/spettacolare, specifico del cinema o della televisione. Per questo occorre organizzare l'azione in base a una durata e secondo dei ritmi che appartengono a un altro medium narrativo.

Non si tratterà più di scrivere un testo da leggere su pagine scritte da mere parole, ma di raccontare mostrando su uno schermo. Questo comporta solitamente la limitazione forte di un'eventuale trasposizione audiovisiva dell'interioità dei personaggi; verrà soppresso

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inoltre lo sguardo dell'autore del testo di partenza, soppiantato da quello dell'adattatore e del regista.

Il ricorso alla voce over offrirebbe una soluzione letteraria alla trasposizione audiovisiva del racconto retrospettivo, ma un suo abuso, secondo alcuni, rischia di distogliere lo spettatore dall'azione che viene mostrata.

La seconda problematica cui deve far fronte uno sceneggiatore è quella costituita dall'insieme delle scelte estetiche da mettere in pratica.

Esistono vari modelli di sceneggiatura, che si possono ridurre schematicamente a due grandi tipologie: la classica, caratterizzata dalla coerenza interna della narrazione, dalla prevalenza dell'azione sul racconto introspettivo, dai collegamenti causa-effetto delle scene che porteranno a un climax finale e dall'efficacia drammatica.

Il secondo tipo è il modello moderno di sceneggiatura, costituito da procedure di straniamento o di rifllessività, contenuti più ambigui o lacunosi e schemi drammaturgici più “deboli”, cioè meno legati a una stretta logica casuale.

Durante il processo di adattamento, questi due modelli vengono messi a confonto con i due corrispondenti della letterarietà: il classico, derivante dalla tradizione realista, e il moderno, nato dalle esperienze di scrittura novecentesche, caratterizzato dalla molteplicità dei punti di vista, dal discorso indiretto libero, dalla sdrammatizzazione o, al contrario, dall'iperdrammatizzazione.

La trasposizione presuppone una scelta che si può schematizzare nel modo che segue: adattare il racconto classico di partenza in una sceneggitura classica o moderna; partire da un racconto moderno per ottenere una sceneggitura classica o una sceneggiatura moderna. Il passaggio da un romanzo moderno a un film classico implica la semplificazione di un testo che spesso è lungo, complesso e pieno di eventi e personaggi.

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Inoltre, questo genere di romanzo è spesso raccontato in prima persona da un narratore extradiegetico che commenta l'azione e giudica i propri personaggi. Nel film il narratore deve essere eliminato e il racconto diventerà apparentemente “oggettivo”.

Infine, il racconto moderno si focalizza spesso di volta in volta su un personaggio specifico e come conseguenza avremo la giustapposizione di differenti prospettive sugli eventi. Questo genere di narrazione deve essere necessariamente semplificata nel momento in cui ci troviamo a scrivere un trattamento, con lo scopo di linearizzare il concatenamento delle scene per ottenere una maggiore chiarezza espressiva.

Per quanto riguarda il caso opposto, le sceneggiature moderne si evolvono senza un'esplicita progressione drammatica e danno importanza a una molteplicità di personaggi secondari, rischiando di confondere il pubblico. La conseguenza sarà la frammentazione del racconto causata dall'enorme quantità dei personaggi e degli intrecci secondari, oltre che dallo stiramento di momenti “non drammatici” o, nei casi più estremi, persino “vuoti”. Quando si ha a che fare con un adattamento ottenuto dalla trasposizione di un testo classico in una sceneggiarura classica, si può erroneamente pensare che il lavoro di traduzione sia più semplice, basato unicamente sulla ripresa delle più importanti articolazioni narrative. Non è propriamente vero: i migliori adattamenti ammettono sempre delle variazioni dalla trama principale.

La terza questione che si pone in relazione alal questione dell'adattamento è quella costituita dal cosiddetto processo di appropriazione. Quest'ultimo è una conseguenza della condizione esistenziale dell'adattamento che si potrebbe designare con il termine

transfert13. In questo caso, non si tratta di un transfert semiotico da un sistema espressivo a

un altro, ma di un transfert storico-culturale relativo al pubblico di riferimento o dello

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sceneggiatore rispetto allo scrittore, del cineasta rispetto al romanziere.

L'opera adattata si trova spesso in un contesto sociale diverso da qullo in cui è stata prodotta.

Il transfert non comporta necessariamente la trasposizione del contesto e non per forza deve implicare dei cambiamenti sull'intreccio della storyline o sulla dimensione diegetica spazio-temporale ma, inevitabilmente, riguarda il punto di vista, lo sguardo, il modo di un'epoca di vedere e percepire le cose.

Il processo di appropriazione si può articolare su tre livelli, secondo gradi di intensità variabili:

– livello sociostorico: dipende da un'epoca e dal contesto di produzione;

– livello estetico: relativo alla corrente, al movimento o alla scuola di riferimento; – livello estetico individuale: fa capo all'autore o al gruppo che crea il film.

Se è vero che un adattamento parte da un romanzo o da una drammaturgia teatrale, è anche vero che l'obiettivo finale è arrivare alla creazione un film cinematografico o televisivo. Occorre quindi pensare non tanto a come o quanto rispettare il testo di partenza, ma a quale tipologia di film puntare.

I romanzi sono spesso pieni di riflessioni, temi, personaggi, descrizioni e, per questo motivo, il rischio di confondere lo spettatore o di perdere il suo coinvolgimento nella storia è enorme.

Innanzitutto, il film necessita di una struttura più chiara e compatta rispetto a quella di un romanzo, poiché deve essere fruito in circa due ore. Quando l'ipotetica traduzione del testo eccede questa durata, occorre ridurlo e semplificarlo.

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La prima decisione da prendere per giungere a una semplificazione è individuare quella che diventerà la spina dorsale della storia, intesa come la succesione degli eventi fondamentali che costituiscono l'evolversi della narrazione: chi è il protagonista? Che cosa vuole?

Solo in un secondo momento la si potrà arricchire, costruendo intorno a questi nuclei essenziali.

In questo momento di decisioni fondamentali, la componente emozionale assume un'importanza rilevante. Per raggiungere il successo e far sì che il pubblico si immedesimi nei personaggi, è necessario che la storia ci catturi emotivamente, non può essere una mera descrizione oggettiva e distante di vicende che portano al climax e al raggiungimento degli obiettivi del protagonista.

Dobbiamo amare i personaggi, condividere i loro desideri e aspirazioni, soffrire con loro e per loro fino alla risoluzione finale14.

La componente emozionale è molto più importante nel cinema e in televisione che non in un libro: “La lettura è molto più riflessiva, i lettori sono un élite che segue un racconto

anche solo per interesse intellettuale. Al contrario, se il personaggio di un film non fa emozionare, non fa palpitare per lui, il pubblico medio considera il film noioso”.15

I metodi che abbiamo a disposizione per raccontare una storia sono diversi.

I conflitti interiori vengono espressi nel miglior modo in letteratura, si tratta di quelli che avvengono nella mente dei protagonisti.

Sono riflessioni, drammi o quesiti personali, che il protagonista deve innanzitutto risolvere

14 Fumagalli, I vestiti nuovi del narratore. cit. pag.129. 15 Ibidem; pag 131.

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con se stesso, per migliorare e maturare nel corso della storia.

Il teatro, invece, dà il suo meglio con i conflitti di tipo personale, che riguardano la relazione tra due persone e coinvolgono la dimensione dialogica.

Dal canto suo, il cinema esprime al massimo le sue potenzialità quando ha a che fare con i conflitti extra-personali, cioè conflitti più ampi, che oppongono il protagonista a una schiera di nemici, un'organizzazione di qualsiasi tipo o all'intera società di cui fa parte. Questo non significa che il cinema escluda completamente i primi due tipi di conflitto sopracitati.

Ad esempio, lavora sul conflitto personale attraverso i dialoghi e sui conflitti interiori attraverso il non detto, quello che tecnicamente si chiama “sottotesto” dei dialoghi.

Si tratta in ogni caso di tipologie meno usate nel cinema, ma che devono comunque essere utilizzate per far sì che una storia sia completa, esprimendosi sopratutto attraverso azioni e situazioni oggettive, ma arricchendosi anche tramite i dialoghi e le relazioni personali, pur facendo sì che non superino il peso necessario all'interno della narrazione.

Per ottenere questo risultato, bisogna trasformare ciò che è mentale e interiore in fisico ed esteriore, utilizzando modalità visive che esprimano il conflitto interiore dei personaggi ed evitando il più possibile i dialoghi esplicativi, poiché si rischierebbe di appesantire eccessivamente il film.

Occorre lavorare più che altro su ciò che gli spettatori vedono e sentono in modo tale da far percepire quello che c'è di non detto, ciò che pensano e sentono i personaggi, le loro gioie e le loro sofferenze, attraverso i silenzi, gli sguardi, le espressioni e le movenze, che rappresentano indizi fondamentali per percepire la loro interiorità, evitando determinate teniche che rischiano di essere avvertite come artificiose, ad esempio il monologo interiore.

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In conclusione, quindi, quelle che possono essere considerate punte di eccellenza in un'arte, difficilmente rappresentano punte di eccellenza in un'altra16.

Un'ulteriore questione da risolvere è quella relativa ai personaggi secondari.

Mentre in un romanzo possono essere potenzialmente presenti tanti personaggi, nel cinema occorre proporne un numero ridotto poiché, data la durata limitata del fim, il pubblico non ha abbastanza tempo per conoscere dettagliatamente tutti i personaggi secondari e rischia di cadere in confusione se vengono presentati in scene troppo affollate e complesse.

Inoltre, devono sempre avere una funzione strutturale all'interno del film: vengono mantenuti nel processo di adattamento solo se riescono a mettere in rilievo le caratteristiche del personaggio principale, sia perché gli si oppongono (gli antagonisti), sia peché lo aiutano (mentori, aiutanti) oppure perché contribuiscono ad aggiungerne la dimensione, evidenziandone i lati caratteriali che lo rendono più interessante.

È necessario chiarire fin dall'inizio chi sono i personaggi principali e quali sono le loro relazioni con quelli secondari.

È bene evitare nomi troppo particolari o, al contrario, simili tra di loro, così come, d'altro canto, l'introduzione contemporanea di troppi personagggi e la scelta di attori con volti e caratteristiche fisiche rassomiglianti.

Un altro passaggio da compiere è l'individuazione della storyline, cioè la trama principale, le varie ramificazioni legate a quest'ultima, che vanno a comporre l'insieme della storia. Un buon film riesce a raggiungere un equilibrio tra lo scorrere e l'avanzare della narrazione, senza rinunciare alla sua dimensionalità.

La differenza principale tra letteratura e cinematografia, in questo caso, sta nel fatto che, durante la lettura di un romanzo, possiamo ritornare alle pagine iniziali per verificare che

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cosa accadeva nei primi capitoli, oppure per confrontare, ad esempio, il nome di un personaggio con determinate situazioni passate ma necessarie per la comprensione dei nuovi avvenimenti.

La fruizione tradizionale di un film, invece, si incentra di più sull'azione e meno sulle riflessioni dei personaggi; il progredire della storia è più rapido e, per questo motivo, deve essere chiara e immediatamente comprensibile.

Il cinema possiede il vantaggio di essere multidimensionale.

Una scena, anche se breve – nonostante la durata di pochi secondi - è ricca di informazioni e, oltre che far avanzare la storia, mostra le caratteristiche fisiche del personaggio, il suo modo di muoversi e di esprimersi, fornisce il tono emotivo della vicenda, oltre che il contesto sociale e ambientale; infine, può essere apprezzabile anche da un punto di vista puramente estetico e artistico. La macchina da presa rende molto più rapida e immediata l'assimilazione dei dati e degli elementi necessari alla comprensione di ciò che appare sullo schermo: in un attimo ci propone un mondo complesso, la cui rappresentazione richiederebbe pagine, se si trattasse di un libro.

Il cinema può far parlare qualsiasi oggetto presente sullo schermo: attraverso scenografia, luci e costumi. Disposizioni che non sono mai fine a se stesse, ma al servizio della narrazione.

Ogni oggetto viene selezionato per significare più di ciò che effettivamete appare, aggiungendo una connotazione ulteriore a ogni denotazione.

“Al cinema non esiste “un'automobile”. Eisterà magari una Mercedes (allora si pensa che

il personaggio è ricco e borghese), una Ferrari (ricchissimo e sportivo), un Maggiolino o una due cavalli (giovale e artista) e così via...17

17 Ivi; pag. 146.

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Si tratta della creazione di un image system, la costruzione di significati basata su elementi visivi.

Nel film ogni cosa ha un suo significato letterale e metaforico, questo può essere visto come un vantaggio e un'opportunità ma, al contrario, anche come un rischio, poiché la disposizione sbagliata di uno di questi elementi comporterrebbe un'interpretazione erronea dello spettatore.

Ogni oggetto è un segno voluto da qualcuno, nello specifico, dal “soggetto enunciatore” del film, cioè quella figura simbolica in cui si riassumono tutte le componenti di autorialità del film stesso (sceneggiatore, regista, scenografo e costumista, direttore della fotografia e compositore della colonna sonora)18.

Generalmente, l'adattamento cinematografico, secondo le esigenze del cinema di largo consumo, comporta quindi la necessità di semplificare.

In questa linearizzazione della trama è importante evitare i flashback superflui.

Un flashback veramente utile, dovrebbe essere inserito solo quando lo spettatore ha la necessità di sapere che cosa è successo nel passato, e il flashback va a colmare un desiderio di conoscenza.

Anche in questo caso, il cinema mainstream è differente dalla letteratura, poiché un romanzo può permettersi la massima flluidità nel passare dai momenti di riflessione dei personaggi, ai ricordi del protagonista e poi di nuovo al presente della narrazione, senza scadere nell'artificiosità del passaggio.

Dato che il cinema basa i suoi plot più sui conflitti esteriori che interiori e soggettivi, una della strategie possibili per il mantenimento dell'attenzione e del coinvolgimento del

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pubblico, è quella di alzare la posta in gioco.

Ad esempio, in palio non c'è soltanto l'opportuità di raggiungere un obiettivo fine a se stesso, ma una situazione altamente critica che reca con sé un pericolo: vincere o morire, conquisare l'oggetto del desiderio o fallire completamente19.

Per quanto riguarda il contesto, sia ambientale che sociale, può accadere che per necessità tematiche o autoriali lo sceneggiatore decida di optare per un cambiamento.

Avviene quindi una forte mediazione culturale che attualizza temi, trame e dialoghi.

Questo può accadere per l'incapacità degli sceneggiatori di calarsi nella realtà psicologica e sociale di un romanzo di epoche passate.

Per la maggior parte dei casi, accade invece per la volontà di attualizzare dei temi che vengono sentiti vivi anche nel presente.

Medesimi problemi si presentano anche per quanto riguarda il tema.

Infatti, per un film è importante focalizzare il tema pricipale in modo tale da metterlo in rilievo e non disperdersi in eccessive diramazioni.

Non è inusuale che in un romanzo vengano affrontati più argomenti ma, data la limitazione temporale del film, occorre focalizzarsi su quelli necessari a esprimere il messaggio che lo sceneneggiatore vuole trasmettere al pubblico.

Per quanto riguarda la trasposizione dei dialoghi si tratta, in linea di massima, ancora una volta di una semplificazione, ma anche di adattarli alla diversa piattaforma di fruizione. Il cinema richiede dialoghi brevi ma significativi: in poche battute occore fornire al pubblico tutte le informazioni necessarie alla comprensione della scena.

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Allo stesso tempo, non bisogna trascurare il sottotesto, il non-detto, percepibile dalle espressioni degli attori e dalla loro gestualità, poiché denota il carattere del personaggio. Nonostante debbano essere brevi e coincisi, è necessario che appaiano naturali, devono cioè dare la sensazione di essere dialoghi reali, attribuibili a persone reali.

Lo scopo è duplice: ottenere la massima essenzializzazione per non perdere tempo e non annoiare il pubblico, senza cadere nell'artificiosità.

Se da una parte, i dialoghi possono riflettere lo stile dell'autore, dall'altra bisogna tener presente il fatto che se si attribuissero all'attore le batture tali e quali come erano nel romanzo, si creerebbe probabilmente un effetto innaturale.

Per sembrare colloquiale, il dialogo di un film deve essere asciutto e sintetico.

Una delle questioni principali inerenti l'adattamento, riguarda il rapporto esitente tra il film e il libro di partenza.

Esistono varie modalità di approccio, differenti tra loro e che determinano il risultato finale. L'adattamento troppo sottomesso al testo limita le possibilità espressive del cinema, viceversa un adattamento troppo libero tradisce la letteratura.

Solo la trasposizione non tradisce nè l'uno nè l'altra e si colloca come un punto di incontro tra i due.

Ci si può affidare a un criterio di fedeltà quasi assoluta, ma quest'ultima riduce il legame tra i due testi a un confronto semplicistico basato sulla comparazione: si mettono in evidenza gli elementi che sono stati mantenuti nella trasposizione, ciò che invece è stato tolto o modificato.

In ogni caso, comunque, non si parla mai di fedeltà assoluta vera e propria, poiché ci troviamo sempre davanti ad un'interpretazione, anche se minima.

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Sono pochi i cineasti che quando si confrontano con un testo letterario, optano per il rigoroso rispetto del testo.

L'adattamento può scaturire da un semplice spunto, inteso come base di partenza da cui partire per arrivare alla sceneggiatura finale.

Si mantengono alcuni elementi del romanzo ma si lascia che il film segua liberamente la sua strada.

Il ricorso al testo letterario diventa invece più rilevante quando se ne adotta lo schema portante, lo scheletro che rappresenterà la spina dorsale della narrazione filmica, manipolandolo ma partendo comunque da alcune affinità di temi e argomenti che stanno alla base20.

È questo il caso della maggioranza dei film che appartengono alla categoria delle opere “tratte da”21.

Solitamente, la via più giusta sta nella libertà di confrontarsi con un testo, rispettandolo ma non limitando o ostacolando la creatività degli autori cinematografici.

Infine, lo sceneggiatore può anche scegliere di operare una contaminazione tra più testi dello stesso autore. In questo caso si tratta di prendere “in prestito” più episodi, situazioni o personaggi da diversi racconti del medesimo scrittore.

Alcuni critici letterari lamentano che, in molti casi ormai, c'è una rischiosa predisposizione del testo letterario all'adattamento.

In altre parole, molti scrivono pensando già a una trasposizione cinematografica o ancor più televisiva.

Allo sceneggiatore che deve adattare un libro per il cinema si presenta concretamente una pagina scritta che dovrà tradurre in immagini22.

20 Tinazzi, La scrittura e lo sguardo, cinema e letteratura. cit. pag. 83.

21 Manzoli, Cinema e letteratura, cit. pag. 72. 22 Ibidem; pag 75.

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Le considerazioni dell'autore - sia quelle personali che quelle che ha attribuito a un personaggio, tramite, ad esempio, i monologhi interiori - possono essere interpretate attraverso la recitazione degli attori o la voice over.

Un romanzo è costituito per la maggior parte da descrizioni utili a contestualizzare il racconto, ambientandolo in un determinato luogo e arco temporale, o relative all'azione dei personaggi. Queste ultime, in un film devono essere rese attraverso le immagini.

Per meglio comprendere le relazioni che nascono tra il romanzo e la sceneggiatura nel processo di adattamento, può essere utile introdurre il concetto di isotopia.

Le isotopie sono linee di coerenza testuale che consentono di collegare un film e un libro a partire dalla somiglianza fra alcune componenti a livello del contenuto23.

Nello specifico, Algirdas J. Greimas24 individua tre categorie nelle quali suddividere questi

fili conduttori.

Isotopie tematiche: questioni di fondo, argomenti di cui si occupano sia il romanzo

che il film.

Isotopie figurative: dati oggettivi che riguardano l'identità dei personaggi, le loro

azioni, le coordinate spaziali e temporali in cui il racconto si svolge.

Questi fattori possono subire delle trasformazioni nel processo di traduzione e, tramite il numero e la dimensione di queste modifiche, si può calcolare la distanza che separa i due testi.

Isotopie patemiche: cambiamenti caratteriali ed emotivi che i personaggi subiscono

nel corso del racconto.

Le differenze che un film e un libro possono avere sotto il profilo psicologico ed emotivo dei personaggi influscono sulla ricezione da parte dello spettatore, poiché tende a

23 Ivi; pag.77.

24Algirdas Julien Greimas (1917-1992) linguista e semiologo lituano che contribuì allo sviluppo della semiotica fondando la semiotica strutturale.

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proiettarsi nella diegesi e a identificarsi con i personaggi in essa implicati25.

Quando comincia il processo di adattamento vero e proprio, innanzitutto si compie un'attenta analisi testuale, si isolano le componenti principale (storyline, personaggi, tematiche, conflitto ecc) e si compie un'operazione che può essere considerata di “misurazione”26, consistente nello stabilire cosa viene mantenuto e che cosa invece viene

eliminato, quali saranno le differenze strutturali fra i due sistemi narrativi.

Nei confronti del testo letterario, le strategie di adattamento sono quindi molteplici. Si può agire su diversi livelli e in maniera più o meno incisiva.

Di seguito, descriverò le principali, seguendo le proposte di Giacomo Manzoli.

1) Sottrazioni.

La trasposizione di un romanzo è sempre un'operazione di sintesi, poiché un fim deve attenersi a una lunghezza canonica che oscilla fra i 90 e i 180 minuti, problema che ovviamente non riguarda un testo letterario. La sottrazione comporta l'assenza di qualche elemento della trama, l'eliminazione di personaggi non fondamenali o di situazioni marginali.

Inoltre, ci sono parti di un romanzo che possono risultare intraducibili per un film tradizionale.

Se è vero che per trasporre le descrizioni si può usare la voice over, è anche vero che il risultato non avrà la stessa efficiacia e spesso un utilizzo improprio del narratore extradiegetico può appesantire la narrazione e distogliere lo spettatore dall'azione della storia.

25 Manzoli, Cinema e letteratura. cit. pag. 79. 26 Ibidem.

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Allo stesso tempo, le inquadrature di solito non sono sufficienti ad avvolgere il luogo e il paesaggio in un modo che possa offrire un valido equivalente alla funzione che le descrizioni autoriali svolgono nel romanzo.

Infine, esiste un “leggibile” che può differire dal cosiddetto “visibile”27: ogni società fissa

delle regole relative ai comportamenti di coloro che ne fanno parte. Esistono situazioni che in un film non possono essere mostrate, ma che possono invece essere raccontate in un testo letterario, ad esempio le scene particolarmente violente o atti sessuali espliciti che comporterebbero l'inserimento del film in generi specifici che ne limitano la visione a precisi confini anagrafici e sociologici.

Bisogna considerare che determinati discorsi, tematiche, gesti e azioni acquistano una valenza e un impatto diversi a seconda che si tratti di un romanzo o di un film cinematografico.

Il meccanismo di sottrazione può non essere radicale o totale, ma anche sottile e parziale. Non si tratta, cioè, solamente di eliminare totalmente un personaggio: si può anche limitarne l'importanza, accorparne diversi in un unico che comprenda caratteristiche fisiche, caratteriali e sociali comuni a quelle dei personaggi di partenza del romanzo.

2) Aggiunte e dilatazioni.

La dilatazione può avvenire generalmente in diversi casi: quando il racconto di base è solo una traccia; nel caso in cui ci si concentri soltanto su singoli episodi ampliandone i momenti pù importanti; oppure quando si ha a che fare con dei racconti brevi.

Le linee del plot vengono mantenute ma è anche possibile aggiungere nuovi percorsi e subplot, espandere e arricchire la trama.

Il cineasta puo' decidere di aggiungere al testo letterario scene o personaggi che in esso non

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compaiono.

Un procedimento utilizzato spesso quando si parla di dilatazione è l'espansione, che può riguardare uno specifico elemento del romanzo o più aspetti narrativi.

È un processo che, in realtà, si colloca tra l'aggiunta e la rieaborazione.

Si guarda al testo come base di partenza ma si prosegue con un'interpretazione personale dando vita ad un'opera che lo eccede completamente.

Il processo di figurativizzazione cui un film sottopone la materia letteraria comporta sempre un contributo ulteriore28.

Sopratutto per quanto riguarda la scenografia, dato che la messa in scena cinematografica ha la possibilità di spettacolarizzare il paesaggio in un modo diverso da quanto accade con le descrizioni di un romanzo.

Discorso analogo per gli effetti speciali, ancor di più nei casi in cui spesso hanno un valore determinante per la buona riuscita del film.

3) La fine e l'epilogo.

È paradigmaico il fatto che capiti di rispettare un romanzo abbastanza fedelmente nelle sue componenti principali, ma ne venga cambiato il finale.

L'epilogo di una storia sancisce il senso della vicenda narrata, per questo motivo, qualsiasi variante diventa particolarmentre significativa.

È determinante, in quanto è ciò verso cui tutto converge, rivela se nel mondo del racconto prevale la giustizia o l'ingiustizia, se c'è speranza o meno.

Si parla di “punto finale”, il quale a sua volta fornisce il punto di vista dal quale la storia deve essere colta, in quanto prodotto appartenente a un autore con una specifica visione sul mondo.

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Una buona conclusione, ovviamente, non deve essere prevedibile ma, allo stesso tempo, deve essere coerente con il resto della storia e con gli episodi narrati.

4) Mutare il contesto.

Il film e il romanzo si confrontano sempre con un contesto di riferimento che ne influenza la fruizione a ogni livello, sia dal punto di vista della ricezione che della produzione.

Quando si sceglie di scrivere una sceneggiatura, che sia un adattamento o un'opera nuova, bisogna ricordarsi del fatto che l'ambiente sociale del pubblico influenzerà sul modo di giudicare e di apprezzare o meno una determinata opera.

Allo stesso tempo, quando si scrive una storia, quest'ultima sarà sempre ambientata in un determinato luogo e in un'epoca specifica e, per rendere verosimile la narrazione e fare in modo che il pubblico possa identificarsi nei personaggi, occorre descrivere e creare un contesto che sia credibile e coerente nel suo insieme.

Proprio per questa doppia funzione del contesto (dell'emittente e del destinatario della comunicazione filmica), talvolta può accadere che nell'adattare un romanzo, l'autore scelga di mutare l'ambientazione in modo da sceglierne una che sia più apprezzabile per il target sociale che ha deciso di porsi come riferimento.

Come conseguenza, si può scegliere di dare, ad esempio, una maggiore importanza al peso del referente storico: avvenimenti che nel testo letterario fanno da semplice sfondo vengono approfonditi e assumono un valore ulteriore nella narrazione.

Viceversa, si può scegliere di attribuire dei riflessi contemporanei a delle storie ambientate in contesti differenti, nel caso in cui l'autore decida di trasmettere un messaggio che rifletta il suo punto di vista su determinati avvenimenti che stanno accadendo e che lo coinvolgono particolarmente, tanto da esprimerne una sua personale opinione.

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5) Modificare lo schema narrativo.

È importante lavorare sulla costruzione del racconto in modo da creare una storyline adatta al linguaggio cinematografico, anche se questo può significare attuare delle modifiche allo schema dei fatti, ordinare diversamente le scene e quindi creare delle differenze rispetto al romanzo di partenza.

Esistono svariate tecniche per rendere la trama di un libro più vicina alle modalità di comunicazione proprie del cinema.

Ad esempio, si possono dosare diversamente le informazioni da fornire al pubblico, fare in modo che vengano distribuite in momenti diversi della narrazione, così da creare la suspance necessaria a mantenere vivo l'interesse del pubblico.

Si può invertire o modificare l'importanza di determinate sequenze, come conseguenza del fatto che, se nel romanzo un'attenzione particolare è data alle descrizioni e alle riflessioni dello scrittore, nei film hanno più rilevanza i momenti di azione vera e propria.

È molto frequente il cambio del narratore: chi racconta la storia? Un narratore esterno o uno partecipe dei fatti?

Il romanzo, spesso viene raccontato in prima persona, questo nel film non è possibile o, comunque, è sconsigliato, perciò nella trasposizione il narratore viene fatto scomparire e il racconto diventa obiettivo.

In generale, il contributo dell'autore cinematografico (tanto del regista quanto dello sceneggiatore) può essere un modo intenzionale attraverso cui personalizzare l'opera, per mettere in evidenza il suo lavoro e la sua visione relativa alle tematiche che stanno alla base della trama, quindi, in definitiva, un modo per rivendicare la paternità del film e per marcare la propria autonomia rispetto a un testo ideato e scritto da altri.

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1.4 Riflessioni operative.

Dopo aver analizzato le varie teorie e tecniche di adattamento, ho ragionato su come poterle applicare al mio testo-fonte, Semplice.

Innanzitutto, vista la grande quantità di personaggi presenti nella storia, tra i quali, sei protagonisti maschili e vari personaggi secondari, aventi comunque un ruolo determinante, dopo essermi confrontata con lo scrittore, Giorgio Terruzzi, abbiamo stabilito che il primo passaggio da effettuare sarebbe stato l'identificazione di quali era necessario mantenere e quali invece poter “sacrificare”.

La scelta è stata fatta anche in base alle scene che riteneva importante trasporre, pertanto, stabilendo i personaggi indispensabili per il progredire della narrazione.

Come avrò modo di approfondire in seguito, la soluzione che abbiamo trovato è stata accorpare due dei protagonisti, eliminando il personaggio di Mario e trasferendo alcune delle sue caratteristiche su quello di Diego.

Inoltre, abbiamo eliminato parecchi personaggi secondari ritenuti non necessari per l'avanzamento della storyline, tanto meno per la valorizzazione della dimensione dei protagonisti da mettere in rilievo.

Per citare alcuni dei processi descritti nei precedenti paragrafi, si è trattato di applicare delle sottrazioni, per ottenere una linearizzazione della trama.

Inoltre, il romanzo è stato scritto attraverso la voce di Franco, l'allenatore dei prontagonisti, quindi si tratta di un narratore extradiegetico e omodiegetico (cioè di primo livello e appartenente al mondo degli avvenimenti) e onniscente che inserisce spesso, nel corso della storia, delle riflessioni personali, difficilmente trasponibili in un film cinematografico.

Come conseguenza, avremo una riduzione dell'interioità del personaggio e del suo punto di

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vista.

Dato che l'adattamento cinematografico comporta la necessità di una semplificazione, abbiamo lavorato anche alla costruzione del racconto, in modo da creare una storyline più semplice e chiara, modificando lo schema dei fatti quando risultava troppo complesso e ordinando diversamente le scene; ad esempio, eliminando i flashback superflui e mantenendo soltanto quelli necessari alla comprensione degli eventi passati che si ripercuotono sul presente della storia.

Non è stato necessario modificare il contesto o l'epilogo, poiché il messaggio che si intende trasmettere a un potenziale pubblico rimane lo stesso: il valore di un'amicizia fraterna che si mantiene nonostante gli ostacoli, il dolore che si prova quando viene a mancare una persona a cui ci sentiamo particolarmente legati e la passione per uno sport che, in certi casi, ti salva la vita.

In conclusione, abbiamo visto che Mitry parla di due strategie dell'adattamento cinematografico, la fedeltà alla lettera e la fedeltà allo spirito: nel mio caso, si è trattato di optare per la seconda.

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CAPITOLO 2

LA SCENEGGIATURA

“Chi crede che si possa scrivere per il cinema (e sono molti) senza conoscere la tecnica della scrittura cinematografica si sbaglia. La tecnica assiste e sostiene la fantasia e l'ispirazione – quando ci sono - e viene dall'esperinza, dallo studio e dall'osservazione di ciò che gli altri fanno e, sopratutto, hanno fatto prima di noi.29

2.1 Definizione e funzioni della sceneggiatura

La sceneggiatura cinematografica è un testo dalla natura ambigua e viene scritta con uno scopo specifico: fornire una base alla lavorazione del film.

La drammaturgia teatrale fornisce “soltanto” il discorso diretto dei vari personaggi e alcune informazioni riguardanti l'azione scenica.

Nella narrazione filmica, invece, c'è qualcosa di più: continui riferimenti alla situazione, ai personaggi, al modo in cui sono vestititi, all'ambiente che li circonda ma, sopratutto, indicazioni sul rapporto che gli elementi del profilmico intrattengono con la macchina da presa.

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La sceneggiatura è un processo e può dunque considerarsi come una struttura di passaggio che “non si accontenta” del suo essere scrittura, ma non è ancora nemmeno cinematografica30. Analizzando il testo-sceneggiatura, Pasolini31 cerca di trarne una

definizione. Il titolo del suo saggio lascia intravedere il contenuto stesso delle sue riflessioni: La sceneggiatura come “struttura che vuole essere alta struttura” (1972), nel quale la definisce come un testo scritto che vuole trasformarsi in un testo cinematografico. Egli mette in relazione il lavoro di scrittura dello sceneggiatore con il genere di testo che si troverà davanti il lettore, successivamente trae le sue conclusioni. La sceneggiatura, consapevolmente o meno, elabora delle forme espressive specifiche, in funzione del cinema, che contengono una vocazione dei loro segni (scritti) a farsi altri segni (filmati)32.

Francis Vanoye la definisce, invece, come “un testo narrativo-descrittivo scritto in vista di

essere filmato o più esattmente di diventare film”33.

I momenti della scrittura cinematografica sono principalmente due.

La prima fase è prevalentemente narrativa, predomina infatti l'elaborazione della storia e dei personaggi e si buttano giù l'idea, il soggetto e il trattamento. In questa fase prende forma l'iintreccio.

La seconda è più tecnica, si tratta di tradurre la storia e il racconto nel linguaggio delle immagini.

Come conseguenza, vi è una separazione dei due momenti anche da un punto di vista contrattuale: una parte del compenso è relativa al lavoro svolto per la scrittura del soggetto

30 Manzoli. Cinema e letteratura . cit. pag 58.

31 Per Paolo Pasolini (1992-1975) poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano. Rappresenta il caso più emblematico di come cinema e letteratura possano raggiungere un alto livello con il medesimo autore. Ritiene che l'elemento che “cuce” il rapporto tra cinema e letteratura sia proprio la sceneggiatura.

32 Manzoli. Cinema e letteratura . cit. pag 58.

33 F. Vanoye, La seneggiatura. cit. pag 10

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o dell'adattamento letterario; l'altra comprende la stesura della sceneggiatura e viene valutata in base ai giorni lavorativi necessari per il completamento dello script.

Bisogna considerare che chi scrive il soggetto non sempre si occupa anche della sceneggiatura.

Un'idea originale può essere pensata da chiunque abbia una spiccata mente creativa, ma tradurla per quanto ancora virtualmente, in narrazione cinematografica richiede delle competenze specifiche.

Le forme più diffuse per scrivere una sceneggiatura sono tre: l'italiana, l'americana e la francese34.

Negli ultimi anni, però, anche in Italia è stata adottata quella americana.

All'italiana.

La pagina è divisa in due colonne, la parte sinistra contiene la descrizione dell'ambientazione, dei personaggi (aspetto fisico, indumenti, movimenti, gesti, espressioni) e le principali indicazioni relative ai movimenti della macchina da presa.

Sulla destra troviamo invece i dialoghi, ogni battuta è preceduta dal nome del personaggio scritto a lettere maiuscole e seguito dalle indicazioni sul tono di voce, dette paralinguistiche.

Se un personaggio parla mentre avvengono delle azioni descritte sulla sinistra non è necessario riscrivere il nome del personaggio ogni qualvolta si alternano descrizioni e dialoghi.

Quando la scena, svolta in un determinato ambiente, si conclude e si passa a una successiva, si cambia anche pagina.

Un dato comune a tutte le modalità è la dicitura dell'ambiente in maiuscolo.

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All'americana.

È molto più tecnica rispetto alla forma italiana e contiene delle indicazioni stilistiche relative alle posizioni della macchina da presa.

La parte descrittiva stavolta è a tutta pagina, pertanto le battute del dialogo sono collocate nella parte centrale del foglio. Il nome del personaggio va riscritto anche se vi sono righe di descrizione che si alternano al dialogo dello stesso.

A fine scena non si cambia pagina, la scrittura continua nonostante ci possano essere dei cambiamenti di luogo o salti temporali rispetto alla scena che precede. Questo può essere considerato uno svantaggio: quando si impiega la forma all'italiana, se si decide eliminare o di sostituire una scena, basta sfilare soltanto il foglio che la contiene. Al contrario, in quella americana lo scrittore è obbligato a una ristampa, successiva alle modifiche da apportare.

Alla francese.

Si può considerare come una combinazione tra la forma italiana e quella americana. La parte descrittiva è a tutta pagina e i dialoghi restano leggermente spostati sulla destra. Questo facilita la lettura poiché non si deve andare a capo dopo poche parole, come nella forma italiana.

2.2 Le fasi preparatorie.

Secondo Lida Seger, come afferma in Come scrivere una grande sceneggiatura, gli elementi essenziali della sceneggiatura sono cinque: la trama, i personaggi, l'idea di base, le immagini e i dialoghi. Ogni scrittore può scegliere da quale di queste componenti partire per costruire la storia che vuole raccontare.

(40)

Ad esempio, quelli particolarmente abili con i personaggi, possono iniziare a prefigurare una linea narrativa a partire da un protagonista che hanno ideato e attorno al quale vorrebbero sviluppare le vicende, lasciando che la storia si evolva a seconda delle scelte e delle azioni del personaggio. Viceversa, si potrebbe cominciare con un nucleo narrativo che esprima un determinato tema che sta a cuore allo sceneggiatore; comincerà allora con un'idea, qualcosa che vuole esplorare, un messaggio da trasmettere al pubblico.

È importante trattare un tema che, a prescindere da quale sia il contesto storico e sociale nel quale è ambientata la storia, sia comunque rivolto a un pubblico contemporaneo (in linea con i valori e i gusti del targhet di riferimento scelto dallo sceneggiatore, radicato in un epoca e in un contesto ambientale preciso), in modo tale da permettere l'immedesimazione dello spettatore nei panni del protagonista.

Infine, altri scrittori potrebbero essere particolarmente affascinati dall'azione, si concentreranno quindi prima di tutto sulla scaletta o sulla sequenza degli eventi che intendono seguire.

Ognuno dei cinque elementi prende forma in momenti diversi del processo ma, indipendentemente da dove lo scrittore voglia cominciare, a un certo punto tutti dovranno confluire nella sceneggiatura finale.

Una volta identificati l'idea drammatica e i protagonisti35, si potrà articolare l'intreccio.

Tutto questo materiale verrà raccolto in scene individuali: il mezzo attraverso cui la storia viene raccontata (di conseguenza, tutta la vicenda viene narrata in scene individuali). La scena è infatti il singolo elemento più importante di una sceneggiatura, una specifica unità d'azione. È una descrizione visiva che può essere supportata dai dialoghi, un frammento della storia che rimane compreso in un'unità di tempo e luogo.

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L'aspetto più importante che riguarda la scrittura della singola scena riguarda la sua funzione: occorre verificare se soddisfa la necessità per la quale l'abbiamo scritta.

Prima di tutto bisogna definirne lo scopo, ciò che apporta alla storia, sia essa una scena decisiva per lo sviluppo dell'azione che per la definizione del personaggio.

Ogni sceneggiatura, per poter comunicare efficacemente, deve quindi essere riconducibile a un problema di carattere generale, riscontranbile già a partire dall'idea drammatica

- definita anche story concept - che esprime l'essenza della storia36. Inoltre, presenterà il

conflitto che un protagonista deve superare per raggiungere il suo scopo.

Una volta individuata questa prima impostazione narrativa, saremo in grado di cominciare a costruire lo scheletro della storia.

Definire l'idea della storia ci dà una direzione da seguire ma non può differenziare la nostra sceneggiatura rispetto alle altre: la stessa idea può trasformarsi in molteplici storie, originate dal medesimo nucleo narrativo, che si può sviluppare in modo del tutto differente. Come conseguenza, la relazione tra idea drammatica, tema e intreccio varia ed è determinante.

Lo sviluppo di una sceneggiatura originale deriva da un'efficace articolazione tra il tema, i personaggi, l'ambientazione, il tono narrativo e un preciso sviluppo drammatico.

Esistono vari modi per giungere a una storyline completa e Linda Seger ne illustra i principali. Un buon metodo dovrebbe essere flessibile e facilitare il processo e creativo e, dato che si tratta di una tipologia di lavoro molto personale, ognuno potrà scegliere quale adottare per dare una forma coerente alla propria sceneggiatura.

Ogni metodo è valido quanto lo è l'abilità dello scrittore nell'usarlo37.

36 Age, Scriviamo un film. cit. pag 55.

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Il metodo delle schede.

Il metodo delle schede consiste nel raccogliere separatamente tutti i brandelli di idee che confluiranno nella sceneggiatura finale.

Questo genere di appunti possono essere brevi e coincisi ma anche annotazioni più estese ed elaborate, come ad esempio la descrizione di un ambiente o di un'azione.

Dato che il processo creativo prende avvio da un insieme disordinato di costruzioni mentali, fino ad arrivare a un ricongiungimento ordinato degli eventi che confluiranno nella storyline finale, la mente dello scrittore comincerà in modo naturale a notare una correlazione tra le schede.

Questo metodo è sicuramente il più flessibile: permette alle idee di emergere e trovare un collegamento reciproco.

Inoltre, mischiando le carte si può modificare la cronologia e la dinamica delle scene. Un buon modo per favorire un certo ordine mentale, è rappresentato dall'utilizzare dei cartoncini di diversi colori: man mano che si riordinano le idee, ogni colore va a rappresentare un determinato elemento della sceneggiatura.

“Magari state scrivendo un poliziesco e tutte le scene investigative sono annotate su cartoncini gialli. Usate i cartoncini rosa per le scene d'amore tra il detective e la testimone. Le schede bianche possono contenere note sui personaggi - compresi biografia, relazioni, descrizioni e abitudini peculiari -, quelle blu possono riportare annotazioni sulle immagini: l'immensità della città (come in Il fuggitivo) o le strade squallide di New York (in Taxi Driver)”38

La scaletta

Composta solitamente da poche righe riguardanti ogni scena, una scaletta completa conta

38 Ivi; pag 13.

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