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Donazioni e altre liberalità aventi ad oggetto beni futuri e altrui: dottrina e giurisprudenza a confronto

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

DONAZIONI E ALTRE LIBERALITÁ AVENTI

AD OGGETTO BENI FUTURI E ALTRUI:

DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

A CONFRONTO

Relatrice:

Prof.ssa Enza Pellecchia

Candidato:

Marta Galeotti

Correlatore:

Prof. Stefano Pardini

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Al mio nonno, che desiderava tanto poter assistere a questo

mio traguardo, e a cui auguro, con tutto l’amore che posso,

buon compleanno.

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Sommario

Introduzione ... 6

Capitolo Primo ... 10

Le problematiche causate dall’art. 769c.c ... 10

1. Cenni storici ... 10

2. Donazione come atto di liberalità ... 13

2.1. Liberalità e disposizioni testamentarie ... 18

3. - Lo spirito di liberalità ... 21

3.1. Liberalità come causa (negoziale) ... 28

3.2. Liberalità come effetto ... 34

3.3. Arricchimento e donazione modale ... 36

3.4. L’arricchimento ... 39

4. Causa e Interessi ... 41

Capitolo Secondo ... 48

Le donazioni indirette alla luce degli ultimi interventi giurisprudenziali ... 48

1. Premesse ... 48

2. La donazione indiretta nella teoria generale del negozio giuridico. ... 51

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2.1. Liberalità atipiche non negoziali ... 56

3. Disciplina applicabile alle donazioni indirette ... 60

4. Art.809 c.c. e mancato richiamo alla forma solenne ... 64

5. Individuazione della liberalità nelle donazioni indirette ... 69

6. L’ultimo rilevante contributo della giurisprudenza: Corte di Cassazione a Sezioni Unite, Sentenza n. 18725 del 27 Luglio 201773 6.1. La risposta delle Sezioni Unite ... 75

7. Contratto a favore di terzo (assicurazione sulla vita a favore di terzo) ... 78

8. Co-intestazione di conto corrente bancario ... 80

9. Adempimento del terzo ... 81

10. Collegamento negoziale ... 82

11. Donazione mista o negotium mixtum cum donatione ... 85

12. Rinuncia abdicativa ... 87

13. Delegazione, Espromissione, Accollo ... 89

14. Trust ... 93

15. Fondo patrimoniale ... 95

Capitolo Terzo ... 98

Donazione di bene altrui ... 98

1. Premesse ... 98

2. Il divieto di donazione di beni futuri ... 99

3. Donazione di beni altrui ... 104

4. Sentenza n. 1596 del 5 febbraio 2001 ... 109

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6. Sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016 ... 116

6.1. Questione relativa alla disposizione della c.d. “quotina” 119 6.2. La donazione di beni altrui. I principi enunciati dalle SS.UU 124 6.3. Nullità della donazione di cosa altrui per mancanza di causa donandi ... 127

6.4. Conclusioni ... 131

7. Donazione di cosa altrui ed usucapione abbreviata ... 139

Capitolo Quarto ... 145

Donazione indiretta di cosa futura o altrui ... 145

1. Premesse ... 145

2. L’oggetto delle donazioni indirette ... 148

3. Ratio dell’art. 771 c.c. ... 153

4. Permuta di “cosa presente con cosa futura” ... 158

5. Versamenti in conto corrente cointestato ... 162

Conclusioni ... 165

Bibliografia ... 168

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Introduzione

La Donazione, istituto all’apparenza così “collaudato” e radicato nel nostro ordinamento, dimostra, se lo si “scompone” negli elementi che ne compongono la definizione, l’attitudine ad essere, ancora oggi, oggetto di accesi dibattiti in dottrina e giurisprudenza.

Un interessante spunto, per comprendere solo alcune delle problematiche inerenti tale tipologia contrattuale e in generale, gli atti di liberalità, si può trarre dalla lettura di due recenti pronunce della Corte di Cassazione, la Sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017 e la Sentenza n.5068 del 15 marzo 2016. La prima, più recente, ha ad oggetto il controverso fenomeno delle donazioni indirette, la seconda, affronta la questione della nullità o meno della donazione di cosa altrui, a partire dal divieto di donazione di cosa futura posto dall’art. 771 c.c.

Analizzando i suddetti contributi della giurisprudenza, sarà doveroso andare a fondo in quelli che sono ritenuti i nodi problematici delle questioni trattate, cogliendo l’occasione per affrontare anche argomenti non espressamente menzionati dalla Corte di Cassazione.

L’indagine prenderà le mosse dall’art. 769 c.c., che disciplina il modello dell’atto di liberalità, ovverosia il contratto tipico di donazione, con il quale coesistono gli altri atti di liberalità contemplati dall’art. 809 c.c. e definiti, ma soltanto in negativo, come liberalità che risultano da atti diversi dalla donazione stessa.

Questa trattazione inizierà con un primo capitolo, finalizzato a delineare con maggior precisione possibile i tratti distintivi del genere liberalità, data l’indeterminatezza delle formule ricavabili dal mero dato normativo. L’analisi verrà compiuta ripercorrendo in sintesi le varie teorie sostenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza, al fine di individuare l’elemento che costituisce la virtù distintiva del fenomeno

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liberalità, che si rivelerà consistere, nella natura dell’interesse perseguito dalle parti attraverso il negozio posto in essere.

Successivamente, verrà evidenziato quale sia l’elemento che vale a distinguere la liberalità donativa da quella non donativa. La conclusione verterà su un concetto di causa contrattuale intesa in concreto come scopo pratico del negozio e sintesi degli interessi che lo stesso è diretto a realizzare, indipendentemente dal modello astratto utilizzato.

Le conclusioni raggiunte nel primo capitolo anticipano l’oggetto del secondo, che sarà quindi incentrato sulle donazioni indirette (da alcuni definite, liberalità atipiche), esponendo le varie teorie circa l’inquadramento di tali tipologie donative nel nostro ordinamento, data la loro eterogeneità e l’impossibilità di catalogarle all’interno di un numero chiuso di ipotesi concrete. Esigenza che si pone soprattutto da quando, registrato un massiccio ricorso a tali fattispecie da parte dei privati, causano svariati problemi di tutela degli interessi delle parti, esigenze di sicurezza nella circolazione dei beni immobili, e di continuo confronto tra gli interessi delle parti e gli interessi generali che l’ordinamento tutela.

Per queste ragioni, è importante comprendere quale sia effettivamente la disciplina applicabile a tali tipologie donative, e perciò, determinare se, in aggiunta agli istituti richiamati dall’artt. 809 e 737 c.c., vi si possano applicare anche altre norme dettate in materia di donazione. In questo capitolo sarà trattata, in particolare, la mancata estensione alle cd. donazioni indirette, dell’obbligo di forma solenne previsto per la donazione tipica ai sensi dell’art. 782 c.c..Tale argomento verrà esaminato alla luce delle teorie fondate tradizionalmente su una sorta di atteggiamento di “diffidenza” del nostro ordinamento, nei confronti del “dono” e le problematiche relative all’individuazione dell’animus donandi nelle donazioni indirette, in difetto dunque di forma pubblica. Per concludere, si riporterà quanto risulta dall’ultimo contributo della

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Cassazione del 2017 in materia, la quale fornisce anche un elenco di quelle che vengono ritenute ipotesi tradizionali di donazione indiretta. Il punto di partenza del terzo capitolo sarà invece, la Sentenza delle SS.UU del 2016, unicum nel panorama giurisprudenziale in materia di donazione di beni altrui, in quanto per la prima volta, ne dichiara la nullità per mancanza di causa donandi. Sarà opportuno dunque, risalire all’analisi dell’art. 771 c.c. sul divieto di donazione di beni futuri e ricostruire l’avvincente percorso della giurisprudenza, fino ad arrivare alla Sentenza sopra citata.

Emergerà che il “vero” problema pratico che si è posto agli interpreti e operatori del diritto, e che ha condotto fino alle Sezioni Unite, non è tanto la nullità o meno della donazione di cosa futura o altrui, bensì la possibilità che questa, sebbene nulla, possa costituire titolo idoneo ai fini dell’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c.

Terminerà questo lavoro, con un quarto capitolo, relativo alla donazione indiretta di cosa futura o altrui, questione impossibile da risolvere in termini generali e definitivi, potendo appunto le donazioni indirette realizzarsi tramite svariati schemi contrattuali. Occorrerà dunque, considerare la singola fattispecie concreta di donazione indiretta, determinarne l’oggetto e valutare, alla luce della ratio dell’art. 771 c.c., se sia opportuno applicarvi il divieto ivi contenuto. Per rendere evidente tale circostanza, verranno prese ad esempio alcune delle principali ipotesi di donazione indiretta quali l’intestazione di immobile in nome altrui, la permuta di “cosa presente con cosa futura” e la co-intestazione di conto corrente bancario.

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Capitolo Primo

Le problematiche causate dall’art. 769c.c

1. Cenni storici

La scienza giuridica è una disciplina che studia il diritto, inquadrandolo razionalmente ed elaborandolo in modo tale che l’interpretazione delle norme sia compiuta attraverso procedure logiche verificabili in ogni passaggio. Nella storia della cultura giuridica dell’umanità una vera e propria scienza del diritto si trova sviluppata per la prima volta nel mondo romano e ancora oggi lo studio del diritto romano si ritiene che fornisca al giurista moderno sia l’alfabeto che la grammatica del pensiero giuridico. Nessun codice odierno ha completamente rotto i collegamenti con la tradizione romana, piuttosto le disposizioni del diritto romano sono state create su misura in un sistema più coerente, espresso nella lingua nazionale di molti stati. Per questo la conoscenza del diritto romano è indispensabile per capire i sistemi giuridici contemporanei.1

Nel diritto romano, la donatio era quell’atto giuridico attraverso cui si realizzava uno spostamento di ricchezza dal donante al donatario, realizzando un incremento patrimoniale per quest’ultimo con contestuale decremento per il primo.

La donazione, inizialmente, non era un negozio giuridico autonomo, difatti lo scopo liberale si realizzava mediante il ricorso ad altri schemi negoziali, dotati anche di causa donationis. Se effettuata con mancipatio, in iure cessio o traditio aveva effetti reali –donazioni in dando-, se operata mediante stipulatio, effetti obbligatori –donazioni in obligando-, se il donante compiva acceptilatio del proprio credito,

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produceva l’effetto della remissione di debito –donazione in liberando2.

In età postclassica iniziò ad assumere rilievo soprattutto l’elemento soggettivo dello spostamento patrimoniale, l’animus donandi, inteso quale volontà del donante di spossessarsi di un proprio bene a vantaggio di altri soggetti.

Nello stesso periodo, con lalex Cincia de donis et muneribus, dell’ anno 204 a. C., venne introdotta una misura limite alle donazioni e furono proibite quelle che eccedevano la misura di mille assi. Era una lex imperfecta in quanto né annullava né puniva le donazioni fatte contro il suo divieto. Tale limitazione venne, in età giustiniana, abolita. In età augustea, invece, fu introdotto il divieto secondo cui le donazioni preposte a carico del coniuge fossero inesistenti, fatta eccezione per regalie d’uso, le donazioni di scopo e le donazioni al momento del divorzio.3 La ratio del divieto si fondava sul fatto che

l’affectio maritalis impedisse una appropriata e serena valutazione della scelta di compiere la liberalità. Nelle eccezioni indicate la donazione fra coniugi restava comunque possibile, considerando, ora il tenore usuale della donazione, ora il suo scopo preciso, ora la cessazione dell’affectio maritalis, tale da far venir meno il pericolo indicato. Fu previsto che colui che effettuava una donazione poteva, pertanto, rivendicare la cosa trasferita o mancipata in altro modo e ripetere la somma pagata, con il limite secondo cui la donazione tra coniugi risultava essere inattaccabile dopo la morte del donante.

2Il fine di liberalità poteva costituire il presupposto di legati, remissioni del debito, costituzione di dote. A.Guarino, Istituzioni di diritto romano, Jovene editore, Napoli, 2006,pag. 550.

3P.Bonfante, Le donazioni tra coniugi, in Corso didiritto romano, Diritto di

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Fu poi l’imperatore Costantino a stabilire che la donazione dovesse necessitare di una forma scritta e registrata in un pubblico registro, detto insinuatio, introducendo quell’elemento essenziale che connota la donazione anche nel nostro ordinamento.

In età Giustinianea, emerse, infine l’autonomia del pactum donationis (patto di donazione), richiedendo la insinuatio solo per la donatio a carattere obbligatorio. Nasceva in tal modo un’autonoma figura contrattuale.

Per onere di completezza deve tenersi conto che già nel diritto romano era conosciuta la donazione modale, prevedendo in capo al beneficiato l’onere di eseguire una certa prestazione con la possibilità per il donante, tramite una stipulazione separata o un patto di fiducia, di farsi promettere la restituzione della cosa donata allorquando il beneficiato fosse inadempiente. Tale istituto subì un’evoluzione, venendo nel tempo considerato come datio ob causam, fondata una condictio per la restituzione di quanto donato in caso di inadempienza da parte del donatario4.

Infine è curioso constatare che, a differenza degli antichi diritti orientali e dei diritti germanici, il diritto romano nelle prime epoche non conosce affatto la donazione obnuziale come istituito a sé, nonostante l’uso di donativi tra fidanzati fosse assai diffuso nel costume sociale. Nel secolo III si farà strada l’uso di costituire in dote la donazione, così da assicurare alla donna di ottenerla allo scioglimento del matrimonio, anche se la donazione obnuziale non è ancora istituto a sé e assumerà caratteristiche proprie solo a partire da Costantino.5

4A.Guarino, ult. op. cit.

5 U.Carnevali, (voce) Donazione, in Enc. Giur. Treccani, vol.XII Roma, 1989, pag. 2; A.Checchini, (voce)Liberalità (atti di), in Enc. Giur. Treccani, vol. XVIII, Roma, 1990, pag. 5.

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13 2. Donazione come atto di liberalità

Ad oggi la donazione costituisce un’autonoma figura contrattuale, disciplinata dall’art. 769c.c. come “Il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa un diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.La attuale definizione è considerata più completa di quella originariamente contenuta nell’art. 1050 del codice del 1865: “la donazione è un atto di spontanea liberalità col quale un donante si spoglia attualmente e irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l’accetta. Con l’art 769 c.c., si è ampliato l’oggetto della donazione, considerando oltre a quella reale, quella obbligatoria e liberatoria6. Per poter comprendere i caratteri di questo contratto e le incertezze che si sono trovati a fronteggiare dottrina e giurisprudenza, è doveroso analizzare in che modo si colloca all’interno dell’altrettanto controverso genus degli atti di liberalità.

Il termine liberalità ricorre con frequenza nel linguaggio legislativo e le norme che vi fanno riferimento formano un corpo di disciplina comune agli atti dotati di certi caratteri. La categoria liberalità è quindi autonoma e dotata di caratteri sufficientemente omogenei e di un nucleo comune di disciplina, tanto da costituire un genus comprendente atti tra loro diversi ma con qualche elemento somigliante.7

Il contratto di donazione è l’archetipo e l’essenziale termine di paragone di tutti gli atti di liberalità, caratterizzato da spontaneità e disinteresse e gratuità8 Già da questa affermazione si intuisce che l’area dell’atto di liberalità è molto più ampia di quella della donazione

6G.Capozzi, Successioni e Donazioni, Torino, 2015, pag. 1515.

7 G.Amadio e F.Macario (a cura di), Diritto Civile.,Norme, questioni,

concetti., II., Le successioni e le donazioni, Il Mulino, 2014.

8Connotati che l’art 769 c.c racchiude nella formula per cui una parte “per

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e che quindi i due termini non coincidono totalmente, pertanto se la donazione è un atto di liberalità, non sempre le liberalità sono donazioni “in senso tecnico”. È bene tuttavia fare delle premesse, per ricapitolare la tanto dibattuta distinzione tra le nozioni di liberalità e di gratuità.

Il diritto dei contratti è sempre stato impostato su una logica di tipo onerosa, finalizzata al raggiungimento della regolamentazione dei mercati, ovvero il luogo degli scambi, delle relazioni in cui ciascuna parte dà all’altra e riceve dall’altra o, meglio, dà in quanto e perché riceve. Tuttavia, non può dubitarsi dell’esistenza di alcune fattispecie prive della logica della onerosità. I c.d negozi giuridici infatti si suddividono in due macro-categorie: negozi a titolo oneroso e negozi a titolo gratuito.

I primi sono caratterizzati dal binomio sacrificio-vantaggio, ovverosia contestuale presenza di una diminuzione patrimoniale di una delle parti, definita sacrificio, e di un vantaggio patrimoniale della controparte. Sono caratterizzati dalla presenza del sinallagma, inteso come il rapporto strutturato in termini di prestazione-controprestazione.9

Il segmento più importante dei negozi a titolo oneroso è rappresentato dai negozi di scambio, ai quali seguono i negozi associativi. Più discussa invece è la riconducibilità in questa categoria del contratto normativo, in quanto è più complesso giustificare la sussistenza dello schema sacrificio-vantaggio (al più si potrebbe sostenere che le parti, stabilendo le condizioni per i futuri contratti che andranno a stipulare, sopportano sacrifici per ottenere vantaggi).

Di contro, i negozi a titolo gratuito si caratterizzano per la realizzazione a favore di una delle parti di un vantaggio immediato senza che emerga un corrispondente sacrificio patrimoniale per la

9M.Santise, Coordinate ermeneutiche del diritto civile, Giappichelli, Torino,

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controparte. Manca quindi il sinallagma, lo schema sacrificio-vantaggio.

Tuttavia, questi negozi non sono privi di utilità per colui che sostiene il sacrificio, poiché questo realizza comunque un suo interesse economico, seppur non immediato.

Il nostro codice civile tipizza infatti alcuni contratti gratuiti come il comodato (art 1803c.c), prevede altresì negozi che si presumono gratuiti, come il deposito (art. 1767c.c). Infine, disciplina negozi che le parti possono configurare gratuiti, come il mutuo (art. 1815c.c) e il mandato (art.1703 c.c.)

Nel negozio gratuito comunque sussiste una giustificazione causale in un interesse patrimoniale di chi si obbliga o trasferisce, ancorchè mediato. Giustificazione che rileva sempre in via oggettiva come causa e non a livello di semplice motivo.

Altra caratteristica strutturale del negozio giuridico, sia ad effetti obbligatori che reali10 è che normalmente è a forma libera, in virtù del principio di libertà delle forme che governa il nostro ordinamento, salvo le ipotesi in cui la forma scritta sia richiesta a norma dell’art 1350c.c.

Da quanto argomentato emerge che il negozio a titolo gratuito si distingue, per la sua rilevanza patrimoniale, non solo dalla donazione ma anche dai rapporti di cortesia e soprattutto dagli atti di liberalità. È da considerarsi ormai superata la tendenza ad identificare gratuità e liberalità, connotate entrambe dall’assenza di corrispettivo o di compenso, anche in forma mediata o successiva. Si è diffusa semmai l’idea secondo la quale tra le due nozioni sussista un rapporto di genus

10Un contratto si può dire ad effetti obbligatori quando la parte onerata si

obbliga ad eseguire una certa prestazione nei confronti dell’altra, mentre è ad effetti reali quando si realizza il trasferimento di un diritto reale o di un altro diritto, con il semplice consenso traslativo ex art. 1376c.c.

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a species.11In questa prospettiva gli atti di liberalità avrebbero tutti i connotati degli atti gratuiti e un elemento specificatore aggiuntivo, che a seconda delle singole posizioni assunte dagli autori sarebbe lo spirito di liberalità, come elemento soggettivo che si aggiunge alla gratuità oggettiva, o l’arricchimento del beneficiario.12 Questo sarebbe presente

solo negli atti di liberalità e coinciderebbe con la stabile attribuzione di diritti sui beni. Al contrario gli atti con i quali il disponente si limiti ad assumere gratuitamente un’obbligazione verso il beneficiario non determinerebbero un arricchimento, ma si risolverebbero in una omissio adquirendi del disponente. Secondo questa impostazione tutti gli atti di liberalità sono gratuiti, e possono sussistere anche atti gratuiti non liberali.

Il criterio che oggi si è fatto maggiormente strada per distinguere la gratuità dalla liberalità, e gli atti di liberalità da altri atti gratuiti ma non liberali, fa capo agli interessi perseguiti dalle parti e alla loro natura.13 I tratti distintivi delle liberalità, l’assenza di corrispettivo e lo spirito di liberalità, se visto come mero intento di arricchire, trovano spiegazione nel fatto che l’atto di liberalità è volto a perseguire un interesse non economico- patrimoniale del disponente. Al contrario si avrà un atto a titolo gratuito in presenza di un’attribuzione senza corrispettivo o sacrificio per l’acquirente, ma volta alla realizzazione di interessi economici di colui che compie l’atto. Si pensi, per esempio, al contratto in virtù del quale un musicista agli esordi si obbliga ad esibirsi gratuitamente in una manifestazione di un certo richiamo. Non si tratterà di un atto di liberalità, poiché in questo caso si realizza un interesse reclamistico dell’artista, diretto a realizzare effetti pubblicitari.

11G.Balbi, La donazione, Milano, 1964.

12 G.Amadio, “La nozione di liberalità non donativa nel codice civile”, in

Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione del notariato, Milano, 2008, pag. 15.

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Si faccia presente che a ben ragionare, sembra che in tutti i casi di atto a titolo gratuito possa comunque parlarsi di un arricchimento a favore di una parte e di un depauperamento dell’altra, quantomeno in termini di mancata produzione di un lucro o impiego non retribuito di energie. Si pensi al caso di un soggetto che concede senza canone ad un altro il godimento di un appartamento, determinando l’arricchimento di questi nei limiti in cui non corrisponde la pigione. Ancora, se un soggetto compie attività giuridica per conto di un altro senza compenso per l’opera svolta, quest’ultimo si giova di un lavoro che altrimenti avrebbe dovuto compiere personalmente o assumendo un’altra persona, e il primo perde il valore economico dell’attività profusa. Si può pertanto inquadrare il rapporto tra negozio gratuito, liberalità e donazione in questi termini: il negozio gratuito è il genere, la liberalità una sua specie e il contratto di donazione la principale liberalità.14

Come già accennato, in quest’ottica non tutti i negozi gratuiti sono liberalità, ma tutte le liberalità sono atti a titolo gratuito.Infatti,come vedremo, le liberalità comportano l’impoverimento di chi le compie e l’arricchimento di chi le riceve. Gli atti a titolo gratuito si caratterizzano invece per il fatto che una sola parte riceve e l’altra sopporta un sacrificio, essendo unica l’attribuzione patrimoniale; tuttavia il patrimonio di chi esegue queste prestazioni senza corrispettivo non si incrementa né si depaupera.15 Sono pertanto atti gratuiti che non costituiscono liberalità il comodato e il mutuo infruttifero, non avendosi impoverimento del comodante e del

14G.Capozzi, Successioni e donazioni, Giuffrè, Milano, 2015, pag. 1505 ss.; Torrente, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 1956 ; In dottrina si veda il recente contributo di Carrabba,

Donazioni, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del notariato,

diretto da Pietro Perlingieri, Napoli, 2009.

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mutuante, ma solo un omissio adquirendi.16Infatti nel primo, il comodatario gode del bene senza pagare nessun canone, nel secondo, non viene pattuita la corresponsione di interessi e quindi in entrambi i casi non si verifica il depauperamento del mutuante o comodante. La gratuità riguarderà il mancato pagamento degli interessi legati alla naturale fertilità del denaro e il mancato pagamento del canone.

2.1. Liberalità e disposizioni testamentarie

Un atto di liberalità può realizzarsi anche per anticipare gli effetti dei fenomeni successori, mediante la stipulazione di atti intervivos, in cui il soggetto che dona riesce a controllare gli effetti delle attribuzioni effettuate, potendo in determinati casi addirittura revocarle.

Come già accennato e come approfondiremo in seguito, i caratteri peculiari dell’atto di liberalità sono la spontaneità, l’attribuzione senza corrispettivo, che genera l’arricchimento del destinatario dell’atto, considerato dalla dottrina tradizionale oggetto di uno specifico intento dell’autore dell’atto, il cosiddetto spirito di liberalità. Questo concetto quindi non comprende le disposizioni testamentarie, considerato che queste non possono certo impoverire il testatore. Tuttavia, dato che il nostro codice civile disciplina il contratto di donazione, che, come detto, intrattiene una particolare relazione con il genus atti di liberalità, nel libro dedicato alle successioni mortis causa, è opportuno capirne le differenze e le affinità.

Le disposizioni testamentarie non sono necessariamente liberalità. Non sempre infatti, istituzione di erede e legato sono diretti all’arricchimento di un soggetto, anche se questo è il loro effetto

16Sui rapporti tra atti a titolo gratuito, atti di liberalità e donazione si veda:

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normale.17 Emerge così una funzione tutt’altro che di arricchimento, potendo le voci passive superare quelle attive a scapito di ogni qualsivoglia beneficio.

È da tenere presente l’esistenza nel nostro ordinamento di una norma come l’art.458 c.c. che sancisce il divieto di patti successori, ossia quelle convenzioni (bilaterali o unilaterali) che hanno ad oggetto, in tutto o in parte, una futura successione.18 Si registra da lungo tempo ormai una progressiva tendenza a delimitare l’ambito di operatività di questo divieto, che evidentemente si rivela un ostacolo a perseguire esigenze sempre più sentite e conformi all’interesse generale. Ma non è questa la sede per esaminare il fenomeno né per trattarlo nella sua dimensione generale.

Quello che interessa a noi è che ormai non tutti i negozi diversi dal testamento, che presentano effetti dipendenti dalla morte di una persona sono da ascriversi all’area dei negozi mortis causa vietati dall’art. 458 c.c. La tesi che vede nel testamento l’unico strumento di disposizione dei beni mortis causa è condivisibile nel senso che è l’unica via per l’attribuzione di diritti successori; l’idea che sia illecito ogni negozio conferente benefici in dipendenza della morte del disponente invece non ha supporto normativo e pone un limite ingiustificato all’autonomia privata.

17G. Capozzi, op. ult. cit., ”Per l’istituzione di erede basti pensare all’ipotesi

di eredità beneficiata di cui all’art. 484c.c, in cui l’accettazione dell’eredità ad opera dell’istituito erede ha l’effetto di tenere distinto il patrimonio del defunto dal proprio; per il legato si pensi alla figura del legato di debito, che si ha quando l’attribuzione è stata espressamente effettuata al fine di soddisfare il legatario del suo credito, ergo siffatto atto dispositivo è scevro di un effettivo connotato di spontaneità”.

18 Cass. 1979 n.2228: “La nullità dei patti successori é comminata dall'art.

458 c.c , al fine di conservare al testatore la libertà di disporre dei propri beni per tutta la durata della sua vita; ne consegue che una convenzione é qualificabile come patto successorio solo se attui la trasmissione di diritti relativi a una successione non ancora aperta e faccia sorgere un vinculum iuris, di cui la successiva disposizione testamentaria costituisca l'adempimento“.

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Queste constatazioni trovano riscontro immediato rispetto all’istituto della donazione che per il suo tipico connotato di gratuità, è tradizionalmente lo strumento più usato in funzione anticipatoria della successione. È un contratto estraneo all’ambito del divieto dei patti successori poiché ciascun soggetto è libero di disporre finchè è in vita dei propri beni a titolo di liberalità, l’operazione potrà poi rilevare in sede successoria ai fini della collazione e dell’azione di riduzione, ma sarà comunque idonea ad effettuare validamente l’attribuzione patrimoniale al donatario. A tal proposito si pensi alla figura della donazione dichiaratamente mortis causa, in cui appunto la morte del donante costituisce la causa della donazione o alla donazione sottoposta a condizione risolutiva della premorienza del donatario. La condizione della premorienza è più discussa, sul punto la giurisprudenza è contrastante nell’affermane la validità o meno di tali donazioni poiché da un lato c’è l’immediata disposizione del bene e la conseguente produzione di effetti negoziali: il beneficiario acquista una aspettativa giuridicamente tutelata, e questo va a sostegno della tesi della validità; dall’altra, si tratta di una disposizione irrevocabile di propri beni per il tempo successivo alla morte, e ciò conduce alla tesi della nullità.19

La liberalità come negozio inter vivos e le disposizioni testamentarie mantengono comunque tratti distintivi sul piano strutturale: nel caso delle disposizioni testamentarie si parla di negozio unilaterale, nel caso delle donazioni di negozio bilaterale ad efficacia tendenzialmente attuale, ma di fatto solo in queste ultime si verifica un impoverimento del disponente 20

Continuando ad analizzare il rapporto tra atti di liberalità e disposizioni testamentarie, è doveroso sottolineare che il testamento suole non

19 A.Palazzo-A.Sassi, Trattato della successione e dei negozi successori, II,

Negozi successori anticipatori, Utet Giuridica, 2012.

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venire annoverato tra gli atti di effettiva liberalità. Ciò non solo e non tanto perché la successione avviene per fatto estraneo alla volontà del testatore, il quale dispone che questa avvenga a favore di uno piuttosto che di altri successibili: proprio la scelta di uno e non di un altro successibile potrebbe infatti rappresentare, nei confronti del prescelto, un atto di liberalità. 21 Accade invece perché la disposizione testamentaria, sia a titolo universale che particolare, importa normalmente, ma non essenzialmente una liberalità. L’istituzione di erede può non solo non arrecare alcun vantaggio patrimoniale al chiamato, ma addirittura risolversi in un pregiudizio per quest’ultimo. Questa grave conseguenza è esclusa per il legatario, posto che egli non risponde dei debiti ereditari ed è tenuto all’adempimento del sublegato ed ogni altro onere a lui imposto solo nei limiti del valore della cosa legata. Tuttavia anche il legato si qualifica come atto normalmente e non essenzialmente di liberalità, si pensi alla figura del legato di debito, in cui all’onerato-creditore non si attribuisce nulla di più rispetto al diritto da costui già posseduto.

3. - Lo spirito di liberalità

Nonostante un ritorno di interesse a favore dell’istituto della donazione, è importante considerare che il concetto di liberalità non è del tutto scontato. Il termine “liberalità” indica una vasta categoria giuridica dai confini a dir poco incerti, di cui la donazione contrattuale costituisce l’ipotesi principale. In realtà l’effetto liberale può essere conseguito attraverso molteplici strumenti, negoziali e non. 22 Il nostro

21U.Carnevali, voce Donazione, in Enciclopedia Giuridica, XIII, Milano,

1989.

22Per dirla con le parole di A. Torrente, La donazione, in Trattato di diritto

civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, e continuato da P. Schlesinger, Milano, 2006, a cura di U. Carnevali e A.

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Codice Civile descrive il contratto di donazione attraverso il concetto di liberalità ma di fatto non esiste nessuna precisa definizione di quest’ultimo termine.23Tanto la donazione quanto le liberalità rientrano

nell’ampio genus degli atti gratuiti.24L’art. 769 c.c. rappresenta la

principale tipologia di liberalità e fornisce il modello legale delle liberalità negoziali. Il contratto di donazione è una declinazione del concetto di liberalità e ne costituisce allo stesso tempo il prototipo normativo. Il termine liberalità designa un particolare effetto economico che consiste nell’arricchire il patrimonio altrui senza corrispettivo e per spirito di liberalità. Tale effetto può essere realizzato direttamente o indirettamente, mediante vari atti inter vivos, tra cui appunto il contratto di donazione 25.L’espressione liberalità, che

racchiude in sé l’idea di libertà e spontaneità, sta ad indicare un atto che importa l’impoverimento di chi lo compie e l’arricchimento del beneficiario.

Il problema fondamentale che si è posto tradizionalmente dagli interpreti della norma dell’art 769c.c. è stato quello di individuare il significato da attribuire all’espressione “spirito di liberalità” 26

Come si è accennato, il concetto di liberalità comprende non solo la donazione tipica (liberalità donativa),definita dall’art. 769 c.c ma anche una serie di atti che producono gli effetti tipici della donazione -impoverimento di chi li compie e arricchimento di chi ne beneficia- pur non essendo donazioni sotto l’aspetto tecnico-giuridico. Si tratta delle liberalità non donative, menzionate e disciplinate dall’art. 809c.c, il quale si riferisce in particolare all’ipotesi più importante delle

Mora, “[…] infinite sono le vie attraverso le quali lo spirito di disinteresse

può realizzare i suoi fini”.

23G.Bonilini, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Giuffrè

Editore, 2009, pg.5.

24A.Torrente, La donazione, pag.3 ss ; G.Oppo, Adempimento e liberalità,

Milano, 1947; L.Gatt., La liberalità ,Torino, 2002,pag.33 ss.

25U.Carnevali, Le donazioni, in Tratt. Rescigno, Torino, 2000. 26Jemolo, Lo spirito di liberalità , in St.Vassalli. II, Torino, 1960.

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liberalità non donative, ovvero le donazioni indirette.27 Tuttavia sono a dir poco vaghi e indefiniti i criteri per distinguere le une dalle altre e per consentire un preciso inquadramento delle fattispecie concrete nelle varie categorie con ovvie conseguenze circa la disciplina da applicare.

Un grande problema si pone considerando l’indeterminatezza e contraddittorietà delle formule ricavabili dal dato normativo. È lo stesso codice che riferisce la qualifica “liberalità” ad atti tra loro inassimilabili.28 Il legislatore utilizza il termine talvolta riferendosi all’atto, al risultato di questo, o ad un elemento latamente soggettivo, in virtù del quale l’atto è compiuto, cioè lo spirito.

Un altro ordine di difficoltà si incontra considerando l’atteggiamento che da sempre la dottrina civilistica ha riservato all’idea di attribuzione liberale, restia a ricondurla all’interno dell’area della contrattualità,come se il “dono” fosse estraneo alla razionalità dell’agire dell’uomo.29

Ed è per questo che la storia delle codificazioni ha sempre manifestato la tendenza ad accostare donazione e testamento: il code civil li disciplina in un titolo unitario, come modi di disposizione dei diritti a

27G.Capozzi, Successioni e donazioni, pag, 1650 ss.

28La donazione formale (art. 769 c.c.); la liberalità fatta per riconoscenza o in

considerazione dei meriti del donatario o per speciale remunerazione (che è anch'essa "donazione", ex art. 770, comma 1c.c. ); le liberalità compiute in conformità agli usi o in occasione di servizi resi, (che invece, a norma dell'art. 770, comma 2 c.c. «non costituiscono donazione»); gli atti diversi dalla donazione dai quali (recita l'art. 809, comma 1° c.c.) la liberalità "risulta"; le assegnazioni o spese in favore dei discendenti, effettuate a causa di matrimonio, di avvio a una professione, per pagamento di debiti o premi assicurativi (che l'art. 741 c.c. espressamente assoggetta a collazione); le spese a favore dei discendenti per mantenimento, educazione, malattie, abbigliamento e nozze (escluse viceversa dalla collazione ex art. 742, comma 1 c.c.), nonché quelle per istruzione professionale o per corredo nuziale (sottratte solo se e in quanto non eccedenti la misura ordinaria, ex art. 742 comma 2 c.c.).

29È espressione di questo atteggiamento la tesi anticausalistica sostenuta da

G.Gorla, Il contratto,Problemi fondamentali trattati con il metodo

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titolo gratuito; il vecchio codice del 1895, definendo la donazione all’art. 1050 “un atto di spontanea liberalità, col quale il donante si spoglia attualmente e irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l’accetta”, ribadisce la distanza tra donazione e categoria contrattuale. Distanza che sarà colmata dal legislatore del 1942, che all’art. 769c.c. la definirà “contratto”,sebbene continui a regolarla nel libro sulle successioni a causa di morte.

Tutte queste problematiche generano dubbi ed equivoci che si ripercuotono anche nella pratica, poiché essendo vago l’inquadramento dell’area fenomenologica delle liberalità, diventa ancor più problematico distinguere quelle che sono le liberalità non donative o liberalità atipiche, generando difficoltà interpretative e anche applicative. Per l’appunto, alcune regole di disciplina della donazione non si applicano per espressa previsione di legge ad atti che sembrano riprodurne la struttura, come le liberalità d’uso, espressamente previste come liberalità non donative dal comma2 dell’art. 770 c.c. e in parte alle donazione rimuneratorie o obnuziali disciplinate dall’art. 805 comma3 c.c.; allo stesso tempo, gran parte di questa disciplina è dichiarata applicabile anche ad atti strutturalmente diversi dalle donazioni, come indicato dall’art. 809c.c. che merita tuttavia una trattazione a sé stante.

Prima di cimentarmi nel tentativo di spiegare e meglio riassumere le varie teorie e ricostruzioni susseguitesi a proposito del significato e del ruolo dello spirito di liberalità, che da anni ormai occupa un posto centrale nel dibattito scientifico, vorrei accennare ad alcuni “problemi di confine” che l’ampiezza della donazione e della liberalità genera con riguardo alla figura della donazione rimuneratoria, specialmente se confrontata con le liberalità d’uso e con l’adempimento di un’obbligazione naturale.

L’adempimento di un’obbligazione naturale sembra avere posizione intermedia tra liberalità e adempimento, concetti tra loro incompatibili,

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considerando l’ultimo atto dovuto e la liberalità compiuta nullo iurecogente. Non è sostenibile che l’adempimento di un’obbligazione naturale avvenga a titolo oneroso o che sia privo del requisito della spontaneità. Ciò che conviene sottolineare è che all’adempimento di un’obbligazione naturale è essenziale la preesistenza di un dovere morale o sociale, inteso come dovere giustificato da particolari relazioni tra determinati soggetti: si ha dunque donazione quando l’attribuzione non è sostenuta da un siffatto dovere morale o sociale.30

La questione più problematica si pone laddove si tratti di giudicare se ricorra una donazione rimuneratoria31, come tale quindi soggetta alla forma notarile a pena di nullità (salvo il modico valore) oppure adempimento di un’obbligazione naturale.

Nella remuneratoria, l’esistenza di speciali meriti del destinatario o la speciale remunerazione non fanno venir meno i caratteri di disinteresse e di spontaneità necessari alla donazione; anche la donazione fatta per riconoscenza è compatibile con la spontaneità dell’atto poiché un dovere di riconoscenza è avvertito dalla coscienza sociale come molto meno vincolante di uno specifico dovere morale o sociale, e non elimina quindi la piena libertà dell’atto in esame.32 La differenza non

può risiedere soltanto nella pretesa mancanza di gratuità dell’adempimento di obbligazione naturale e nemmeno nel fatto che l’atto in esame manchi di spontaneità, poiché questa è presente almeno nel suo contenuto minimo di assenza di coazione giuridica. Il fattore discriminante, che fa venir meno l’essenza delle liberalità, sarebbe invece l’esistenza di un dovere morale o sociale specifico, cioè non un generico dovere di coscienza, ma solo uno specifico nascente da

30Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947.

31L’art. 770c.c. definisce la donazione rimuneratoria come una liberalità fatta

per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione; la nozione quindi ricomprende tutte e tre le ipotesi di liberalità.

32 G.Amadio, F.Macario ( a cura di), in Diritto civile: Norme, questioni,

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“particolari circostanze, giustificato da particolari relazioni tra determinati soggetti”. Appartiene quindi all’area della donazione rimuneratoria il dovere morale di gratitudine, i rimanenti doveri morali e sociali appartengono all’area di un’obbligazione naturale.33 È infatti

comunemente accettata la qualifica di “atti compiuti in adempimento di un’obbligazione naturale” e non di “donazioni remuneratorie”, per le attribuzioni patrimoniali effettuate tra conviventi.34

La dottrina 35 ha osservato che chi compie una donazione rimuneratoria obbedisce ad un proprio impulso e non intende seguire un dovere morale o sociale, manifestando quindi un animusdonandi,e non animus solvendi come nell’adempimento di un’obbligazione naturale.

La giurisprudenza unanime della Corte di Cassazione36 conclude che

per donazione rimuneratoria deve intendersi l’attribuzione gratuita compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico,morale o sociale per compensare i servizi resi o promessi dal donatario. Deve ravvisarsi la figura prevista dall’art. 770c.c. nell’ipotesi caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume in essa il motivo dell’attribuzione patrimoniale, correlata specificamente a un precedente comportamento del donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o speciale rimunerazione di attività svolta e non piuttosto quella dell’adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2043c.c. Le ragioni specifiche che conducono al compimento di una donazione rimuneratoria sono di solito ricondotte all’area dei motivi, aventi peraltro una particolare rilevanza giuridica, la cui presenza influisce

33Oppo, op., ult., cit. pag. 205 e ss.

34Per tutte Trib. Bologna, 20 dicembre 2006, Il Merito, 2007.

35A.Torrente, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale,

Milano, 1956, pag. 302; Biondi, Le donazioni, in Tratt. Vassalli, Torino, 1961, pag. 702.

36Cass., 10 novembre 1992, n.12091; Cass., 14 febbraio 1997,n.1411; Cass.,

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sulla disciplina e che potrebbero assurgere al rango di interessi che il contratto è volto a realizzare.

Realizzano una liberalità inoltre, le attribuzioni fatte in occasione di servizi resi o comunque in conformità degli usi, ancorché non vengano considerate dal legislatore come donazioni, come recita l’art. 770 comma 2 c.c. Vi è pertanto ragione di domandarsi se l’esclusione della qualifica donativa discenda da una differenza strutturale e causale della liberalità d’uso rispetto alla donazione dato che nella prima l’atto troverebbe giustificazione nel conformarsi all’uso, o se i caratteri della donazione siano presenti anche nella liberalità d’uso, ma il legislatore intenda solo esentarla dall’applicazione dell’impegnativa disciplina della donazione, non ravvisando la sussistenza di particolari esigenze di tutela. La liberalità d’uso costituisce un’elargizione che solitamente viene compiuta in occasione di particolari servizi resi (liberalità remuneratoria d’uso) o in conformità agli usi vigenti in un determinato luogo37. La causa di siffatta attribuzione appare a prima vista non dissimile da quella della liberalità donativa, comportando appunto impoverimento del donante e arricchimento del donatario. Tuttavia il particolare motivo dell’attribuzione, cioè l’intento di compensare un soggetto per i servizi ricevuti, nel rispetto degli usi diffusi in una determinata località e in un determinato tempo, finisce col mutare la causa della liberalità, che non sarà più spontanea ma eseguita in osservanza del vigente costume. La dottrina maggioritaria esclude quindi che le liberalità d’uso costituiscano una liberalità.

Per ritornare al fulcro del problema, ossia l’individuazione di una nozione di “liberalità”, la dottrina e la giurisprudenza si sono da sempre confrontate, sulla questione, tanto che ad oggi non è ancora molto chiara la “teoria maggioritaria”.

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28 3.1. Liberalità come causa (negoziale)

Dalle elaborazioni della dottrina civilistica emergono due diverse concezioni, che riferiscono il concetto di liberalità alla causa dell’atto negoziale, o all’effetto giuridico o risultato economico di questo. Da qui la grande diatriba tra chi individua la virtù distintiva del fenomeno liberalità nello “spirito di liberalità” o nell’ arricchimento del donatario.38

Ad oggi può dirsi ormai superata la tesi della “acausalità”, ispirata allanegazione della causa quale requisito autonomo del negozio giuridico.39

L’esclusione della “acausalità” della donazione deriva, ormai, dallo stesso sistema legislativo: la causa costituisce elemento essenziale di ogni contratto e, quindi, anche della donazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1325, comma 2 c.c e 769 c.c.

Nel nostro ordinamento giuridico vige il principio di causalità negoziale, secondo il quale qualunque spostamento patrimoniale deve necessariamente essere giustificato.40 Tale elemento si discosta molto dal diritto romano che, pur prevedendo la causa come elemento essenziale del negozio, riconosceva una netta prevalenza alla forma. Il rispetto delle formalità prescritte garantiva la validità del negozio, indipendentemente dalla presenza o meno di una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale.

Col Codice del 1865 si diede pieno riconoscimento al principio di causalità e successivamente, con l’entrata in vigore del Codice del

38A.Torrente, op.ult.cit pag.172 ss. “Ci sono state anche teorie che hanno

sostenuto l’acausalità della donazione, presto criticate poiché questa è definita contratto dal legislatore, e in quanto tale presenta la causa tra i suoi elementi essenziali”.

39S. Perozzi, Intorno al concetto di donazione, cit., 323 ss.; G. Andreoli, La

ripetizione dell’indebito, cit., 86 ss.; R. Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., 245 ss.

40 M. Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Giappichelli, Torino,

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1942, -in cui vige il principio della libertà delle forme-, si attribuì grande rilevanza all’elemento causale, previsto all’art. 1325 comma 2 c.c. quale elemento essenziale del contratto, la cui mancanza determina la nullità dello stesso per carenza di un elemento strutturale ai sensi dell’art. 1418 comma 2 c.c.41

Nel nostro ordinamento, secondo l’idea del legislatore, non può esistere, fatta eccezione per alcune fattispecie, uno spostamento patrimoniale sine causa, infatti questi ha previsto strumenti preposti a riequilibrare e rimediare a spostamenti patrimoniali senza giustificazione causale: gli artt. 2033 e 2041 c.c., riguardanti il pagamento dell’indebito e l’azione di ingiustificato arricchimento. In ragione di quanto previsto dal codice, pertanto, nessuno può arricchirsi ingiustificatamente, affermandosi pacificamente che qualunque spostamento patrimoniale deve avere una sua giustificazione causale, pena la nullità dell’atto.

Il principio di causalità ha carattere generale, salva la presenza di ipotesi in cui si possono registrare alcune deroghe alla sua applicabilità.42

La causa è quindi l’elemento essenziale di qualificazione dei vari negozi, soprattutto a seguito dell’adozione di un concetto di causa in concreto, come funzione economico individuale, che impone di accertare in concreto la giustificazione di ogni singolo spostamento patrimoniale, alla luce della meritevolezza di tutela secondo l’ordinamento di interessi che le parti intendono realizzare ai sensi dell’art. 1322 comma 2 c.c.

41Nel codice del 1865, in sintesi, la causa era intesa in maniera del tutto

diversa da quella odierna, ossia dal punto di vista soggettivo,come l’insieme delle pulsioni che muovono i singoli contraenti, ovvero le loro motivazioni. 42A titolo esemplificativo, l’art 1992, per favorire una più rapida circolazione dei titoli di credito, prescinde dalla causa, così come l’art 1987c.c, relativo alle promesse unilaterali.

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Ebbene, affermata le necessità dell’elemento causale, occorre tener ben distinti causa e motivo della liberalità.

Il punto di partenza è costituito senz’altro dai motivi, cioè dalle spinte psicologiche che azionano il comportamento umano, indirizzandolo ad un risultato ben preciso. Il termine “motivo” deriva dal verbo movere: il motivo è ciò che determina l’atto di volontà. Esso rappresenta il “sentimento di un bisogno” 43, sentimento che spinge ad un risultato

finale: la causa del negozio. Così il bisogno di sentirsi ammirato, di farsi conoscere, di conseguire una certa riconoscenza, di raggiungere cariche, onori, o il mero sentimento di affetto, possono determinare la produzione di un effetto liberale.44 E all’ordinamento giuridico interessa tale risultato finale, quale modificazione nella realtà esterna delle relazioni giuridiche tra le parti.

La tesi della liberalità come causa negoziale45 qualifica l’intento

liberale come causa comune a tutti gli atti di liberalità46 e ricomprende

così nella categoria atti che la legge espressamente afferma non costituire donazione, come avviene per le liberalità d’uso e in parte per le donazioni remuneratorie o obnuziali. La tesi in esame porta a ritenere che la causa o funzione economico-sociale della liberalità d’uso non sia dissimile da quella del negozio di liberalità in senso ampio, rilevando quindi gli usi come semplici motivi. La causa anche nelle donazioni e in virtù dell’autonomia negoziale lasciata alle parti, si

43G. Oppo, Adempimento e liberalità, pag. 56.

44È significativa l’affermazione di B. Biondi, Le donazioni, in Tratt.Vassalli,

Torino, 1961, pag. 580., “ Nessuno intende determinare a favore di altri un

arricchimento sia pure per spirito di liberalità, senza un particolare motivo. Se manca lo spirito di liberalità, se si vuole come qualifica di esso, si riscontra sempre un motivo, che costituisce l’impulso personale e concreto del donante”.

45 Sostenuta per la prima volta da G.Oppo, Adempimento e liberalità, Milano,

1947, pag.76 ss e in seguito da G.Balbi, Le donazioni, in Tratt.

Grosso-Santoro Passarelli, II, Milano, 1964.

46Nel senso che lo spirito di liberalità coincida con la causa della donazione si

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identifica come il momento d’insieme dell’intera regolamentazione negoziale destinata a riassumere gli elementi oggettivi e soggettivi del negozio, e ad identificare il valore che una determinata operazione negoziale assume per le parti che l’hanno volontariamente posta in essere.47L’identità di causa fornisce la ratio per individuare la comune disciplina applicabile a queste figure: limitazioni di responsabilità per evizione e vizi della cosa donata ex artt. 797c.c. e 798c.c. ; nullità del mandato a donare ex art. 778c.c. ,disciplina dell’errore sul motivo, divieto di fare donazioni in nome e per conto del soggetto incapace ex art. 777c.c .

Tuttavia, la suddetta tesi presenta non poche problematiche giacché non chiarisce in cosa consista l’intento liberale, che rimanda alla formula normativa dello spirito di liberalità e/o quella dottrinale dell’animus donandi. È tuttora diffusa la tendenza ad identificarlo con l’animus donandi, con l’avvento del codice civile questo ha iniziato a trasformarsi ed identificarsi con lo spirito di liberalità.

È importante accennare alle varie letture che la dottrina ha fornito circa “l’animus donandi”, dapprima interpretato in senso strettamente soggettivo, come motivo che induce il donante a disporre48,impostazione a cui subito è stato obiettato49 che condurrebbe ad elevare un elemento irrilevante a costituente del tipo contrattuale. Se ne è fornito poi un concetto puramente negativo, che lo identifica con la mancanza di costrizione.50 L’autore in questione sostiene che ”Spirito di liberalità significa che non basta un’attribuzione patrimoniale senza corrispettivo – arricchimento- “, ma occorre che questa sia giustificata dall’animo liberale, dalla coscienza cioè di

47 G.Bonilini, Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Giuffrè, 2009,

pag. 26.

48F.Ferrara, ,Teoria dei contratti, Napoli, 1940, pag.135 49A.Cataudella, Successioni e donazioni, Milano, 1970.

50A.C. Jemolo, Lo spirito di libralità, in St.Vassalli, II, Torino, 1960, pag.973

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conferire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi costretti (liberalitas nullo iure cogente in accipientem factam)51 . Sul punto si è pronunciata di recente anche la Corte di Cassazione52 secondo la quale “In tema di donazione, lo spirito di liberalità che connota il depauperamento del donante e l'arricchimento del donatario va ravvisato nella consapevolezza dell'uno di attribuire all'altro un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale”. Questa tesi però viene criticata53 in quanto l’elemento della spontaneità, essenza dell’autonomia contrattuale, non può considerarsi significativo per l’individuazione di un singolo tipo. Si è identificato poi l’animus donandi con “l’intento di arricchire” o di “effettuare un’attribuzione senza corrispettivo” 54 ma vedremo in

seguito come tale dato sia inidoneo a distinguere contratti liberali e contratti gratuiti.

Addirittura, ne è stata proposta una totale svalutazione, facendolo coincidere con la volontà di donare tout court, rappresentando una “superfetazione rispetto al contratto di donazione”55.

Questa indeterminazione genera confusione laddove si debba distinguere tra causa liberale e causa onerosa, quando si qualifica la donazione rimuneratoria come atto di liberalità o come negozio oneroso, a seconda della prevalenza dell’animus donandi o intento di remunerare (smentendo l’art. 770 comma 1 c.c.) o quando si affronta il tema del negotium mixtum cum donatione, talvolta considerato oneroso, talaltra a causa liberale, o quando si tratti di capire se integri o

51Si veda anche A.Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. Dir. Civ,

Torino, 2000, pag. 120;

52Cass. 21 maggio 2012, n. 8018, Giust. Civ. Mass.

53G.Amadio, “La nozione di liberalità non donativa nel codice civile”, in

Liberalità non donative e attività notarile, I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2008,.

54G.Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947.

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meno una donazione indiretta 56 o se sia caratterizzato dal concorso di una causa onerosa e una gratuita.

La parte della dottrina che pone l’accento sull’elemento psicologico dell’animus donandi, traccia un profondo solco tra liberalità e atti a titolo gratuito: lo spirito liberale diventa quindi elemento caratterizzante, distinto dalla gratuità.57

Com’è stato osservato da un profondo studioso della materia58 questa qualificazione dell’animus donandi non vale a distinguere la donazione dagli altri negozi a titolo gratuito; anche in questi, di regola, l’altruismo si esplica a tutto vantaggio del destinatario della prestazione. Pertanto, il criterio distintivo tra negozio gratuito e liberalità deve essere cercato altrove. La gratuità, a ben vedere, non costituisce che un momento del concetto di liberalità. Posto che nella donazione, come negli altri atti a titolo gratuito, si riscontra, quale elemento comune, l’assenza di corrispettivo, la finalità che muove il donante – così come la finalità che muove l’autore di un altro negozio gratuito – è sempre contraddistinta dall’intenzione di arrecare un vantaggio senza ricevere una contropartita. Quindi per qualificare e distinguere la donazione, rispetto agli altri negozi a titolo gratuito, è necessario rivolgere l’attenzione verso qualche ulteriore elemento, in grado di qualificare la situazione di vantaggio che in altri si vuole arrecare: il dato ulteriore, che è presente nella donazione ma non negli altri atti a titolo gratuito, non può che essere l’arricchimento. Requisito assente nell’art. 1050 del codice civile del 1865, è espressamente contemplato dal 615 B.G.B, che definisce la donazione “una disposizione con la quale uno arricchisce altri del suo, se ambedue

56Cass.27 febbraio1986, n.1266. Sulla distinzione tra negotium mixtum e

donazione indiretta si veda A.Cataudella , Successioni e donazioni, Torino, 2005., pag.60.

57Tra tutti: A.Ascoli, Delle Donazioni, Milano, 1935.

58A.Torrente, La Donazione, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger,

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sono d’accordo in ciò che la disposizione avvenga a gratuitamente”. È dunque evidente l’influenza del codice germanico sul vigente art. 769 c.c. che definisce la donazione come il contratto col quale una parte arricchisce l’altra. 59

In conclusione questa prima tesi non spiega quale sia il contenuto specifico che consentirebbe allo spirito di liberalità di assurgere a profilo causale e inoltre, riferendosi alla causa del “negozio” , lascia scoperta l’area della liberalità attuate mediante comportamenti non negoziali. In seguito, analizzerò anche l’annosa questione relativa ai rapporti tra causa e forma, con riferimento particolare al negozio indiretto.

3.2. Liberalità come effetto

L’opposta teoria concepisce la liberalità come effetto, partendo dal dato normativo dell’art. 769c.c., che intende l’arricchimento, un risultato consistente in un incremento della sfera giuridico-economica del donatario, conseguibile attraverso il contratto e come conseguenza della disposizione di un diritto del donante in favore del donatario -donazione dispositiva- o con l’assunzione dell’obbligazione nei suoi confronti –donazione obbligatoria. 60

59In dottrina A. Torrente, La donazione, cit., 5 ss.; G. Azzariti, Le successioni

e le donazioni, Napoli, 1990, 832; F. Maroi, Delle donazioni, in cod. civ., Libro II, Delle successioni, Commentario D’Amelio, Firenze, 1941, pag.34

ss.; G. Balbi, Saggio sulla donazione, Torino, 1942, pag.66 ss.; G. Oppo,

Adempimento e liberalità, cit., pag. 84 ss.; A. C. Jemolo, Lo spirito di liberalità, in Studi giuridici in memoria di F. Vassalli, II, Torino, 1960, pag.

973 ss.

60 Tuttavia, secondo l’opinione largamente prevalente : U.Carnevali,

Enc.Giuridica,XIII 1989; contra A.Torrente, Op.,ult.,cit., B. Biondi, cit., solo l’assunzione di un’obbligazione di dare è idonea a costituire una liberalità. Tale limitazione viene giustificata con la necessità che all’arricchimento del beneficiato corrisponda un corrispettivo depauperamento del patrimonio dell’autore della liberalità: un’obbligazione di facere, pur attribuendo un vantaggio patrimoniale al beneficiato,non produrrebbe un vero depauperamento di chi si obbliga. È stato altresì osservato che l’esclusione delle obbligazioni di fare dall’ambito delle

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Si forma quindi l’idea che la categoria della liberalità indichi l’effetto finale di una serie di atti che siano idonei a realizzare un oggettivo incremento del patrimonio del beneficiario.61 Ritorna la visione della liberalità come risultato del compimento di un atto, cosi da applicare alle liberalità che “risultano da atti diversi dalla donazione” parte della disciplina sulla donazione in generale (revocazione per ingratitudine e sopravvenienza dei figli, riduzione per lesione di legittima).

Considerando la liberalità come risultato, si potrebbe riconoscere una disciplina uniforme, applicabile in ragione dell’effetto economico e indipendentemente dallo strumento giuridico usato per conseguirlo (un complesso di norme materiali che comprende oltre alla riduzione e revocazione,la collazione, l’obbligazione alimentare a carico del donatario,l’incapacità di ricevere ex art. 779c.c. e il divieto di disporre per conto dell’incapace) e la categoria delle liberalità non donative ricomprenderebbe tutti i “negozi-mezzo” con i quali raggiungere tale effetto. Questa ricostruzione consentirebbe di rilevare l’esistenza di una figura donativa quando l’individuazione in base a criteri che prescindono dalla forma e dalla consistenza dello scambio, debbano necessariamente ancorarsi allo spirito di liberalità e alla causa dell’attribuzione.

Mi sto riferendo alle ipotesi di donazione indiretta, che richiedono sempre la spontaneità dell’attribuzione –spirito di liberalità o animus

liberalità risponde anche ad un’esigenza di semplificazione: si evita di dover ricercare linea di demarcazione con i contratti gratuiti che non sono considerati né donazioni né atti di liberalità, ma soprattutto si evita di dover procedere ad una stima del valore del facere donato qualora fosse necessario nei casi di obbligo di restituzione (conseguente ad invalidità o inefficacia della donazione) o di collazione, o nei casi in cui è necessario valutare l’arricchimento del donatario. Esiste però un contrapposto orientamento sostenuto dalla dottrina moderna, che riprendendo una teoria meno recente (Biondi, Le donazioni, pag. 389) sostiene che la limitazione al solo obbligo di dare sarebbe contraria all’ampia previsione normativa dell’art 769c.c, il quale si riferisce all’assunzione di un’obbligazione, genericamente intesa.

61U.Carnevali ,voce Liberalità(atti di),in Enc.dir., XXIV, Milano, 1974,

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donandi- cui deve accompagnarsi una causa dell’attribuzione che, se risulta dall’intero congegno del negozio indiretto, può servire a tutelare gli interessi del donante e/o donatario. E questo, come vedremo, è affidato all’arte stipulatoria.62

Tuttavia, ritenendo l’arricchimento elemento essenziale degli atti di liberalità, e soprattutto della donazione, e considerandolo come incremento oggettivo del patrimonio del beneficiario, finisce per rivelarsi né essenziale né sufficiente a connotare la categoria. E forma oggetto di uno specifico dibattito.

3.3. Arricchimento e donazione modale

È controverso se si debba intendere l’arricchimento in senso meramente giuridico, come incremento della sfera giuridica del donatario, o in senso (anche) economico, come incremento sostanziale della ricchezza di quest’ultimo. La discussione ruota intorno all’art 793c.c dal quale emerge che nella donazione modale il valore della cosa donata può essere interamente assorbito dall’adempimento dell’onere, dando vita quindi ad un contratto che è definito donazione, ma in realtà è privo di arricchimento in senso economico.63

Il modus nella sostanza, impone al donatario di eseguire una prestazione a vantaggio del donante o di terzi e ne limita così l’arricchimento, è un peso che il gratificato di una liberalità subisce per volontà dello stesso soggetto che effettuò l’attribuzione. E nonostante i tentativi di superare l’ostacolo, affermando per esempio come in effetti

62A.Palazzo, Commentario al CodiceCivile, diretto da Piero Schlesinger, Le

donazioni, Giuffrè, 1991.

63Il modus, o onere, può essere definito come un peso che il gratificato di una

liberalità subisce per volontà dello stesso soggetto che fece l’attribuzione. Secondo la dottrina prevalente è apponibile sia agli atti inter vivos che mortis

causa, purchè a titolo gratuito, quindi non solo alla donazione e al

testamento, come previsto espressamente dal codice, ma anche a tutti i negozi gratuiti. L’apposizione di un modus, pur costituendo un peso per l’obbligato, non snatura il carattere gratuito del negozio che rimane pur sempre tale, anche quando il beneficiario è colui che ha disposto il modo stesso.

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